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lunedì 23 giugno 2014

Dalle fiabe, dai miti, dai poemi epici, dai grandi romanzi di ogni tempo, ispirazioni e metafore per affrontare le sfide della vita in chiave "eroica"

In molte scuole di scrittura creativa c'è di solito una lezione di narrativa riguardante l'ossatura minima di una storia,  che - pur nelle sue diverse varianti - suona all'incirca così:
"Create un personaggio che vuole andare da A verso B, mosso da una sua motivazione, un suo desiderio, un suo sogno.
Mentre il personaggio va da A verso B, voi lo farete incorrere in tutta una serie di ostacoli e intralci (eventi, persone, pensieri, sentimenti: tutto contro di lui e contro la sua intenzione).
Il vostro scopo è tenere agganciato fino all'ultima riga il lettore con una semplice tacita domanda, che di fatto è: riuscirà il  nostro eroe ad arrivare da A fino a B nonostante tutti gli ostacoli tesi a impedirglielo?"
Che ce ne rendiamo conto o meno, la maggior parte delle storie di personaggi indimenticabili, per quanto straordinarie o originali possano apparirci, si basano in realtà su questa struttura minima : 
  • dalla storia di Cappuccetto Rosso - che pone la semplice domanda: "Riuscirà la cara bambina ad arrivare a casa della nonna e consegnarle il suo cestino, sopravvivendo alla leggerezza di sua madre, alle insidie del lupo cattivo e alla propria stessa ingenuità? 
  • all'Odissea - dove la domanda è sempre la stessa, solo in versione più complicata: "Riuscirà Ulisse a tornare ad Itaca, riappropriandosi del suo posto rimasto vacante in famiglia e in società, nonostante l'ostilità del dio Poseidone, le minacce del ciclope Polifemo e dei Lestrigoni, le catene amorose di Circe e Calipso,  la seduzione delle sirene, i rischi della discesa agli inferi e la prepotenza dei proci nella sua stessa casa?
  • a I Promessi Sposi (che chiede: riusciranno Renzo e Lucia a convolare a giuste nozze, nonostante Don Abbondio, Don Rodrigo, l'Innominato,  la Monaca di Monza, la peste e il voto di castità di Lucia?)
  • e così via, passando per Il Conte di MontecristoVia col Vento, e simili, opere tutte di cui vi risparmio il riassunto (e la sottesa domanda), tanto si sa.
Ciò che invece può interessarci è che spesso anche nelle vicende della nostra vita possiamo intravedere questa struttura base, se andiamo a cercarla ben bene.
Magari la fatica a volte sarà  nel concepire noi stessi in movimento da A verso B,  perché non sempre ci sentiamo in viaggio verso una meta, non sempre ci sentiamo mossi da un desiderio, a volte ci sentiamo semplicemente in difficoltà (e a volte addirittura paralizzati dalle difficoltà), per cui facciamo fatica a immaginarci dentro una cornice di senso che renda la nostra storia "interessante" e in movimento lungo un qualche filo conduttore.
Acquisire dimestichezza con le fiabe, i miti e la grande narrativa di ogni tempo, può avvicinarci in via metaforica a temi che ci appartengono e farci guardare le nostre  stesse esperienze in un'ottica, per così dire, "eroica" da cui possiamo trarre forza, ispirazione e senso, sentendoci i protagonisti attivi della nostra vicenda esistenziale ("che somiglia a quella di...") anziché semplici spettatori (se non vittime) di una vita che non abbiamo scritto noi e nemmeno ci piacerebbe leggere.
A seguire, alcune riflessioni sull'argomento riguardanti l'utilità di simili riferimenti culturali sia per i grandi sia per i bambini. 
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L'importanza di narrare ancora oggi ai bambini le fiabe popolari tradizionali (come Biancaneve, Cenerentola, Hansel e Gretel, Raperonzolo ecc.) per accompagnarli nel loro processo di crescita è stata sostenuta tra gli altri da Bruno Bettelheim, nel suo libro - un classico, ormai -  Il mondo incantato - Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe
L'autore sostiene che queste storie, anche se appaiono anacronistiche, in realtà trasmettono messaggi sempre attuali, perché si occupano di problemi umani universali - specie quelli che preoccupano la mente del bambino - e offrono a quest'ultimo esempi di soluzioni alle difficoltà, incoraggiando così il suo sviluppo e accogliendo nel contempo il tumulto del suo mondo interno.
"Per poter risolvere i problemi psicologici del processo di crescita", sostiene Bettelheim, "- superando delusioni narcisistiche, dilemmi edipici, rivalità fraterne, riuscendo ad abbandonare dipendenze infantili, conseguendo il senso della propria individualità e del proprio valore, e quello di dovere morale - un bambino deve comprendere quanto avviene nella sua individualità cosciente in modo da poter affrontare anche quanto accade nel suo inconscio." E in questo le fiabe gli sono di enorme aiuto, perché si adeguano perfettamente alla mentalità infantile, parlano lo stesso linguaggio irrealistico del bambino, e danno una forma trattabile anche ad argomenti difficili. Le fiabe peraltro non servono a presentare al bambino un mondo senza problemi, ma a infondergli fiducia nella possibilità che i problemi possano essere affrontati e risolti. E' questo infatti il loro insegnamento più importante: "che una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell'esistenza umana," e che "soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso."
Questa bella conclusione peraltro si armonizza perfettamente con l'idea che la stessa psicoanalisi non è un "sistema per rendere facile la vita". "Non era questo l'intendimento del suo fondatore", osserva  infatti Bettelheim. "La psicoanalisi fu creata per consentire all'uomo di accettare la natura problematica della vita senza esserne sconfitti o cercar di evadere dalla realtà. Freud prescrive che soltanto lottando coraggiosamente contro quelle che sembrano difficoltà insuperabili l'uomo può riuscire a trovare un significato alla sua esistenza."


Quest'ultimo pensiero, che fa da ponte tra il mondo dell'infanzia  e quello degli adulti, introduce bene le riflessioni di Joseph Campbell, che seguono, a proposito della valenza universale della storia  dell'eroe mitico.
L'eroe descritto da Campbell - di origine divina o umana -  è colui che lascia la sua casa e il suo paese di origine perché ha una missione da compiere. 
Ciò lo porta a dover superare innumerevoli prove, in seguito alle quali la sua identità risulta modificata, rinnovata e consolidata. 
Il viaggio dell'eroe di Campbell, come poi vedremo, può offrire a noi tutti uno schema con precise tappe, una sorta di utile mappa  che potrebbe aiutarci ad  orientarci quando siamo alle prese con un nostro personale "viaggio eroico".
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"L'eroe mitologico," dice Joseph Campbell, nel suo libro L'eroe dai mille volti, "partendo dalla capanna o dal castello in cui vive, è attratto, trascinato, o procede di sua volontà verso la soglia dell'avventura.
Qui incontra un'ombra che sta a guardia del passaggio.
L'eroe può sbaragliare o placare questa potenza ed entrare vivo nel regno delle tenebre (lotta fratricida, lotta col drago; offerta, incantesimo), o essere ucciso dall’avversario e discendere morto (smembrato, crocifisso).
Oltre la soglia, quindi l'eroe si avventura in un mondo di forze sconosciute, seppur stranamente familiari, alcune delle quali lo minacciano (prove), mentre altre gli danno un aiuto magico (soccorritori).
Quando giunge al nadir del cerchio mitologico, affronta una prova suprema e si guadagna il premio.
Il trionfo può essere rappresentato dall'unione sessuale dell'eroe con la dea-madre del mondo (matrimonio sacro), dal riconoscimento da parte del padre-creatore (riconciliazione col padre), dalla sua stessa divinizzazione (apoteosi), o anche – se le potenze gli sono state avverse – dal furto del premio che era venuto a guadagnarsi (il ratto della sposa, il furto del fuoco); intrinsecamente è una espansione della conoscenza e quindi dell'essere (illuminazione, trasfigurazione, libertà).
L'ultimo compito dell'eroe è il ritorno.
Se le potenze hanno benedetto l'eroe, questi si avvia sotto la loro protezione (emissario); in caso contrario, fugge ed è inseguito (fuga con trasformazioni, fuga con ostacoli). Sulla soglia del ritorno, le potenze trascendentali debbono fermarsi; l'eroe riemerge dal regno del terrore (ritorno, resurrezione).
Il premio che reca ristora il mondo (elisir)"
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L'itinerario dell'eroe descritto da Campbell  risulta fedelmente seguito dai protagonisti di molte celebri avventure, che a conti fatti  sono poi anche molto diversi tra loro. 
 Per esempio, sia Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, sia Siddharta di Hermann Hesse lo hanno seguito ognuno a modo  suo, dando poi vita a due vicende diversissime, come del resto sono diversi tra loro i personaggi stessi.
Detto questo - e dando per scontato che ognuno di noi si sentirà sempre più affine ad uno specifico personaggio  piuttosto che ad un altro, e si riconoscerà sempre più in una metafora anziché in un'altra - uno schema lineare del viaggio dell'eroe può esserci comunque utile in assoluto, per rappresentare a noi stessi in che fase della vita siamo, quali sono le richieste dei tempi, e come  possiamo evolvere e progredire. Eccolo quindi a seguire, con qualche commento.

Riepilogando le fasi fondamentali del viaggio dell'eroe secondo Campbell, lo schema alla fine risulta essere questo:
1. Sentire una chiamata. Essa può riguardare la nostra identità, lo scopo della nostra esistenza o la nostra 'missione personale'. A noi la scelta se prendere sul serio la chiamata o tentare di ignorarla. Nella vita reale capita spesso che il viaggio inizi con una crisi, e che sia la crisi a presentare la chiamata, spingendo l'eroe ad affrontare i suoi demoni per fronteggiarla.
2. Accogliere la chiamata ci conduce a confrontarci con un limite,  o una soglia, nelle nostre abilità o nella nostra rappresentazione del mondo. Spesso ignorare la chiamata può rivelarsi controproducente e a volte  portare alla formazione o all'intensificazione di problemi e sintomi.
3. Oltrepassare la soglia ci porta nel 'territorio' di un'esistenza nuova, lontano dalla zona familiare in cui ci trovavamo prima; un territorio che ci impone di crescere ed evolverci, e nel quale abbiamo bisogno di trovare supporto e guida.
4. Trovare un custode (una guida, un maestro, un alleato) può essere quasi una conseguenza naturale dall'aver avuto  il coraggio di varcare la soglia (come si suol dire: quando l'allievo è pronto, il maestro arriva). Trattandosi comunque di un territorio per noi  nuovo, potremmo anche non sapere in anticipo di che tipo di assistenza avremo bisogno più avanti, né chi di fatto ce la fornirà.
5. Affrontare una sfida (o 'demone') è un effetto dell'aver oltrepassato la soglia. I 'demoni', gli ostacoli, possono essere minacciosi ma non necessariamente distruttivi. Alcuni demoni peraltro non sono nemmeno nelle circostanze esterne, ma solo dentro di noi: come le nostre paure, le nostre ombre più nascoste, alcune anche alimentate dall'eco di messaggi negativi che ci risuonano dentro (con la nostra stessa voce o con quella di persone  per noi significative).
6. Trasformare il demone in una risorsa o in un consigliere, significa approfittare della sfida per 
tirar fuori il meglio da noi stessi e sviluppare così anche le nostre potenzialità latenti, che in mancanza di una sfida sarebbero rimaste a sonnecchiare.
7. Completare il compito a cui siamo stati chiamati, e trovare il modo di rispondere adeguatamente alla chiamata, è possibile cambiando il nostro modo di rappresentarci il mondo e la vita, e quindi in un certo senso ridisegnando la nostra mappa del mondo, per incorporarvi la crescita e le scoperte che abbiamo fatto durante il viaggio.
8. Trovare la strada verso casa da persona trasformata è infine il punto di arrivo finale del viaggio. Perché la nostra esperienza di crescita non si risolva in un fatto esclusivamente personale, è importante condividere con gli altri la conoscenza e l'esperienza ottenute, per fare dono al mondo dei veri tesori accumulati viaggiando.
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