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lunedì 30 marzo 2015

Ridurre lo stress e coltivare la serenità con la Mindfulness


La Mindfulness, per dirla con Jon Kabat-Zinn, ideatore del programma MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction),  è la consapevolezza che emerge quando prestiamo attenzione intenzionalmente, momento per momento, alla nostra esperienza presente, senza giudizio e con un atteggiamento di apertura, curiosità, accettazione.
Praticare la consapevolezza, dice una bella metafora tibetana, è un riportare la mente a casa.
La mente infatti, se lasciata a se stessa e non coltivata, reagisce volubilmente a qualsiasi stimolo la colpisca, sballottata da un pensiero all'altro, da una emozione all'altra, da un conflitto all'altro, e trascinata da desideri continui. I nostri stessi comportamenti a volte tradiscono uno stato di non presenza, come quando facciamo le cose distrattamente (con la mente altrove), come se avessimo il pilota automatico inserito, oppure agiamo d'impulso come diretta reazione ad una provocazione esterna, ma senza che il comportamento in sé rispecchi veramente noi stessi e ciò che avremmo desiderato fare assecondando i nostri valori.
Fermarci ogni tanto, fare silenzio, meditare vuol dire uscire dalla modalità del fare (dal reagire automatico agli stimoli) ed entrare nella modalità dell'essere, dove dimoriamo saldamente nel momento presente, permettendo che la consapevolezza e l'attenzione si orientino verso l'esplorazione interiore della natura delle sensazioni fisiche, emotive e cognitive che si rivelano momento per momento.
La Mindfulness può insegnarci così un modo nuovo di rapportarci alle esperienze della vita, che riduce la nostra sofferenza, modifica il modo in cui rispondiamo alle difficoltà e prepara il terreno per una trasformazione personale positiva. Il che in definitiva ci rende anche più liberi di fare scelte di valore e in cui crediamo, perché meno portati a reagire automaticamente alle situazioni e anche a lasciarci trascinare dal vortice delle attività quotidiane che ci allontana dall'ascolto di ciò che sentiamo, e rischia di allontanarci da ciò che realmente vogliamo e che ha valore per noi.
La Mindfulness, per dare i suoi frutti, richiede una pratica ripetuta nel tempo. I suoi effetti sono infatti cumulativi e bisogna essere disponibili a dedicare ad essa un po' di tempo ogni giorno, divenendo in prima persona parti attive della cura di noi stessi e responsabili del nostro benessere.
Le pratiche in particolare si dividono in due tipi: pratiche di meditazione formale e pratiche informali.
Nelle prime si tratta di dedicare del tempo ai nostri esercizi di meditazione, come faremmo se si trattasse di esercizi di ginnastica; qui la ginnastica è di tipo mentale, ed ha le sue regole, che noi osserveremo quotidianamente con una gentile (ma ferma) disciplina. Per esempio, staremo seduti per un certo numero di minuti portando la nostra attenzione sul respiro e poi riportandola ancora ad esso ogni volta che ci rendiamo conto che la nostra mente vaga. Gli oggetti su cui portiamo l'attenzione possono essere anche sensazioni fisiche (un prurito, un dolore, un suono) o emotive, così come si manifestano nel corpo (come tensione nel petto associata alla rabbia, o nodo alla gola derivante da tristezza).
Nelle pratiche informali, invece, ricorderemo semplicemente a noi stessi, di tanto in tanto durante la nostra vita ordinaria, di prestare attenzione a ciò che sta accadendo al momento, senza modificare le nostre abitudini. Per esempio, quando suona il telefono, all'inizio proviamo solo ad ascoltare il suono che fa, prestando attenzione al tono e al ritmo del suono, come se fosse uno strumento musicale (anche se poi, certo, rispondiamo...); oppure mentre ci laviamo i denti, portiamo la nostra attenzione su tutte le sensazioni fisiche che l'esperienza comporta, dal sapore del dentifricio, alla temperatura dell'acqua o al contatto delle setole sulle gengive, prendendo anche atto degli eventuali pensieri, sensazioni ed emozioni che spostano la nostra attenzione dall'attività che stiamo facendo. In tal caso, come in tutte le pratiche, senza opporre ad essi resistenza, semplicemente li riconosciamo e li lasciamo andare, tornando a portare l'attenzione sul nostro compito.
Scopo fondamentale della Mindfulness è infatti la consapevolezza dell'esperienza interiore, che include le normali deviazioni dell'attenzione e la normale tendenza ad essere distratti da pensieri, immagini, idee, ricordi, giudizi, preoccupazioni, anticipazioni del futuro ed in genere da eventi che attirano l'attenzione distogliendola dall'oggetto principale.
Questo significa che non sbagliamo la meditazione quando distraiamo l'attenzione dall'oggetto prescelto (es.dal respiro), perché l'esercizio è proprio accorgersi che ciò avviene (un pensiero per esempio ci ha rapiti) e ricominciare da dove abbiamo lasciato, riportando l'attenzione ancora e poi ancora sull'oggetto prescelto.
La sequenza di focalizzazione, divagazione e rifocalizzazione è cioè lo specifico "allenamento" della Mindfulness che promuove la consapevolezza e la percezione dalla propria attività mentale in quanto tale.
Le pratiche di Mindfulness affondano le loro radici negli antichi insegnamenti della spiritualità orientale (Buddismo, Zen, Yoga), riprendendo in particolar modo aspetti propri della meditazione Vipassanā che, a differenza di altre forme di meditazione, non è finalizzata al raggiungimento di stati di assorbimento meditativo e non ha un carattere astrattivo, ma tende piuttosto a sviluppare la massima consapevolezza di tutti gli stimoli sensoriali e mentali.
In protocolli mindfulness-based proposti in ambito psicologico (a cominciare  dal primo e più famoso, l'MBSR - Mindfulness-Based Stress Reduction,  modello di riferimento anche per gli altri) , pur attingengo ad ampie mani da quegli insegnamenti, si limitano ad accoglierne solo gli aspetti strettamente connessi al benessere psico-fisico. Ciò significa che accostarsi alla Mindfulness e alle sue pratiche non implica per noialtri l'adesione agli insegnamenti spirituali, religiosi e in senso ampio culturali propri delle tradizioni orientali da cui dette pratiche derivano.
Per dirla in parole semplici, chi pratica la Mindfulness sotto la guida di uno psicologo non mira a raggiungere l'illuminazione, ma semplicemente un po' più di consapevolezza, e quindi ricorre a queste pratiche per prendersi cura di sé e del proprio  benessere psicologico.
Al tempo stesso, una differenza fondamentale tra la consapevolezza di tipo Mindfulness e quella che viene cercata attraverso altre strade offerte dalla psicologia, è che qui si fa pochissimo uso della parola (il silenzio molto spesso accompagna la pratica), e non si va a scavare nel nostro passato per acquisire una consapevolezza retroattiva circa le origini di ciò che troviamo oggi, nel nostro presente.
Lavoriamo insomma con ciò che c'è per come è e lo prendiamo così com'è, senza soffermarci sul perché è così, su dove trova le sue origini, su come le cose sarebbero potute o dovute essere, o su come sarebbe meglio che fossero oggi.
La nostra mente probabilmente sarà molto tentata di portarci su considerazioni del genere; e anzi,  quasi sicuramente lo farà. Ma  noi, come al solito, faremo semplicemente questo: riconosceremo che lei funziona così, lo accetteremo perché è proprio così, e con gentilezza (ma anche con fermezza), riporteremo la nostra attenzione sull'oggetto prescelto della nostra pratica meditativa.
La pratica  così ci aiuterà a rendere la nostra mente via via sempre più calma e lucida, a sciogliere le emozioni difficili, e ad entrare in contatto con la realtà così come essa effettivamente è e non come a volte ci appare attraverso il filtro delle emozioni difficili e dei pensieri intrusivi.


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sabato 21 marzo 2015

Vivere una vita di valore accettando il "mal di mare" che comporta

Quando mi chiedono cosa significhi "Ciò che si muove non congela", di solito rispondo che la cosa migliore è scoprirlo da sé; infatti è una formula che si presta a varie interpretazioni.
Ciò non toglie che questa frase abbia per me anche un senso, per così dire, elettivo.
È il mio motto nei piccoli e grandi terremoti della vita, per esempio, e serve a ricordarmi che il desiderio di mantenere fermo e immutabile il nostro mondo è un desiderio contro natura (più simile a un desiderio di morte che di vita).
Siamo nati e viviamo in un pianeta che gira, e non solo in senso metaforico: gira proprio materialmente, sotto i nostri piedi, portandoci in giro con sé.
Ma a prescindere da ciò, è proprio essere vivi che ha a che fare sempre con qualche forma di movimento.
Il sangue ci scorre nelle vene, il respiro entra ed esce dal nostro corpo, i pensieri vanno e vengono dalla nostra mente, le emozioni emergono e vagano tra mente e corpo.
Ogni alimento che ingeriamo genera nel nostro corpo una serie di movimenti interni per digerirlo.
La conservazione stessa della nostra specie è affidata a faccende movimentate: dall'atto sessuale alle contrazioni del parto.
E ciò senza contare tutti i movimenti che hanno a che fare con il naturale  crescere, maturare e invecchiare di ciascuno di noi, e i tanti cambiamenti che viviamo anche in famiglia, quando i vari membri vanno, vengono, crescono, maturano, invecchiano.
Per cui la questione diventa: è mai possibile che tutto questo movimento non ci provochi nemmeno un po' di... mal di mare?
Stando ai risultati di ricerca su Google, la frase Ciò che si muove non fa venire il mal di mare non l'ha mai detta nessuno. E forse un motivo ci sarà. 
Ma, a parte ciò, è la frase Ciò che si muove non congela, che sembra dirci una cosa precisa: e cioè che il movimento ed il cambiamento sono cose da vivi e non da morti. E che anche il mal di mare lo è.
Uscire dal movimento significa morire, congelare. E una volta morti il problema del mal di mare non ce l'avremo più.
Tutto questo solo per dire che qualche forma di mal di mare, prima o poi, tocca a tutti.
Fa parte della nostra normalità, del semplice fatto di essere umani e di essere vivi.
La questione quindi non è "come scansare il mal di mare", ma come vivere una vita di valore nonostante la dose di mal di mare che ogni viaggio comporta.

Quando lavoro con le persone, si pone spesso la questione di cosa esse desiderano davvero nella vita, cosa è veramente importante per loro, e come fare per costruire, mattone dopo mattone, una vita ricca, piena e significativa.
Per far questo è importante entrare in contatto con i più profondi desideri del nostro cuore, con i nostri valori personali, e fare di essi la bussola della nostra vita, lasciando che ci guidino verso i cambiamenti che intendiamo attuare e le mete che intendiamo raggiungere.
Questo non esclude però che potremmo trovare ostacoli, durante la nostra avventura, e non ci garantisce nemmeno che andrà sempre tutto liscio e che non avremo momenti di crisi.
Nessun essere umano è del tutto immune da eventi, sensazioni ed emozioni spiacevoli, e considerare la felicità come uno stato costante di sole sensazioni ed emozioni piacevoli è illusorio (ed è anche un condannare se stessi all'infelicità, perché quel tipo di felicità, come stato permanente e definitivo, è irraggiungibile).
È invece possibile accedere ad una visione più ampia e più saggia di felicità, che  riesce a comprendere in se stessa sia il piacere sia il dolore del vivere, ma senza consentire a quest'ultimo di ostacolarci, impedendoci di  procedere nella direzione che abbiamo scelto (quella indicata dai nostri valori personali).
Quando riusciamo ad accettare serenamente una ragionevole quota di dolore nella nostra vita, diventiamo molto più forti e molto più capaci di credere in noi stessi e nei nostri sogni. La posta in gioco, per noi, può essere infatti più alta del dolore che dobbiamo attraversare e riguardare il valore stesso della nostra vita. Riuscire a portare alla luce gli aspetti migliori della nostra natura, entrare in contatto profondo con ciò che per noi è davvero importante, vivere seguendo le indicazioni dettate dai nostri  personalissimi valori: è tutto questo che ci fa sentire bene e in pace con noi stessi e ci dà il senso che stiamo vivendo una vita di valore, indipendentemente da cosa pensano gli altri e da come andranno le cose.
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Ma il "mal di mare"?
Quello lo possiamo affrontare con la Mindfulness.
E passa?
Di questo parleremo diffusamente nel prossimo post (clicca qui).
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Intanto vi anticipo che, proprio per riuscire a lavorare meglio nel counseling e nel life coaching, tenendo a bada le interferenze di pensieri ed emozioni spiacevoli, sto insegnando abilità di Mindfulness a molte persone, durante i percorsi individuali. Poiché i risultati sono stati finora molto soddisfacenti, è probabile che presto  verrà costituito un gruppo dedicato proprio all'apprendimento di abilità di Mindfulness, a prescindere dal fatto che si segua anche un persorso di counseling o life coaching con me.