"E' necessaria, per farsi camminatori, un'espressa dispensa dal Cielo." (Henry David Thoureau)
Ho cominciato a fare lunghe camminate meditative, alcuni anni fa: un giorno che ero reduce da una solenne arrabbiatura e avevo deciso di non tornare a casa fino a che non mi fossi calmata del tutto.
Allora cominciai a mettere semplicemente un piede davanti all'altro, e l'altro ancora avanti e così via, senza una meta precisa, e feci questo, diciamo, per un paio d'ore. Quando tornai a casa ero sudata e spettinata, ma in pace col mondo... e una doccia calda fece il resto.
Da allora ho cominciato a prendere in seria considerazione questa pratica, come forma di cura di sé, sia dal punto fisico sia dal punto di vista mentale/spirituale.
Quando mi avvio in queste camminate, dico a chi me lo chiede che "vado a fare due passi", ma in realtà si tratta di qualcosa di più. Si tratta di una specie di meditazione in movimento.
Qualcuno parla a riguardo di "camminata consapevole". Infatti, come ogni altra attività, anche una camminata può essere fatta in modo consapevole o in modo non consapevole.
Camminare in modo consapevole è "camminare camminando", essere cioè completamente assorti in ciò che si sta facendo: la camminata.
Questo significa non avere la mente altrove, assorta in chissà quali grovigli di pensieri, ma averla presente nel momento, centrata su ogni singolo passo, sul lavoro dei nostri muscoli, sulle sensazioni che si sviluppano sotto le piante dei piedi e nel resto del corpo in movimento, mentre l'aria fresca ci entra nei polmoni e ci carezza la pelle, accompagnata dal profumo delle foglie, dal fruscio dei rami degli alberi o dal battito d'ali di un uccellino che si solleva in volo davanti a noi.
Questo non vuol dire che non ci verranno in mente pensieri che ci distraggono dalla nostra camminata. Loro verranno, noi li riconosceremo e con molta gentilezza li lasceremo andare, ce li lasceremo alle spalle, mentre continuiamo a procedere passo dopo passo..
Immaginiamo, trattando con questi pensieri, di avere a che fare con una brava persona che vuole interromperci durante un lavoro importante e delicato; le diciamo con garbo: "Mi dispiace, ora sono occupato, ne parliamo dopo", e riportiamo la nostra attenzione sul nostro lavoro.
Durante queste passeggiate, possiamo andare alla scoperta di luoghi sconosciuti o avere in mente una bella meta da raggiungere: va bene sia l'una sia l'altra opzione. In queste camminate, infatti, è soprattutto lo spirito del viaggio che conta: la nostra capacità di trovare appagamento ad ogni passo del cammino e apprezzare la vita come ci si rivela a ogni istante.
Questo atteggiamento peraltro può essere esportato a qualunque momento della nostra vita, che spesso nel suo insieme è simboleggiata come viaggio, cosa che non è poi tanto distante dall'idea di una lunga camminata.
Ma anche senza arrivare a tanto (perché noi, gente che corre, quando corriamo corriamo e non possiamo sempre badare alle finezze), possiamo comunque sentirci meglio, sia fisicamente sia psicologicamente, se riusciamo a ritagliarci momenti da dedicare ad un'attività del genere.
All'inizio, se siamo fuori allenamento, possiamo cominciare con camminate brevi, di dieci minuti, e poi via via magari aumentarne la durata.
A volte anche una piccola passeggiata può dare i suoi vantaggi: dipende da come sappiamo valorizzarla.
Per dirla con il poeta inglese Rupert Brooke, che celebrava le gioie della quiete, fortunati coloro che sono capaci di "fare scorta di tranquillità e soddisfazione... e attingervi in seguito, quando la fonte manca ma il bisogno è grande".
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"...Poi impariamo
che non c’è un cammino di pace;
camminare è la pace;
non c’è un cammino di gioia;
camminare è la gioia.
Noi camminiamo per noi stessi.
...Cammina e tocca la pace di ogni istante.
Ogni passo è una fresca brezza.
Ogni passo fa sbocciare un fiore sotto i nostri piedi.
Imprimi sulla terra il tuo amore e la tua gioia.
La terra sarà al sicuro
se c’è sicurezza in noi."
Thich Nhat Hanh (monaco Zen vietnamita)
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vedi anche il post: portare a passeggio l'artista bambino
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