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giovedì 10 luglio 2014

Autostima e relazioni sentimentali

"Tutti conosciamo la famosa battuta di Groucho Marx. 
«Non mi iscriverei mai a un club che ha me come membro».
 Questa è esattamente l'idea secondo cui molte persone che non si autostimano vivono le loro storie d'amore. Se mi ami è ovvio che non sei abbastanza in gamba per me. 
L'unico oggetto accettabile della mia devozione è qualcuno che alla fine mi lascerà." 
(Nathaniel Branden)
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L’autostima è l’atteggiamento che ognuno di noi ha nei confronti di se stesso, e comprende:
- aspetti cognitivi (ciò che penso di me stesso),
- aspetti emotivi (ciò che provo nei miei confronti),  
- aspetti comportamentali (come mi comporto verso me stesso: quanto mi rispetto, quanto soddisfo i miei bisogni, eccetera ). 
Una persona con un'autostima pienamente realizzata ha la sensazione di essere nel complesso adeguata alla vita e alle sue richieste. Ciò non significa che debba avere un atteggiamento di superiorità (che anzi denota piuttosto una  bassa autostima, proprio come un atteggiamento di aperta svalutazione di sé), ma piuttosto che ammette con serenità i suoi pregi e i suoi limiti, si accetta e si ama così com'è, e cerca comunque di migliorare.
Una persona con una buona autostima si può riconoscere perché per esempio:
- si fida della propria capacità di superare le sfide fondamentali della vita;
- si fida del proprio pensiero e della propria capacità di giudizio;
- riconosce a se stessa il  diritto di affermare le proprie necessità, i propri desideri e i propri valori;
- ha la sensazione di meritare il successo come frutto dei propri  sforzi;
- ha la sensazione di meritare la felicità, compresa la felicità sentimentale. 
A proposito di quest'ultima si è soliti dire che, per avere una vita sentimentale appagante, la prima storia d'amore che dobbiamo far funzionare è quella con noi stessi.
Pare infatti che esista una correlazione positiva tra il  livello di autostima di una persona e la sua maggiore o minore propensione a stringere e far durare relazioni sentimentali soddisfacenti: un'alta autostima predisporrebbe a relazioni sentimentali più nutrienti, una bassa autostima a relazioni sentimentali più «tossiche».
E' come se le persone che a livello profondo sono convinte di valere poco e  di non essere degne d'amore andassero a cercarsi situazioni e rapporti che possano confermare la loro convinzione.  Quasi che, messe di fronte alla scelta tra l'avere  ragione ed essere felici,  preferissero avere ragione. 
A volte a livello cosciente una persona può ripudiare l'idea di non essere degna d'amore, ma a livelli profondi può mancarle  una reale sicurezza a riguardo, e covare la paura segreta di essere destinata solo a soffrire. Questa paura, quando meno ci si aspetta, può funzionare come una mina sotterranea, che a un certo punto esplode e fa saltare le occasioni di felicità sentimentale. 
A volte la persona può provare una vera e propria «ansia da felicità», perché una relazione sentimentale sta andando troppo bene e questo attiva dei meccanismi che la fanno stare male fino a indurla ad autosabotarsi, pur di ripristinare le condizioni infelici con cui ha più familiarità.
E' ciò che Nathaniel Branden, nel suo libro I sei pilastri dell'autostima, descrive come schema di base dell'autodistruzione.
"Se «so» che il mio destino è l'infelicità, - dice Branden -  non devo permettere alla realtà di confondermi offrendomi gioia. Non sono io che devo adeguarmi alla realtà, ma il contrario. 
Non sempre è necessario distruggere del tutto la relazione: essa può tranquillamente continuare, purché io sia infelice.
Posso impegnarmi in un progetto chiamato lottare per essere felice o lavorare sul nostro rapporto.
Posso leggere libri sull'argomento, partecipare a seminari, andare a conferenze o affidarmi alla psicoterapia con lo scopo annunciato di essere felice in futuro.
Ma non adesso, non oggi.
La possibilità di essere felice nel presente è troppo vicina e per questo fa paura.
[...] La felicità può attivare delle voci interiori che dicono io non merito questo, non può durare, finirò sicuramente con il sedere per terra, essendo più felice di quanto non siano mai stati loro io sto uccidendo mio padre e mia madre, la vita non è così, gli altri saranno invidiosi di me e mi odieranno, la felicità è  solo un’illusione, nessun altro è felice quindi perché dovrei esserlo io, e così via. Per quanto paradossale possa sembrare, quello che a molti di noi manca è il coraggio di tollerare la felicità senza autosabotarsi, almeno finché non smettiamo di averne paura e ci rendiamo conto che non ci distruggerà (quindi non è necessario che sparisca).
[...] E’ necessario confrontarsi con queste voci distruttive, e non sfuggirle. Bisogna costringerle a un dialogo interiore, sfidarle a mostrarci le loro ragioni, rispondere e controbattere con pazienza alle loro sciocchezze – insomma trattarle come si farebbe con una persona in carne ed ossa. 
E distinguerle dalla voce del nostro io adulto."
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