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venerdì 18 marzo 2016

Riconoscere le relazioni invischianti per riaffermare i nostri sani confini


Nei nostri rapporti interpersonali,  possiamo sperimentare i nostri confini come una specie di steccato invisibile che definisce e separa ciascuno di noi dalle altre persone, consentendoci di entrare in relazione con loro senza perdere o tradire la nostra individualità.
Immaginiamo che tra il nostro giardino e quello del vicino ci sia una staccionata che separa le due proprietà. 
Cosa avverrebbe se il vicino un bel giorno abbattesse di forza la staccionata e cominciasse a scorrazzare nel nostro terreno, decidendo cosa va fatto e cosa non va fatto nella nostra proprietà?
Probabilmente, se abbiamo un sistema d'allarme funzionante, una sirena suonerebbe a tutta forza per avvertirci dell'invasione. E non avremmo dubbi sul perché suoni: è stato violato un confine e l'allarme ci segnala il problema.
Qualcosa del genere può accadere anche nelle nostre relazioni, dove il malessere che proviamo quando i nostri confini vengono violati assomiglia a un sistema d'allarme che ci avvisa del problema, perché possiamo  porvi rimedio.
Purtroppo nel mondo relazionale le cose non sono sempre così chiare e lineari, perché ci sono molti modi di violare un confine non sempre eclatanti e appariscenti. 
Quando in una relazione sperimentiamo situazioni di invischiamento, viviamo come un'inappropriata fusione di identità, dove non è chiaro dove inizio e finisco io e dove inizia e finisce l'altro.
Il processo in atto può essere sottile e disorientante, oltre che difficile da riconoscere, anche perché spesso si accompagna a una certa dose di manipolazione.
Tua madre ti corregge riguardo al modo in cui ti relazioni con i tuoi figli, e lo fa davanti a loro; il tuo coniuge ti suggerisce cosa pensare; il tuo miglior amico ti dice con chi dovresti uscire; una tua collega ti prega di darle una mano con il lavoro, ma in realtà ti sta chiedendo di farlo tu al posto suo; il tuo capo ti telefona a casa, chiedendoti di occuparti di una cosa di cui si è dimenticato. 
In tutti questi esempi, se non siamo capaci di difendere i nostri confini, potremmo accettare la situazione e dare il nostro consenso riguardo a qualcosa, pur sentendoci mentalmente ed emotivamente in conflitto con questo consenso, ed assumerci delle responsabilità per cose che in realtà non eravamo d'accordo a fare o, a pensarci meglio, non avremmo proprio voluto fare.
Non sempre è facile riuscire a districarsi in situazioni del genere ed i motivi possono essere vari.
Tanto per cominciare, potremmo non riuscire a vedere con chiarezza la situazione e quindi avvertire un  disagio (c'è un allarme che suona) ma non comprenderne la causa. 
In secondo luogo potremmo avere difficoltà ad accettare proprio il nostro disagio ed i sentimenti difficili che questo comporta, come risentimento, rabbia e ostilità verso le persone che amiamo o che comunque sono importanti per noi. Inoltre potremmo vivere il fatto stesso di provare questo disagio come un fallimento personale rispetto alla nostra aspirazione ad essere persone amabili, generose, altruiste, spirituali, insomma "buone".
Se ci troviamo in situazioni del genere, ricordiamoci che non è salutare aspirare ad essere "buoni" e compiacenti con gli altri dimenticandoci di essere  "buoni" innanzitutto con noi stessi.
Per preservare la nostra integrità ed il nostro equilibrio psicofisico, dobbiamo smettere di lottare contro ciò che sentiamo e darci la possibilità di stare con il nostro sentire, accettandolo incondizionatamente così com'è, senza negarlo, rifiutarlo o cercare di sbarazzarcene al più presto con comportamenti reattivi.
Se riusciamo ad ascoltare senza giudizi né censure tutto ciò che il nostro disagio vuole dirci, potremmo trarre da esso utilissime informazioni sulla cui base operare scelte consapevoli che possono migliorare la nostra vita e le nostre relazioni.
Se il nostro problema è un problema di invischiamento, il nostro disagio -  il nostro allarme che suona - deve essere ascoltato e non messo a tacere, perché è proprio da qui che cominceremo a muoverci in un percorso teso a riaffermare i nostri sani confini con sicuri vantaggi sia per noi stessi sia per i nostri rapporti... di buon vicinato.
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Ed ora un esercizio che può aiutarci a determinare quale può essere un confine sano, che vogliamo ristabilire per noi stessi, partendo dalla consapevolezza delle sensazioni del corpo.
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Prendiamoci una pausa, un po' di tempo per noi stessi,  in un luogo riservato e tranquillo dove nessuno ci disturbi, ed entriamo in contatto come meglio ci riesce con le nostre percezioni corporee, restando in ascolto delle sensazioni che emergono, mentre ci poniamo le seguenti domande:
1) Quando penso di fare la tale cosa..... (ognuno di noi completa la frase secondo il suo caso) questo mi procura un senso di disagio nel corpo o delle sensazioni sgradevoli?
2) Quando penso di non fare o non permettere la tale cosa ..... (ognuno di noi completa la frase secondo il suo caso), quali sensazioni si generano nel mio corpo?
3) Ho per caso difficoltà a definire i miei confini perché la mia preoccupazione principale è di proteggere, non ferire o non offendere altre persone?
4) Quando onoro il modo in cui mi sento e ipotizzo un cambiamento, che sia rispettoso dei miei confini, come mi sento nel corpo? 
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Ponete le domande ed apritevi all'ascolto delle sensazioni del corpo, ma non abbiate fretta di trovare subito le risposte. La fretta infatti potrebbe portarvi a liquidare la questione con veloci "risposte di testa", impedendovi di andare più in profondità. Se ciò dovesse avvenire, riconoscete semplicemente che c'è la fretta, osservate come si manifesta nel corpo e cosa vi spingerebbe a fare (es.liquidare la cosa in modo spiccio, per non ascoltare il disagio), siate compassionevoli e gentili con voi stessi per ciò che state provando, e continuare a stare con tutte le sensazioni che emergono dal corpo mentre ponete le domande.
A volte le risposte arrivano forti e chiare... ma non quando decidiamo noi.
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