Probabilmente diciamo molte volte "grazie" nel corso di una giornata, ma non è detto che siano grazie di cuore: a volte si tratta solo di risposte automatiche, che diciamo senza farci caso, semplicemente per educazione e per abitudine.
La gratitudine autentica, la riserviamo alle grandi occasioni: ai grandi doni che non possiamo fare a meno di notare, oppure - cosa che deve invitarci a riflettere - al ripristino della nostra "normalità", dopo che qualche evento sgradito ce ne ha privati. Si diventa improvvisamente felici e grati di poter fare le solite cose dopo aver risolto un problema che ci impediva di farle, essere guariti da una malattia, essere usciti da una qualche forma di 'prigionia' o tornati da un qualche 'esilio'. Come in quella vecchia canzone che diceva "Io mi accorgo che ci sei, proprio quando non ci sei", ci troviamo a sottovalutare molte buone cose che la vita ci offre finché le diamo per scontate, finché ce le abbiamo eppure non le godiamo realmente e pienamente.
Coltivare la gratitudine (che poi è la nostra prima "regola della serenità") significa prestare deliberatamente attenzione a tutti i doni della vita e riconoscere che hanno un valore. Infatti, accorgersi che alcune cose, che prima non avevano per noi alcun valore, ora ce l'hanno, provoca la liberazione di emozioni positive: ci fa sentire ricchi e fortunati nella stessa condizione in cui prima ci sentivamo sfortunati e frustrati.
L'infelicità del vivere è spesso associata a un dialogo interno negativo, di cui spesso nemmeno ci rendiamo conto. Se il nostro dialogo interiore è costantemente critico verso noi stessi e gli altri, se diciamo continuamente a noi stessi che niente va bene e niente funziona, lasciamo obiettivamente poco spazio al piacere di vivere. Questo non vuol dire che dobbiamo negare la nostra fetta di dolore, per le ferite che la vita ci infligge, e a cui nessuno può sottrarsi. Assumere deliberatamente e consapevolmente un atteggiamento di gratitudine vuol dire riconoscere e distinguere i colori della vita, compreso il nero; significa dolersi, sì, per le ferite, quando ci sono, ma anche gioire per le carezze, quando ci sono. Significa affinare la sensibilità, visto che le carezze sono cose leggere, e per questo più difficili a volte da percepire... rispetto alle botte!
La gratitudine autentica, la riserviamo alle grandi occasioni: ai grandi doni che non possiamo fare a meno di notare, oppure - cosa che deve invitarci a riflettere - al ripristino della nostra "normalità", dopo che qualche evento sgradito ce ne ha privati. Si diventa improvvisamente felici e grati di poter fare le solite cose dopo aver risolto un problema che ci impediva di farle, essere guariti da una malattia, essere usciti da una qualche forma di 'prigionia' o tornati da un qualche 'esilio'. Come in quella vecchia canzone che diceva "Io mi accorgo che ci sei, proprio quando non ci sei", ci troviamo a sottovalutare molte buone cose che la vita ci offre finché le diamo per scontate, finché ce le abbiamo eppure non le godiamo realmente e pienamente.
Coltivare la gratitudine (che poi è la nostra prima "regola della serenità") significa prestare deliberatamente attenzione a tutti i doni della vita e riconoscere che hanno un valore. Infatti, accorgersi che alcune cose, che prima non avevano per noi alcun valore, ora ce l'hanno, provoca la liberazione di emozioni positive: ci fa sentire ricchi e fortunati nella stessa condizione in cui prima ci sentivamo sfortunati e frustrati.
L'infelicità del vivere è spesso associata a un dialogo interno negativo, di cui spesso nemmeno ci rendiamo conto. Se il nostro dialogo interiore è costantemente critico verso noi stessi e gli altri, se diciamo continuamente a noi stessi che niente va bene e niente funziona, lasciamo obiettivamente poco spazio al piacere di vivere. Questo non vuol dire che dobbiamo negare la nostra fetta di dolore, per le ferite che la vita ci infligge, e a cui nessuno può sottrarsi. Assumere deliberatamente e consapevolmente un atteggiamento di gratitudine vuol dire riconoscere e distinguere i colori della vita, compreso il nero; significa dolersi, sì, per le ferite, quando ci sono, ma anche gioire per le carezze, quando ci sono. Significa affinare la sensibilità, visto che le carezze sono cose leggere, e per questo più difficili a volte da percepire... rispetto alle botte!
A seguire una citazione sul tema, tratta dal libro "La saggezza del Tao", di Wayne W. Dyer.
"Il viaggio della vostra vita prenderà una nuova direzione, quando darete importanza alla gratitudine per tutto ciò che siete, per tutto ciò che ottenete e ricevete. Ripetete mentalmente 'Ti ringrazio', al vostro risveglio, durante la giornata e quando vi addormentate. Non importa chi ringraziate, se Dio, lo Spirito, Allah, il Tao, Krishna, Budda, la Sorgente, o l'io, perché tutti questi nomi rappresentano la grande tradizione di saggezza. Rendete grazie per il sole, la pioggia, il vostro corpo, con tutti i suoi componenti. Un giorno apprezzate il fegato, un altro giorno il cervello, un altro il cuore, fino ad arrivare all'alluce. La pratica della gratitudine vi aiuta a concentrarvi sulla vera sorgente di tutto, oltre a farvi notare quando vi lasciate dominare dall'ego. Fate in modo che sia una silenziosa pratica quotidiana: ringraziate per il letto, le lenzuola, i cuscini e la stanza in cui dormite; al mattino dite 'Ti ringrazio' per ciò che vi attende. Poi iniziate una bella giornata compiendo un'azione gentile verso un altro essere umano da qualche parte sul pianeta."
(Wayne W.Dyer)
Gratitudine da... spiaggia.
Per voi tutti che ora siete al mare, o presto ci sarete, un elenco di ringraziamenti da pronunciare mentre prendete il sole e apparentemente... non fate niente.- Grazie perché sono su questa spiaggia/scoglio/barca (anziché in ufficio/in fila alla posta/e simili)
- grazie per il sole e per la mia pelle che si sente scaldare
- grazie per il vento e per la sua carezza fresca
- grazie della trasparenza di questo mare, del suo profumo di vacanza e dello sciacquettio delle onde, che mi ricorda dove sono anche se ho gli occhi chiusi;
- grazie per ogni forma di vita presente qui con me e di cui gradisco la compagnia (che siano persone, pesci, gabbiani...)
- grazie del senso di libertà che provo nuotando, del piacere di sentirmi galleggiare, della gioia dello sforzo fisico fatto per mero diletto e quasi per gioco
- grazie del sale marino
- grazie perché sono gocce di mare - e non lacrime - quelle che oggi mi scivolano in bocca dalle guance, quando esco dall'acqua
- grazie perché sono vivo e capace di godere di tutto questo