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domenica 23 novembre 2014

Istruzioni su come aggiungere alle vostre cerchie la mia pagina locale Google+


Un caloroso benvenuto a tutti gli amici che in questi giorni stanno cliccando "segui" sulla mia pagina locale di Google+. 
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Chiunque altro abbia piacere di fare altrettanto, può:,
- o cliccare sul bottone "segui", che compare qui sul blog  nella colonna a destra, sotto la scritta "Psicologa Dr.Maria Michela Altiero" (che è diverso dal bottone "segui" corrispondente al profilo personale, che sta accanto alla mia foto, e che anche si può cliccare, certo, ma è un'altra cosa...);
- oppure, se non riesce a visualizzare il bottone sul suo dispositivo, seguire le seguenti istruzioni.
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Istruzioni:
1) andare al link https://plus.google.com/113384033826731807116/about?showBlocked=true
2) se a sinistra compare un bottone rosso con la scritta "segui", cliccate lì ed è fatta; 
3) se non dovesse comparire, provate a cliccare (nel riquadro bianco a destra) su "scrivi recensione"; appare una schermata per la recensione. Si può cliccare "Annulla" e procedere: a quel punto appare a sinistra il tasto rosso con la scritta "segui", Fare clic...

Da quel momento la mia pagina è aggiunta alle vostre cerchie e ne riceverete gli aggiornamenti pubblici su Google+.

Se non avete ancora un profilo Google+, la procedura vi chiederà di crearlo in corso d'opera (è una cosa relativamente semplice che offre anche qualche utilità).
Ciao a tutti!

giovedì 20 novembre 2014

Il buddhismo zen e la depressione - Citazioni dal libro di Cheri Huber "Il dono della depressione. Il male oscuro come opportunità di crescita spirituale"

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Questo piccolo libro non vuole spiegare e nemmeno curare la depressione. Perciò non pensiate che vi suggerisca di fare a meno di terapie mediche o psicologiche. La sua proposta fondamentale è di considerare la depressione, come qualsiasi altra cosa della vita, un dono che può contribuire alla vostra crescita spirituale. Se riuscite a provare compassione per voi stessi, quando siete avvolti nel dolore impalpabile della depressione, forse vi accorgerete che è proprio così.
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Quando siete rattristati, permettetevi di sentire qualsiasi sensazione si affaccia in voi, invece di aggrapparvi al modello di come dovreste essere. Non è vero che certe sensazioni vanno bene ed altre no. "Bene" e "non bene" sono pensieri. Quando vogliamo che le sensazioni stiano sotto il controllo dei pensieri, ci mettiamo in difficoltà.
Il problema non è la sensazione ma il giudizio a cui la sottoponiamo.
Potremmo sentire qualsiasi cosa, ma se non pensassimo che in qualche modo quel che sentiamo è sbagliato, non ci sarebbe alcun problema. Il problema nasce quando rifiutiamo noi stessi per quel che sentiamo.
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In realtà quel che facciamo delle nostre sensazioni determina la qualità della relazione con noi stessi.
Siamo responsabili verso quel che sentiamo e non a causa di quello che sentiamo.
Se riusciamo a creare un luogo protetto, amorevole, dentro noi stessi, per quel che sentiamo, allora riusciamo a crearlo per tutti gli aspetti di ciò quel che siamo.
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Va bene essere quel che siete,
va bene sentire tutte le sensazioni che sentite.
E' questo che caratterizza gli esseri senzienti: le sensazioni.
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La rinuncia alla tua vita ti ha portato a essere accettato e approvato come hai sempre cercato?
Non essere chi sei veramente ti ha portato la gioia e la soddisfazione che desideravi?
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Sentirvi colpevoli di come siete
non fa altro che derubarvi della vostra vita.
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Va bene 
sentire qualsiasi cosa sentiate
pensare qualsiasi cosa pensiate
essere comunque siate
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Potete aprirvi alla possibilità che se foste quel che veramente siete, otterreste l'approvazione e l'accettazione che avete sempre cercato?
Se non altro, da voi stessi?
L'unica approvazione di cui andare in cerca è la nostra.
Se sento di aver fatto un buon lavoro, mi sento bene. Altrimenti no.
In realtà
non importa quel che pensano gli altri.
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Intraprendete una pratica di consapevolezza che vi aiuti a lasciar andare le credenze e le supposizioni su come voi e il mondo dovreste essere. Questo vi renderà capaci di vivere nel momento presente calmando il corpo, la mente, lo spirito e l'emozione. 
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La meditazione è praticata in tutto il mondo da migliaia di anni.
Nelle culture in cui la meditazione è un aspetto essenziale della vita religiosa, i praticanti hanno imparato che sedersi in una certa postura - la spina dorsale diritta, il corpo rilassato contribuisce a conservare la consapevolezza. Il dolore fisico e la sonnolenza vengono minimizzati.
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UNA POSTURA DI MEDITAZIONE 
Sedete sulla parte anteriore (circa un terzo) di un cuscino. Se usate uno sgabello, state bene avanti.
Aggiustate la posizione delle gambe, fino a trovarne una che possa essere comodamente mantenuta.
Rafforzate la postura, spingendo in su dalla base della spina dorsale. Immaginate di dover toccare il soffitto con la cima della testa.
Mentre lo fate, il mento rientrerà leggermente.
Il bacino si inclina leggermente in avanti.
Spalle e addome rilassati.
Gli occhi sono aperti, lievemente fuori fuoco, e abbassati, guardano il pavimento o il muro con un angolo di 45 gradi.
Le mani sono nel mudra cosmico. La mano destra pochi centimetri sotto l'ombelico, con il palmo in su. La mano sinistra, pure col palmo verso l'alto, sta dentro la mano destra. Le punte dei pollici si toccano, formando un ovale.
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Il respiro 
Per essere presenti e all'erta, in meditazione, può essere utile concentrarsi sulla respirazione. Quando sedete, respirate naturalmente e normalmente. Alla prima espirazione contate 1, alla successiva 2 e continuate fino a 10. A questo punto ripartite da 1.
Concentratevi sul respiro quando entra nel corpo, lo riempie, lo lascia.
Se l'attenzione divaga, dolcemente riportatela al presente e ricominciate a contare.
Fatelo per circa 30 minuti. Non è una gara. Il punto è essere presenti e consapevoli con compassione.
Essere dolcemente presenti a sé stessi per 5 minuti sarà più utile che bacchettarvi per 30. Se la scelta è tra una meditazione gentile e una lunga, scegliete la prima, perché l'atteggiamento della mente/cuore è tutto.
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martedì 18 novembre 2014

Ritrovare se stessi nell'orto o in giardino - Pensieri di Pia Pera e Clarissa Pinkola Estés


"Sarà poi vero che l'orto fa bene?
Vediamo.
Una giornata di irrequietezza, sono nervosa e distratta, non riesco a concentrarmi su nulla. Nemmeno so cosa voglio. Mi sento scontenta. Quasi non so cosa ci faccio al mondo.
Prendo la via dell'orto.
Questo vuol dire: legarsi alla cintola il fodero con le cesoie, attraversare il giardino, strada facendo tagliare un rametto secco, già che ci sono passare dal frutteto a vedere se le more di gelso sono mature. Sì, le prime: belle nere, così sugose che quando le stacco per mettermele in bocca mi tingono le dita.
Già solo a mangiare le more mi sono scordata del mio malumore. Quando arrivo nell'orto non so più nemmeno perché ci sono venuta. Mi guardo intorno. Uh, i pomodori sono cresciuti, vanno legati alla canna sennò col vento si spezzano, e poi diventano tutti un intrico. Le zucchine hanno sete. Il basilico va cimato, magari ci faccio un pesto.
Traffico tra le piante e loro mi dicono perché sono qui: hai noi da accudire. Prenditi cura di noi, ricambieremo con un invito a pranzo. Ti daremo il meglio di noi.
E' già qualcosa. Non sarà ancora del tutto chiaro, cosa ci faccio al mondo, ma da questo suo frammento una risposta incoraggiante mi arriva. Mi sento meno sgomenta.
Bello, il semplice essere qui. Come sarebbe triste, non esserci affatto!
Torno a casa col cestino pieno di cose buone. Il vento ha soffiato via le nubi, vedo l'azzurro del cielo."
(Pia Pera, Giardino & Ortoterapia)
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"Talvolta, per avvicinare una donna alla natura Vita/Morte/Vita, la invito a curare un giardino, sia esso un giardino psichico o uno con fango, sporcizia, verde, e tutto ciò che circonda e aiuta e assale. Diciamo che rappresenta la psiche selvaggia. Il giardino è un collegamento concreto con la vita e con la morte. Si potrebbe dire che esiste addirittura una religione del giardino, poiché insegna profonde lezioni psicologiche e spirituali. Tutto ciò che può accadere a un giardino può accadere all'anima e alla psiche - troppa acqua, troppo poca, cimici, caldo, tempesta, inondazione, invasione, miracoli, morte, rinascita, grazia, guarigione.
Mentre curano il giardino, le donne tengono un diario, su cui registrano i segni di vita e di morte. Nel giardino ci esercitiamo a lasciar vivere e morire pensieri, idee, preferenze, desideri e perfino amori. Piantiamo, strappiamo, seppelliamo. Dissecchiamo i semi, li seminiamo, li sosteniamo.
Il giardino è un esercizio di meditazione, per capire quando è tempo per alcunché di morire. In giardino si vede arrivare il tempo del godimento e quello della morte. In giardino ci si muove con e non contro le inspirazioni e le espirazioni della più grande Natura selvaggia.
Mediante questa meditazione, riconosciamo che il ciclo Vita/Morte/Vita è naturale.  [...] In questo processo diveniamo come il selvaggio ciclico. Abbiamo la capacità di infondere energia e rafforzare la vita, e di non interferire con quel che muore."
(Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi)
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"La solitudine del giardino non è isolamento.Tutt'altro.
Tra le piante, prendendosi cura di loro, si intrecciano fili invisibili che permettono di sentirsi connessi alla rete della vita."
(Pia Pera, Giardino & Ortoterapia)

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(Tutte le immagini di questo post riproducono opere di Jennifer Knauss)
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domenica 16 novembre 2014

Rimpianti o rimorsi? Un pensiero di Aldo Carotenuto

"I rimpianti sono dei veri e propri spettri, sempre in agguato e pronti a devastare la nostra vita costringendoci a immaginare in modo doloroso come sarebbero potute andare le cose se solo si fosse riuscito a trovare il coraggio di osare.
A differenza del rimpianto, che implica una specie di dubbio amletico dovuto al non aver agito affatto, il rimorso consiste in un tarlo, in un cruccio provocato dalla consapevolezza di aver agito male, di aver preso la decisione sbagliata, di aver combinato un guaio. Non vi è dubbio che i rimorsi siano in grado di assillarci fino allo sfinimento eppure, soprattutto in amore, sono preferibili ai rimpianti. Il rimorso implica l'aver agito, l'essere stati in grado, ad esempio, di chiudere un rapporto che non funzionava più, per viverne un altro liberamente, ma implica anche il farsi carico di tutte le responsabilità e conseguenze che una simile azione può comportare. I rimorsi affiorano quando ci apriamo alla vita e ai sentimenti senza esitare, quando accettiamo di correre dei rischi pur di esprimere senza mentire ciò che proviamo. Ma vivere significa anche guardarsi allo specchio e rendersi conto all'improvviso di avere sbagliato tutto, di avere abbandonato nostro marito o nostra moglie per una persona che avevamo immaginato diversa, di avere mandato in frantumi un rapporto che invece era quello giusto per noi, di avere fatto soffrire qualcuno che non meritava tanto dolore. E' questa la normalità degli eventi: rischi, vittorie, sconfitte.
Accettare che le cose stiano in questo modo vuol dire compiere il primo e più importante passo verso la consapevolezza nei confronti della vita, ma significa anche accettare l'eventualità che le esperienze si trasformino in fallimenti, in rovinose cadute che trascinano verso il basso non solo noi stessi, ma anche le persone che ci circondano. Eppure è più utile e salutare accumulare rimorsi piuttosto che vivere di rimpianti. Poiché rimpiangere significa, su un piano metaforico, avere rinunciato a vivere, essersi sottratti alle esperienze e chiedersi, giorno dopo giorno, in modo quasi ossessivo, "come sarebbe stato se". "
(Aldo Carotenuto, Il gioco delle passioni)  
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martedì 11 novembre 2014

A proposito del... mago della pioggia. Due citazioni

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Richard Wilhelm si era trovato in un remoto villaggio cinese colpito da una tremenda siccità. Gli abitanti avevano fatto di tutto per mettervi fine, ricorrendo a preghiere e a incantesimi di ogni sorta, ma sempre invano, sicché gli anziani del villaggio avevano detto a Wilhelm che l’unica soluzione possibile era di far venire un mago della pioggia da lontano. La cosa interessò enormemente Wilhelm, il quale era riuscito ad essere presente all’arrivo del mago della pioggia. Questi, un vecchietto grinzoso, era giunto a bordo di un carro coperto. Scesone, aveva fiutato l’aria con espressione disgustata e quindi chiesto che gli fosse assegnata una capanna alla periferia del villaggio, ponendo come condizione che nessuno lo disturbasse e che il cibo gli fosse lasciato fuori dell’uscio. Per tre giorni non se n’era saputo più nulla. Poi, il villagggio era stato svegliato da un vero e proprio diluvio; era persino nevicato, cosa del tutto insolita in quella stagione.
Wilhelm, rimastone grandemente impressionato, era andato dal mago della pioggia uscito dalla sua volontaria reclusione, al quale aveva chiesto meravigliato: «Sicché, tu puoi far davvero piovere?».  Il vecchio s’era messo a ridere rispondendo che «naturalmente» non poteva far piovere affatto. «Ma finché tu non sei venuto»  gli aveva fatto osservare Wilhelm «c’era una terribile siccità. Poi passano tre giorni, ed ecco che si mette a piovere». E il vecchio:  «Ma no, le cose sono andate in tutt’altro modo. Vedi, io provengo da una regione dove tutto procede per il meglio, piove quando è necessario e fa bel tempo quando occorrre, e anche la gente è a posto e in pace con se stessa. Non così invece con la gente di qui, la quale è fuori dal Tao e fuori di sé. Quando ho messo piede  nel villaggio sono stato subito contagiato, per cui ho dovuto starmene da solo finché non sono tornato nel Tao, e allora com’è ovvio s’è messo a piovere.»”
(Barbara Hannah, Vita e opere di C.G.Jung)
 ***
“I maghi della pioggia non fanno nulla per far piovere; si limitano ad andare al villaggio e a restarvi e la pioggia viene. Non fanno espressamente venire la pioggia; la lasciano venire o, più esattamente, la loro atmosfera interiore del consentire e sostenere la realtà, crea un clima in cui ciò che dev’essere si attua. […]
Spesso la gente qualunque usa senza saperlo i principi base della magia e non pensa neppure lontanamente di star facendo della magia. Il genitore che sa che il modo migliore per acquietare un figlio troppo agitato è quello di calmarsi profondamente lui stesso, si comporta da mago della pioggia o da guaritore. La calma è contagiosa esattamente come lo è l’isteria. Probabilmente tutti abbiamo conosciuto persone che emanano pace e affettuosità, e certe volte ci basta stare vicino a loro per sentirci meglio. Viceversa conosciamo persone il cui mondo interiore è caotico e disperato, e quello stato interno si riflette su chiunque li circonda.
In questo senso siamo tutti Maghi. 
(Carol S. Pearson, Risvegliare l'eroe dentro di noi)
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sabato 8 novembre 2014

Mitologia e psicologia. 9) Eros e Psiche: una Psico-storia d'Amore. PARTE SECONDA

(Vai alla PARTE PRIMA)
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Dopo che Eros l'ebbe lasciata, la povera Psiche era talmente disperata che decise di togliersi la vita gettandosi in un fiume.
Ma il fiume la salvò e la depose dolcemente sulla riva.
Qui si trovava casualmente il dio Pan, che esortò Psiche a smettere di piangere, a non pensare più di uccidersi, e piuttosto a darsi da fare per riconquistare Eros. 
Psiche allora si mise in cammino.
Per prima cosa si recò dalle sue sorelle, disse loro  che il suo sposo l'aveva lasciata per ciò che lei aveva fatto e, mentendo, fece credere a ciascuna di loro che ora Eros voleva in sposa proprio lei.
Così, una alla volta, entrambe le sorelle si recarono sulla rupe e da lì si lanciarono nel vuoto, convinte che Zefiro le avrebbe sollevate e condotte da Eros. Ma Zefiro non venne ed esse si sfracellarono tutt'e due sulle rocce.
Poi Psiche andò a chiedere aiuto alle dee Demetra ed Era, ma nessuna delle due glielo concesse per non inimicarsi Afrodite. Quest'ultima infatti aveva scoperto la relazione tra Psiche ed Eros (visto che lui, ustionato, era andato a rifugiarsi  proprio nel letto materno!) ed era incollerita con entrambi. Il figlio l'aveva già punito mettendolo  in isolamento in una camera ed ora voleva fare i conti anche con lei. 
Allora Psiche si recò spontaneamente da Afrodite per cercare di venire a patti con lei.
Ad accoglierla trovò una delle sue serve più crudeli, Consuetudine, che la ingiuriò e la maltrattò ben bene, prima di trascinarla per i capelli al cospetto della dea.

Afrodite, nel vederla, la coprì a sua volta di ingiurie, la fece torturare dalle sue perfide ancelle Affanno e Tristezza, la percosse, le stacciò le vesti, e alla fine di tutto questo - non sazia - le impose, uno dopo l'altro, quattro difficilissimi compiti, vere e proprie prove ai limiti dell'impossibile.
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Prima prova: Afrodite mescolò tra loro  un grosso quantitativo di semi misti (frumento, orzo, miglio, semi di papavero, ceci, lenticchie, fave) e ne fece un unico grande mucchio
Quindi ordinò a Psiche di dividerli per tipo e di farne tanti mucchi separati, ultimando il lavoro prima di sera.
Il compito sembrava impossibile, e infatti Psiche non tese neanche la mano per provare.
Per fortuna  intervenne in suo aiuto un’armata di formiche che separò ogni seme dagli altri, ad uno ad uno, andando poi a collocarlo nel rispettivo mucchio.
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Seconda prova: Afrodite  ordinò a Psiche di portarle un fiocco di lana del mantello d’oro di certi terribili arieti del sole che vagavano incustoditi in un bosco lungo il fiume: bestie immense, aggressive e con le corna, che lottavano tra loro.
Psiche si avvilì talmente che fu tentata un'altra volta di farla finita gettandosi nel fiume,  ma una canna che cresceva lì nell’acqua le suggerì come fare.
Doveva aspettare, le disse, il calar del sole, quando gli arieti si disperdevano e si addormentavano. Allora sarebbe potuta  uscire allo scoperto e raccogliere i fiocchi di la lana rimasti impigliati nei rovi contro cui le bestie si erano strofinate.  Psiche fece così e superò la seconda prova.
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Terza prova: Afrodite consegnò a Psiche un’ampolla di cristallo e le disse di riempirla con l’acqua di un fiume circolare, sorvegliato da draghi, la cui acqua sgorgava da una fonte in alto sulla montagna, poi andava fin giù negl’inferi per poi ritornare ancora alla fonte da cui sgorgava.  L’impresa paralizzò Psiche, tanto le sembrava  impossibile.
Ma venne  in suo soccorso un’aquila che prese la sua ampolla e gliela riempì, cosicché Psiche poté consegnarla ad Afrodite.
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Quarta prova: Infine Afrodite ordinò a Psiche di scendere negl’Inferi con uno scrigno e di chiedere per suo conto a Persefone di riempirlo con il suo unguento di bellezza.
Psiche credette che questo significasse dover morire, ma la stessa torre da cui stava per  gettarsi,  le dette tutte le istruzioni necessarie per portare a termine incolume il difficile compito.
Tra l'altro l'avvisò che per ben tre volte, durante il viaggio, persone supplichevoli avrebbero chiesto il suo aiuto, ma tutte le volte lei avrebbe dovuto resistere alla compassione e  non cedere alle loro richieste, altrimenti non ce l'avrebbe fatta.
Infine le raccomandò di non aprire per nessuna ragione lo scrigno prima di riconsegnarlo ad Afrodite.
Psiche eseguì alla lettera tutte le istruzioni ricevute dalla torre e così riuscì effettivamente ad andare e tornare dagli Inferi sana e salva, con il suo cofanetto riempito da Persefone.
Quando era ormai uscita alla luce del cielo, tuttavia, desiderò ardentemente possedere un po' della divina bellezza che trasportava, all'unico scopo di essere più bella agli occhi del suo amato. Allora aprì lo scrigno e, così facendo, fu investita da un sonno infernale, che la fece stramazzare al suolo come morta.
Eros frattanto, rinvigorito dal lungo riposo e ormai guarito, era riuscito  a liberarsi dalla camera dov'era rinchiuso.
Raggiunse quindi Psiche in volo e  la liberò dal suo sonno.
Poi corse da Zeus e lo convinse a lasciargliela sposare.
Zeus allora ordinò che fossero celebrate le nozze e, perché fossero davvero eterne, fece bere a Psiche un bicchiere di ambrosia che la rese immortale come gli dei.
Così Psiche ed Eros si sposarono e, quando venne il momento del parto, nacque da essi una figlia a cui fu dato il nome di Voluttà.
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Una cosa che potrebbe lasciarci perplessi, in questa seconda parte della storia di Eros e Psiche, è che per andare incontro all'Amore, Psiche debba superare tutta una serie di prove che apparentemente non hanno niente a che fare con il suo sposo, ma piuttosto hanno a che fare con se stessa, i suoi limiti e la sua difficoltà ad affrontare da sola le scelte e le sfide della vita.
Quasi a voler intendere che, prima ancora di poter costruire un buon rapporto con un'altra persona, ognuno di noi deve essere capace di costruire un buon rapporto principalmente con se stesso.
Questa fiaba può essere infatti interpretata come metafora del cammino dell'Anima umana verso la piena  consapevolezza di se stessa, ed anche, più specificamente,  come metafora del percorso evolutivo che la psiche femminile deve compiere per passare da uno stato di totale indifferenziazione ad un rapporto vero e maturo con il maschile, possibile solo se l'incontro avviene tra due individualità separate e distinte.
La meta di Psiche, insomma, sarebbe di unirsi al suo amato preservando  al tempo stesso la propria individualità, il che implica uscire dallo stato fusionale proprio della fase dell'innamoramento ed andare verso l'amore maturo, fatto di mutuo scambio (di esperienze, emozioni, pensieri, gesti concreti e simbolici) tra due persone separate e distinte (che non sono più un tutt'uno), e dove l'arricchimento reciproco intanto è possibile in quanto ciascuno possieda e alimenti dimensioni di personale ricchezza,  che può portare nella coppia e donare anche all'altro. 
Sembrerebbe questo del resto anche il punto d'arrivo di Psiche, a conclusione del suo tortuoso cammino costellato di prove.
Le supera tutte, per quanto apparentemente impossibili, ma poi alla fine, quando è ormai uscita anche dagli Inferi, viola inspiegabilmente il divieto di aprire il cofanetto della bellezza e cade nel sonno infernale.
Ha rovinato tutto giusto ora?
No, sembra dire la storia, ha fatto bene.
Tant'è vero che arriva anche il lieto fine.
Il gesto di Psiche di aprire il cofanetto non è stato infatti un atto di vanità o di semplice curiosità, ma un vero e proprio gesto d'amore: voleva essere bella agli occhi del suo amato.
Il che equivale a dire: donandoti me stessa, voglio donarti una bella persona, cioè una persona che si è coltivata ed è stata capace di portare alla luce il meglio di se stessa e quindi ha qualcosa di buono da donare anche a chi ama. Al tempo stesso, però, sono un essere umano e non una dea. Quindi, per quanto mi impegni, resto comunque fallibile (dal cofanetto è uscito ciò che non avevo previsto) e anche vulnerabile (posso cadere), ma proprio questo consente anche a te di fare la tua parte nella nostra storia affinché il nostro amore possa compiersi ed essere vitale. 
Come a dire che la conquista dell'Amore con la "A" maiuscola non può essere mai l'avventura solitaria di un solo membro della coppia. 
L'impegno è sempre reciproco (anche Eros ha dovuto fare il suo volo verso Psiche), ognuno dei due partner esiste individualmente con la sua storia (anche Eros ha avuto bisogno di un suo tempo per rinvigorirsi e per sanare le sue ferite), e ognuno dei due partner merita il pieno riconoscimento della propria individualità da parte dell'altro (Eros infatti sveglia Psiche, ed entrambi possono finalmente guardarsi in viso alla luce del sole e riconoscersi). 
E' solo a questo punto che avviene tra Eros e Psiche il matrimonio sacro, che li vedrà uniti al cospetto degli dei in pari dignità (Psiche diviene immortale come Eros), consentendo infine all'Amore Psichico di produrre gioia, piacere, felicità (viene al mondo Voluttà).
***
Tutto questo, per noi comuni mortali, equivale un po' a dire che, se vogliamo accedere alle dimensioni più mature e produttive dell'Amore, dobbiamo far sì che la reciproca attrazione tra i partner si fondi sulla loro capacità di coniugare:
- lo stare bene insieme (nella costruzione del futuro, nel portare avanti la stessa visione della vita, nel supportarsi e sostenersi reciprocamente, ed in genere nel condividere aspetti salienti dell'esistenza)
- con una giusta distanza tra loro (che serve a preservare l'autonomia e  l'individualità di ciascuno dei due, consentendogli di essere pienamente se stesso pure insieme all'altro).  
***
A volte, quando tutto ciò non avviene, la coppia può diventare il luogo della simbiosi, perché tende a perpetuare la dimensione fusionale dell'innamoramento ben oltre la prima fase del rapporto, rendendola una condizione duratura nella quale il me e il te restano imprigionati nel noi della coppia.
L'altro allora non è "l'altro da me da amare" ma è piuttosto "una parte di me", su cui  rivendico soprattutto  il possesso, anche a costo di togliergli la libertà e farne un mio prigioniero.
Tutto questo può togliere linfa vitale al rapporto e farlo diventare soffocante; può alimentare un clima di  gelosia possessiva e favorire l'esplosione della violenza nella coppia; può portare a un calo del desiderio tra i partner (perché l'attrazione richiede sempre un po' di distanza persino... tra due calamite) e può avere anche ricadute negative sui figli, che possono sentirsi esclusi e "non visti" dai genitori (perché, se tra mamma e papà non c'è spazio per nessuno, probabilmente non ce ne sarà nemmeno per loro).
Insomma, si potrebbe anche dire che se il viaggio di Psiche prende le mosse dall'intenzione di uccidere un mostro, forse il mostro che si nascondeva davvero nel buio dell'alcova incantata era proprio questo: la minaccia del rapporto fusionale-simbiotico che uccide l'individualità e non consente all'amore di crescere ed evolvere nella sua forma più matura e appagante.
Un mostro che dobbiamo riuscire ad uccidere,  prima che sia lui ad uccidere noi.

Detto questo, è pur vero che nei rapporti di coppia non sempre è facilissimo raggiungere un buon equilibrio tra il naturale desiderio di condividere con il partner tempo, emozioni, progetti, impegni, eventi, vita domestica, ed il bisogno di preservare la propria individualità, ritagliandosi spazi e tempi tutti per sé.
La condivisione dopotutto è alla base del legame, e andare verso se stessi a volte può sembrarci un vero e proprio attacco alla coppia o un torto fatto a chi non lo merita.
Così possiamo vivere un conflitto. 
Qualcuno magari lo risolve rinunciando agli spazi personali in nome della relazione, qualcuno a un certo punto esplode e manda all'aria la coppia, qualcun altro si scinde in una specie di doppia vita che lo porta a recitare la parte del bravo partner  nei momenti condivisi e a darsi  alla pazza gioia appena non è in coppia. 
Ora, se la chiave della felicità è un ferro sempre difficile da reperire in qualunque cassetta degli attrezzi, ci sono tuttavia tre strumenti che ogni tanto vengono consigliati dagli esperti a chi vuole stare bene in coppia e preservare nel contempo se stesso. Essi sono:
- la conoscenza di sé, che ci consente di avere chiarezza riguardo ai nostri bisogni e a ciò che è davvero importante per noi;
- la lealtà, che ci fa essere autentici e privi di maschere verso il nostro partner; 
- e la fermezza, che ci consente di non abbandonare per debolezza i nostri buoni propositi riguardo a ciò che ci siamo ripromessi di fare sia per il nostro bene sia per il bene della coppia.
***
A chiunque sia interessato ad approfondire l'interpretazione psicologica della storia di Eros e Psiche, consiglio di leggere
il bellissimo libro di Erich Neumann, Amore e Psiche, edito da Astrolabioo anche - qui su internet - il pregevolissimo studio di Giulia Gentile, Con Eros e Psiche per le strade dell'Anima (clicca qui).
***
Segnalo inoltre che proprio stasera a Napoli, nel Tunnel Borbonico, verrà messa in scena la fiaba di Eros e Psiche. (per maggiori informazioni clicca qui)
***
Ed ora - dulcis in fundo - passiamo a una lettura (ispirata dal libro "Le dee dentro la donna", di Jean S. Bolen) delle quattro prove a  cui  Psiche fu sottoposta da Afrodite, immaginando che si tratti di altrettanti compiti richiesti ad una donna per preservare la propria individualità, quando ha la tendenza ad annullare se stessa come persona nelle relazioni, a causa del ruolo centrale che queste ultime rivestono nella sua vita. 
***
Il primo compito, DIVIDERE I SEMI, è un invito alla donna a fare ordine laddove c'è confusione.
Può trattarsi per esempio di cominciare a separare ciò che per lei ha realmente valore nella vita da ciò che non ne ha, per impedire così a ciò che non conta di distogliere energie preziose da ciò che per lei è importante.
Può trattarsi però anche di un compito squisitamente interiore, che la donna deve assolvere: e cioè  guardarsi dentro e cercare di mettere ordine nel suo  groviglio di sentimenti, emozioni, pensieri e tendenze contrastanti.
Quanto alle formiche, esse sembrano contenere un invito a fidarci dei nostri processi intuitivi e a tollerare i momenti di confusione senza agire, fino a che la chiarezza non emergerà spontaneamente da dentro di noi.
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Il secondo compito, PRENDERE UN FIOCCO DI LANA DEL VELLO D'ORO, pone alla donna la questione di come conciliare la sua assertività con la sua femminilità . La conquista del potere e l'affermazione di sé, infatti, se attuati attraverso una lotta aggressiva come su un  campo di battaglia, possono rendere una donna perdente nelle sue lotte, e metterla semplicemente in una luce dura e distruttiva, agli occhi degli altri, senza reali vantaggi.
Affermare i propri bisogni con interminabili confronti aggressivi non le garantisce infatti né che i suoi discorsi vengano ascoltati né che alla fine essa ottenga realmente ciò che vuole.
Meglio allora fare come suggerisce la flessibile canna a Psiche:  attendere il momento giusto,  conquistare il potere gradualmente e per vie traverse, ed affermare se stesse senza scontri diretti.
Riuscire in questa difficilissima impresa, può consentire a una donna di restare una persona tenera e comprensiva (e quindi molto femminile) ma al tempo stesso di preservare se stessa nella relazione con gli altri e non farsi schiacciare.
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Il terzo compito, RIEMPIRE L'AMPOLLA DI CRISTALLO CON L'ACQUA DEL FIUME CIRCOLAREpone alla donna la questione di come immergersi nel flusso della vita senza lasciarsi travolgere, e  riuscire alla fine a dare alla propria vita una forma che per lei sia significativa.
L'aquila che interviene in suo aiuto rappresenta la capacità di guardare le cose da una prospettiva distante (l'unico modo per avere una visione panoramica della propria vita), fino a comprendere su cosa vale davvero la pena di puntare, e a quel punto piombare giù con decisione e andare diritta all'obiettivo. 
Questo modo di fare può risultare difficilissimo quando una donna è molto coinvolta emotivamente nelle situazioni e nelle relazioni, e si trova a nuotare annaspando tra le emozioni, i cambiamenti e le perturbazioni dell'esistenza.
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Il quarto compito, IMPARARE A DIRE DI NO (come Psiche che deve chiudere il cuore alla compassione per tre volte, ignorando le richieste dei bisognosi che incontra per via), è uno dei compiti più difficili per le donne che vivono le relazioni (in genere) come aspetti centrali della loro vita. 
Molto spesso infatti esse si lasciano distogliere dai comportamenti necessari per raggiungere le loro mete, perché danno la precedenza alle mille esigenze e richieste altrui (non solo del partner, ma anche dei figli, dei genitori, degli amici, dei colleghi...).
Il non cedere alla compassione diventa quindi per loro una prova di fermezza del carattere.
Qui non si tratta di affrontare una belva o di resistere a una qualche tortura, ma semplicemente di trovare la forza di dire no, per non essere sempre in balia degli altri, delle loro esigenze, delle loro scelte, fino al punto da non avere più energie né tempo per coltivare le cose importanti per sé e per il raggiungimento dei propri obiettivi. 
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