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venerdì 27 novembre 2015

L'arte di perdere, poesia di Elisabeth Bishop

nella foto: The lost,  by Velve Red Bullet on Deviantart (http://www.deviantart.com/art/The-Lost-358934779)

L’arte di perdere non è difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall’intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.
L’arte di perdere non è difficile da imparare.

Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
Nessuna di queste cose causerà disastri.

Ho perduto l’orologio di mia madre.
E guarda! L’ultima, o la penultima, delle mie tre amate case.
L’arte di perdere non è difficile da imparare.

Ho perso due città, proprio graziose.
E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è stato un disastro.


Ho perso persino te (la voce scherzosa, un gesto che ho amato).
Questa è la prova. È evidente, l’arte di perdere non è difficile da imparare,
benché possa sembrare un vero (Scrivilo!) disastro.

sabato 21 novembre 2015

La compassione - discorso di Christina Feldman tenuto a Roma il 28 gennaio 2000

Ho letto, di recente, la trascrizione di un incontro tra il Dalai Lama e un suo amico, un anziano monaco che aveva appena potuto raggiungere il Dalai Lama in India, dopo vent’anni passati in prigione e nei campi di lavoro in Tibet. Vent’anni di profonda solitudine, di brutalità e di torture. Il Dalai Lama chiedeva al suo anziano amico: "Raccontami di quando sei stato veramente in pericolo di perdere la vita". Il monaco ci pensò un attimo e poi rispose: "Ci sono state occasioni, situazioni in cui mi sono trovato di fronte a un vero pericolo; sono stati i momenti in cui ho rischiato di perdere la compassione per i mei carcerieri".
Alla prima lettura, il pensiero immediato è stato che questo monaco doveva per forza essere un grande santo o che era il suo diverso condizionamento culturale a permettergli un simile modo di pensare.
In verità, credo che questo monaco sia una persona che ha capito il potere dell’autentica compassione e di come la compassione ci assicuri un rifugio.
Possiamo cogliere queste parole e trasferirle nella nostra vita e nel nostro cuore. Ci sono momenti di grandissimo pericolo, sono le occasioni in cui perdiamo la compassione per noi stessi, quei dolorosissimi momenti in cui voltiamo le spalle o non siamo toccati dal nostro dolore o dalla nostra sofferenza e i momenti ugualmente dolorosi in cui perdiamo la compassione per quelli che ci hanno fatto del male o ferito.
Cosa accade quando perdiamo il contatto con la compassione?
La nostra vita e le nostre relazioni possono insegnarci qualcosa. Quando perdiamo la compassione, sorge un forte senso di separazione. Quando la compassione è andata perduta, appare spesso un’ incolmabile distanza, un’incolmabile divisione tra sé e l’altro. In questa separazione, ci sentiamo separati, distanti e isolati.  Ovviamente, quell’abisso di separazione non è un buco vuoto, contiene un oceano di emozioni e di sentimenti. Quel buco è colmo di sentimenti di rabbia, di paura, di biasimo. Talvolta di risentimento o di indifferenza. Ed è proprio la dolorosità di questi sentimenti che rende ancora più profonda la distanza tra sé e l’altro.
Quando nella vita perdiamo il contatto con il senso di compassione, al cuore viene a mancare la capacità di aprirsi, di lasciarsi toccare dal dolore e dalla sofferenza. Quello che va perduto è uno dei doni più preziosi e liberanti che si possano concepire.
Nell’assenza della compassione perdiamo la comprensione profonda dell’interconnessione ed essere esiliati dal senso di interconnessione coincide realmente coll’essere deprivati del senso di essere a casa in noi stessi o nella vita. Diventiamo invece prigionieri di tutte le sensazioni e le ansie della separazione, prigionieri della paura, della rabbia, del biasimo, ed è la più intensa delle sofferenze.
Non è difficile scorgere tutto questo nella nostra vita, se riflettete per un momento su qualcuno che, nel passato o nel presente, vi abbia fatto del male o vi abbia offeso. Quali sentimenti sorgono e quale presa hanno su di voi?
Talvolta possiamo avvertire un sottile indurimento del cuore, altre volte percepiamo sensazioni di risentimento o di tensione. Quando ci colleghiamo o pensiamo a quella persona anche a distanza, si possono aprire le porte a intense sensazioni di agitazione ed è un’esperienza dolorosa. Non c’è solo il dolore per come siamo stati feriti, ma anche il dolore che deriva dalla perdita, dalla separazione, dalla mancata connessione.
Quando nella nostra vita perdiamo il contatto con il senso di compassione, perdiamo anche, e in modo molto reale, noi stessi. Quando diventiamo prigionieri della separazione, tutti i sentimenti di paura, di rabbia e di biasimo sembrano improvvisamente assumere tantissimo potere, ma siamo noi a dare così tanta autorità a questi sentimenti, da lasciar loro decidere del nostro benessere e della nostra felicità.

Nella separazione sembriamo quasi dare l’autorità a un altro di determinare il nostro benessere e la nostra felicità. C’è tristezza nel nostro cuore nel rinunciare a questa libertà. Nella nostra vita, possiamo essere strenuamente chiusi alle persone difficili, le persone con cui litighiamo o da cui ci sentiamo feriti o risentiti. Così come possiamo essere chiusi ai punti di difficoltà dentro di noi, alle nostre personali difficoltà come la tendenza al giudizio, l’avidità, la rabbia, a cui ci sembra difficile aprirci, e difficile accettarli. Queste relazioni e questi punti difficili occupano spesso un posto centrale nella nostra vita. Ci pensiamo molto. Pensiamo di più alle persone difficili della nostra vita che a quelle che amiamo. Pensiamo molto di più ai nostri lati difficili che a quelli che apprezziamo. E le persone e i lati difficili sembrano richiedere tanta energia e attenzione perché cerchiamo di trovare un modo per evitarli o per non stare con loro. Sembrano avere così tanto potere, ma è un potere che gli abbiamo dato noi.
Nutrire la compassione è un modo di riconquistare l’autorità e di riconquistare un senso di libertà, perché è anche un modo per recuperare la comprensione dell’interconnessione. Recuperare l’autorità di verità molto semplici: la verità che nella comprensione dell’interconnessione c’è pace e compassione, che nella separazione c’è alienazione, dolore e rammarico.
Sempre di più arriviamo a comprendere nella nostra vita che la persona che ci sta davanti è veramente noi in un’altra forma, è la nostra mente in un corpo diverso, è il nostro stesso cuore che differisce solo nell’espressione. Al di sotto di queste differenze superficiali, quello che ferisce noi ferisce anche l’altro. Quello che ci dà gioia dà gioia anche all’altro. Nella tradizione cinese la compassione è spesso rappresentata come una divinità o come un Buddha chiamato Kuanin, il cui nome tradotto significa: "Colui che ascolta il suono dell’universo". In pali, la compassione è karuna che viene definita come "il cuore che trema in risposta alla sofferenza". La compassione è la capacità di ‘sentire con’, di ‘prestare ascolto alla vita’ ed è il cuore della pratica di meditazione. Il Buddha dice: "Insegno una cosa sola: c’è la sofferenza e c’è la fine della sofferenza". Attraverso la compassione noi coltiviamo il sentiero che porta alla fine della sofferenza. Il Buddha disse che per conoscere cosa sia la compassione, basta guardare negli occhi di una madre o di un padre mentre cullano il loro bambino malato e febbricitante.
Coltivando nella nostra vita la compassione impariamo come ammorbidire e sciogliere le nostre paure e le nostre contrazioni e come mitigare il nostro imprigionamento in un sé separato.
La compassione non è una qualità da idealizzare o da proiettare nel futuro, ognuno di noi incontra il dispiacere e il dolore probabilmente ogni giorno della sua vita. Facciamo i conti con la nostra mortalità e vediamo la mortalità degli altri, la nostra vita è fragile, come fragili sono tutte le vite. Ci sono molti momenti della vita in cui incontriamo il dolore della solitudine o la rabbia o l’odio. Tutti questi momenti ci invitano a coltivare un cuore in ascolto, a lasciar cadere la separazione e a essere presenti con tutti noi stessi. La compassione significa trovare la fine della sofferenza nel momento. Non significa che se ne vada tutto il dolore, non c’è una soluzione o una risposta a ogni conflitto o sofferenza di questo mondo, ma il dolore della separazione può finire e finisce in ogni momento in cui ci impegniamo a rivolgerci verso la difficoltà anziché distogliercene. Non ci è possibile fermare o controllare tutto in questo mondo, ma possiamo imparare a essere presenti, imparare a contenere questo momento, questa persona, noi stessi, in un ascolto a cuore aperto.
Quando incontriamo qualcuno che soffre o siamo noi a soffrire, la guarigione più importante che possa avvenire in quel momento per quella persona o per noi stessi è essere ascoltati, essere accolti, essere abbracciati con cuore aperto. Nel turbine del dolore non sono sempre necessarie le parole. Quello che è sempre necessario è un bisogno profondo di essere connessi. La sofferenza e il dolore vengono sorretti meglio con un quieto e comprensivo silenzio. Le parole e le risposte del coraggio e della saggezza, che sono quelle necessarie, nasceranno da quel silenzio molto più facilmente che non dall’agitazione o dalla disperazione. Riflettendo sulla nostra pratica e sulla nostra vita possiamo tutti imparare a esplorare questo spazio di silenzioso ascolto e di benvenuto. Dunque per noi la compassione non è solo accidentale, ma è una possibilità sempre disponibile. Non c’è una risposta e nemmeno una spiegazione soddisfacente per tutta la sofferenza e il dolore che esistono nella vita e non riusciremo mai a fermarli. Ma imparando a essere silenziosi e ad ascoltare in noi stessi, possiamo imparare i sentieri dell’azione saggia e della capacità di rispondere. Avere un cuore sconfinato non implica una resa della saggezza. La compassione ha bisogno della saggezza che sa cosa contribuisce alla sofferenza e cosa le mette fine. Ci sono molti momenti nella nostra vita in cui la compassione ha bisogno di prendere la forma di parole, di azioni, di scelte, la forma del coraggio e della saggezza. La maggior parte di noi sa che l’azione saggia nella vita nasce molto raramente dalla paura, dal biasimo o dall’odio. La compassione non è solo un’emozione o un sentimento. Contiene in sé sia la capacità di ascoltare che una profonda saggezza. La compassione libera la saggezza dal rimanere solo una buona intenzione e la saggezza salva la compassione dall’essere solo un’emozione. Un mistico cristiano disse: "A che serve aprire gli occhi se il cuore è chiuso?". Potremmo aggiungere: "A che serve aprire il cuore se gli occhi sono ciechi?".
Nutrire la saggezza e la compassione è un sentiero che ha inizio in qualsiasi momento ci rivolgiamo a ciò che è difficile anziché distogliercene. Con la meditazione si è dediti soprattutto ad avvicinarsi al momento presente, a questo momento. Nella pratica meditativa impariamo a stabilire la connessione con ‘ciò che è’, anziché seguire i sentieri del negare e dell’evitare, sentieri che imbocchiamo spesso per volare via da ciò che ci fa male o che ci sfida. Portare l’attenzione a ‘ciò che è’, in ogni momento, è il primo passo per imparare ad ascoltare e a essere silenziosi.
Tradizionalmente, la compassione viene coltivata in modo intenzionale, prima di tutto investendo di attenzione quei momenti e quelle circostanze di dolore o di sofferenza che sembrano essere inspiegabili e sconvolgenti e che per noi sono difficili da accettare o da comprendere. Ci interessiamo al bambino cha ha il cancro o che ha subito un abuso, ci interessiamo alla famiglia terrorizzata dalla guerra in un altro Paese. Prestiamo attenzione alla persona la cui vita è improvvisamente andata a pezzi. Prestiamo attenzione a quegli spazi di sofferenza in cui spesso ci sentiamo più indifesi e per cui non possiamo biasimare nessuno. Nel coltivare la compassione portiamo l’attenzione alla natura fragile di ogni esperienza della vita, alla sofferenza che proviene dall’invecchiamento, dalla malattia, dalla morte, dalla nascita. Tutti gli eventi della vita che comportano perdita, dolore, lutto e da cui nessuno è esente. Nel coltivare la compassione investiamo di attenzione anche quelle relazioni e quei punti di sofferenza e dolore in cui spesso ci abbandoniamo al biasimo. E portiamo anche attenzione a chi commette l’abuso, allo stupratore o all’oppressore e anche in questo caso è necessario porre fine alla separazione, lasciar andare la rabbia e il senso di separazione nel nostro cuore ed essere presenti con una semplicissima intenzione: "Che tu possa comprendere e guarire", "Che io possa comprendere e guarire". Questa investigazione e connessione intenzionale col dolore presente nel mondo è, in verità, un’investigazione del dolore e della sofferenza che incontriamo nella nostra vita e nel nostro cuore. Anche noi facciamo esperienza della sventura quando gli eventi e le circostanze si svolgono in modo imprevedibile, anche noi sperimentiamo la perdita, sofferenze e disperazioni inaspettate, anche noi ci sentiamo indifesi e impotenti in questa vita e, in verità, l’unico autentico rifugio per noi in questa fragile esistenza è nella nostra capacità di essere presenti e saldi. Certamente la compassione degli altri ci rincuora e ci sostiene; la compassione, il profondo impegno interiore a restare saldi al centro del dolore, è ciò che ci libera dal biasimo e dalla paura. Ci sono in noi anche zone difficili per le quali facilmente ci biasimiamo. Pronunciamo parole di cui ci pentiamo o agiamo in modi che offendono gli altri. Certe volte feriamo noi stessi con giudizi, severità e biasimo e ogni sorta di idee su come dovremmo comportarci nella vita. Qualsiasi strategia, libro, prescrizione non può essere un valido sostituto della compassione, del concedersi un momento per prestare ascolto ed essere silenziosi. Essere capaci di reggere le ondate di rabbia, di rimorso o di colpa senza giudizio. In questi momenti di silenzio interiore, impariamo una delle più profonde lezioni della vita: cosa conduce alla sofferenza e cosa conduce alla fine della sofferenza. Un cuore compassionevole non è un cuore idealizzato che non ha mai un pensiero rabbioso o una sensazione di avidità, che possono sorgere e di fatto sorgono, ma la compassione mantiene l’apertura per ascoltare quei sentimenti senza necessariamente concedergli di pilotarci. La compassione è una delle più grandi qualità trasformanti del cuore. I suoi peggiori nemici sono il dubbio e la paura. Abbiamo paura di essere vulnerabili e di venire sommersi, non ci fidiamo della nostra capacità di saper ricevere il dolore. Talvolta vediamo la separazione come un modo di proteggere noi stessi dalla vulnerabilità o dall’essere troppo aperti o feribili dagli altri. Ma possiamo capire dalla nostra vita che la separazione non ci protegge, ci toglie piuttosto la libertà. Coltivando la compassione impariamo a interessarci dei paesaggi del cuore. Impariamo ad apprezzare la forza delle nostre sensazioni, non per etichettarle come buone o cattive, ma per apprezzare il modo in cui caratterizzano la nostra esperienza del mondo. Qualcuno ci dice qualcosa di offensivo, ci sentiamo irritati, insultati. In un attimo quella persona diventa il nostro nemico, investito del potere di distruggere la nostra vita in quel momento. Un’altra persona dice qualcosa che ci fa piacere o che ci lusinga, ci sentiamo a meraviglia. Quella persona sembra avere il potere di renderci felici. Ma nella nostra vita c’è molto di più di questi effimeri momenti di ‘bene’ e ‘male’: fugaci sensazioni piacevoli e spiacevoli. È saggio dar loro il potere di determinare il nostro mondo? Non dovremmo mai sottovalutare il potere di questi sentimenti. Abbiamo bisogno di imparare a interessarci alla vita di questi sentimenti, a vedere come il nostro mondo si crei momento per momento attraverso quello che sentiamo verso un’altra persona, a sapere dove siamo noi, grazie all’interesse per la vita del cuore. Cominciamo anche ad imparare come sciogliere qualcuna delle nostre zone congelate e bloccate dalla paura e dalla resistenza. Possiamo imparare ad ammorbidire e a intenerire le immagini che abbiamo degli altri e di noi stessi. Possiamo cominciare a dissolvere la separazione e cominciare a comprendere che nel coltivare la compassione stiamo sempre scegliendo la libertà, anziché la sofferenza, che nell’imparare a coltivare la compassione onoriamo la semplice verità della nostra vita, che nella separazione c’è sofferenza e nell’interconnessione c’è pace.
***


D: Puoi dirci qualcosa di più sulla relazione tra la compassione e la paura, in particolare la paura del futuro?
R: Con questo tipo di paura non specifica, come è invece la paura di una persona o di un evento, è molto facile perdersi, pensando a cosa potrà succedere. E spesso in questi momenti di paura e di ansia, la mente non è nostra amica. Oscar Wilde disse che le cose più tremende della vita non accadono in effetti mai. Ma con la paura enumeriamo a noi stessi tutto il peggio che ci potrebbe accadere. Nei momenti di paura, la mente è una specie di vandalo psichico. Spesso la cosa più saggia, in quei momenti, è di creare, quanto più possibile, un senso di rifugio. La compassione per sé stessi consiste nell’imparare come non cadere nell’agitazione della paura. La compassione, come la gentilezza amorevole e l’equanimità, è una pratica oltre che una comprensione. È una pratica che utilizza frasi semplicissime o singole parole come modo per riconnettersi con l’intenzione della compassione. Utilizzare frasi semplici come: "Che io possa riposare nella paura", "Che io possa trovare la quiete dentro la paura", è un modo per imparare a trovare quel rifugio che ci libera dall’agitazione e dall’ansia. [...]
***
(traduzione a cura di Samira Coccone e Chandra Candiani)

domenica 8 novembre 2015

Grazie dei fiori. Poesia di gratitudine per amori finiti e digeriti


Grazie dei fiori
poesia di gratitudine per amori finiti e digeriti
di Maria Michela Altiero
***
Oggi potrei dirti: "Grazie dei fiori",
anche se certo l'avrò già fatto - figurarsi!
Erano i fiori
del nostro primo appuntamento e del terzo,
degli anniversari, delle feste, degli armistizi,
e di quelle altre volte che tu sai.
Mica quelli del mio funerale!
La voce ce l'avevo per ringraziarti.
E di certo l'avrò fatto.
Potrei dirti oggi: "Grazie solo dei fiori",
ed escludere dal discorso,
non per casuale dimenticanza,
i ruggiti, le bugie, i tradimenti,
gli sgarbi, i colpi bassi e i silenzi.
Oppure dirti: "Grazie non solo dei fiori",
ed aggiungere ai fiori gli anelli,
le cene, le risate, le notti di luna,
e le vacanze, i discorsi, le poesie.
Grazie per tutto questo però
te l'avrò certo già detto,
magari con gli occhi, i baci, le carezze,
se non testualmente a parole,
anche se la voce l'avevo, e un cuore,
e pure un filo di buone maniere
(ma su queste non giuro).
Non è di quei doni comunque
che devo ancora ringraziarti.
Non delle perle,
ma piuttosto dei sassi.
Quando tu me li hai dati,
io non sapevo che farne,
se non lanciarteli dietro,
o portarmeli come peso nel cuore.
Potrei dirti grazie oggi dell'intero pacchetto,
nel bene e nel male, così com'è stato.
Considerato che nessuno è perfetto, nessun amore lo è,
va bene, potrei dirti grazie così
e trattare l'amore come un cavallo donato.
Intanto i tuoi fiori sono appassiti - ma grazie ancora -
e gli anelli passati di moda - e sempre grazie.
Quella che ancora non conosci però
è la sorte dei sassi.
I tuoi sassi sono fioriti.
Quel peso nel cuore,
 alla fine non mi ha lasciata stecchita
- e non ci avrei tanto scommesso, a quel tempo!
Il cuore non ha ceduto,
non si è chiuso,
non si è fermato,
ma si è come dilatato.
E ora è diventato più capiente,
ha conosciuto un respiro più ampio,
e ha scoperto una musica nuova.
Forse per tutto questo oggi io dovrei dirti grazie
e dirti magari proprio così: "Grazie dei sassi".
Ma intanto i tuoi  sassi sono fioriti, lo vedi.
Così ancora mi trovo oggi a dirti: "Grazie dei fiori",
anche se è la prima volta che te lo dico così.

***
Questa poesia, pur essendo scritta in prima persona, non è una poesia personale, nel senso che non è rivolta a una specifica persona, a un destinatario reale, né parla specificamente di me e della mia vita.
È scritta in questo modo, per semplificare. Ma è una poesia dedicata a tutti i nostri amori finiti, in generale, senza distinzioni.
Cosa ci resta di questi amori?
L'impressione che a volte possiamo avere, quando una storia finisce, è che si trattasse evidentemente di una storia sbagliata (altrimenti, diciamo, sarebbe durata per sempre!). A volte possiamo vivere un senso di fallimento o anche di colpa. Altre volte ancora possiamo sentirci disorientati, traditi o abbandonati. Comunque sia, non piace a nessuno l'amore quando finisce. È  una perdita, una faccenda spiacevole.
Ma intanto finisce. Proprio come tutte le cose del mondo.
Ne sarà valsa la pena?
Certo la gente continua a innamorarsi, a sposarsi. E poi anche a separarsi, a divorziare, a volte a riconciliarsi.
Ma quando finisce davvero, cosa ci resta di una storia, da poter dire che ne è valsa la pena?
A volte si resta buoni ex, certo. Ma non intendevo questo.
Cosa resta davvero a noi, dentro di noi, come ricchezza, quando un amore finisce?
Qualcuno conserva come preziosi i ricordi dei tempi buoni. E va bene. Se è per questo, ci sono anche effetti positivi concreti che a volte permangono di quei tempi buoni: i figli, la casa, qualche regalo, e anche altro.
Il primo "Grazie dei fiori" come il "Grazie non solo dei fiori", nella poesia, si riferiscono a quello.
A tutto il bene che comunque c'è stato. Perché negarlo? Possiamo comunque esserne grati alla vita e forse  anche al nostro ex, se non ci costa troppa fatica.
Ma tutto il male della storia, tutti i sassi, i pesi lasciati nel cuore, potranno mai considerarsi ricchezza anche quelli?
Qui la poesia prova a dire due cose.
Una è grazie oggi dell'intero pacchetto, nel bene e nel male, così com'è stato.Considerato che nessuno è perfetto, nessun amore lo è.
Questa è l'immagine di una posizione di indulgenza a cui possiamo a volte arrivare col tempo quando la distanza raffredda gli animi e ridimensiona le situazioni.
L'altra invece è "Grazie dei sassi." Ma intanto i tuoi  sassi sono fioriti. 
E questo è l'aspetto delle nostre sfide vinte, e non tanto con l'altro o contro l'altro, ma proprio con noi stessi.
Che ne abbiamo fatto delle nostre esperienze difficili?
Quali risorse abbiamo dovuto attivare dentro di noi, per attraversare il dolore ed uscirne?
Le risorse che nei momenti difficili si attivano ed emergono dentro di noi sono come sassi che fioriscono: da un peso opprimente nasce il germoglio del cambiamento.
E un cuore  più capiente, con un respiro più ampio e una musica nuova, può essere grato alla vita di tutto ciò che lo ha portato a espandersi e a crescere.
Compreso un amore finito e ormai digerito.

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martedì 3 novembre 2015

Mindfulness per la riduzione dello stress - Evento gratuito per la Settimana del Benessere Psicologico in Campania


Dal 9 al 15 novembre 2015 si terrà la sesta edizione della Settimana per il Benessere Psicologico in Campania, che vede coinvolti in tutta la regione Psicologi ed Istituzioni nel comune intento di avvicinare le persone alle tematiche psicologiche attraverso eventi gratuiti di informazione e consulenza.
La tematica di questa edizione, che fa da filo conduttore tra tutte le iniziative organizzate sul territorio regionale, è la conciliazione tra i tempi della vita privata ed i tempi della vita lavorativa, certamente più semplice in città a misura di cittadino, che offrono preziosi servizi di supporto.
La tematica è molto ampia ed offre parecchi spunti di riflessione. Infatti sono tanti e vari gli incontri organizzati su tutto il territorio della Campania per sviluppare l'argomento. Chi volesse consultare la  brochure completa di tutte le iniziative in programma, può scaricarla collegandosi al sito dell'Ordine degli Psicologi della Campania (www.psicamp.it) oppure sfogliarla online cliccando qui.
In particolare Torre del Greco si conferma anche quest'anno Città Amica del Benessere Psicologico con due eventi in programma, fissati rispettivamente per il 10 ed il 14 novembre.
L'evento del 14 novembre si terrà presso il mio studio alle ore 18.30 e sarà dedicato alla mindfulness, cioè alle pratiche di consapevolezza di cui tante volte abbiamo parlato su questo blog, rivelatesi molto efficaci per la riduzione dello stress come diverse evidenze scientifiche hanno ormai dimostrato.
Per quanto una città sia efficiente ed organizzata, del resto, una certa quota di stress ci spetta comunque quando siamo alle prese con la difficile arte di conciliare vita lavorativa e vita familiare.
Per cui, mentre auspichiamo con tutto il cuore che le nostre città diventino sempre più vivibili e di supporto ai cittadini, consideriamo seriamente la possibilità di diffondere sempre di più anche la cultura della consapevolezza tra i cittadini stessi. Strumenti preziosi e semplici come le pratiche di mindfulness infatti possono essere una risorsa enorme, da coltivare e diffondere, perché non c'è ambito della vita personale, lavorativa e sociale che non possa trarre giovamento da dimensioni di maggiore consapevolezza individuale e collettiva.
Chiunque fosse interessato a partecipare all'evento del 14 novembre (che avrà un taglio informativo ma soprattutto esperienziale, perché le pratiche si comprendono solo praticandole), potrà contattarmi  telefonicamente al n.388.8257088. Il numero dei posti disponibili è limitato, per cui è necessario prenotarsi per partecipare.
Chi desidera essere sempre invitato agli eventi che organizzo, può chiedere l'amicizia al profilo degli eventi su facebook (Ciòchesimuove Noncongela Eventi - clicca qui).
Chi vuole connettersi a questo specifico evento su Facebook, può andare invece al link: https://www.facebook.com/events/108586992837009/

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