Una cosa che mi capita abbastanza spesso, viaggiando da sola, è di aprire la borsa e non trovarci più il cellulare dentro.
Per mia fortuna, non ho mai posseduto (e quindi mai perso) cellulari di grande valore commerciale.
E per mia fortuna tutte le volte, nell'acquistare al volo un cellulare sostitutivo, ho sempre fatto ottimi affari.
Ogni volta so esattamente dov'è avvenuta la sparizione, perché nell'arco di tempo intercorso tra l'ultima telefonata e la scoperta della perdita ero in un luogo preciso.
Il primo cellulare per esempio è sparito in un tram.
Il secondo in spiaggia.
Il terzo in treno.
Il quarto in una stazione ferroviaria.
La gente dice che me li hanno rubati.
Io credo in verità di averli persi o al più di aver favorito involontaria mente il loro furto.
Mi sono fatta questa idea per via del vago senso di alleggerimento che ho provato ogni volta, pur nel disagio che la situazione comportava.
Come se mi fossi tolta un peso dal bagaglio.
La cosa non è ragionevole, lo so.
Ma per quanto mi costi ammetterlo, devo dire che viaggiare con un cellulare nuovo, con la rubrica vergine e gli archivi vuoti, mi procura un senso di vacanza da tutto, compresa me stessa, la mia memoria e la memoria del mio cellulare.
Da qui la mia conclusione che le sparizioni dei miei cellulari in vacanza possano essere favorite da un segreto conflitto esistente tra due parti di me, quella che vorrebbe andare in vacanza senza cellulare e quella che non vuole sentire ragioni, e lo mette comunque in borsa.
L'arrivo del cellulare nuovo porta finalmente la pace, perché trova un'accettabile via di mezzo tra le due pretese estreme (infatti, tutto vuoto com'è, il cellulare nuovo sembra proprio un cellulare che per metà c'è e che per metà... non c'è!).
***
I telefoni cellulari sono oggetti che, secondo me, se fossero esistiti ai tempi di Freud, avrebbero trovato il loro degno spazio nel suo libro "Psicopatologia della vita quotidiana".
Si tratta infatti di oggetti che, oltre a poter essere stranamente smarriti, com'è capitato a me, si prestano per natura a ogni sorta di possibili atti mancati, cioè a tutta una serie di coloriti inconvenienti, dove sembra proprio di vedere all'opera una segreta intenzione sfuggita al controllo della coscienza.
Visto che l'intero libro è particolarmente godibile, e siamo in argomento, ho deciso di proporvene a seguire un piccolo assaggio.
In mancanza di riferimenti ai cellulari, ho scelto per voi alcuni passi riguardanti le sbadataggini con le chiavi.
***
Da Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, capitolo VIII:
“ In passato, quando con più frequenza di ora visitavo i
pazienti a domicilio, spesso mi capitava, quand'ero arrivato alla
porta a cui dovevo bussare o suonare, di togliermi di tasca le chiavi
del mio appartamento, per poi doverle riporre, quasi mortificato.
Se indago nella memoria per stabilire con quali pazienti ciò
mi accadeva, devo ammettere che quest'atto mancato dell'estrarre le
chiavi anziché suonare il campanello significava un omaggio alla casa dove mi recavo. Esso equivaleva al pensiero: "Qui sono
come a casa mia", poiché succedeva soltanto con i pazienti ai quali
mi ero affezionato (naturalmente non suono mai alla porta di casa mia).
L'atto mancato era dunque la raffigurazione simbolica di un
pensiero non propriamente destinato ad essere accettato seriamente,
coscientemente, perché in realtà chi cura le malattie nervose sa benissimo che il malato gli rimane attaccato soltanto finché si
attende dei vantaggi da lui, e che egli stesso si permette di nutrire un
interesse eccessivamente caloroso per i suoi pazienti unicamente allo
scopo dell'assistenza psichica.
Che il modo scorretto e molto significativo di maneggiare le
chiavi non sia una peculiarità della mia persona, risulta da
numerose autoosservazioni di altri.
Una ripetizione quasi identica delle mie esperienze è
descritta da Alphonse Maeder :
"È accaduto a chiunque di
estrarre il proprio mazzo di chiavi giungendo alla porta di un amico
particolarmente caro, di sorprendersi per così dire a voler aprire con la
propria chiave come a casa propria. È una perdita di tempo, perché nonostante
tutto bisogna suonare, ma è una prova che da quell'amico ci si sente — o ci si
vorrebbe sentire — come a casa propria."
[...]
Analogamente riferisce Hanns Sachs: "Porto con me
sempre due chiavi, una delle quali apre la porta del mio ufficio, l'altra quella
del mio appartamento.
Non è facile scambiarle, perché la chiave dell'ufficio è perlomeno
tre volte più grande di quella di casa. Per di più, ne tengo una nella tasca
dei pantaloni, l'altra nel panciotto.
Nonostante questo mi è capitato spesso di
accorgermi davanti alla porta di aver preparato sulle scale la chiave
sbagliata.
Decisi di fare un esperimento statistico; poiché ogni giorno mi
trovo davanti alle due porte pressappoco nello stesso stato d'animo, anche lo
scambio delle due chiavi, se era psichicamente determinato, doveva presentare
una tendenza regolare.
Dall'osservazione, nei casi successivi, risultò che io
regolarmente estraevo la chiave dell'appartamento davanti alla porta
dell'ufficio; soltanto un'unica volta era accaduto l'opposto: ero tornato a
casa stanco e sapevo che un ospite mi attendeva. Davanti alla porta feci un
tentativo di aprire con la chiave dell'ufficio che naturalmente era troppo
grande."
[…]
Johan Stärcke
ha fornito un esempio del fatto che gli scrittori non esitano a sostituire la sbadataggine all'azione intenzionale, facendone così la fonte delle conseguenze più gravi:
«In
uno dei bozzetti di Hermann Heijermans c’è un esempio di sbadataggine o, per meglio
dire, di atto mancato, utilizzato dall'autore come motivo drammatico.
«Si
tratta del bozzetto Tom e Teddie. Sono
una coppia di artisti che si esibisce in un teatro di varietà, in un numero di
acrobazie sott'acqua, in un acquario dalle pareti di vetro. La moglie da
qualche tempo tradisce il marito con un domatore. Il marito li ha scoperti
insieme nello spogliatoio poco prima della rappresentazione. Scena muta,
occhiate minacciose e il marito sommozzatore dice: “Dopo!”
«Lo
spettacolo ha inizio. Il marito deve eseguire l'acrobazia più difficile: rimanere
sott'acqua per due minuti e mezzo dentro una cassa chiusa ermeticamente.
Avevano eseguito tante altre volte quest’esercizio di bravura. La cassa viene
chiusa e “Teddie mostra la chiave agli spettatori, che guardano i loro orologi
per controllare il tempo”. La donna era solita lasciar cadere intenzionalmente
più volte la chiave nell'acqua, tuffandosi poi in fretta per non arrivare in
ritardo quando si doveva aprire la cassa.
«La sera del 31 gennaio dunque, Tom come al solito venne
rinchiuso a chiave dalle piccole dita della vispa e briosa mogliettina. Egli
sorrideva dietro il finestrino della cassa e lei giocherellava con la chiave in
attesa del suo segnale. Dietro le quinte attendeva il domatore nella sua
marsina impeccabile, la cravatta bianca, il frustino.
Per attirare a sé l'attenzione della donna lui, il terzo uomo,
fece un breve fischio. Lei lo guardò e rise, e col gesto maldestro di chi viene
distratto lanciò tanto in alto la chiave che questa cadde,
quand'erano passati esattamente due minuti e venti secondi, a un calcolo accurato,
di fianco al bacino, fra le pieghe del drappo che ne copriva il sostegno.
Nessuno aveva visto. Nessuno l'avrebbe potuto. Guardando dalla sala l'illusione
ottica era tale che tutti videro la chiave scivolare in acqua, e nessuno del
personale di scena ci fece caso, poiché la stoffa attutì il rumore.
«Ridendo, senza esitare, Teddie si arrampicò oltre l'orlo
del bacino.
Ridendo — certo lui avrebbe resistito — ella scese la
scaletta.
Ridendo scomparve sotto il sostegno e, non trovando subito
la chiave,
fece il gesto che era stata rubata, con una mimica del volto
come se
dicesse: “Ahi, che seccatura!”e curvandosi davanti al
drappo.
«Nel frattempo Tom faceva le sue comiche smorfie dietro il
finestrino
come se anche lui cominciasse a inquietarsi. Si vedeva il bianco
della sua dentiera, il biascichio delle sue labbra sotto i baffetti biondi, le
buffe bollicine d'aria che s'erano viste anche quando aveva mangiato la mela.
Si vedevano graffiare e annaspare le dita ossute delle sue pallide mani e si
rideva, si rideva come già si era riso tanto nella serata.
«Due minuti e cinquantotto secondi...
«Tre minuti e sette secondi... dodici secondi...
«Bravo! Bravo! Bravo!
«Poi il pubblico fu preso da costernazione, la gente pestava
i piedi, perché anche gli inservienti e il domatore cominciarono a cercare e il
sipario calò prima che si aprisse la cassa.
«Seguì un numero di sei ballerine inglesi; poi l'uomo con i
ponies, i cani e le scimmie, e così via.
«Soltanto il mattino seguente il pubblico venne a sapere che
era accaduta una disgrazia, che Teddie era rimasta vedova...» "
Da quanto citato, risulta che questo scrittore deve avere
capito magnificamente l'essenza delle azioni sintomatiche, per presentarci tanto
bene la causa più profonda dello sbaglio fatale."
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