Una lettrice mi ha chiesto di parlare di chi, per paura di soffrire, rinuncia a vivere.
È un argomento che volevo trattare già da un po' di tempo, perché riconducibile ad uno dei possibili significati della frase "ciò che si muove non congela". Mi ci voleva una spintarella, ed è arrivata.
Dunque, c'è un detto orientale - che ora non ricordo bene parola per parola - che consiglia di stare attenti nelle situazioni di equilibrio, perché nella natura delle cose c'è il cambiamento, l'evoluzione e quindi il superamento di tutti gli stati, anche degli stati di equilibrio. Anche questi sono protesi verso un'evoluzione, non possiamo pretendere di congelarli. Per quanto ci dispiaccia uscirne, dobbiamo assecondare la spinta evolutiva, rispondere alle richieste dei tempi, altrimenti la situazione, mantenuta statica, diventa stagnante, degenera, e quello che prima era un equilibrio vitale assume un sentore di immobilità soffocante, paralizzante e, oserei dire, un po'... mortifera.
Facciamo un esempio non sconvolgente.
Ultimo anno di liceo: finalmente ci sentiamo i grandi della scuola, stiamo a nostro agio, siamo in dirittura d'arrivo; quelli delle classi inferiori ci guardano con ammirazione, i bidelli ci rispettano, i professori ci riconoscono. Bene. Bellissimo periodo. Si può congelare? No di certo. Farsi bocciare sistematicamente all'esame di maturità, per vivere per sempre all'ultimo anno di liceo, svuoterebbe la situazione del suo valore, della sua magia. Per restare bello, quel periodo, deve seguire la sua naturale evoluzione, che porta a un culmine, il conseguimento del diploma, e quindi al superamento anche del culmine. Tale superamento, ahimé, implica che ci troveremo, dopo quel culmine, dopo quel diploma, nello stato iniziale di una nuova situazione, in cui non saremo più i grandi, gli esperti, quelli in dirittura d'arrivo, bensì i nuovi arrivati, gli inesperti, quelli che cominciano. È una situazione brutta? Non necessariamente. Fa un po' paura? Sì, a volte può fare un po' paura.
Che cosa può bilanciare questa paura in modo da farci vivere in maniera positiva un nuovo inizio, con tutte le sue incognite, rischi e quant'altro?
Ognuno si dia la risposta che per lui funziona meglio?
Se volete la mia, risponderei certamente l'entusiasmo, un po' di spirito d'avventura, la passione per ciò che si sta facendo e, rispetto a cui, sentirsi un principiante non ci umilia, perché ci dà il senso di una promessa, di qualcosa che ci verrà dato a mano a mano che procederemo nel nostro cammino e diventeremo sempre più esperti.
Insomma, è il caso del nostro bravo "diplomato" che intraprende il percorso universitario dei suoi sogni o comincia a fare il lavoro che ha sempre desiderato. In queste condizioni, sentirci una matricola o un apprendista non ci pesa. Ci pesa, invece, quando ci troviamo sbattuti dagli eventi in una facoltà universitaria che non ci piace, in un contesto lavorativo che ci sta stretto, o in altre situazioni (disoccupazione compresa) in cui viviamo una nuova situazione di stallo in cui non vediamo i germi di un'evoluzione produttiva.
Soluzioni per le situazioni stagnanti?
Qui non fornisco soluzioni, ma solo "ispirazioni", occasioni di riflessione.
Le soluzioni sono abiti da cucire su misura, ciascuno per sé, con le proprie mani. E, una volta cuciti, bisogna anche saperli modificare: allargarli, stringerli, accorciarli.
Tornando ora alla domanda della lettrice, la sua formulazione esatta era: "Mi spieghi perché alcune persone, per paura di soffrire, rinunciano a vivere?".
Ora, non saprei trovare una risposta generale, che copra tutti i casi a cui si riferisce la lettrice. Tuttavia ritengo che effettivamente, in molti casi, la paura del cambiamento possa essere paralizzante; una paura talmente forte da rendere più accettabile una situazione scomoda, stagnante e deprimente, ma già NOTA, rispetto a ogni possibile alternativa, anche promettente, ma piena di incognite.
Come i bambini hanno paura del buio, perché in ciò che non vedono depositano le minacce di tutti i possibili mostri che la loro mente possa concepire, così anche noi adulti possiamo temere i cambiamenti pieni di incognite. Non ci sentiamo pronti ad affrontare i mostri, che immaginiamo di poter incontrare lungo il cammino. E, quel che è peggio, lasciamo che l'ombra di questi mostri offuschi tutto ciò che in quel cammino è luminosa potenzialità.
Chiunque abbia la fortuna di coltivare un sogno, verso cui si sente magicamente attratto, e che orienta i suoi passi e le sue scelte, come una bussola, sa bene che ogni cammino è accidentato: sia che conduca alla realizzazione di un sogno, sia che conduca a un esito "dovuto" e perseguito senza passione.
La differenza però è enorme, quando si tratta di affrontare ostacoli che intralciano un cammino amato, rispetto a quelli che si trovano su un cammino non amato.
Per cui è questo il mio augurio, per chiunque in questo momento si trovi in una situazione di stallo, da cui non riesce a venir fuori, per paura di peggiorare le cose.
Che riceva in dono dall'universo un sogno; che cominci a coltivare questo sogno e a valutare la sua realizzabilità; che cominci a fare progetti, a creare i presupposti per viaggiare verso il suo sogno; che si metta a studiare, a cercare informazioni, alleati e mezzi; che insomma alimenti in sé la fiamma della passione che lo spinge verso ciò che lo fa sentire vivo, affinché prima o poi, quando si sentirà pronto, possa mettersi in viaggio, affrontarne le incognite e gli ostacoli con forza e coraggio, ed uscire dalla situazione di stallo, non spinto dalla voglia di fuggire, bensì attratto dalla voglia di viaggiare.