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martedì 18 dicembre 2012

Memento hominem: la scatola della nostra vita


Qualcuno sostiene che sia utile, a una certa età, raccontarsi, e di questa cosa - intesa come attività specificamente autobiografica - parlerò diffusamente un altro giorno, in un altro post (infatti sono convinta anch'io che sia molto utile raccontarsi, e non voglio liquidare la cosa così, in due parole).
Stasera invece voglio accennare ad un oggetto che può, non dico sostituire, ma almeno precedere, ispirare o evocare, un'autobiografia vera e propria: il cosiddetto Memento hominem.
Se ne parla, in particolare, in un libro di Allen Kurzweill, dal titolo "La scatola dell'inventore", di cui a seguire potrete leggere un estratto.  Si tratta di un contenitore di oggetti significativi, che evocano i momenti salienti della vita di una persona, e che beninteso sono diversi per ciascuno di noi.  Si va dal braccialetto che avevamo in culla, alla matrice del nostro primo assegno; dal dentino di latte che ci è caduto per primo, alla fattura del nostro vestito da sposa/sposo; e cose così.
Qualcuno potrebbe obiettare che un album di fotografie può avere la stessa funzione ed essere più "esplicito". Nulla vieta di mettere anche delle fotografie nel contenitore; le fotografie fissano gli aspetti visivi delle nostre esperienze in maniera molto nitida: perché negarcele? E' che ci sono altre qualità negli oggetti della nostra vita, che è bello rivivere raccontandoci (sia a noi stessi, mentalmente, sia  agli altri, a voce). Qualità tattili, olfattive, uditive; e direi anche gustative, se le date di scadenza dei prodotti alimentari non remassero contro la nostra impresa!
Personalmente sono una raccoglitrice di sassi. Quando vado in un posto che mi piace, raccogliere un sasso e portarmelo a casa, è un po' come portarmi a casa un pezzo di quel posto. Beninteso sarebbe esagerato riempire un memento hominem di tutti i sassi della nostra vita, così come sarebbe esagerato riempire un'autobiografia di tutti i nostri passi, di tutti i nostri pensieri, di tutte le nostre parole. Qualcosa è bene che venga perso, trascurato, lasciato fuori dal nostro contenitore e dalla nostra memoria. Questo ci può servire a capire meglio cosa ha davvero contato nella nostra vita e cosa non tanto, o anche cosa ci vogliamo tenere della nostra vita e cosa vogliamo abbandonare.
E poi  un'altra cosa, prima di concludere: ricordarsi di lasciare sempre un po' di spazio vuoto!

Se no il futuro dove lo mettiamo?
Non si può mai chiudere definitivamente la scatola dei ricordi della nostra vita.
Almeno finché siamo ancora vivi...
***

Ecco ora un estratto dal libro che vi dicevo e che mi ha fatto scoprire questa cosa.
(In questo stralcio il narratore, in una casa d’aste parigina, ha acquistato una misteriosa scatola , tarmata e impolverata, priva di contrassegni che ne indichino epoca e proprietario, e un uomo vuole convincerlo a vendergliela)
***
"Poi mi domandò, anzi, mi implorò di vendergli la Scatola. Naturalmente rifiutai. Nei minuti che seguirono, mi offrì una somma molto più alta di quanto l’avessi pagata. Gli risposi che non l’avevo comprata per guadagnarci nel rivenderla, ma che mi sarebbe piaciuto sapere perché era così interessato. Se fosse stato un habitué delle aste, si sarebbe rifiutato di rispondermi o avrebbe tentato di combinare qualche affare. Per fortuna, invece, era un professore di storia dell’arte e si mostrò accomodante. “Sa che cos’è un memento hominem?” chiese, col suo accento tipicamente italiano. “Memento hominem?” domandai. Ne avevo una vaga idea. “Teschi e orologi senza lancette.”
Mi corresse. “Lei lo confonde con il più comune memento mori, cioè con quei simboli della morte che si trovano nei dipinti e nell’architettura funeraria europea.” Mi spiegò che un memento hominem non serve a rammentare la morte, ma piuttosto è il documento di una vita. Ogni oggetto nella scatola rappresenta un momento o un rapporto importante nella vita di colui che l’ha preparata. Gli oggetti scelti sono spesso comuni e banali; ma non lo sono mai le ragioni della selezione. Disse che era una cosa comune in Svizzera e in Francia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Esuberante come possono esserlo solo gli italiani, mi rivelò che la Scatola dell’inventore narrava una storia, una storia veramente singolare "(Allen Kurzweil, La scatola dell’inventore, Bompiani, Milano 1992, pp. 9-10.)