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venerdì 29 agosto 2014

Perdita di oggetti e sbadataggini


Una cosa che mi capita abbastanza spesso, viaggiando da sola, è di aprire la borsa e non trovarci più il cellulare dentro.
Per mia fortuna, non ho mai posseduto (e quindi mai perso) cellulari di grande valore commerciale.
E per mia fortuna tutte le volte, nell'acquistare al volo un cellulare sostitutivo, ho sempre fatto ottimi affari.
Ogni volta so esattamente dov'è avvenuta la sparizione, perché nell'arco di tempo intercorso tra l'ultima telefonata e la scoperta della perdita ero in un luogo preciso.
Il primo cellulare per esempio è sparito in un tram.
Il secondo in spiaggia.
Il terzo in treno.
Il quarto in una stazione ferroviaria.
La gente dice che me li hanno rubati.
Io credo in verità di averli persi o al più di aver favorito involontaria mente il loro furto.
Mi sono fatta questa idea per via del vago senso di alleggerimento che ho provato ogni volta, pur nel disagio che la situazione comportava. 
Come se mi fossi tolta un peso dal bagaglio.
La cosa non è ragionevole, lo so. 
Ma per quanto mi costi ammetterlo, devo dire che viaggiare con un cellulare nuovo, con la rubrica vergine e gli archivi vuoti, mi procura un senso di vacanza da tutto, compresa me stessa, la mia memoria e la memoria del mio cellulare.
Da qui la mia conclusione che le sparizioni dei miei cellulari in vacanza possano essere favorite da un segreto conflitto esistente tra due parti di me, quella che vorrebbe andare in vacanza senza cellulare e quella che non vuole sentire ragioni, e lo mette comunque in borsa.
L'arrivo del cellulare nuovo porta finalmente la pace, perché trova un'accettabile via di mezzo tra le due pretese estreme (infatti, tutto vuoto com'è, il cellulare nuovo sembra proprio un cellulare che per metà c'è e che per metà... non c'è!).

***
I telefoni cellulari sono oggetti che, secondo me, se fossero esistiti ai tempi di Freud, avrebbero trovato il loro degno spazio nel suo libro "Psicopatologia della vita quotidiana".
Si tratta infatti di oggetti che, oltre a poter essere stranamente smarriti, com'è capitato a me, si prestano per natura a ogni sorta di possibili atti mancati, cioè a tutta una serie di coloriti inconvenienti, dove sembra  proprio di vedere all'opera una segreta intenzione sfuggita al controllo della coscienza.
Visto che l'intero libro è particolarmente godibile, e siamo in argomento, ho deciso di proporvene a seguire un piccolo assaggio.
In mancanza di riferimenti ai cellulari, ho scelto per voi alcuni passi riguardanti le sbadataggini con le chiavi.
***

Da Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, capitolo VIII:

“ In passato, quando con più frequenza di ora visitavo i pazienti a domicilio, spesso mi capitava, quand'ero arrivato alla porta a cui dovevo bussare o suonare, di togliermi di tasca le chiavi del mio appartamento, per poi doverle riporre, quasi mortificato.
Se indago nella memoria per stabilire con quali pazienti ciò mi accadeva, devo ammettere che quest'atto mancato dell'estrarre le chiavi anziché suonare il campanello significava un omaggio alla casa dove mi recavo. Esso equivaleva al pensiero: "Qui sono come a casa mia", poiché succedeva soltanto con i pazienti ai quali mi ero affezionato (naturalmente non suono mai alla porta di casa mia).
L'atto mancato era dunque la raffigurazione simbolica di un pensiero non propriamente destinato ad essere accettato seriamente, coscientemente, perché in realtà chi cura le malattie nervose sa benissimo che il malato gli rimane attaccato soltanto finché si attende dei vantaggi da lui, e che egli stesso si permette di nutrire un interesse eccessivamente caloroso per i suoi pazienti unicamente allo scopo dell'assistenza psichica.
Che il modo scorretto e molto significativo di maneggiare le chiavi non sia una peculiarità della mia persona, risulta da numerose autoosservazioni di altri.
Una ripetizione quasi identica delle mie esperienze è descritta da Alphonse Maeder : 
"È accaduto a chiunque di estrarre il proprio mazzo di chiavi giungendo alla porta di un amico particolarmente caro, di sorprendersi per così dire a voler aprire con la propria chiave come a casa propria. È una perdita di tempo, perché nonostante tutto bisogna suonare, ma è una prova che da quell'amico ci si sente — o ci si vorrebbe sentire — come a casa propria."
[...]
Analogamente riferisce Hanns Sachs: "Porto con me sempre due chiavi, una delle quali apre la porta del mio ufficio, l'altra quella del mio appartamento.
Non è facile scambiarle, perché la chiave dell'ufficio è perlomeno tre volte più grande di quella di casa. Per di più, ne tengo una nella tasca dei pantaloni, l'altra nel panciotto. 
Nonostante questo mi è capitato spesso di accorgermi davanti alla porta di aver preparato sulle scale la chiave sbagliata.
Decisi di fare un esperimento statistico; poiché ogni giorno mi trovo davanti alle due porte pressappoco nello stesso stato d'animo, anche lo scambio delle due chiavi, se era psichicamente determinato, doveva presentare una tendenza regolare.
Dall'osservazione, nei casi successivi, risultò che io regolarmente estraevo la chiave dell'appartamento davanti alla porta dell'ufficio; soltanto un'unica volta era accaduto l'opposto: ero tornato a casa stanco e sapevo che un ospite mi attendeva. Davanti alla porta feci un tentativo di aprire con la chiave dell'ufficio che naturalmente era troppo grande."
[…]
Johan Stärcke ha fornito un esempio del fatto che gli scrittori non esitano a sostituire la sbadataggine all'azione intenzionale, facendone così la fonte delle conseguenze più gravi:
«In uno dei bozzetti di Hermann Heijermans c’è un esempio di sbadataggine o, per meglio dire, di atto mancato, utilizzato dall'autore come motivo drammatico.
«Si tratta del bozzetto Tom e Teddie. Sono una coppia di artisti che si esibisce in un teatro di varietà, in un numero di acrobazie sott'acqua, in un acquario dalle pareti di vetro. La moglie da qualche tempo tradisce il marito con un domatore. Il marito li ha scoperti insieme nello spogliatoio poco prima della rappresentazione. Scena muta, occhiate minacciose e il marito sommozzatore dice: “Dopo!”
«Lo spettacolo ha inizio. Il marito deve eseguire l'acrobazia più difficile: rimanere sott'acqua per due minuti e mezzo dentro una cassa chiusa ermeticamente. Avevano eseguito tante altre volte quest’esercizio di bravura. La cassa viene chiusa e “Teddie mostra la chiave agli spettatori, che guardano i loro orologi per controllare il tempo”. La donna era solita lasciar cadere intenzionalmente più volte la chiave nell'acqua, tuffandosi poi in fretta per non arrivare in ritardo quando si doveva aprire la cassa.
«La sera del 31 gennaio dunque, Tom come al solito venne rinchiuso a chiave dalle piccole dita della vispa e briosa mogliettina. Egli sorrideva dietro il finestrino della cassa e lei giocherellava con la chiave in attesa del suo segnale. Dietro le quinte attendeva il domatore nella sua marsina impeccabile, la cravatta bianca, il frustino.
Per attirare a sé l'attenzione della donna lui, il terzo uomo, fece un breve fischio. Lei lo guardò e rise, e col gesto maldestro di chi viene distratto lanciò tanto in alto la chiave che questa cadde, quand'erano passati esattamente due minuti e venti secondi, a un calcolo accurato, di fianco al bacino, fra le pieghe del drappo che ne copriva il sostegno. Nessuno aveva visto. Nessuno l'avrebbe potuto. Guardando dalla sala l'illusione ottica era tale che tutti videro la chiave scivolare in acqua, e nessuno del personale di scena ci fece caso, poiché la stoffa attutì il rumore.
«Ridendo, senza esitare, Teddie si arrampicò oltre l'orlo del bacino.
Ridendo — certo lui avrebbe resistito — ella scese la scaletta.
Ridendo scomparve sotto il sostegno e, non trovando subito la chiave,
fece il gesto che era stata rubata, con una mimica del volto come se
dicesse: “Ahi, che seccatura!”e curvandosi davanti al drappo.
«Nel frattempo Tom faceva le sue comiche smorfie dietro il finestrino
come se anche lui cominciasse a inquietarsi. Si vedeva il bianco della sua dentiera, il biascichio delle sue labbra sotto i baffetti biondi, le buffe bollicine d'aria che s'erano viste anche quando aveva mangiato la mela. Si vedevano graffiare e annaspare le dita ossute delle sue pallide mani e si rideva, si rideva come già si era riso tanto nella serata.
«Due minuti e cinquantotto secondi...
«Tre minuti e sette secondi... dodici secondi...
«Bravo! Bravo! Bravo!
«Poi il pubblico fu preso da costernazione, la gente pestava i piedi, perché anche gli inservienti e il domatore cominciarono a cercare e il sipario calò prima che si aprisse la cassa.
«Seguì un numero di sei ballerine inglesi; poi l'uomo con i ponies, i cani e le scimmie, e così via.
«Soltanto il mattino seguente il pubblico venne a sapere che era accaduta una disgrazia, che Teddie era rimasta vedova...» "
Da quanto citato, risulta che questo scrittore deve avere capito magnificamente l'essenza delle azioni sintomatiche, per presentarci tanto bene la causa più profonda dello sbaglio fatale."