Essere autentici, portare alla luce la propria unicità e valorizzarla, presuppone un passaggio fondamentale, che è pacificarsi con sé stessi. Questo probabilmente significherà anche accettare il proprio lato oscuro, venire a patti con il proprio demone, dargli un nome, una collocazione e, nel migliore dei casi, persino una funzione positiva.
Del resto nessuno è perfetto, per cui è inevitabile che, quanto più conosciamo noi stessi, quanto più maturiamo e procediamo sul sentiero dell'autoconsapevolezza, tanto più ci esponiamo all'inconveniente di imbatterci nei nostri limiti, oltre che nelle nostre risorse.
Accettarci nella nostra complessità, arrenderci all'evidenza che siamo un po' belli e un po' brutti, un po' buoni e un po' cattivi, un po' forti e un po' deboli, un po' competenti e un po' ignoranti, un po' saggi e un po' folli è fondamentale per instaurare un buon rapporto con noi stessi e con il mondo, e anche per trovare strategie di compensazione delle carenze con le virtù.
Questo non significa legittimare scappatoie del tipo "io sono fatto così" per sottrarci alle nostre responsabilità, compiacerci dei nostri difetti e imporre con prepotenza agli altri i nostri capricci. Significa semplicemente autodefinirci (io sono questo), legittimarci ad essere ciò che siamo (ho il diritto di esistere e di essere autentico), cercare di fare il miglior uso possibile del nostro bagaglio di capacità e limiti (ho il diritto-dovere di portare a compimento la mia funzione su questa Terra) ed assumerci il 100% della responsabilità dei nostri atti e delle nostre scelte (sono io al posto di guida della mia vita, arriverò dove sarò capace di arrivare, e come tutti ho qualche probabilità di farcela e qualche probabilità di spiaccicarmi lungo la via).
Questo discorso è collegato alla nostra decima regola della serenità, che suggerisce di "tenere stretto in mano il filo proprio aquilone" (anziché consegnarlo in mani altrui), vale a dire affrontare le cose della vita dando ascolto al proprio sentire, restando fedeli ai propri valori, credendo nelle proprie aspirazioni e rispettando la propria naturale andatura.
Tutto questo tenendo, sì, anche nel giusto conto i buoni consigli delle persone di cui ci fidiamo, ma senza permettere a nessuno di sostituirsi a noi, e senza che sia il desiderio di approvazione altrui la vera molla delle nostre scelte.
"Fintantoché permettete a qualcun altro di prendere decisioni che riguardano la vostra carriera, i vostri sogni o le vostre aspirazioni, vi limitate in modo drastico. Raggiungerete solo il livello che gli altri vi permetteranno di raggiungere", dice Sherry Argov al suo pubblico di yes-woman pentite. "Pensate sempre con la vostra testa e ignorate chiunque tenti di definirvi in termini limitativi", suggerisce, precisando peraltro che questo non significa smettere di cercare informazioni o input dall'esterno, ma solo non rinunciare a guidare da sé la propria auto, il proprio aquilone, la propria vita (anche perché è solo guidando che si può imparare a guidare bene e, il più delle volte, l'alternativa al sedile di guida rischia di essere il posto dello... zerbino).
***
"Un po' di mancanza di rispetto è indispensabile
per avere autostima.
Non mancanza di rispetto per la gente,
ma piuttosto per quello che la gente pensa di noi.
per avere autostima.
Non mancanza di rispetto per la gente,
ma piuttosto per quello che la gente pensa di noi.
... Che si tratti del vostro gusto nel vestire,
dei bisogni relazionali o di quello che fate per vivere,
non permettete a nessun altro di assumere il controllo."
dei bisogni relazionali o di quello che fate per vivere,
non permettete a nessun altro di assumere il controllo."
(Sherry Argov)