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domenica 27 marzo 2016

Un cielo azzurro oltre le nuvole. Un pensiero di Thich Nhat Hanh


Nella nostra società c'è tanta paura, sofferenza, violenza, disperazione e confusione ma, al tempo stesso, c'è anche un magnifico cielo azzurro. A volte il suo colore celeste ci si rivela interamente, altre volte solo per metà, altre ancora c'è solo un piccolo squarcio di azzurro, che spunta fra le nuvole, e capita anche che non ce ne sia nemmeno un po'. Le tempeste, le nuvole e la nebbia nascondono l'azzurro del cielo. Il regno celeste può essere celato da una nuvola d'ignoranza o da una tempesta di rabbia, violenza e paura. Tuttavia, se pratichiamo la consapevolezza, è possibile rendersi conto che, anche se la nebbia è fitta e il cielo è coperto o infuria la tempesta, oltre le nuvole c è sempre il cielo azzurro. Tenerlo a mente ci aiuta a non sprofondare nella disperazione. Quando predicava nel deserto della Giudea, Giovanni Battista esortava le genti a pentirsi perché «il Regno di Dio è vicino». Per me pentirsi significa fermarsi. Il Battista voleva che smettessimo di compiere atti dettati dalla violenza, dalla bramosia e dall'odio. Pentirsi significa svegliarsi ed essere consapevoli che la propria paura, la rabbia e la bramosia stanno oscurando il cielo azzurro. Pentirsi significa ricominciare da capo: ammettere le proprie colpe e immergerci nelle acque chiare dell’insegnamento spirituale, che ci esorta ad amare il prossimo come noi stessi. Ci impegniamo a lasciare andare il nostro risentimento, l’odio e l’orgoglio. Ricominciamo con una mente e un cuore limpidi, determinati a far meglio. Dopo essere stato battezzato da Giovanni, Gesù ha predicato la stessa cosa e questo insegnamento si combina perfettamente con quello del buddhismo. Se sapremo come trasformare la disperazione, la violenza e la paura, il vasto cielo azzurro si svelerà a noi e alle persone che abbiamo intorno. Tutto ciò che stiamo cercando si può trovare nel momento presente, compresa la Terra Pura, il regno di Dio e la nostra natura di Buddha. Potremo entrare in contatto con il regno di Dio adesso, usando gli occhi, i piedi, le braccia e la mente. Quando siamo concentrati, quando mente e corpo diventano una cosa sola, non dobbiamo fare che un passo e saremo nel regno celeste. Quando siamo consapevoli, quando siamo liberi, tutto ciò che tocchiamo, che sia una foglia di quercia o la neve, è nel regno celeste. Ogni cosa che udiamo il cinguettio degli uccelli o il soffiare del vento, tutto appartiene al regno celeste. La condizione fondamentale per entrare in contatto con il regno di Dio è essere liberi dalla paura, dalla disperazione, dalla rabbia e dal desiderio. La pratica della consapevolezza ci permette di riconoscere la presenza della nuvola, della nebbia e delle tempeste, ma ci aiuta anche a riconoscere il cielo azzurro che esse celano. Abbiamo abbastanza intelligenza, coraggio e stabilità per aiutare il cielo azzurro a rivelarsi ancora. Mi capita di sentirmi chiedere: «Cosa posso fare per aiutare il regno celeste a rivelarsi?». È una domanda molto pratica, ed è lo stesso che chiedersi: «Cosa posso fare per ridurre la violenza e la paura, che stanno sopraffacendo la mia comunità e la nostra società?». È un interrogativo che molti di noi hanno posto. 
Ogni volta che compiamo un passo con stabilità, solidità e libertà, aiutiamo a sgomberare il cielo dalla disperazione. Quando centinaia di persone camminano insieme in modo consapevole producendo l’energia della solidità, della stabilità, della libertà e della gioia, aiutano la società. Quando sappiamo come guardare un’altra persona con occhi compassionevoli, quando sappiamo come sorriderle con lo spirito della comprensione, aiutiamo il regno celeste a rivelarsi. Ogni volta che pratichiamo la respirazione consapevole aiutiamo la Terra Pura a rivelarsi. Nella nostra vita quotidiana, in ogni singolo momento, possiamo fare qualcosa per aiutare il regno di Dio a rivelarsi. Non lasciatevi sopraffare dalla disperazione: potete fare buon uso di ogni minuto e di ogni ora della vostra vita.
Da: Thich Nhat Hanh, Paura. Supera la tempesta con la saggezza, Bis edizioni, 2013
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Buona Pasqua!
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venerdì 18 marzo 2016

Riconoscere le relazioni invischianti per riaffermare i nostri sani confini


Nei nostri rapporti interpersonali,  possiamo sperimentare i nostri confini come una specie di steccato invisibile che definisce e separa ciascuno di noi dalle altre persone, consentendoci di entrare in relazione con loro senza perdere o tradire la nostra individualità.
Immaginiamo che tra il nostro giardino e quello del vicino ci sia una staccionata che separa le due proprietà. 
Cosa avverrebbe se il vicino un bel giorno abbattesse di forza la staccionata e cominciasse a scorrazzare nel nostro terreno, decidendo cosa va fatto e cosa non va fatto nella nostra proprietà?
Probabilmente, se abbiamo un sistema d'allarme funzionante, una sirena suonerebbe a tutta forza per avvertirci dell'invasione. E non avremmo dubbi sul perché suoni: è stato violato un confine e l'allarme ci segnala il problema.
Qualcosa del genere può accadere anche nelle nostre relazioni, dove il malessere che proviamo quando i nostri confini vengono violati assomiglia a un sistema d'allarme che ci avvisa del problema, perché possiamo  porvi rimedio.
Purtroppo nel mondo relazionale le cose non sono sempre così chiare e lineari, perché ci sono molti modi di violare un confine non sempre eclatanti e appariscenti. 
Quando in una relazione sperimentiamo situazioni di invischiamento, viviamo come un'inappropriata fusione di identità, dove non è chiaro dove inizio e finisco io e dove inizia e finisce l'altro.
Il processo in atto può essere sottile e disorientante, oltre che difficile da riconoscere, anche perché spesso si accompagna a una certa dose di manipolazione.
Tua madre ti corregge riguardo al modo in cui ti relazioni con i tuoi figli, e lo fa davanti a loro; il tuo coniuge ti suggerisce cosa pensare; il tuo miglior amico ti dice con chi dovresti uscire; una tua collega ti prega di darle una mano con il lavoro, ma in realtà ti sta chiedendo di farlo tu al posto suo; il tuo capo ti telefona a casa, chiedendoti di occuparti di una cosa di cui si è dimenticato. 
In tutti questi esempi, se non siamo capaci di difendere i nostri confini, potremmo accettare la situazione e dare il nostro consenso riguardo a qualcosa, pur sentendoci mentalmente ed emotivamente in conflitto con questo consenso, ed assumerci delle responsabilità per cose che in realtà non eravamo d'accordo a fare o, a pensarci meglio, non avremmo proprio voluto fare.
Non sempre è facile riuscire a districarsi in situazioni del genere ed i motivi possono essere vari.
Tanto per cominciare, potremmo non riuscire a vedere con chiarezza la situazione e quindi avvertire un  disagio (c'è un allarme che suona) ma non comprenderne la causa. 
In secondo luogo potremmo avere difficoltà ad accettare proprio il nostro disagio ed i sentimenti difficili che questo comporta, come risentimento, rabbia e ostilità verso le persone che amiamo o che comunque sono importanti per noi. Inoltre potremmo vivere il fatto stesso di provare questo disagio come un fallimento personale rispetto alla nostra aspirazione ad essere persone amabili, generose, altruiste, spirituali, insomma "buone".
Se ci troviamo in situazioni del genere, ricordiamoci che non è salutare aspirare ad essere "buoni" e compiacenti con gli altri dimenticandoci di essere  "buoni" innanzitutto con noi stessi.
Per preservare la nostra integrità ed il nostro equilibrio psicofisico, dobbiamo smettere di lottare contro ciò che sentiamo e darci la possibilità di stare con il nostro sentire, accettandolo incondizionatamente così com'è, senza negarlo, rifiutarlo o cercare di sbarazzarcene al più presto con comportamenti reattivi.
Se riusciamo ad ascoltare senza giudizi né censure tutto ciò che il nostro disagio vuole dirci, potremmo trarre da esso utilissime informazioni sulla cui base operare scelte consapevoli che possono migliorare la nostra vita e le nostre relazioni.
Se il nostro problema è un problema di invischiamento, il nostro disagio -  il nostro allarme che suona - deve essere ascoltato e non messo a tacere, perché è proprio da qui che cominceremo a muoverci in un percorso teso a riaffermare i nostri sani confini con sicuri vantaggi sia per noi stessi sia per i nostri rapporti... di buon vicinato.
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Ed ora un esercizio che può aiutarci a determinare quale può essere un confine sano, che vogliamo ristabilire per noi stessi, partendo dalla consapevolezza delle sensazioni del corpo.
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Prendiamoci una pausa, un po' di tempo per noi stessi,  in un luogo riservato e tranquillo dove nessuno ci disturbi, ed entriamo in contatto come meglio ci riesce con le nostre percezioni corporee, restando in ascolto delle sensazioni che emergono, mentre ci poniamo le seguenti domande:
1) Quando penso di fare la tale cosa..... (ognuno di noi completa la frase secondo il suo caso) questo mi procura un senso di disagio nel corpo o delle sensazioni sgradevoli?
2) Quando penso di non fare o non permettere la tale cosa ..... (ognuno di noi completa la frase secondo il suo caso), quali sensazioni si generano nel mio corpo?
3) Ho per caso difficoltà a definire i miei confini perché la mia preoccupazione principale è di proteggere, non ferire o non offendere altre persone?
4) Quando onoro il modo in cui mi sento e ipotizzo un cambiamento, che sia rispettoso dei miei confini, come mi sento nel corpo? 
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Ponete le domande ed apritevi all'ascolto delle sensazioni del corpo, ma non abbiate fretta di trovare subito le risposte. La fretta infatti potrebbe portarvi a liquidare la questione con veloci "risposte di testa", impedendovi di andare più in profondità. Se ciò dovesse avvenire, riconoscete semplicemente che c'è la fretta, osservate come si manifesta nel corpo e cosa vi spingerebbe a fare (es.liquidare la cosa in modo spiccio, per non ascoltare il disagio), siate compassionevoli e gentili con voi stessi per ciò che state provando, e continuare a stare con tutte le sensazioni che emergono dal corpo mentre ponete le domande.
A volte le risposte arrivano forti e chiare... ma non quando decidiamo noi.
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lunedì 14 marzo 2016

Nulla è in regalo - poesia di Wisława Szymborska


Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo.
Sarò costretta a pagare per me 
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.
E' cosi che stanno le cose,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.
E' troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
mi sarà tolto con la pelle.
Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l'obbligo
di pagare le ali.
altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.
Nella colonna dare 
ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.
L'inventario è preciso
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.
Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso di aprirmi 
quel conto.
Chiamiamo anima 
la protesta contro di esso.
E questa è l'unica cosa
che non c'è nell'inventario.

mercoledì 2 marzo 2016

Non solo mindfulness. Come ridimensionare i pensieri negativi prima di lasciarli andare

A volte i nostri pensieri negativi gravano come una nuvola sulla nostra testa e ci fanno vivere il maltempo anche quando di fatto c'è il sereno.
Immaginiamo di avere finalmente pubblicato il nostro primo sudatissimo libro e che, mentre tutti si complimentano con noi, il nostro pensiero corra continuamente ad un certo minuscolo errore che abbiamo scoperto dopo la stampa. La mente ci sussurra che quell'errore ha rovinato tutta l'opera e ci ripete che è davvero imperdonabile. La nuvola nera riesce così a guastarci la festa; poteva essere il nostro momento di gioia e invece proviamo senso di colpa, rimpianto e paura di essere scoperti.
In realtà, che ce ne accorgiamo o meno, noi siamo continuamente in compagnia di qualche pensiero. Pensieri leggeri, pensieri pesanti, pensieri estenuanti.
Può addirittura capitare, alla fine di una giornata, di sentirci esausti non tanto per le cose che abbiamo realmente fatto o che ci sono capitate, ma per il peso dei pensieri difficili che ci hanno accompagnato tutto il giorno, e che hanno influenzato la nostra lettura della realtà, aggiungendo alla nostra vita una quota di sofferenza tutta mentale,  che magari potevamo risparmiarci.
Quando facciamo le pratiche di mindfulness, noi ci alleniamo continuamente a riconoscere la presenza dei nostri pensieri e a trattarli come tali. Sono eventi mentali, non sono la verità. Di solito, nella vita ordinaria tendono a sembrarci la verità, perché ci sentiamo un tutt'uno con essi (ci identifichiamo con i nostri pensieri), ma un po' alla volta la distinzione tra la realtà ed il nostro pensiero circa la realtà ci diventa sempre più chiara. Nelle pratiche formali di mindfulness, fa proprio parte dell'esercizio riconoscere i pensieri come pensieri e imparare a lasciarli andare. E così anche nelle pratiche informali (cioè negli esercizi di mindfulness che facciamo durante alcuni momenti di vita ordinaria). Accade così che, un po' alla volta, questa consapevolezza trabocchi naturalmente dai momenti di pratica intenzionale ad altri momenti della nostra giornata, rendendoci via via sempre meno vulnerabili rispetto ai pensieri negativi. Questo non significa che i pensieri bui non arriveranno mai più, significa solo che noi li riconosceremo più facilmente e li governeremo sempre meglio, imparando ad impedire loro di annebbiarci la vista, toglierci il gusto della vita e  pilotare le nostre scelte.
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Al di là dell'aiuto che possiamo trarre dalle pratiche di consapevolezza, a volte possiamo sentire il bisogno di prendere proprio di petto un pensiero negativo, affrontarlo per quello che è (solo un pensiero) e ridimensionarlo quanto basta per renderlo meno pesante e meno difficile da lasciar andare.
Vi propongo per questo una tecnica in cinque passi, che personalmente considero molto efficace.
Si chiama "quattro domande e un capovolgimento".
E' un lavoro da fare per iscritto.  Prendete quindi carta e penna, e per prima cosa individuate il vostro pensiero difficile.
Fatto ciò, rispondete per iscritto a queste domande nell'ordine in cui sono poste:
1) questo pensiero corrisponde alla verità?
2) sono proprio sicuro che corrisponda alla verità? (ne ho le prove?)
3) come mi fa sentire questo pensiero?
4) come mi sentirei se non avessi questo pensiero?
Dopo aver risposto alle domande, prendete il vostro pensiero e capovolgetelo. Formulate cioè una frase di contenuto opposto al vostro pensiero e quindi dimostrate (sempre per iscritto) che la nuova frase è vera per cinque ragioni (o anche di più, se ne trovate).
Il nostro scrittore, per esempio, può prendere il pensiero: "L'errore a pagina 158 ha rovinato tutta l'opera" e cominciare a chiedersi se questa affermazione corrisponda a verità. Probabilmente la prima risposta sarà "sì, corrisponde a verità".
Alla seconda domanda (sono proprio sicuro che corrisponda alla verità? ne ho le prove?), potrebbe rispondere che in effetti quel pensiero è più che altro una sua idea, ma non può dirsi proprio sicuro che corrisponda a verità. (Volendo, potrebbe anche impuntarsi e continuare a insistere  che il suo pensiero corrisponde a verità: libero di farlo.)
Alla terza domanda (come mi fa sentire questo pensiero?), risponderà probabilmente che gli fa provare senso di colpa per aver sbagliato, rimpianto per essersene accorto tardi e paura per la possibilità di essere scoperto e svergognato.
Alla quarta domanda (come mi sentirei se non avessi questo pensiero?), il nostro scrittore tirerà finalmente un sospiro di sollievo, e forse risponderà: "Mi sentirei leggero e pieno di gioia e soddisfazione per aver pubblicato il mio libro".
A questo punto dovrà capovolgere il pensiero nel suo opposto, scrivendo per esempio la frase: "L'errore a pagina 158 non ha rovinato tutta l'opera" (o, in positivo, che è preferibile: "L'errore a pagina 158 lascia integra l'opera nel suo valore")  e dimostrare quindi che questa frase corrisponde a verità per cinque buone ragioni.
Per esempio:
1) la trama del romanzo è bella, e resta tale;
2) i dialoghi sono originali, e restano tali;
3) la prosa è scorrevole, e resta tale;
4) i personaggi sono ben costruiti, e restano tali;
5) il finale è buono, e resta tale.
E questo è tutto.
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Mentre mi accingo a concludere questo post, mi viene improvvisamente in mente un pensiero inaspettato: è una strana scenetta.
Sono nella libreria da cui mi servo abitualmente e chiedo al commesso: "Per cortesia, vuole consigliarmi un bel libro?"
Lui ne prende uno da sopra al banco e mi dice imbarazzato: "Beh, ci sarebbe questo che ha una bella trama, dialoghi originali, prosa scorrevole, personaggi ben costruiti e anche un buon finale. Solo che..."
"Solo che?..."
"Solo che c'è un errore a pagina 158... Lo prende lo stesso?"
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