✴️ Questa pratica ci aiuta a trovare un’ancora nel nostro respiro capace di tenerci saldamente nel presente in una condizione di maggiore calma, maggiore quiete della mente, del corpo, del cuore.
✴️ Essa consiste nel modulare il nostro respiro come se seguissimo il perimetro di un quadrato immaginario, dove si percorre un lato con l’inspirazione, il lato successivo con una pausa, il terzo lato con l’espirazione, il quarto lato con un’altra pausa.
✴️ Per cominciare ci avvicineremo alla pratica come se si trattasse di una pratica formale, scegliendo un luogo tranquillo e riservato e assumendo la posizione seduta sulla sedia oppure sul cuscino o sul panchetto da meditazione.
✴️ In un secondo tempo, quando la pratica ci sarà ormai familiare, potremo farla anche ad occhi aperti e senza voce guida in qualunque situazione della vita ordinaria.
Concludiamo oggi la serie di riflessioni sul tema “Riprendere i sensi uno alla volta”, con un video dedicato al senso del gusto che puoi seguire su YouTube al link:https://youtu.be/2MPryO4FycQ
Oggi l'invito è di onorare il senso del GUSTO mettendolo intenzionalmente in primo piano durante la giornata.
Ripromettiamoci di non “ingurgitare” distrattamente gli alimenti che metteremo in bocca e di apprezzarne attentamente il sapore in ogni sfumatura.
Sviluppare intenzionalmente un’attenzione curiosa verso il sapore delle cose è una strada che può condurci lontano.
Può aprirci alla possibilità di assaporare più attentamente ogni dono della vita e di coltivare intenzionalmente il gusto di vivere.
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A seguire gli altri video sul tema
RIPRENDERE I SENSI (UNO ALLA VOLTA)
Domani 10 novembre alle 10:30 su YouTube première della pratica del pasto consapevole: un incontro con il cibo che coinvolgerà tutti e 5 i nostri sensi, uno alla volta,al link:
"Labeling", la pratica del "Nominare", consiste nel dare un nome a ciò che stiamo provando.La pratica può aiutarci a ristabilire il nostro equilibrio interno e ritrovare una giusta prospettiva nel momento in cui ci sentiamo sopraffatti da qualche emozione.
Questa pratica è stata oggetto di vari studi e la sua efficacia è stata ricondotta al fatto che, quando nominiamo ciò che sentiamo, si disattiva il nostro "sistema d'allarme" che risiede nell'amigdala e si dà accesso alla corteccia prefrontale mediana.Il maestro di meditazione Joseph Goldstein paragona la pratica del nominare alla cornice che noi possiamo mettere intorno a un quadro e che "aiuta a riconoscere l'oggetto molto più chiaramente e dà maggiore nitidezza e precisione all'osservazione".La versione della pratica che vi propongo si riferisce al riconoscere e nominare unicamente le emozioni, cosa che peraltro possiamo fare sia come pratica formale sia come pratica informale nella vita ordinaria.Quando avremo preso dimestichezza con la pratica, ricordiamoci che possiamo approfondirla nominando non solo le emozioni (per esempio: "tristezza", "senso di colpa") ma anche i pensieri che riusciamo a riconoscere (per esempio: "Pensiero che nessuno mi ama", "Pensiero che ho sbagliato tutto nella mia vita").
Ricordiamoci sempre che è importante osservare emozioni e pensieri da una prospettiva non giudicante e come eventi impersonali. Dire "C'è tristezza" anziché dire "Sono triste", per esempio, ci aiuta a rapportarci alle nostre emozioni come a qualcosa che non definisce ciò che noi siamo, rendendoci più semplice lasciarle scorrere, lasciarle andare e venire come nuvole nel cielo, anziché percepirle come una nostra qualità durevole.
Questo atteggiamento ci consentirà di "togliere peso" alle emozioni e di vederle per quello che sono: fenomeni transitori, impermanenti come tutte le cose in natura, aspetti dell'esperienza umana universale che sorgono, durano per un certo tempo e poi se ne vanno.
Oggi esploriamo come la mindfulness può esserci d'aiuto quando facciamo i conti con un dolore fisico.
A volte può trattarsi di un dolore acuto (come quando battiamo violentemente contro uno spigolo) altre volte può trattarsi di un dolore cronico, un compagno di viaggio che sta sempre lì con noi oppure va e viene ma poi torna sempre.
Se abbiamo dei metodi validi per sbarazzarci di questi dolori, ben vengano. Ma se così non fosse oppure se questi validi metodi per qualche ragione non potessero essere la soluzione a cui ricorrere stabilmente, allora la questione diventa un'altra, e cioè come convivere al meglio con un dolore fisico.
Uno dei maggiori problemi che abbiamo, quando è presente un dolore nel corpo, è la nostra naturale tendenza a resistergli, perché questa paradossalmente aumenta il livello della nostra sofferenza.
Questa resistenza ha componenti sia fisiche, sia mentali, sia emotive.
Il nostro corpo tenta di proteggersi dal dolore contrastandolo con la tensione muscolare.
La mente tende a evitarlo, a respingerlo, a lottarci contro con pensieri ricorrenti ("Odio questo dolore." "Perché non se ne va?" "Non è giusto che io viva questo").
Il cuore sperimenta angoscia, risentimento, afflizione.
La mindfulness suggerisce di lasciar andare ogni resistenza e di incontrare il dolore fisico con gentile interesse e delicata curiosità, conoscendolo per quello che è: una "semplice" sensazione fisica.
Com'è fatta esattamente questa sensazione?
Dove la sentiamo? Che forma ha? Si muove o sta ferma? Ci dà l'impressione di avere un colore? Una temperatura? È costante o varia di intensità? Cambia nel tempo? Cambia se cambiamo posizione?
Se ci accorgiamo che il corpo sta resistendo al dolore contraendosi in alcune zone, proviamo come meglio ci riesce ad allentare queste tensioni (magari ricorrendo alla tecnica del respirare nelle zone tese per favorire il rilassamento).
Se ci accorgiamo che arrivano pensieri, come sempre notiamo di che si tratta e poi li lasciamo stare, tornando con l'attenzione all'esercizio.
Una cosa che può affliggerci quando proviamo un dolore fisico è l'impressione che esso sia costante e immutabile.
Un'attenzione gentile portata al suo reale modo di essere momento per momento, può rivelarci invece una sua fluidità e mutevolezza, che può confortarci (non è poi così vero che non cambia mai).
Inoltre la mindfulness, coltivata con pratiche regolari, può aiutarci a integrare le sensazioni fisiche in un più ampio contesto di consapevolezza e consentirci una certa presa di distanza dall'esperienza del dolore che ne attenua la gravità.
Vari studi condotti su persone che hanno partecipato al programma MBSR - Mindfulness-Based Stress Reduction, hanno evidenziato l'acquisizione di una capacità di relazionarsi meglio con il dolore fisico, di ammorbidire intenzionalmente le zone del corpo intorno ad esso e di notare come il dolore fosse un processo mutevole, dinamico e più tollerabile, con significativi cambiamenti in termini di funzionamento e di capacità di godersi la vita.
Puoi seguire in differita su YouTube alcuni momenti di un incontro esperienziale di mindfulness dove si tratta appunto il tema "Mindfulness e dolore fisico".
Puoi scegliere di sperimentare direttamente in prima persona una pratica di mindfulness con il dolore fisico guidata dalla mia voce su YouTube.
Oggi onoreremo intenzionalmente il senso del tatto.
Questo senso può essere un ottimo appiglio al piano di realtà (realtà concreta, materiale, tangibile, toccabile) e accompagnarci efficacemente al qui e ora ogni volta che la mente ci trasporta altrove.
È tornare con i piedi per terra, è toccare con mano la realtà, è svegliarsi con l’acqua in faccia o con un bacio, è accorgersi a volte della ruvidità del mondo e altre volte del suo tocco leggero.
Quando una storia ci coinvolge profondamente sul piano emotivo diciamo che è “toccante”.
Quando qualcuno ci mette le mani addosso difficilmente ci lascia indifferenti.
Che sia un tocco gentile o un tocco violento il mondo che si presenta sulla soglia del tatto ci richiama fortemente nel qui e ora.
Questa meditazione ci invita a portare l'attenzione su alcuni punti in cui il corpo "tocca", come le palpebre, le labbra, le mani, la zona della seduta, i piedi.
Essa è un modo per promuovere la consapevolezza nel corpo, che a sua volta aiuta a calmare la mente.
Poiché attenzione è posta su parti periferiche del corpo, la pratica può essere particolarmente appropriata nei momenti di disregolazione emozionale e comunque nei momenti in cui abbiamo bisogno di ritrovare sicurezza.
C'è un racconto di Michel Faber che si intitola "Gli occhi dell'anima", riferendosi a ciò che sostiene la venditrice di un nuovo tipo di finestre, e cioè che le finestre appunto sono gli occhi dell'anima.
Questo può essere uno spunto interessante per noi che oggi ci apriremo intenzionalmente al senso della vista, portando particolare attenzione a tutto ciò che si presenta ai nostri occhi.
Parafrasando Michel Faber, potremmo dire che i nostri stessi occhi sono come finestre e, perché no, proprio finestre dell'anima?
Ovunque noi posiamo lo sguardo, qualcosa ci entra "dentro".Fa qualche differenza vedere una cosa o l'altra? Posare lo sguardo su una cosa che ci piace - anche una cosa semplice, come una rosa fresca che abbiamo colto sul balcone, la fotografia della persona amata o dei nostri figli, un biglietto d'auguri con una bella immagine - può essere una piccola iniezione di positività che ci giova sempre e che può anche amorevolmente soccorrerci nei momenti di bisogno.Non sarà un caso del resto che in molti ambienti si usi attaccare quadri alle pareti o che ci siano immagini di ogni tipo sui calendari, quasi a voler soddisfare il bisogno di qualcosa di bello per ogni giorno dell'anno.L'elenco degli esempi sarebbe infinito, ma l'invito oggi è semplicemente di cominciare a fare più attenzione ai nostri paesaggi abituali, cercando intenzionalmente di tenere più puliti i vetri delle nostre "finestre dell'anima", prendendo nota di tutto ciò che tante volte passa inosservato ai nostri occhi, come se non esistesse, e magari è proprio bello e ci nutre lo spirito. Oppure è innegabilmente deprimente, allarmante, spiacevolissimo: e qui si apre la questione se il nero sia proprio tutto nero, o se si riesca a percepire con uno sguardo attento anche il tenue scintillio di un filo d'oro su quello sfondo nero e trarne conforto e forza mentre si sta nel nero senza negarlo.In questo spirito può essere utile sempre, ma ancor più nei giorni in cui c'è un po' di buio dentro di noi, porci la domanda: "Cosa mi piace, cosa posso sinceramente apprezzare, in questo preciso momento, nel paesaggio visivo che c'è intorno a me?". Questo può diventare un atto di self compassion, un modo per accendere intenzionalmente una luce, anche piccola, nel nostro buio e prendercene cura, anziché abbandonare noi stessi in quel buio, lasciando che esso inondi anche le zone chiare della nostra vita.Da qui possiamo trarre anche spunto per cominciare a fare dei veri e propri doni alla nostra vista, proponendole intenzionalmente alcuni spettacoli nutrienti. E così potremmo decidere per esempio di riordinare la nostra scrivania o un mobiletto della cucina per farne dono ai nostri occhi, oppure mettere in agenda un appuntamento improcrastinabile con il tramonto, oppure andare a guardare la luna e le stelle prima di andare a dormire.Possano oggi e sempre le nostre finestra dell'anima avere i vetri sufficientemente puliti ed offrirci paesaggi ricchi di rivelazioni preziose.
A seguire qualche parola di commento sull'iniziativa.
Buona domenica!
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I sensi ci forniscono informazioni preziose sull'ambiente in cui viviamo, ci dicono che forma/colore/dimensione hanno le cose, che rumore fanno, quanto sono morbide/dure/ruvide/lisce/calde/fredde, di cosa odorano, di cosa sanno.
Il fatto che ciò che i nostri sensi percepiscono ci risulti gradevole o sgradevole, non è ininfluente rispetto al nostro "star bene". A volte può influire meno, a volte di più.
A volte, come si dice, noi non siamo "connessi", non facciamo caso a ciò che abbiamo davanti agli occhi, sotto il naso o nelle orecchie: non ne siamo pienamente consapevoli.
Siamo talmente altrove con l'attenzione da non accorgerci della differenza tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace in ciascun momento della nostra vita, e quindi neanche della differenza tra ciò che contribuisce a farci sentire bene e ciò che contribuisce a farci sentire male.
Questo può capitare con tutti i sensi.
Nei prossimi giorni vi proporrò una serie di video per accompagnarvi nel risveglio intenzionale dei sensi, uno alla volta.
Un giorno sarà in primo piano l'olfatto, un giorno il tatto, un altro l'udito, e ancora il gusto e la vista.
Onoreremo così un senso al giorno (come se fosse "il santo del giorno"...) con piena attenzione ai messaggi che ci porterà, affinché - come dice il titolo di un noto libro di Jon Kabat Zinn - noi si possa "riprendere i sensi" e vivere la nostra vita con maggiore consapevolezza e pienezza, giorno per giorno, momento per momento.
Questa pratica è un invito a portare la nostra attenzione alle diverse parti del nostro corpo notando cosa si presenta alla nostra consapevolezza mentre ne prendiamo atto e le accogliamo per come si presentano: parti solide, parti liquide, parti gassose.
A volte viviamo con tale distanza la realtà del nostro corpo che molti suoi aspetti non costituiscono oggetto del nostro interesse finché funzionano bene e non creano problemi.
È raro per esempio che ci soffermiamo sulla presenza di uno scheletro nel nostro corpo finché le nostre ossa non si rompono, non si ammalano, non ci fanno male.
Ovviamente a livello cognitivo sappiamo benissimo che nel nostro corpo c'è uno scheletro, lo abbiamo studiato sui libri, abbiamo visto immagini di vario tipo qua e là, le nostre stesse radiografie. Tuttavia questo tipo di conoscenza non basta di per sé ad avvicinarci a una profonda consapevolezza della realtà di ciò che siamo.
Nel rispetto della risposta che ciascuno di noi può dare in cuor suo alla grande domanda su cosa sia realmente un essere umano (e quindi alla personale domanda: "Cosa sono io?"), affidiamo a questa pratica il compito di farci incontrare gli aspetti corporei del nostro essere da una prospettiva accogliente e non giudicante, con una presa d'atto lenta ed esperienziale di ciò che ora c'è e che continuamente si trasforma.
"Amicizia è parlare la stessa lingua o poter condividere un buon silenzio?", potremmo chiederci oggi parafrasando una delle grandi domande di Gio Evan.
Personalmente credo che le due cose non si escludano, ma anzi possano costituire due ingredienti entrambi preziosi di una buona amicizia.
In quest'ottica vi propongo oggi una variante della classica meditazione sul respiro, dedicata a chi è già amico della pratica stessa e quindi non ha bisogno di molte istruzioni.
Tra buoni amici infatti possono bastare tre parole per capirsi al volo e anche il silenzio può essere un silenzio di valore.
La meditazione si chiama "Tre parole tra un silenzio e l'altro", perché tre parole di tanto in tanto possono farci compagnia durante la pratica, aiutarci a sostenere l'attenzione, ma anche lasciarci vivere il silenzio senza abbandonarci.