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domenica 30 giugno 2013

Prozac o Adidas? Combattere la depressione con l'esercizio fisico

"...Più tardi imparai che anche nei momenti più difficili venti minuti di corsa a piedi ogni due giorni, quasi sempre da solo, mi facevano sentire più forte di fronte ai problemi e che, in ogni caso, riuscivo a evitare l'angoscia della depressione. Nulla di quanto ho imparato in seguito e finora mi ha fatto cambiare quella che rimane la mia 'prima linea difensiva' contro le avversità e le incognite dell'esistenza." 
(David Servan-Schreiber)
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Che l'esercizio fisico migliori l’umore depresso è un dato che trova conforto in numerose evidenze scientifiche. Vari studi hanno infatti dimostrato che l'esercizio fisico è efficace nel contrastare la sintomatologia depressiva lieve.
Le attività fisiche più adatte allo scopo sembrano essere il passeggiare (tanto per cambiare!), meglio se a passo svelto, ed in genere tutte le attività cosiddette aerobiche, come correre, andare in bicicletta, giocare a tennis o a calcetto, e così via (per quanto esistano anche studi che riconoscono analoga efficacia, in tal senso, anche a forme di esercizio anaerobiche, come il body-building).
L'importante, insomma, è mantenere attivo il corpo nel modo a noi più congeniale: quello che ci piace di più, quello che ci possiamo permettere in base all'età, alle condizioni fisiche e così via.
I motivi per cui l'attività fisica giova all'umore sono riconducibili a diverse componenti in gioco. L'esercizio fisico, infatti:

  •  tanto per cominciare, favorisce il rilascio nell'organismo di sostanze che inducono una sensazione di benessere (endorfine); 
  • al tempo stesso contribuisce a distogliere l’attenzione dai pensieri negativi tipici dell’umore depresso  (tipo: "sono una frana, sono sfortunato, non ci riuscirò mai; non ho abbastanza coraggio, energia, forza, volontà, ambizione; nessuno mi ama; non merito di essere amato;  ecc.") e dà l'opportunità di spostare il focus dell’attenzione a pensieri centrati su schemi motori e su momenti creativi e positivi;
  • può inoltre favorire l’incontro con altre persone (soprattutto se praticato in compagnia, ma anche - quando si pratica da soli - se fatto in luoghi dove un incontro è possibile), il che può ridurre l’isolamento sociale che aggrava lo stato depressivo;
  • dà la possibilità, se praticato all'aperto, di un benefico e positivo contatto con la natura (aria aperta, verde, luce);
  • può essere praticato sotto forma di attività ludiche e divertenti, e quindi creare occasioni di piacere e buonumore; 
  • ed infine può migliorare anche il modo di percepire sé stessi dal punto di vista estetico/fisico, con ricadute positive sull’autostima.

I consigli generalmente sono:
-  privilegiare attività fisiche piacevoli e divertenti;
- non strafare (inutile sfinirsi al primo tentativo e poi non riprovarci più!); l'importante non è fare molto esercizio fisico, ma farlo regolarmente; meglio cominciare con dolcezza e lasciare che sia il corpo a guidarci;
- praticare l'attività fisica da 2 a 5 volte a settimana, per almeno 20-30 minuti a sessione (secondo parecchi studi, l'attività minima per avere effetti sul cervello emotivo, è di 20 minuti tre volte la settimana);
- prima di iniziare un programma di esercizi fisici (specie se non si pratica attività fisica da tempo!), consultare il proprio medico per una visita di controllo preliminare e quindi seguire tutti gli accorgimenti del caso. 
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Ed ora, a seguire, alcune parole sull'argomento di David Servan-Schreiber,  tratte dal suo libro "Guarire - una nuova strada per curare lo stress, l'ansia e la depressione senza farmaci né psicoanalisi", in cui lo psichiatra e ricercatore francese presenta vari metodi terapeutici tutti basati su meccanismi naturali di autoguarigione presenti nel cervello umano.
Tra questi, appunto, c'è l'attività fisica, mentre gli altri - per coloro che fossero interessati - sono:  la ricerca della "coerenza cardiaca" (controllo della variabilità del battito cardiaco, una tecnica ispirata da alcune forme di meditazione e autoipnosi); la rimozione dei traumi psichici con i movimenti oculari (EMDR, una tecnica inventata da Francine Shapiro);  l'energia della luce;  l'agopuntura;  l'assunzione degli acidi grassi Omega-3;  la comunicazione emotiva non violenta (legata anche alla solidarietà sociale). 
Per chi non conoscesse David Servan-Schreiber, una breve nota su di lui, dopo la citazione.
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"Attraverso quali misteriose vie l'esercizio fisico ha tanta influenza sul cervello emotivo? Certo, prima di tutto c'è l'effetto che ha sulle endorfine, minuscole molecole secrete dal cervello molto simili all'oppio e ai suoi derivati. Il cervello contiene molti ricettori di endorfine, e proprio per questa ragione è tanto sensibile a queste sostanze stupefacenti, che danno un'immediata sensazione di diffuso benessere e soddisfazione. L'oppio è anche l'antidoto più potente contro il dolore della separazione e del lutto: subdolamente, agisce sul cervello deviando uno dei meccanismi intrinseci del rilassamento e del piacere.
Ma, quando se ne fa un uso eccessivo, i derivati dell'oppio provocano assuefazione, 'addomesticano' i ricettori cerebrali, e se si vuole ottenere sempre lo stesso effetto, ogni volta si deve aumentare la dose. Inoltre, diventando i ricettori sempre meno sensibili, i piaceri quotidiani perdono ogni significato: tutti, compresa la sessualità, che quasi sempre nei tossicodipendenti si annulla.
La secrezione di endorfine stimolata dall'esercizio fisico, invece, produce l'effetto opposto. Più il meccanismo naturale del piacere viene attivato così, in dolcezza, più diventa sensibile. E le persone che fanno esercizio fisico traggono più soddisfazione dalle piccole cose della vita: gli amici, gli animali di compagnia, i passi, le letture, il sorriso di un passante per strada. E' come se  per queste persone essere soddisfatte fosse più facile che per altre.
Ora, provare piacere è esattamente l'opposto della depressione, definibile come assenza di piacere molto più che come tristezza, ed è senza dubbio per questo che la liberazione delle endorfine ha un effetto antidepressivo e ansiolitico tanto spiccato. Quando si stimola in questo modo il cervello emotivo, cioè attraverso vie naturali, si favorisce anche l'attività del sistema immunitario, agevolando la proliferazione delle cellule NK, le 'natural killer', e rendendole più aggressive contro le infezioni e le cellule cancerose."  (David Servan-Schreiber)
David Servan-Schreiber, psichiatra e ricercatore francese, vissuto a lungo negli USA e deceduto nel 2011, è stato direttore del Centro di Medicina Complementare dell'Ospedale di Pittsburgh, nonché fondatore e condirettore del Laboratorio di Scienze Neurocognitive presso l'Università della stessa città.
Ha raggiunto la notorietà per aver proposto alcuni metodi per la prevenzione ed il supporto alla guarigione del cancro, nonché per la cura delle malattie psichiatriche, tutti basati su tecniche terapeutiche di medicina alternativa, anche in affiancamento alle cure tradizionali.
Scoprì di avere un cancro al cervello nel 1992, all'età di 32 anni e, benché gli avessero dato pochi mesi di vita, riuscì a vivere in buone condizioni fino a 50 anni tra cure tradizionali e alternative.
E' stato strenuo sostenitore della prevenzione dei tumori e delle malattie in genere tramite il potenziamento delle difese immunitarie (cosa che si può ottenere, secondo Servan-Schreiber, tramite l'attività fisica costante, l'alimentazione povera di "carboitrati bianchi", come gli zuccheri e la farina, e senza eccessivo apporto di proteine, basando invece la dieta su verdura e frutta, i carboidrati "naturali") e suggeriva la meditazione come metodo per diminuire lo stress.
Pur essendo uno studioso e un sostenitore delle medicine naturali per la prevenzione, ha sempre chiarito che, una volta che un tumore si sia palesato, vada combattuto con cure tradizionali, in quanto affidarsi soltanto a cure non convenzionali potrebbe essere deleterio e controproducente.
Nelle pagine del suo ultimo libro, "Ho vissuto più di un addio" (2011), David Servan-Schreiber si pone domande cruciali sul significato profondo della vita e della morte. Ormai pronto spiritualmente a partire per l'ultimo viaggio, accompagnato da un sentimento di pace e connessione, coglie l'occasione dell'ultimo libro per salutare degnamente tutti coloro che l'hanno amato.
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giovedì 27 giugno 2013

Chiamare le persone per nome

Chiamare una persona per nome è come farle un implicito complimento, è un po' come dirle: "Sei importante per me" e darle la nostra conferma positiva del suo senso di identità e della sua unicità. Certamente ci sarà gente che non ha bisogno delle nostre conferme per sentirsi rassicurata della propria importanza. Ma di massima un po' a tutti fa piacere sentirsi ricordati, riconosciuti nella propria individualità, avere la sensazione di aver lasciato un segno.
E' per questo che ricordarsi il nome delle persone con cui interagiamo è estremamente consigliabile per favorire rapporti cordiali con il resto dell'umanità. C'è chi ha un talento innato nell'associare visi e nomi, chi non ce l'ha e si avvale deliberatamente di qualche strategia di memorizzazione, c'è chi è una frana in quest'ambito e se ne fa un problema, e chi è una frana lo stesso e non se ne importa niente.
A seguire riflessioni in materia da parte di illustri personaggi del passato.
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"Ricordate che, per una persona, in qualsiasi lingua, il suo nome è il suono più dolce e più importante che esista. [...] 
Le informazioni che forniamo e le richieste che facciamo assumono un'importanza particolare, se accompagnate dal nome di un individuo. Dalla cameriera al più alto dirigente, il nome è una formula magica, quando dobbiamo trattare con gli altri."
(Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936)
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"Lo stimolo per occuparmi a fondo del fenomeno della dimenticanza temporanea di nomi propri è venuto dall'osservazione di alcune particolarità che si possono riconoscere abbastanza chiaramente non in tutti, ma in certi casi. In tali casi, infatti, non soltanto si ha dimenticanza, ma anche falso ricordo. Colui che si sforza di ricordare il nome dimenticato, vede affacciarsi alla propria coscienza altri nomi, nomi sostitutivi, che subito riconosce come erronei, ma che continuano a imporsi alla mente con grande insistenza. Il processo che dovrebbe portare a riprodurre il nome ricercato si è, per così dire, spostato, comportando una sostituzione erronea.
Ora, il mio presupposto  è che tale spostamento non dipenda da un arbitrio psichico, bensì segua percorsi governati da leggi e prevedibili. In altri termini suppongo che il nome sostitutivo, o i nomi sostitutivi, siano in una connessione ben precisa con il nome ricercato e spero, se riuscirò a dimostrare tale connessione, di poter poi far luce sul fenomeno stesso della dimenticanza di nomi propri. [...] 

Di certo non avrò l'audacia di sostenere  che tutti i casi di dimenticanza di nomi siano da annoverare nel medesimo gruppo. Esistono, senza dubbio, casi di dimenticanza di nomi che avvengono assai più semplicemente. Saremo certo abbastanza prudenti se definiremo questo stato di cose affermando: accanto alla semplice dimenticanza di nomi propri esiste anche una dimenticanza motivata dalla rimozione."
(Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana)
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"Poche persone riescono a evitare una punta di dispetto se si accorgono che qualcuno ha dimenticato il loro nome, in particolare se si tratta di qualcuno che speravano o si aspettavano se lo ricordasse. Si rendono conto istintivamente che il loro nome non sarebbe stato dimenticato, se avessero lasciato un'impressione più forte; il nome è, infatti, una componente essenziale della personalità. 
D'altro canto, poche sono le cose che risultano maggiormente lusinghiere ai più del fatto di essere interpellati con il proprio nome da una personalità importante dalla quale non se lo sarebbero aspettati. Napoleone, maestro in quest'arte, durante la sfortunata campagna del 1814 fornì una stupenda prova della sua memoria in questo senso.Trovandosi in una città vicino a Craonne, ricordò di aver fatto la conoscenza del sindaco, De Bussy, più di vent'anni prima ed in quale reggimento egli fosse; De Bussy, entusiasta, si dedicò al suo servizio con indefessa devozione. Viceversa, non c'è mezzo più sicuro per offendere qualcuno che far finta di averne dimenticato il nome; si insinua in tal modo che l'individuo appaia così poco importante, che non valga neanche la pena ricordarne il nome. Tale artificio ricorre spesso nella letteratura." (Ernest Jones, The Psychopathology of Everyday Life, in "American Journal of Psychology", 1911)  


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"Qui giace l'Aretin, poeta tosco:
Di tutti disse mal fuorché di Cristo,
Scusandosi col dir: non lo conosco." 


(finto epitaffio indirizzato a Pietro Aretino da Paolo Giovio,
citato da Francesco Domenico Guerrazzi in Scritti, 1848)






sabato 22 giugno 2013

Che domande porreste a chi ha scelto di cambiare... pelle? Aiutatemi a costruire un questionario: votate una o più domande, tra quelle proposte, oppure formulate nuove domande. (...E, se per caso avete cambiato vita e volete essere intervistati, contattatemi!)


Cos'hanno in comune:
- 1) una neo-mamma casalinga
- 2) un farmacista
- 3) un deputato
- 4) il titolare di una ditta di traslochi
- 5) una creatrice di gioielli prossima alla seconda laurea
- 6) una pluri-mamma adottiva, mediatrice familiare e volontaria attiva nel Movimento per la Vita
- 7) un'insegnante di yoga che organizza vacanze dello spirito in alta montagna
- 8) un avvocato
- 9) una psicoanalista infantile
- 10) una psicologa dedita al counseling e al life coaching?
In apparenza poche cose, perché per aspetto, nazionalità, età, sesso, fede, orientamento politico, professione, formazione e anche altro, sono persone tra loro diversissime. Eppure tutte loro, ad un certo punto della propria vita (quando tutto sembrava ormai definito, definitivo, stabile e tranquillo), hanno deciso di darle una svolta, di cambiare, di ricominciare, di rimettersi in gioco per seguire nuove strade più coerenti con la loro natura e con i propri valori. E se sono ciò che  oggi sono, è perché sono rimaste fedeli fino in fondo alla loro decisione.
Lo stesso gruppetto di personaggi, infatti, dieci o quindici anni fa, sarebbe stato descritto così:

- 1) una suora
- 2) un agronomo che produceva mozzarelle
- 3) un alto dirigente nel settore bancario
- 4) un ferroviere
- 5) una microbiologa
- 6) un avvocato
- 7) una professoressa d'inglese di ruolo
- 8) una professoressa di matematica di ruolo
- 9) un magistrato
- 10) un notaio
Ognuna di queste persone è passata dalla condizione iniziale a quella finale, attraverso un suo cammino, più o meno lungo e complesso, con i suoi momenti di pathos, le sue difficoltà e anche le sue gioie e soddisfazioni.
Non tutti gli aspetti delle storie altrui ci risultano, di solito, ugualmente interessanti. Di solito, ciò che più ci interessa sapere delle esperienze altrui sono aspetti in cui possiamo in qualche modo rispecchiarci, ciò che può rivelarsi utile, insomma, anche per noi (foss'anche la segnalazione di una trappola in cui non cascare!).
E' già da un po' di tempo che ho intenzione di intervistare tutti questi personaggi, e altri simili, in cui mi imbatto sempre più spesso - forse perché, alla fine, c'è del vero in ciò che dicono i francesi, e cioè che "qui se ressemble s'assemble", coloro che hanno inclinazioni comuni, si cercano reciprocamente.
L'inclinazione comune, in questo caso, è il tema del "punto di svolta", nel senso di forte cambiamento,  che a volte dipende da condizioni fuori del controllo soggettivo, ma altre volte - come nei casi qui presi in considerazione - è in qualche misura deliberatamente cercato e attuato dalla persona, come esito di una certa maturazione o di una crisi.  
Lo spirito con cui intendo condurre queste interviste è trovare risposte alle diverse varianti di un'unica domanda di base, che è: "in che modo la vostra esperienza può essere utile ad altri che si accingono a fare scelte simili?".
Queste interviste, infatti, non servono tanto a dare luce a questi personaggi (i quali, per lo più, non sono in cerca di pubblicità per questo aspetto della loro vita ma, semmai, per altri).
Lo scopo di queste interviste è piuttosto dare forza, coraggio, spunti, ammonimenti e ispirazioni a chi è ai primi incerti passi (ma anche a metà strada) di un analogo percorso di cambiamento, con tutte le sue incognite, i suoi rischi e  i suoi interrogativi.
Ebbene, quali sono, in concreto, questi interrogativi? Cosa vorrebbe sapere, chi se li pone, da chi l'ha preceduto su una strada simile?
Quindi forza con le vostre domande, se ne avete!
E' dalla forza e dalla puntualità delle domande che vi interessano che dipenderà la qualità e il senso di questa indagine, e l'interesse che essa può avere per i lettori.
Grazie sin d'ora a chi vorrà collaborare.
Potete DARE IL VOSTRO VOTO ALLE DOMANDE CHE VI SEMBRANO PIU' INTERESSANTI:
Chi volesse votare o proporre domande e suggerimenti in forma riservata (come anche segnalare che ha cambiato vita ed è disposto ad essere intervistato), può scrivermi all'indirizzo maltiero@alice.it
I nominativi di chi mi contatterà per email non verranno resi pubblici, senza specifica autorizzazione in tal senso. Chi lascerà commenti qui sotto o nelle bacheche delle pagine facebook sarà visibile in quanto autore di commento pubblico.


giovedì 20 giugno 2013

Colorare mandala: primo assaggio di uno dei prossimi eventi in agenda


Colorare figure e modelli predisegnati è un'attività proposta frequentemente ai bambini, i quali, praticandola, si esprimono liberamente attraverso il colore e al tempo stesso si esercitano a comprendere le strutture che preesistono a loro, imparano che ci sono delle regole da rispettare, dei limiti con cui confrontarsi, dei confini che delimitano e contengono le cose del mondo.
Un'attività di questo tipo, consigliabile in qualunque periodo della vita e non solo durante l'infanzia, è la colorazione dei mandala.
Personalmente la pratico da molti anni e, sin dal primo momento, chiunque mi abbia sorpresa a colorare un mandala ha finito con l'incuriosirsi, farmi domande e restare spesso coinvolto nell'attività a sua volta. 
Tra gli eventi che ho messo in programma a partire dal prossimo autunno, ci sarà anche una giornata dedicata ai mandala, ai loro significati simbolici, alle tradizioni spirituali che li accompagnano, all'utilizzo che ne viene fatto in alcuni contesti terapeutici e pedagogici, e a come, nel quotidiano, possiamo utilizzarli tutti, come semplice pratica di autoaccudimento e cura di sé.

Di seguito, un primo assaggio dell'argomento attraverso le parole di Ruediger Dahlke, medico e psicoterapeuta, autore di vari testi sull'interpretazione simbolica delle malattie, e pioniere nell'utilizzo dei mandala nelle terapie con i suoi pazienti.

Ruediger Dahlke
"Di fatto l'uomo è inserito in un ambiente predeterminato più di quanto egli stesso, almeno nel mondo occidentale, voglia ammettere. Il mandala, con le sue caratteristiche fisse, è una buona rappresentazione della nostra reale situazione. Colorando strutture preesistenti ci esercitiamo a inserirci in un modello che è anteriore a noi, e che non possiamo mutare radicalmente. Possiamo e dobbiamo tuttavia dargli un tratto intimamente personale. Anche se migliaia di persone colorassero lo stesso mandala, non ne risulterebbero due uguali, pur avendo tutti naturalmente la stessa struttura. [...]
E' senz'altro importante esercitare la creatività nel disegno libero e sperimentare il superamento dei confini tracciati dall'uomo [...]. Ancora più importante mi sembra tuttavia imparare a sottometterci nuovamente alle leggi cosmiche o divine, che, anche se non lo vogliamo, determinano la nostra vita.
Nella colorazione dei mandala questo avviene comunque in modo piacevole[...]
Quando parlo di leggi cosmiche, non  mi riferisco ai grandi nessi, quali la legge di polarità o di risonanza, bensì a cose più profane, come, per esempio, un'alimentazione appropriata, o la necessità di stabilire un rapporto naturale tra riposo e movimento. [...] 
L'uomo che non si attiene alle regole deve pagarne il prezzo. Il fatto che la stragrande maggioranza delle persone non se ne curi, non modifica la realtà.Il riconoscere ed accettare le leggi basilari della creazione rappresenta il passo più efficace per prendere possesso della propria vita. [...]

Soltanto chi è diventato maestro di comprensione, chi ha accettato che 'sia fatta la Tua volontà', potrà sfruttare appieno e in modo creativo il proprio potenziale. La colorazione guidata, ossia la comprensione di modelli predeterminati, è ugualmente importante per bambini e adulti. Quando bambini piccoli e più grandi si esercitano (anche utilizzando album da disegno) nella comprensione di strutture predeterminate, allo stesso tempo apprendono simbolicamente l'umiltà nei confronti della creazione. Questo li renderà capaci di dare successivamente espressione alla loro libera creatività in modo ancora più consapevole. Non è difficile osservare come proprio coloro che vanno incontro al mondo con umiltà, accettando il quadro generale della propria vita, siano gli stessi che più si distinguono dal punto di vista creativo." (Ruediger Dahlke)

Nei mandala esistono varie componenti che ne hanno ispirato l'impiego in pratiche spirituali, terapeutiche, pedagogiche.
Grazie al suo modello di rotazione completamente simmetrica, il mandala irradia armonia e quest'armonia viene percepita, e in un certo senso assorbita, da chi lo colora e medita su di esso.
Da un punto di vista simbolico, il mandala rappresenta il modello archetipico del cammino della vita, e può essere un'utile immagine di riferimento per chi si trovi in un momento di crisi, in cui ha l'impressione di aver smarrito la propria strada, la concentrazione sul proprio centro, la percezione degli aspetti essenziali della vita. In tali casi "è consigliato colorare i mandala cominciando dall'esterno",  suggerisce Ruediger Dahlke, perché "attraverso l'osservazione contemplativa o la meditazione, lo sguardo si sposterà spontaneamente verso il centro, proprio quello che dobbiamo ritrovare." 
Il mandala è anche un modo per riconciliarsi con la finitezza della vita fisica. "La morte, che da noi viene rimossa più di qualunque altro tema, appare come il centro del mandala della vita, e l'aspetto di (as)soluzione prevale sulle solite immagini spaventose. [...] Il centro del mandala è così determinante nel suo simbolismo che a nessun pittore verrebbe in mente di ometterlo, in segno di rifiuto verso questo passaggio della vita. I mandala ci confrontano con la finitezza della nostra vita in un modo che risulta sopportabile" 



Sintesi delle possibilità che si originano dai mandala
  • imparare a gestire i confini, ad accettare quelli fondamentali, ma anche a strutturare liberamente lo spazio che li separa;
  • trovare sé stessi, tranquillizzarsi, rinnovare le proprie forze;
  • centrarsi e concentrarsi, rimanendo rilassati;
  • orientarsi ad un modello di vita;
  • integrare meglio le esperienze;
  • imparare a vivere in risonanza con un modello;
  • vivere esperienze di unità;
  • sviluppare una personalità armoniosa;
  • attingere forza dal proprio centro

sabato 15 giugno 2013

Più sposati che felici - Un racconto di Sarah Ban Breatnach

"Chiesi una volta a un conoscente, un uomo sposato da più di venticinque anni,  se fosse felicemente sposato. Jack mi guardò stupito.
«Suppongo », rispose, come se fosse confuso dalla domanda, «di essere felice come può esserlo qualcuno ancora sposato. Mia moglie è una brava persona e abbiamo una vita - intendo amici, estati al lago, vacanze in famiglia. Siamo completamente d'accordo sui ragazzi», la voce si affievolì. Mentre alzava bovinamente le spalle con un sorriso timido, avrei voluto sentirgli il polso.
«Da quando ti senti così? », chiesi con la curiosità morbosa che solo una donna che ha appena concluso un lungo matrimonio può avere.
«Non so, è talmente tanto che non riesco a ricordare. Forse da sempre.» Cominciò a ridere a disagio. «Ma non fraintendermi...»
Non lo fraintesi. Sapevo esattamente quello che stava dicendo grazie a quello che non aveva detto, non aveva potuto o saputo dire. E mentre ero spiaciuta per lui, lo ero ancor più per la moglie. Per molti anni sono stata un colono e poi una sopravvissuta in una virtuale terra di nessuno - il contratto domestico a lungo termine -, un posto deserto dove sospettavo ora abitasse sua moglie. [...]
A un anno dall'inizio della nostra amicizia, Jack mi chiamò e mi chiese se potevamo trovarci per bere qualcosa. «Mi sono innamorato e non so cosa fare», confessò, quasi stesse ammettendo la scoperta di una malattia in fase terminale. «Non posso andarmene e non posso restare. Ogni volta che sono pronto  per dirlo a mia moglie, giro per casa e vedo le foto di famiglia, i miei libri. La sento in cucina come l'ho sentita per metà della vita e penso: 'Cosa ha fatto questa donna per meritare che io me ne vada dopo tutti questi anni?' Ma non c'è notte in cui siamo sdraiati accanto nel buio ed io non desideri di dormire tra le braccia di Anne. Però non ce la faccio a fare il passo. Non ancora. Così inveisco contro mia moglie senza un motivo, per allontanarla, per farmi odiare. Se mi odiasse, sarebbe più facile.
Poi, per giorni, non chiamo Anne. Non le telefono perché non ce la faccio a dirle che non posso andarmene o che tra noi è finita, perché so che non è così. Tra noi non finirà fino all'ultimo respiro. Ma devo fare qualcosa per riprendere il controllo, quindi l'allontano. Poi, quando la vedo sorridere di nuovo, penso: 'Come posso andarmene dall'amore della mia vita?  Ho cinquantadue anni. Come posso girare le spalle all'ultima esplosione di felicità?' Non ce la faccio, così chiedo ad Anne di darmi ancora un po' di tempo, come ha già fatto. Ma adesso dice che non c'è più tempo. Vuol essere in armonia con la sua vita, con o senza di me. (...) A volte desidero che mi lascino entrambe. Sto diventando matto» (...)
Gli credevo. Sapevo anche, dalla sua aria affannata e dagli occhi cerchiati di rosso, che probabilmente non si era mai sentito tanto vivo prima di allora e neanche tanto spaventato. (...)
«Be', se non riesci ad andartene per te stesso, fallo per tua moglie», gli dissi.
«Cosa vuoi dire? Sarà distrutta.»
«Sì. E anche furiosa. Ma c'è anche una forte possibilità che si senta segretamente sollevata. Grata perché la lunga prigionia è finita. Un marito non può essere tanto a lungo infelice da non riuscire neanche a ricordare quando è cominciata l'indifferenza verso la moglie senza che anche lei sia profondamente triste. Non c'è niente di più solitario dell'essere il partner inferiore in un rapporto senza amore. Non sarei sorpresa se, quando tra i singhiozzi riprende fiato, dicesse: 'Grazie, Signore. Che bastardo'».
«Da che parte stai? »
«Dalla tua. So che sei innamorato di Anne. Sembra che siate anime gemelle. So anche che sei un uomo onesto, Jack. Ma i tuoi figli sono cresciuti ed hanno la loro vita. Le scelte rivelano il nostro karma. Non è possibile che la vera scelta morale, quella coraggiosa, la scelta buona, sia andarsene? Se vogliamo essere felici, non credo che la vita ci chieda di scegliere tra fare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Credo che l'alternativa sia sempre di scegliere tra amare e imparare. Ti importa di tua moglie? »
Jack si risentì. «Certo che mi importa».
«Allora sii generoso. Trova il coraggio di andartene, non solo per te, ma per lei. Merita un uomo che la ami, che la voglia tra le braccia nel cuore della notte. Merita di essere felice come tu vuoi esserlo. Per qualche ragione te ne sei andato anni fa. Tutto quello che fai ora è chiudere la porta alle tue spalle».
E chiudere la porta all'infelicità è il passo fondamentale che dobbiamo compiere prima di aprire la porta successiva alla gioia." (Sarah Ban Breathnach, da "Qualcosa di più")
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martedì 11 giugno 2013

Aforismi sull'amore

Nel mondo c'è più fame d'amore che di pane.
(Madre Teresa di Calcutta)
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Non assomigli più a nessuna da quando ti amo.
(Pablo Neruda)
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L'amore è un concetto estensibile che va dal cielo all'inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l'infinito.
(Carl Gustav Jung)
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Segno certo d'amore è desiderare di conoscere, rivivere l'infanzia dell'altro.
(Cesare Pavese)
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Amare vuol dire cercare consciamente quel che ci è mancato e ritrovare spesso inconsciamente quel che abbiamo già conosciuto.
(Olivier)
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Ride delle cicatrici d'amore, chi non ha mai provato una ferita.
(William Shakespeare)
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Si ama solo cio' che non si possiede del tutto.
(Marcel Proust)
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Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.
(Robin Norwood)
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L'amore non è un problema, come non lo è un veicolo: problematici sono soltanto il conducente, i viaggiatori e la strada.
(Franz Kafka)
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E' vero che non conosciamo ciò che abbiamo, prima di perderlo ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
(Paulo Coelho)
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L'amore che tranquillizza il cuore in pace piena, regalami.
(Rabindranath Tagore)
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lunedì 10 giugno 2013

Perché disperarsi per il bozzolo quando la farfalla prende il volo? Un pensiero di Deng Ming-Dao sull'ultima soglia


"La morte è una delle poche certezze della vita, eppure la temiamo.
Con grande immaturità neghiamo la sua presenza e ci rifiutiamo di prenderla in considerazione. Nella vita, dove solo pochissime cose sono abbastanza stabili da costituire dei veri punti di riferimento, la morte è una garanzia.
Non si tratta di una fine, ma di una trasformazione. Ciò che muore è soltanto il nostro senso di identità, da sempre falso. La morte è la soglia di questa vita: al di là di essa vi è qualcos'altro, un mistero. L'unica cosa di cui possiamo essere sicuri, è che non si tratta di nulla di simile a questa vita.
Non lasciamoci abbattere dall'ammissione che nessuno conosce veramente la morte. Il massimo che possiamo fare è avvicinarci ad essa attraverso una delle cosiddette esperienze di morte apparente, che, per definizione, non corrispondono alla morte reale. Oppure esaminare il cadavere di chi è già morto, ma in questo caso vedremo soltanto che, chiunque o qualunque cosa animasse il corpo fino a poco prima, ora non c'è più. Quel cadavere è davvero il nostro amico morto? No. Chiunque egli fosse da vivo, ora non c'è più. A che pro disperarsi dunque per un guscio vuoto chiuso in una bara?
La morte definisce i limiti della vita. Entro tali limiti esiste la base su cui fondare le nostre decisioni. (...)"
(Deng Ming Dao, Il Tao per un anno)

venerdì 7 giugno 2013

Per la settima regola della serenità (Essere in sintonia con la natura e le creature viventi) - e un po' anche per la prima (Coltivare la gratitudine) - una poesia di Erri de Luca

Essere in sintonia con la natura e le creature viventi implica il riconoscimento di un valore in ogni forma di vita o di fenomeno naturale, in tutto ciò che di animato o inanimato ci circonda nell'universo. A volte  il riconoscimento di questo valore conduce all'idea di una grande forza creatrice, che per alcuni si chiama Dio e per altri invece no.
Per gli uni e per gli altri, tutti partecipi del medesimo stupefacente universo, l'augurio di riuscire comunque a riconoscerne sempre (e anche a goderne) il grande Valore e una poesia di Erri de Luca su ciò che lui stesso considera Valore.
Valore
di Erri de Luca
***
Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello 
che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.

giovedì 6 giugno 2013

Infortuni d'amore: amare un'ombra (dalla Gradiva di Jensen allo sguardo di uno sconosciuto in ascensore)

«Ma è possibile,
lo sai, amare un’ombra, ombre noi stessi.»
(Eugenio Montale)

***
Il racconto "Gradiva" di Wilhelm Jensen (1903), che tanto appassionò Sigmund Freud ("Il delirio e i sogni nella 'Gradiva' di Wilhelm Jensen"), narra la storia dell'archeologo Norbert Hanold il quale, visitando un museo di Roma, scoprì un bassorilievo che gli piacque così tanto da indurlo a procurarsene un calco in gesso, da portare a casa sua. Sul bassorilievo era raffigurata una donna che camminava con una naturalezza tale da sembrare quasi reale, e a cui egli impose il nome di  Gradiva, "colei che risplende nel camminare".  Norbert allora cominciò a provare una progressiva attrazione (sempre meno professionale) per la figura di pietra, finché fece un sogno: si trovava nell’antica Pompei proprio mentre il Vesuvio in eruzione stava per distruggere la città. Davanti a sé scorse la Gradiva e così gli balenò l’idea che entrambi fossero vissuti, contemporaneamente, nell’antica Pompei. Ma prima che egli potesse avvertirla, la Gradiva venne sepolta dall’eruzione. Il delirio allora s'impossessò di Norbert, finché la Gradiva  stessa entrò in un suo sogno e lo guarì (utilizzando peraltro - come sottolinea Freud - dei procedimenti  molto simili a quelli della psicoanalisi). Alla fine Norbert riconobbe in lei Zoe Bertgang, la graziosa vicina, un tempo compagna dei suoi giochi d’infanzia, e così i suoi sentimenti si spostarono dalla donna di pietra alla donna in carne ed ossa, rompendo il cerchio del delirio.
Bene, potrebbe dire qualcuno, e ora che ce ne facciamo di una storia del genere in quest'oasi di serenità?
Prendendo spunto da Freud e dai suoi suggerimenti su come interpretare i sogni, potrei ben rispondere che  a volte si può trattare un argomento, parlando del suo esatto contrario. Questo infatti mi consente di  agganciarmi alla nostra settima regola della serenità -  "Coltivare relazioni umane significative" - partendo da un peculiare infortunio d'amore: l'infatuazione senza relazione umana significativa!
E' un po' ciò che accadde, nella Gradiva, a Norbert Hanold, affascinato da un'ombra; è un po' ciò che potrebbe essere accaduto ad alcuni di noi intorno ai quindici anni, quando - nel rodaggio adolescenziale dei sentimenti - fantasticavamo  su personaggi irraggiungibili (attori, cantanti, calciatori e anche... professori!); è un po' quello che ad alcune persone va capitando anche in un successivo momento della vita, quando ormai non ci sono più né i colori né le giustificazioni dell'adolescenza, e tuttavia esse si ritrovano  conquistate inspiegabilmente da  qualcuno con cui non parlano, non escono, non condividono niente di realmente importante, o che addirittura letteralmente non conoscono!
Mi viene in mente, a riguardo, il caso di una donna che aveva chiesto un parere a Willy Pasini, perché si era infatuata di un vicino di casa, che non conosceva per niente, se non per averne intercettato qualche volta lo sguardo in ascensore. Il fatto era diventato ancora più problematico quando, dopo otto mesi di tanto "amore" da parte di lei, lui l'aveva "tradita" con un'altra. La signora allora l'aveva presa malissimo, e quasi si era decisa a cambiare casa, perché non sapeva davvero come fare a togliersi quel "traditore" dalla testa e dal cuore!
Può darsi che le spiegazioni della sua vicenda non fossero tanto dissimili da quelle che Jensen propone per il caso di Norbert Hanold. Tant'è che Willy Pasini commenta: "deve capire cosa lo sguardo di questo sconosciuto è riuscito a risvegliare. Forse l'aiuterà immaginare che il suo vicino di casa è solo un 'attaccapanni' , cui è appeso il ricordo di un altro uomo, che dormiva nella sua memoria, e che ora si è risvegliato in maniera tanto morbosa e nostalgica. Nella maggior parte dei casi, un'infatuazione di questo tipo non dura nel tempo e svanisce alla prima prova della realtà. Il mio consiglio, dunque, è di provare a parlare alla persona protagonista di questo sogno d'amore, di verificare da vicino la realtà che si nasconde dietro quello sguardo. E probabilmente lo sguardo smetterà di sembrare tanto affascinante. Sarà forse triste, ma sicuramente liberatorio.
Certo, in certi casi più favorevoli il colpo di fulmine può trasformarsi in innamoramento e poi in amore. Ma perché questo accada è necessaria una conoscenza reale dell'altro, e non solo la fantasia di amarlo." (Willy Pasini, "L'Autostima", 2001)
Tra delirio e realtà, insomma, ben venga la realtà, sperando che sia comunque una realtà d'amore, cioè una vera relazione umana significativa, che - se raggiunta - alla fine può riscattare anche certi aspetti un tantino... deliranti dell'iniziale infatuazione.
Lascio il finale a Sigmund Freud, con le sue conclusioni nell'opera citata: 
"La bella realtà ha ora vinto il delirio, tuttavia a quest'ultimo spetta ancora un onore prima che i due abbandonino Pompei. Giunti alla Porta di Ercolano, dove all'inizio della Strada consolare un passaggio con le antiche pietre attraversa la strada, Norbert Hanold si arresta e prega la ragazza di andare avanti. Essa lo comprende "e sollevando un po' l'abito con la mano sinistra, Zoe Bertgang, Gradiva rediviva, avvolta dallo sguardo trasognato di lui, attraversò le pietre del passaggio fino all'altro lato della strada, sotto la luce del sole, col suo caratteristico passo agile e tranquillo". Col trionfo dell'amore, trova ora riconoscimento anche quanto vi era di bello e prezioso nel delirio."

Per chi fosse interessato al racconto "Gradiva" di Wilhelm Jensen, segnalo che oggi a Roma, alle 18, ne verrà presentata una nuova edizione illustrata da Cecilia Capuana (per dettagli sull'evento clicca qui).
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Vedi anche su facebook "Sera di Luna"
pagina di spunti su Amore & Co. collegata a questo blog
https://www.facebook.com/seradiluna1

martedì 4 giugno 2013

Il fatto che io sia io, e non un altro... Un pensiero di Haruki Murakami sull'essere sé stessi

"Come ho già detto, sia nella vita quotidiana sia in campo professionale, lanciarmi in una competizione con qualcun altro per stabilire chi vale di più e chi meno non è nel mio stile di vita. So di dire una banalità, ma il mondo è bello perché è vario. Ognuno ha il proprio sistema di valori, e in base a questo sistema si comporta nel corso dell'esistenza. Io ho il mio, ed è quello a cui mi attengo. Questa disparità di opinioni ingenera nella vita di ogni giorno delle piccole sfasature, e può succedere che l'accumulo di tante piccole sfasature porti allo sviluppo di grandi incomprensioni. Il risultato è che si ricevono critiche prive di fondamento. Di certo non ne nasce nulla di piacevole. Anzi, può accadere di sentirsi profondamente feriti. E questa è un'esperienza molto dolorosa.
Tuttavia, man mano che avanzo negli anni, a poco a poco sono arrivato ad ammettere che dolori e ferite di questo genere in una certa misura sono necessari. A pensarci bene, una persona riesce a costruire la propria personalità e a preservare la propria autonomia proprio perché è differente da tutte le altre. Nel mio caso, tanto per fare un esempio, se riesco a scrivere dei libri è perché in un paesaggio vedo cose diverse da quelle che ci vede un altro, sento cose diverse e scegliendo parole diverse riesco  a costruire storie che hanno una loro originalità. Si creano così delle circostanze straordinarie per cui un numero non esiguo di persone si procura i libri in cui queste storie sono narrate e li legge. Il fatto che io sia io, e non un altro individuo, per me costituisce un patrimonio prezioso. Le ferite spirituali non rimarginate sono il prezzo che gli esseri umani devono pagare per la loro indipendenza." (Haruki Murakami, L'arte di correre)