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lunedì 23 dicembre 2019

Una storia per Natale e due pratiche di fine d'anno.

Auguro di vero cuore a voi tutti un Natale sereno.
Il mio regalo quest'anno, per chi mi segue qui sul blog oppure su YouTube, sono due nuove meditazioni di fine anno, che conto di pubblicare sul canale tra Natale e Capodanno.
Intanto ve le anticipo con un video.
Ancora tantissimi auguri!





Link alle due tracce audio pubblicate a fine anno:



lunedì 11 novembre 2019

A dicembre tre incontri esperienziali di mindfulness e auto-accudimento



C'è un luogo sicuro dentro di noi, che possiamo scoprire, coltivare e abitare, per prenderci cura amorevolmente e responsabilmente di noi stessi, degli altri e delle nostre vite.


3 INCONTRI ESPERIENZIALI DI MINDFULNESS ED AUTO-ACCUDIMENTO
condotti da
Maria Michela Altiero psicologa e mindfulness trainer

a Torre del Greco
nei giorni 3, 10 e 17 Dicembre 2019
dalle 18:00 alle 20:30

Si tratta di un breve programma, fortemente esperienziale, basato su pratiche che insegnano a prendersi cura dei propri stati interni, con gentilezza, delicatezza, benevolenza.

Le pratiche di mindfulness (a cui sono dedicati più specificamente altri programmi) vengono qui integrate con nuovi esercizi ispirati alle teorie e alle tecniche di Paul Gilbert (ideatore della CFT - Compassion Focused Therapy). 

Le pratiche possono essere utili in particolare:
  • per sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri stati interni;
  • per allenare il nostro sistema calmante che ci dona un senso di sicurezza e appagamento;
  • per coltivare un atteggiamento più compassionevole verso noi stessi e verso gli altri;
  • per imparare a regolare più efficacemente le emozioni;
  • per riuscire a modulare l'autocritica migliorando la nostra relazione con il nostro "giudice interiore".
Per informazioni e prenotazioni: 388 8257088
Costi, riduzioni e promozioni alla pagina degli eventi


domenica 22 settembre 2019

Benessere psicologico: come la mindfulness può aiutarci a vivere meglio


La Mindfulness, per dirla con Jon Kabat-Zinn, ideatore del programma MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction),  è la consapevolezza che emerge quando prestiamo attenzione intenzionalmente, momento per momento, alla nostra esperienza presente, senza giudizio e con un atteggiamento di apertura, curiosità, accettazione.
Praticare la consapevolezza, dice una bella metafora tibetana, è un riportare la mente a casa.
La mente infatti, se lasciata a se stessa e non coltivata, reagisce volubilmente a qualsiasi stimolo la colpisca, sballottata da un pensiero all'altro, da una emozione all'altra, da un conflitto all'altro, e trascinata da desideri continui. I nostri stessi comportamenti a volte tradiscono uno stato di non presenza, come quando facciamo le cose distrattamente (con la mente altrove), come se avessimo il pilota automatico inserito, oppure agiamo d'impulso come diretta reazione ad una provocazione esterna, ma senza che il comportamento in sé rispecchi veramente noi stessi e ciò che avremmo desiderato fare assecondando i nostri valori.
Fermarci ogni tanto, fare silenzio, meditare vuol dire uscire dalla modalità del fare (dal reagire automatico agli stimoli) ed entrare nella modalità dell'essere, dove dimoriamo saldamente nel momento presente, permettendo che la consapevolezza e l'attenzione si orientino verso l'esplorazione interiore della natura delle sensazioni fisiche, emotive e cognitive che si rivelano momento per momento.
La Mindfulness può insegnarci così un modo nuovo di rapportarci alle esperienze della vita, che riduce la nostra sofferenza, modifica il modo in cui rispondiamo alle difficoltà e prepara il terreno per una trasformazione personale positiva. Il che in definitiva ci rende anche più liberi di fare scelte di valore e in cui crediamo, perché meno portati a reagire automaticamente alle situazioni e anche a lasciarci trascinare dal vortice delle attività quotidiane che ci allontana dall'ascolto di ciò che sentiamo, e rischia di allontanarci da ciò che realmente vogliamo e che ha valore per noi.
La Mindfulness, per dare i suoi frutti, richiede una pratica ripetuta nel tempo. I suoi effetti sono infatti cumulativi e bisogna essere disponibili a dedicare ad essa un po' di tempo ogni giorno, divenendo in prima persona parti attive della cura di noi stessi e responsabili del nostro benessere.
Le pratiche in particolare si dividono in due tipi: pratiche di meditazione formale e pratiche informali.
Nelle prime si tratta di dedicare del tempo ai nostri esercizi di meditazione, come faremmo se si trattasse di esercizi di ginnastica; qui la ginnastica è di tipo mentale, ed ha le sue regole, che noi osserveremo quotidianamente con una gentile (ma ferma) disciplina. Per esempio, staremo seduti per un certo numero di minuti portando la nostra attenzione sul respiro e poi riportandola ancora ad esso ogni volta che ci rendiamo conto che la nostra mente vaga. Gli oggetti su cui portiamo l'attenzione possono essere anche sensazioni fisiche (un prurito, un dolore, un suono) o emotive, così come si manifestano nel corpo (come tensione nel petto associata alla rabbia, o nodo alla gola derivante da tristezza).
Nelle pratiche informali, invece, ricorderemo semplicemente a noi stessi, di tanto in tanto durante la nostra vita ordinaria, di prestare attenzione a ciò che sta accadendo al momento, senza modificare le nostre abitudini. Per esempio, quando suona il telefono, all'inizio proviamo solo ad ascoltare il suono che fa, prestando attenzione al tono e al ritmo del suono, come se fosse uno strumento musicale (anche se poi, certo, rispondiamo...); oppure mentre ci laviamo i denti, portiamo la nostra attenzione su tutte le sensazioni fisiche che l'esperienza comporta, dal sapore del dentifricio, alla temperatura dell'acqua o al contatto delle setole sulle gengive, prendendo anche atto degli eventuali pensieri, sensazioni ed emozioni che spostano la nostra attenzione dall'attività che stiamo facendo. In tal caso, come in tutte le pratiche, senza opporre ad essi resistenza, semplicemente li riconosciamo e li lasciamo andare, tornando a portare l'attenzione sul nostro compito.
Scopo fondamentale della Mindfulness è infatti la consapevolezza dell'esperienza interiore, che include le normali deviazioni dell'attenzione e la normale tendenza ad essere distratti da pensieri, immagini, idee, ricordi, giudizi, preoccupazioni, anticipazioni del futuro ed in genere da eventi che attirano l'attenzione distogliendola dall'oggetto principale.
Questo significa che non sbagliamo la meditazione quando distraiamo l'attenzione dall'oggetto prescelto (es.dal respiro), perché l'esercizio è proprio accorgersi che ciò avviene (un pensiero per esempio ci ha rapiti) e ricominciare da dove abbiamo lasciato, riportando l'attenzione ancora e poi ancora sull'oggetto prescelto.
La sequenza di focalizzazione, divagazione e rifocalizzazione è cioè lo specifico "allenamento" della Mindfulness che promuove la consapevolezza e la percezione dalla propria attività mentale in quanto tale.
Le pratiche di Mindfulness affondano le loro radici negli antichi insegnamenti della spiritualità orientale (Buddismo, Zen, Yoga), riprendendo in particolar modo aspetti propri della meditazione Vipassanā che, a differenza di altre forme di meditazione, non è finalizzata al raggiungimento di stati di assorbimento meditativo e non ha un carattere astrattivo, ma tende piuttosto a sviluppare la massima consapevolezza di tutti gli stimoli sensoriali e mentali.
In protocolli mindfulness-based proposti in ambito psicologico (a cominciare  dal primo e più famoso, l'MBSR - Mindfulness-Based Stress Reduction,  modello di riferimento anche per gli altri), pur attingengo ad ampie mani da quegli insegnamenti, si limitano ad accoglierne solo gli aspetti strettamente connessi al benessere psico-fisico. Ciò significa che accostarsi alla Mindfulness e alle sue pratiche non implica per noialtri l'adesione agli insegnamenti spirituali, religiosi e in senso ampio culturali propri delle tradizioni orientali da cui dette pratiche derivano.
Per dirla in parole semplici, chi pratica la Mindfulness sotto la guida di uno psicologo mindfulness-trainer non mira a raggiungere l'illuminazione, ma semplicemente un po' più di consapevolezza, e quindi ricorre a queste pratiche per prendersi cura di sé e del proprio  benessere psicologico.
Al tempo stesso, una differenza fondamentale tra la consapevolezza di tipo Mindfulness e quella che viene cercata attraverso altre strade offerte dalla psicologia, è che qui si fa pochissimo uso della parola (il silenzio molto spesso accompagna la pratica), e non si va a scavare nel nostro passato per acquisire una consapevolezza retroattiva circa le origini di ciò che troviamo oggi, nel nostro presente.
Lavoriamo insomma con ciò che c'è per come è e lo prendiamo così com'è, senza soffermarci sul perché è così, su dove trova le sue origini, su come le cose sarebbero potute o dovute essere, o su come sarebbe meglio che fossero oggi.
La nostra mente probabilmente sarà molto tentata di portarci su considerazioni del genere; e anzi,  quasi sicuramente lo farà. Ma  noi, come al solito, faremo semplicemente questo: riconosceremo che lei funziona così, lo accetteremo perché è proprio così, e con gentilezza (ma anche con fermezza), riporteremo la nostra attenzione sull'oggetto prescelto della nostra pratica meditativa.
La pratica  così ci aiuterà a rendere la nostra mente via via sempre più calma e lucida, a sciogliere le emozioni difficili, e ad entrare in contatto con la realtà così come essa effettivamente è e non come a volte ci appare attraverso il filtro delle emozioni difficili e dei pensieri intrusivi.


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giovedì 12 settembre 2019

Ricominciare si può in ogni fase della vita. Intervista su Donna Moderna


Cambiare vita negli "anta"? Si può!

Donna Moderna dedica uno spazio a questo argomento intervistando Maria Michela Altiero


Maria Michela Altiero, psicologa, life coach e mindfulness trainer 
offre consulenza dal vivo e online



martedì 3 settembre 2019

Nuovo studio, nuovo logo. Considerazioni sui traslochi, sui cambiamenti e sull'apertura di nuovi scenari


Inizio questo mese di settembre con una novità: ho trasferito il mio studio in Corso Avezzana 34, a Torre del Greco. Sarà un piacere per me inaugurarlo con quanti di voi vorranno partecipare ai prossimi eventi in programma (il 20 e il 24 settembre due presentazione gratuite a tema mindfulness, dal 1° ottobre il programma MBSR, a dicembre il nuovo ciclo di incontri dedicati alla compassione).

Prendo spunto dalla recente esperienza del trasloco, per qualche riflessione più generale in tema di cambiamenti.
Tanto per cominciare, va detto che questo trasferimento dello studio non è partito per mia iniziativa. In passato l'idea mi era anche balenata in mente di tanto in tanto ma poi, per amor di quiete, l'avevo sempre accantonata o dimenticata, scegliendo di restare dove stavo anziché complicarmi la vita. Poi un bel giorno il contratto di locazione è giunto a scadenza e, per via di certe necessità della parte locatrice, non è stato rinnovato. Così mi sono trovata sfrattata.
Quando veniamo sloggiati da una postazione che ci è familiare, come per esempio da una casa, da una posizione lavorativa, dal posto che occupiamo al fianco di un partner, è del tutto naturale che sulle prime l'esperienza possa presentarsi a noi come sgradevole. E ciò a prescindere da quanto fosse effettivamente soddisfacente per noi la posizione in questione (il mio vecchio studio per esempio non era più abbastanza capiente per i gruppi e poteva capitare di stare un po' stretti). A volte ci riesce più semplice restare in una situazione scomoda ma nota, che esporci deliberatamente a un cambiamento,  perché questo ci costringe ad uscire dalle nostre abitudini, a ripensare l'organizzazione della nostra vita, a fare i conti con l'incertezza.
Poi viene la volta che la vita ci impone di cambiare. E non ci domanda se siamo d'accordo. Non ascolta le nostre rimostranze. In certi casi non ci dà nemmeno il preavviso (come invece e per fortuna avviene per le finite locazioni).
Allora la questione non è più evitabile né procrastinabile: l'onda del cambiamento ci si para davanti e ci chiede di cavalcarla. Sta a noi scegliere se sprecare le nostre energie rifiutando la realtà e contrastando le richieste dei tempi oppure aprirci all'enorme potenziale di rinnovamento insito nella fine delle cose e nel tramonto dei vecchi scenari, per aprirci a scenari nuovi e a tutto ciò che può nascere proprio perché qualcos'altro muore. Per fiorire,  i semi del cambiamento hanno bisogno di un terreno che li sappia accogliere e i traslochi veri o simbolici della nostra vita sono un buon momento per estirpare le erbacce, dissodare la terra e dare modo ai processi di crescita di seguire i loro tempi. 
Mentre lo studio vecchio era mezzo smontato e lo studio nuovo in fase di allestimento, in una calda giornata passata a dividermi di qua e di là (i clienti nello studio vecchio con quattro mobili, gli operai in quello nuovo con trapani, scatole e scatoloni) mi arriva una telefonata. Mi propongono un'intervista in quanto life coach ed esperta di cambiamento. Mi viene un po' da ridere, dato il momento.  Beninteso loro non sanno che sono nel pieno di un cambiamento (è una coincidenza...) e quando glielo dico (dico cioè: dovrò ricevervi nella baraonda di un trasloco) la risposta è questa: "Non è importante dove ci riceve, signora: il luogo che veniamo a visitare è Lei".

Oggi, reduce soddisfatta di questa calda estate passata a ripensare l'organizzazione dei miei spazi lavorativi, finalmente alleggerita del peso di vecchi arredi, vecchie riviste, vecchie scartoffie, mi accorgo che questo cambiamento di scenario mi ci voleva.
Apro la finestra e il panorama è nuovo. L'esposizione è diversa, i rumori in strada anche. Ho nuovi vicini. Qualche nuovo arredo. Spazi liberi, senza ingombri casuali.
Con l'occasione ho cambiato anche logo.
Il nuovo logo (un albero che contiene una stella) è il punto d'incontro tra le due immagini precedenti:




quella utilizzata per il counseling psicologico e il life coaching, con gli omini in viaggio che fanno una sosta sotto un albero e che si orientano grazie a una stella in cielo;



e quella utilizzata per le pratiche di mindfulness, con una persona che medita sotto un albero, ferma in raccoglimento, connessa al più ampio universo di cui fa parte.


Il nuovo logo vuole mettere insieme l'andare e lo stare, dando al simbolo un valore unificante. Come a dire: che tu stia fermo in un luogo, in raccoglimento, o in viaggio nella vita, spostandoti di qua e di là, ciò che ti guiderà e ti farà sentire a casa è la luce che porti dentro. Prenditene cura. 

In questo spirito, voglio aprire il nuovo anno lavorativo con due auguri. 
Il primo è per tutti noi che ci dedichiamo alle pratiche di mindfulness. Che la luce della consapevolezza, che intendiamo alimentare e tenere accesa con la regolarità della pratica, possa illuminare le nostre menti e la nostra vita, farci sentire a casa nel nostro corpo ovunque siamo, fermi o in viaggio, radicati nella realtà come alberi e in contatto rispettoso e amorevole con l'universo vivente di cui siamo parte.
Il secondo è per quanti di noi, in questo momento, soffrono perché  fermi in una situazione scomoda o che ha fatto il suo tempo ma da cui, per amor di quiete o paura di trambusto, non osano uscire, come una relazione logora che va avanti per forza di inerzia, un luogo in cui si vive che non risponde più alle proprie esigenze, o  un lavoro che opprime il cuore e non lascia decollare il progetto lavorativo dei sogni.
L'augurio in questi casi non è di fare un passo per cui non ci si senta pronti, ma di saper riconoscere quando arriva il momento di farlo.
A volte la sorte ci viene incontro accompagnandoci (e magari anche un po' spingendoci) là dove non oseremmo andare in circostanze abituali. Concediamoci in questi casi un ascolto attento delle reali richieste che la vita ci pone quando ci lancia le sue sfide,  e anche il lusso, se i tempi sono maturi, di lasciar emergere la personalissima risposta del nostro cuore, che forse aspettava solo di essere interrogato per sentirsi libero di parlare e magari di stupirci, con la grande potenza che possono avere le risposte creative quando sono tempestive.



Quando soffia il vento del cambiamento
 alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento.
(Proverbio cinese)

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giovedì 13 giugno 2019

Il momento di lasciar andare. Una meditazione e una poesia

A volte la nostra sofferenza può avere le sue radici nel nostro rimanere aggrappati a qualcosa, qualcosa che non riusciamo a lasciar andare e che ci impedisce di evolvere. 
Può trattarsi di una relazione finita, del ricordo di qualche evento del passato che ci fa ancora soffrire (un torto subito, un errore commesso), del timore di un evento futuro e incerto che non abbiamo il potere di evitare.  La mente torna e ritorna su questi temi e la ricchezza del momento presente con tutti i suoi doni e le sue potenzialità viene offuscata.
I casi di sofferenza indotta da qualcosa che non riusciamo a lasciar andare sono tanti e vari. Non sempre sono facili da riconoscere.
Ci sono alcune "guerre perse in partenza", per esempio, che a volte ci ostiniamo a combattere e combattere nella nostra vita,  nell'illusione che prima o poi le vinceremo. Sono certe tipiche situazioni di scacco, che conosciamo benissimo perché si ripetono immancabilmente nella nostra vita secondo lo stesso cliché. Se ci caschiamo e ci ricaschiamo cento volte, è perché non lasciamo andare il nostro desiderio disperante che le cose non siano come sono, e l'illusione che questa situazione sempre uguale non ci porterà  anche questa volta al solito punto morto (dove invece  immancabilmente ci porta).  
Non è facile per nessuno capire cosa ci sarebbe da lasciar andare nella propria vita, nel proprio cuore, nella propria mente.  E tanto meno quando, visto che c'è un tempo per tutte le cose:  un tempo per  trattenere e un tempo per mollare, un tempo per insistere e un tempo per desistere, un tempo per restare e un tempo per uscire di scena.
C'è chi nel dubbio resta come appeso a un trampolino, tra il desiderio di fare un tuffo e la paura di tuffarsi,  tra il senso di falsa sicurezza che dà il restare aggrappati a qualcosa di noto e lo sgomento che genera l'idea di  lasciarlo andare e sperimentare il nuovo.
Se dentro di noi questo tema in qualche modo risuona, nella nostra personalissima variante, proviamo  a prendere la faccenda un po' alla larga, trattandoci con gentilezza: lo spirito non è quello di muoverci rimproveri o di forzarci a fare qualcosa per cui non ci sentiamo pronti.
Accostiamoci semplicemente all'idea di come potremmo sentirci se riuscissimo davvero a lasciar andare ciò che oggi è maturato a sufficienza per essere lasciato andare. Ricordiamoci che anche i frutti più dolci non possono restare in eterno sui rami di un albero, e il cibo migliore non può restare in eterno nel nostro frigorifero e nemmeno nel nostro corpo.
Accostiamoci oggi al lasciar andare con una meditazione guidata  tratta dal mio canale YouTube e con una poesia di cui non è chiara la paternità. Si intitola She let go (Lasciò andare); alcuni l' attribuiscono ad Ernest Holmes, altri a Jennifer Eckert Bernau, altri al Rev.Safire Rose. Di chiunque sia, mi sembra molto bella e con una sua delicata tonalità spirituale che la rende un po' speciale. Eccola, a seguire, dopo la meditazione, prima nella traduzione italiana e poi nella versione inglese.
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Lasciò andare.
Senza un pensiero o una parola, lei lasciò andare.
Lasciò andare la paura.
Lasciò andare i giudizi.
Lasciò andare la confusione di opinioni che sciamano intorno alla testa.
Lasciò andare l'indecisione in lei.
Lasciò andare tutte le ragioni "giuste".
Totalmente e completamente,
senza esitazione o preoccupazione, ha appena lasciato andare.
Lei non ha chiesto nessun consiglio.
Lei non ha letto un libro su come lasciare andare ...
Lei non ha pregato le Scritture.
Ha appena lasciato andare.

Lasciò andare tutti i ricordi che la legavano.
Lasciò andare tutta l'ansia che le impediva di andare avanti.
Lasciò andare la progettazione e tutti i calcoli sul giusto.
Non ha promesso di lasciar andare.
Lei non ha scritto la data.
Non ha fatto alcun annuncio pubblico e messo nessun annuncio sul giornale.
Lei non ha controllato le previsioni del tempo o letto il suo oroscopo quotidiano.
Ha appena lasciato andare.

Lei non ha analizzato se lei avrebbe dovuto lasciar andare.
Non ha chiamato i suoi amici per discutere la questione.
Lei non ha fatto un trattamento spirituale.
Lei non proferì una parola. Ha appena lasciato andare.
Nessuno era in giro quando è successo.
Non c'era nessun applauso o un coro di congratulazioni.
Nessuno è stato ringraziato.
Nessuno si è accorto di nulla.
Come una foglia che cade da un albero, lei ha appena lasciato andare.

Senza nessuno sforzo.
Senza nessuna lotta.
Né bene né male.
Era quello che era, ed è proprio questo.
Nello spazio di lasciarsi andare, lei lascia che tutto sia.

Un piccolo sorriso appare sul suo viso.
Una leggera brezza soffia attraverso di lei.
E il sole e la luna splendono sempre.




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She Let Go
She let go. Without a thought or a word, she let go.
She let go of fear. She let go of the judgments. 
She let go of the confluence of opinions swarming around her head.
She let go of the committee of indecision within her.
She let go of all the ‘right’ reasons. Wholly and completely, 
without hesitation or worry, she just let go.
She didn’t ask anyone for advice. She didn’t read a 
book on how to let go… She didn’t search the scriptures.
She just let go.
She let go of all of the memories that held her back. 
She let go of all of the anxiety that kept her from moving forward. 
She let go of the planning and all of the calculations about how to do it just right.
She didn’t promise to let go. 
She didn’t journal about it. 
She didn’t write the projected date in her day-timer.
She made no public announcement and put no ad in the paper. 
She didn’t check the weather report or read her daily horoscope. 
She just let go.
She didn’t analyse whether she should let go. 
She didn’t call her friends to discuss the matter. 
She didn’t do a five-step Spiritual Mind Treatment. 
She didn’t call the prayer line. 
She didn’t utter one word. She just let go.
No one was around when it happened. 
There was no applause or congratulations. 
No one thanked her or praised her. 
No one noticed a thing. 
Like a leaf falling from a tree, she just let go.
There was no effort. There was no struggle. 
It wasn’t good and it wasn’t bad. 
It was what it was, and it is just that.
In the space of letting go, she let it all be. 
A small smile came over her face. 
A light breeze blew through her.
And the sun and the moon shone forevermore.
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(The author of this poem is unclear. A few sites list Ernest Holmes as the author, another Jennifer Eckert Bernau and still another Rev.Safire Rose)

foto di Ankus Minda on Unsplash
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domenica 12 maggio 2019

"Sono qui per te, ti voglio bene, ti accetto, ti capisco, vedo che stai soffrendo, voglio aiutarti". 2 Incontri di Mindfulness e Compassione e 1 Sondaggio

Dr.Maria Michela Altiero
psicologa
***  +39 3888257088  ***

La compassione può essere concettualizzata in vari modi.
Secondo la definizione del Dalai Lama, la compassione è una sensibilità alla sofferenza propria e altrui, unita a un profondo impegno nel cercare di alleviarla.
Per il buddismo Mahayana, la mindfulness crea le condizioni per una mente calma e la compassione quelle per una mente trasformata. Le due cose operano insieme come le ali di un uccello.
Per Paul Gilbert, docente di Psicologia Clinica all'Università di Derby (Inghilterra), che si occupa dello sviluppo della terapia focalizzata sulla compassione da oltre venti anni, "la compassione è in relazione a vari tratti di personalità, come il calore e l'amicalità e il suo svilupppo, a partire dall'infanzia, è fortemente connesso alle prime esperienze affettive e alla sicurezza del legame di attaccamento."
L'atteggiamento compassionevole (caldo, premuroso, interessato al benessere di chi sta soffrendo) può essere sperimentato in tre modi, e cioè:
- 1) come qualcosa che riceviamo dagli altri;
- 2) come qualcosa che noi rivolgiamo verso gli altri;
- 3) come qualcosa che noi rivolgiamo verso noi stessi.
Riguardo alla prima possibilità, qualche tempo fa abbiamo fatto un sondaggio tra i lettori chiedendo: "Quando state soffrendo, quali atteggiamenti e comportamenti altrui vi danno conforto? E quali non vi danno conforto?".
I risultati sono molto interessanti, perché è venuto fuori un elenco di atteggiamenti e comportamenti piuttosto comuni (che cioè chiunque potrebbe assumere automaticamente o con le migliori intenzioni) con un punteggio in termini di "desiderabilità" e "indesiderabilità" da parte di chi si trova a riceverli.
Di fatto, ciò che ci dà conforto nel momento della sofferenza, sono le reazioni che trasmettono, anche implicitamente, tutte uno stesso messaggio. Questo messaggio, che è il nucleo della compassione, può essere tradotto, usando le parole del medico e psicoterapeuta australiano Russ Harris, più o meno così: "Sono qui per te, ti voglio bene, ti accetto, ti capisco, vedo che stai soffrendo, voglio aiutarti".
Ci sarà pure un motivo se, quando stiamo male, a volte preferiamo non dirlo a certe persone, perché non sono capaci di starci vicine come noi sentiamo di avere bisogno, ci dicono magari anche parole "buone" che però non ci aiutano, non ci danno conforto, e anzi ci fanno sentire soli e non compresi.
E poi magari capita, viceversa, che ci sentiamo confortati da gesti e parole, anche molto semplici, che però arrivano diritti al cuore come un balsamo lenitivo.
Russ Harris, nel suo libro "Se il mondo ti crolla addosso", ci dona questo piccolo e commovente esempio, tratto dalla sua personale esperienza di padre di un bambino con diagnosi di autismo. "...Quando mio figlio ricevette la diagnosi", racconta il dottor Harris, "soffrii in maniera quasi intollerabile e una delle reazioni più meravigliose fu quella del mio migliore amico Jhonny. Ora, Jhonny è un tipo molto terra terra, così, quando alcuni giorni dopo ci incontrammo e gli raccontai quello che era successo, mi abbracciò forte e disse: " Ca***! Devi sentirti veramente di merda!". Sono parole molto poco poetiche, ma le disse con un tale affetto e una tale dolcezza che mi toccarono molto più nel profondo di quanto potrebbero mai fare le poesie più eloquenti."
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Per chi fosse interessato ai risultati del nostro sondaggio e a qualche riflessione in merito, ecco il link per essere indirizzati al relativo post:
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Per partecipare ai due incontri di Mindfulness e Compassione in programma per il 15 ed il 29 maggio, è ancora possibile prenotarsi fino ad esaurimento posti. Ricordo che i due incontri costituiscono parte di un unico discorso e non è possibile partecipare all'incontro del 29 maggio senza aver partecipato all'incontro del 15 maggio.
Photo by juan pablo rodriguez on Unsplash

sabato 20 aprile 2019

Mindfulness: praticare con il dolore fisico. Traccia audio e auguri di serena Pasqua

Dr.Maria Michela Altiero
psicologa
***  +39 3888257088  ***
Auguro a voi tutti di poter trascorrere una buona Pasqua, in una condizione di spirito sufficientemente serena da farvi apprezzare tutto ciò che in questi giorni di festa potrà scaldarvi il cuore e farvi stare bene.
Il mio dono per voi è una nuova traccia audio che spero possa rendere più sereni questi momenti anche a chi sta facendo i conti con un dolore fisico.


Oggi proviamo una pratica di mindfulness che può esserci utile quando facciamo i conti con un dolore fisico. 
A volte può trattarsi di un dolore acuto (come quando battiamo violentemente contro uno spigolo) altre volte può trattarsi di un dolore cronico, un compagno di viaggio che sta sempre lì con noi o va e viene ma poi torna sempre. 
Se abbiamo dei metodi validi per sbarazzarci di questi dolori, ben vengano. Ma se così non fosse oppure se questi validi metodi per qualche ragione non potessero essere la soluzione a cui ricorrere stabilmente, allora la questione diventa un'altra, e cioè come convivere al meglio con un dolore fisico.
Uno dei maggiori problemi che abbiamo, quando è presente un dolore nel corpo, è la nostra naturale  tendenza a resistergli, perché questa paradossalmente aumenta il livello della nostra sofferenza. 
Questa resistenza ha componenti sia fisiche, sia mentali sia emotive. Il nostro corpo tenta di proteggersi dal dolore contrastandolo con la tensione muscolare. La mente tende a evitarlo, a respingerlo, a lottarci contro con pensieri ricorrenti ("Odio questo dolore." "Perché non se ne va?" "Non è giusto che io viva questo"). Il cuore sperimenta angoscia, risentimento, afflizione. 
La mindfulness suggerisce di lasciar andare ogni resistenza e di incontrare il dolore fisico con gentile interesse e delicata curiosità,  conoscendolo per quello che è:  una "semplice" sensazione fisica. 
Com'è fatta esattamente questa sensazione?
Dove la sentiamo? Che forma ha? Si muove o sta ferma? Ci dà l'impressione di avere un colore? Una temperatura? E' costante o varia di intensità? Cambia nel tempo?  Cambia se cambiamo posizione? 
Se ci accorgiamo che il corpo sta resistendo al dolore contraendosi in alcune zone, proviamo come meglio ci riesce ad allentare queste tensioni (magari ricorrendo alla tecnica del respirare nelle zone tese per favorire il rilassamento).
Se ci accorgiamo che arrivano pensieri, come sempre notiamo di che si tratta e poi li lasciamo stare, tornando con l'attenzione all'esercizio.
Una cosa che può affliggerci quando proviamo un dolore fisico è l'impressione che esso sia costante e immutabile. Un'attenzione gentile portata al suo reale modo di essere momento per momento, può rivelarci invece una sua fluidità e mutevolezza, che può confortarci (non è poi così vero che non cambia mai). 
Inoltre la mindfulness, coltivata con pratiche regolari, può aiutarci a integrare le sensazioni fisiche in un più ampio contesto di consapevolezza, e consentirci una certa presa di distanza dall'esperienza del dolore che ne attenua la gravità.
Vari studi condotti su persone che hanno partecipato al programma MBSR - Mindfulness-Based Stress Reduction, hanno evidenziato l'acquisizione di una capacità di relazionarsi meglio con il dolore fisico, di ammorbidire intenzionalmente le zone del corpo intorno ad esso, e di notare come il dolore fosse un processo mutevole, dinamico e più tollerabile, con significativi cambiamenti in termini di funzionamento e di capacità di godersi la vita.