venerdì 31 luglio 2015

Il vero valore dell'anello


Racconto tratto dal libro Lascia che ti racconti di Jorge Bucay (Rizzoli editore)
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"Sono venuto qui, maestro, perché mi sento così inutile che non ho voglia di fare nulla. Mi dicono che sono un inetto, che non faccio bene niente, che sono maldestro e un po' tonto. Come posso migliorare? Che cosa posso fare perché mi apprezzino di più?".
Il maestro gli rispose senza guardarlo: "Mi dispiace, ragazzo. Non ti posso aiutare perché prima ho un problema da risolvere. Dopo, magari..", e dopo una pausa aggiunse: "Ma se tu mi aiutassi, magari potrei risolvere il mio problema più in fretta e dopo aiutare te".
"Con... piacere, maestro" disse il giovane esitante, sentendosi di nuovo sminuito visto che la soluzione del suo problema era stata rimandata per l'ennesima volta.
"Bene" continuò il maestro. Si tolse un anello che portava al mignolo della mano sinistra e, porgendolo al ragazzo, aggiunse: "Prendi il cavallo che c'è là fuori e va' al mercato. Ho bisogno di vendere questo anello perché devo pagare un debito. Vorrei ricavarne una bella sommetta, per cui non accettare meno di una moneta d'oro. Va' e ritorna con la moneta d'oro il più presto possibile".
Il giovane prese l'anello e partì. Appena fu giunto al mercato iniziò a offrire l'anello ai mercanti, che lo guardavano con un certo interesse finché il giovane diceva il prezzo.
Quando il giovane menzionava la moneta d'oro, alcuni si mettevano a ridere, altri giravano la faccia dall'altra parte e soltanto un vecchio gentile si prese la briga di spiegargli che una moneta d'oro era troppo preziosa in cambio di un anello. Pur di aiutarlo, qualcuno gli offrì una moneta d'argento e un recipiente di rame, ma il giovane aveva istruzioni di non accettare meno di una moneta d'oro e rifiutò l'offerta.
Dopo aver offerto il gioiello a tutte le persone che incrociava al mercato - e saranno state più di cento - rimontò a cavallo demoralizzato per il fallimento e intraprese la via del ritorno.
Quanto avrebbe desiderato avere una moneta d'oro per regalarla al maestro e liberarlo dalle sue preoccupazioni! Così finalmente avrebbe ottenuto il suo consiglio e l'aiuto.
Entrò nella stanza.
"Maestro" disse "mi dispiace. Non è possibile ricavare quello che chiedi. Magari sarei riuscito ad ottenere due o tre monete d'argento, ma credo di non poter ingannare nessuno riguardo al vero valore dell'anello".
"Quello che hai detto è molto importante, giovane amico" rispose il maestro sorridendo.
"Prima dobbiamo conoscere il vero valore dell'anello. Rimonta a cavallo e vai dal gioielliere. Chi lo può sapere meglio di lui? Digli che vorresti vendere l'anello e chiedigli quanto ti darebbe. Ma non importa quello che ti offre: non glielo vendere. E ritorna qui con il mio anello".
Il giovane riprese di nuovo a cavalcare.
Il gioielliere esaminò l'anello alla luce della lanterna, lo guardò con la lente, lo soppesò e disse al ragazzo:
"Di' al maestro, ragazzo, che se vuole vendere oggi stesso il suo anello, non posso dargli più di cinquantotto monete d'oro".
"Cinquantotto monete d'oro?" esclamò il giovane.
"Sì" rispose il gioielliere. "Lo so che avendo più tempo a disposizione potremmo ricavare circa settanta monete d'oro, ma se ha urgenza di vendere...".
Il giovane si precipitò dal maestro tutto emozionato a raccontargli l'accaduto.
"Siediti" disse il maestro dopo averlo ascoltato. "Tu sei come questo anello: un gioiello unico e prezioso. E come tale puoi essere valutato soltanto da un vero esperto. Perché pretendi che chiunque sia in grado di scoprire il tuo vero valore?".
E così dicendo si infilò di nuovo l'anello al mignolo della mano sinistra.


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martedì 28 luglio 2015

Momenti in cui abbiamo bisogno di sapere... che siamo in grado di traversare la tempesta

Testo tratto dal libro di  Jon Kabat-Zinn,  Vivere momento per momento
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“Nei momenti di sofferenza emotiva è molto utile portare avanti parallelamente i due approcci, quello centrato sulla consapevolezza delle emozioni e quello centrato sul problema. Entrambi sono essenziali per rispondere efficacemente a situazioni  stressanti o difficili.
Quando ci  concentriamo sul problema [...] cerchiamo di vederne con chiarezza l’origine e le dimensioni senza essere annebbiati dai nostri sentimenti. Cerchiamo di discernere cosa è necessario fare, quali sono i potenziali ostacoli e quali risorse interne ed esterne abbiamo a disposizione. Per procedere in questo modo può essere necessario esplorare cose che non hai mai tentato prima, chiedere consiglio e aiuto ad altri, magari acquisire nuove capacità. Ma se scomponi il problema in singoli aspetti e li affronti uno per volta, scoprirai di essere capace di agire efficacemente anche in momenti di grande sofferenza emotiva. A volte questo approccio può contribuire a calmare il tuo turbamento emotivo o perlomeno dargli una tregua abbastanza lunga da permetterti di non peggiorare le cose.
L’approccio centrato sul problema presenta anche dei pericoli, specialmente se ti dimentichi che è solo uno di due corsi d’azione paralleli. Ci sono persone che tendono a rapportarsi a tutte le situazioni in modo oggettivo, come problemi da risolvere. Così facendo si separano dai propri sentimenti e spesso tendono a ignorare anche i sentimenti degli altri con cui sono coinvolti. Quest’abitudine non porta a un modo di vivere equilibrato e può generare molta sofferenza inutile.
Quando ti concentri sulle emozioni, osserva i tuoi pensieri e sentimenti nella prospettiva della consapevolezza, ricordandoti che puoi lavorarci.
Puoi anche allargare la prospettiva intorno alle tue emozioni , immergendole in un contesto di consapevolezza più ampio. A volte questo ampliamento viene detto reframing, cioè ‘reinquadrare’,  collocare la situazione in un diverso quadro. Puoi farlo con le tue emozioni, con il problema in sé o con entrambi.
Trasformare un ostacolo in un’occasione o una sfida è un esempio di reinquadramento. Un altro esempio è contemplare la tua sofferenza nel contesto della sofferenza di altri, che vivono magari situazioni peggiori della tua. Il reinquadramento ultimo è la consapevolezza stessa, nel cui ambito possiamo percepire la realtà delle cose così come sono.
I momenti di turbamento emotivo, i momenti di tristezza, rabbia, paura, lutto, i momenti in cui ci sentiamo feriti, sperduti, umiliati, frustrati, sconfitti, sono quelli in cui abbiamo più che mai bisogno di contare sulla forza e stabilità del nostro centro.
Sono i momenti in cui abbiamo bisogno di sapere che siamo in grado di traversare la tempesta e accrescere la nostra umanità in questo viaggio. In momenti del genere è utile fermarsi e darsi uno spazio di quiete. Osservando la nostra sofferenza emotiva in uno spirito di accettazione, di apertura e di delicatezza verso noi stessi, e nello stesso tempo adottando un approccio centrato sul problema, troviamo il punto di equilibrio tra rispettare il nostro dolore e agire efficacemente nel mondo. Questo modo di affrontare la situazione riduce il rischio di essere accecati dalle emozioni e restarne prigionieri. La consapevolezza dei nostri pensieri e sentimenti, soprattutto in rapporto con altre persone, ci aiuta molto ad agire efficacemente anche in mezzo alla sofferenza. E nello stesso tempo getta il seme per la guarigione del cuore e della mente.”
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lunedì 20 luglio 2015

Leggenda sufi sulla fortuna e la sfortuna



Tanti anni fa, in un villaggio lontano, viveva un contadino insieme al suo unico figlio. A parte la terra e la piccola casa colonica in cui viveva, possedeva  solo un cavallo ereditato da suo padre.

Un giorno il cavallo fuggì dalla stalla e così l'uomo si ritrovò senza animali che lo  aiutassero a lavorare la terra. 

I vicini, che nutrivano per lui stima e affetto, andarono a fargli visita per dirgli quanto fossero dispiaciuti per l'accaduto.
Il contadino li ringraziò per la loro solidarietà, ma domandò loro: “Come fate a sapere se ciò che mi è accaduto è davvero una disgrazia per me?”

A quelle parole, i vicini commentarono a bassa voce tra loro: “Poverino, non riesce ad accettare la realtà...". Ma, per non ferirlo, finsero di essere d'accordo con lui e andarono via.

Dopo alcuni giorni, il cavallo fece ritorno alla stalla insieme ad una bella giumenta.
Appena appresero la notizia, gli abitanti del villaggio – contenti, perché solo ora capivano il senso della domanda che l’uomo aveva loro posto – tornarono a far visita al contadino e si congratularono con lui per la sua buona sorte.

“Prima avevi un solo cavallo, e invece ora ne hai due. Felicitazioni!”, dissero.

Il contadino anche questa volta li ringraziò per la loro solidarietà, ma poi domandò loro: “Come fate a sapere che l’accaduto è una benedizione per me?”

I vicini pensarono che il contadino stesse impazzendo e andarono via mormorando: “Possibile che quest’uomo non comprenda che Dio gli ha inviato un dono?”



Dopo qualche tempo, il figlio del contadino decise di addomesticare la giumenta. Ma l’animale saltò in modo imprevisto ed il ragazzo, cadendo in malo modo, si ruppe una gamba.
I vicini allora tornarono a fare visita al contadino, portando doni per il giovane ferito, e si dissero tutti molto dispiaciuti per l’accaduto.
L’uomo ringraziò per la visita e l’affetto di tutti. Ma domandò: “Come potete sapere se l’accaduto è una disgrazia per me?”

Questa frase lasciò tutti stupefatti, perché nessuno di loro avrebbe messo in dubbio che un incidente del genere ad un figlio fosse una disgrazia. Lasciarono quindi la casa del contadino commentando tra loro: “È proprio impazzito, poverino. Il figlio rischia di rimanere zoppo per sempre e lui mette in dubbio che sia una disgrazia..."

Di lì a poco scoppiò la guerra e tutti i giovani del villaggio furono reclutati, ad eccezione del figlio del contadino che aveva la gamba rotta.

Nessuno dei ragazzi tornò vivo.
Il figlio del contadino un po' alla volta guarì, i due cavalli fecero puledri che furono venduti dando una buona resa in denaro.
Il contadino andò in visita dai suoi vicini per consolarli ed aiutarli, con la stessa solidarietà che aveva ricevuto da loro in ogni situazione.
Se qualcuno di loro si disperava, il contadino gli domandava: “Come puoi sapere se questa è una disgrazia?”. Se qualcuno si rallegrava troppo, gli diceva: “Come fai a sapere se questa è una benedizione?”

venerdì 17 luglio 2015

L'arte di vivere. La meditazione Vipassana spiegata da S.N. Goenka

L'articolo che segue si basa su di un discorso tenuto pubblicamente da S.N. Goenka a Berna, Svizzera, nel 1980 ed illustra l'essenza della meditazione Vipassana (cioè il tipo di meditazione a cui sono ispirate le pratiche di mindfulness che si apprendono nei corsi per la riduzione dello stress) 

Tutti noi cerchiamo pace e armonia, perché questo è ciò che manca alla nostra vita. Di tanto in tanto tutti noi sperimentiamo agitazione, irritazione, disarmonia. E quando soffriamo per queste miserie, non le limitiamo a noi stessi; spesso le distribuiamo anche agli altri. L'infelicità pervade l'atmosfera attorno a chi è miserabile e anche tutti quelli che vengono in contatto con questa persona ne vengono afflitti. Certamente questo non è un modo pratico di vivere.
Dovremmo vivere in pace con noi stessi e con gli altri. Dopotutto l'essere umano è un essere sociale; deve far parte della società e avere a che fare con gli altri. Ma come possiamo vivere in pace? Come possiamo rimanere in armonia dentro noi e mantenere attorno a noi pace e armonia in modo che anche gli altri possano vivere in modo pacifico e armonioso?
Per poter essere sollevati dalla nostra miseria, dobbiamo conoscerne la ragione di base, la causa della sofferenza. Se esaminiamo il problema, ci appare chiaro che quando iniziamo a generare nella mente una qualche negatività o impurità, siamo destinati a divenire infelici. Negatività e impurità nella mente non possono coesistere con pace e armonia.
Come iniziamo a generare negatività? Ancora, investigando, la cosa diviene chiara. Diventiamo tesi e infelici quando troviamo qualcuno che si comporta in un modo che non ci piace, o quando scopriamo che sta succedendo qualcosa che non è di nostro gradimento. Succedono cose indesiderate e cominciamo a creare tensione dentro di noi. Non accade ciò che desideriamo, sulla nostra strada sorgono degli ostacoli, e di nuovo generiamo tensione in noi stessi; creiamo dei nodi dentro di noi. E nel corso della vita continuano ad accadere cose indesiderate, ciò che vogliamo potrà avverarsi oppure no, e questo processo di reazione, di creare nodi - nodi gordiani - fa sì che l’intera nostra struttura mentale e fisica divenga così tesa, così piena di negatività che la vita diventa miserabile.
Ora, un modo per risolvere il problema è di organizzare le cose in modo che nulla di indesiderato avvenga mai e che tutto vada esattamente così come lo vogliamo. Dovremmo sviluppare il potere di far sì che le cose indesiderate non accadano e invece accada solo ciò che desideriamo, oppure qualcun altro che venga in nostro aiuto dovrebbe avere questo potere. Ma ciò non è possibile. Non esiste nessuno al mondo i cui desideri vengano sempre esauditi, a cui tutto accada secondo i propri voleri, senza mai nulla di indesiderato. Continueranno a verificarsi fatti e situazioni contrari ai nostri desideri e ai nostri voleri. Così sorge la domanda: come possiamo non reagire ciecamente di fronte a queste cose indesiderate? Come possiamo non creare tensioni e rimanere in pace e in armonia?
In India ed in altri paesi persone sagge e sante del passato hanno studiato questo problema, il problema della sofferenza umana, e hanno trovato una soluzione: se qualcosa di indesiderato accade e si inizia a reagire generando collera, paura o qualsiasi negatività, allora, appena è possibile, si deve spostare la propria attenzione su qualcos'altro. Per esempio ci si alza, si prende un bicchiere d'acqua, si beve; la collera non potrà moltiplicarsi e comincerà a placarsi. Oppure ci si mette a contare: uno, due, tre, quattro; oppure si comincia a ripetere una parola, o una frase, o un mantra, magari il nome di una divinità o di una persona santa a cui si è devoti - e così la mente si svia e, fino ad un certo punto, ci si libera dalla negatività, dalla rabbia.
Questa soluzione è stata utile; ha funzionato e funziona ancora. Così facendo, la mente si sente libera dall'agitazione. Tuttavia questa soluzione funziona solo a livello conscio. In effetti, sviando l'attenzione, si spinge la negatività nel profondo dell'inconscio e a quel livello le stesse impurità continuano a prodursi e a moltiplicarsi. Alla superficie c'è uno strato di pace ed armonia, ma nel profondo della mente giace un vulcano addormentato di negatività rimossa che prima o poi esploderà con una violenta eruzione.
Altri esploratori della verità interiore si sono spinti più lontano nella loro ricerca: sperimentando all'interno di se stessi la realtà della mente e della materia, compresero che sviare l'attenzione è solo un modo di sfuggire al problema. La fuga non è una soluzione: occorre affrontare il problema. Ogni volta che della negatività sorge nella mente, semplicemente osservatela, affrontatela. Non appena ci si mette a osservare un’impurità mentale, essa inizia a perdere forza. Gradualmente si affievolisce e viene sradicata.
Una buona soluzione che evita entrambi gli estremi: soppressione e libera manifestazione. Il mantenere la negatività nell'inconscio non la sradicherà; d’altra parte, permettendole di manifestarsi nell'azione fisica o verbale, si creeranno soltanto nuovi problemi. Invece, se si osserva semplicemente, l’impurità svanisce e la negatività viene estirpata. Siamo liberi dell’impurità.
Sembra magnifico, ma è veramente realistico? Non è facile fronteggiare le proprie impurità. Quando la collera sorge, essa ci travolge così rapidamente che neppure ce ne accorgiamo. Poi, sopraffatti dalla rabbia, commettiamo azioni fisiche o verbali che sono dannose per noi e per gli altri. E più tardi, quando la collera è passata, ci lamentiamo e ci pentiamo, chiedendo scusa a questa o quella persona, oppure a Dio: “Ho sbagliato, ti prego, perdonami”. Ma la volta seguente, in una situazione simile, reagiamo di nuovo allo stesso modo. Tutto questo pentirsi non ci aiuta per niente.
La difficoltà è che non siamo consapevoli di quando ha inizio una negatività. Incomincia in profondità, nella mente inconscia, e quando raggiunge il livello conscio ha acquistato una forza tale che ci travolge e non riusciamo a osservarla.
Supponiamo che io assuma un segretario privato che mi avverta quando la collera ha inizio: "Attento, sta iniziando la collera!" Ma dato che non posso sapere quando la collera può incominciare, dovrei disporre di tre segretari privati per tre diversi turni di lavoro, 24 ore su 24! Ma diciamo che me lo possa permettere. Ora la collera ha inizio, e immediatamente il segretario mi avvisa: “Attenzione, sta iniziando la collera!” La prima cosa che farei sarebbe di rimproverarlo: "Sciocco, pensi di essere pagato per insegnare a me?" Sarei così sconvolto dalla collera che nessun consiglio mi potrebbe aiutare.
Ma mettiamo che invece prevalga il buon senso e che non lo rimproveri; anzi, che gli dica: "Tante grazie, ora devo sedermi ed osservare la mia rabbia". Ma è possibile? Non appena chiudo gli occhi e cerco di osservarla, nella mia mente si presenta immediatamente l'oggetto della mia rabbia - la persona o la situazione che le ha dato inizio. Ma allora non sto osservando la rabbia stessa. Sto solo osservando lo stimolo esterno di quell’emozione. Questo non farà che moltiplicare la collera, il che non è certo una soluzione. È molto difficile osservare una negatività astratta, un'emozione astratta, separata dall'oggetto esterno che l'ha provocata.
Ma una persona che è giunta alla verità ultima ha trovato una vera soluzione. Scoprì che, quando nella mente sorge un’impurità, simultaneamente a livello fisico iniziano a succedere due cose. Una è che il respiro perde il suo ritmo normale. Ogni volta che nella mente appare una negatività, si inizia a respirare più forte. Ciò è facile da osservare. A un livello più sottile, cominciano delle reazioni biochimiche all'interno del corpo, delle sensazioni. Ogni impurità genererà sensazioni di questo o quel tipo in una qualche parte del corpo.
Ecco allora una soluzione pratica. Una persona normale non riesce ad osservare le impurità astratte della mente: paura, collera o passione astratte. Ma con un allenamento e una pratica adeguati, diventa molto semplice osservare il respiro e le sensazioni nel corpo, che sono entrambe collegate direttamente con le impurità mentali.
La respirazione e le sensazioni aiuteranno in due modi. In primo luogo faranno da segretari privati. Non appena sorge un’impurità nella mente, il respiro perde la sua normalità e avverte: "Attenzione, c'è qualcosa che non va!" E non possiamo rimproverare il respiro, dobbiamo accettare l'avvertimento. Così anche le sensazioni ci avvertiranno che c'è qualcosa che non funziona. Allora, così avvertiti, iniziamo a osservare il respiro, iniziamo a osservare le sensazioni. E ben presto scopriamo che la negatività svanisce.
Questo fenomeno mentale-fisico è come una medaglia a due facce. Da una parte ci sono tutti i pensieri e le emozioni che sorgono nella mente, dall'altra il respiro e le sensazioni nel corpo. Ogni pensiero o emozione, ogni impurità mentale che sorge, si manifesta nel respiro e nella sensazione di quel momento. Così, osservando il respiro o le sensazioni, stiamo di fatto osservando le impurità mentali. Anziché sfuggire al problema, affrontiamo la realtà così come è. Scopriremo che le impurità perdono la loro forza e non riescono più a travolgerci come in passato. Se perseveriamo, alla fine esse scompaiono completamente e cominciamo a vivere una vita pacifica e felice, una via progressivamente libera dalle negatività.
In questo modo la tecnica di auto-osservazione ci mostra la realtà nei suoi due aspetti: esterno e interno. Fino ad ora abbiamo sempre guardato all'esterno, lasciandoci sfuggire la verità interiore. Abbiamo sempre cercato fuori di noi la causa della nostra infelicità; abbiamo sempre incolpato e cercato di cambiare la realtà esterna. Ignorando la realtà interiore non abbiamo mai compreso che la causa della sofferenza giace dentro di noi, nelle nostre cieche reazioni alle sensazioni piacevoli e spiacevoli.
Ora, con la pratica, riusciamo a vedere l'altra faccia della medaglia. Diventiamo consapevoli del respiro e di ciò che accade dentro di noi. Che si tratti di respiro o di sensazione, impariamo a osservare semplicemente, senza perdere l’equilibrio mentale. Smettiamo di reagire, smettiamo di moltiplicare la nostra miseria. Invece, lasciamo che le impurità si manifestino e poi svaniscano.
Più si pratica questa tecnica e più rapidamente le negatività si dissolveranno. Gradualmente la mente si libera dalle impurità, e diviene pura. Una mente pura è sempre piena di amore, amore disinteressato per gli altri, piena di compassione per le debolezze e le sofferenze degli altri; gioiosa dei loro successi e della loro felicità; piena di equanimità in ogni situazione.
Quando si arriva a questo stadio, tutto l'andamento della propria vita cambia. Diventa impossibile fare - verbalmente o fisicamente - qualcosa che disturbi la pace e l'armonia degli altri. Anzi, la mente equilibrata non solo diventa piena di pace, ma anche l’atmosfera circostante diverrà colma di pace e armonia, e questo inizierà a influenzare anche gli altri, e ad aiutarli.
Imparando a rimanere equilibrati di fronte a qualsiasi esperienza interiore, si sviluppa il distacco anche da tutto ciò che si incontra nelle situazioni esterne. Questo distacco non è però fuga o indifferenza riguardo ai problemi del mondo. Coloro che praticano regolarmente Vipassana diventano più sensibili alle sofferenze degli altri e fanno del loro meglio per alleviarle - non con l’agitazione, ma con una mente piena di amore, compassione ed equanimità. Imparano la santa indifferenza: come essere pienamente impegnati, pienamente coinvolti nell’aiutare gli altri, mantenendo allo stesso tempo una mente equilibrata. Così, mentre si lavora per la pace e la gioia degli altri, si rimane felici e in pace.
Questo è ciò che ha insegnato il Buddha, un'arte di vivere. Egli non fondò e non insegnò una religione o un “ismo”. Non istruì mai i suoi seguaci a praticare riti o rituali, delle vuote e cieche formalità. Al contrario, insegnò a osservare semplicemente la natura così come è, osservando la propria realtà interiore. Per ignoranza continuiamo a reagire in modi che sono nocivi per noi e per gli altri. Ma quando la saggezza sorge - la saggezza di osservare la realtà così come è - allora si esce dall'abitudine di reagire. Quando smettiamo di reagire ciecamente, allora diveniamo capaci di agire davvero - con azioni che nascono da una mente equilibrata, una mente che vede e comprende la verità. Tali azioni non potranno essere che positive, creative, utili per noi stessi e per gli altri.
Ciò che è necessario, allora, è “conoscere se stessi”, un consiglio che è stato ripetuto dai saggi di ogni tempo. Ci si deve conoscere non solo a livello intellettuale, al livello delle idee e delle teorie, né solo a livello emozionale o devozionale, accettando ciecamente ciò che abbiamo ascoltato o letto. Questa conoscenza non è sufficiente. Si deve invece conoscere la realtà a livello effettivo. Si deve sperimentare direttamente la realtà di questo fenomeno mentale e fisico: solo questo ci aiuterà a liberarci dalle sofferenze.
Questa esperienza diretta della nostra realtà interiore, questa tecnica di auto-osservazione viene chiamata “meditazione Vipassana”. Nella lingua dell'India ai tempi del Buddha, passana significava guardare, vedere ad occhi aperti, nella maniera abituale. Ma vipassana è osservare le cose così come sono in realtà, non semplicemente come sembrano essere. Si deve penetrare la verità apparente fino a raggiungere la verità fondamentale dell'intera struttura mentale e fisica. Quando si sperimenta questa verità, si impara a non reagire più ciecamente, a non creare più negatività; e così, naturalmente, le vecchie negatività saranno gradualmente eliminate. Ci liberiamo dalla miseria e sperimentiamo vera felicità.
L’apprendimento, durante un corso di meditazione Vipassana, si svolge in tre passi. In primo luogo ci si deve astenere da ogni azione fisica e verbale che disturbi la pace e l'armonia degli altri. Non si può lavorare per liberarsi dalle impurità della mente e, nel contempo, continuare a compiere atti, con il corpo e con la parola, che le moltiplichino. Quindi, un codice di moralità è il primo passo essenziale della pratica. Ci si impegna a non uccidere, a non rubare, a non avere un comportamento sessuale scorretto, a non mentire e a non usare intossicanti. Astenendosi da queste azioni, si permette alla mente di acquietarsi quanto basta per procedere ulteriormente.
Il passo successivo è quello di sviluppare la padronanza su questa nostra mente selvaggia, esercitandola a rimanere fissa su di un solo oggetto: il respiro. Si cerca di mantenere la propria attenzione sulla respirazione il più a lungo possibile. Non si tratta di un esercizio di respirazione; non si deve controllare il respiro. Si osserva la respirazione naturale così come è, mentre entra e mentre esce. In questo modo si acquieta ulteriormente la mente, così che non venga più sopraffatta da intense negatività. Nel contempo si sta concentrando la mente, la si rende acuta e penetrante, capace di lavorare più in profondità.
Questi due primi passi, condurre una vita morale e controllare la mente, sono necessari e benefici di per se stessi, ma conducono alla soppressione delle negatività se non viene compiuto il terzo passo: purificare la mente dalle impurità, mediante lo sviluppo di una percezione diretta della propria natura. Questo è Vipassana: sperimentare la propria realtà tramite l'osservazione sistematica e spassionata dentro di noi del fenomeno mente-materia, che è in continuo mutamento e che si manifesta come sensazioni. Questo è l'apice dell'insegnamento del Buddha: auto-purificazione mediante auto-osservazione.
È qualcosa che può essere praticato da chiunque. Tutti affrontano il problema della sofferenza. È una malattia universale che richiede un rimedio universale, non un rimedio settario. Quando si soffre a causa della rabbia, non si tratta di rabbia buddista, induista o cristiana: la rabbia è rabbia. E quando ci si agita a causa della collera, non è un’agitazione cristiana, induista o buddista. La malattia è universale. Anche il rimedio dev’essere universale.
Vipassana è questo rimedio. Nessuno obietterà nei confronti di un codice di vita che rispetta la pace e l'armonia degli altri. Nessuno obietterà verso lo sviluppare il controllo della mente. Nessuno può avere obiezioni verso lo sviluppare la comprensione profonda della propria natura, una comprensione che permette di liberare la mente dalle negatività. Vipassana è una via universale.
Osservare la realtà così come è, osservando la verità al proprio interno: questo è conoscersi direttamente ed esperienzialmente. E a mano a mano che si pratica, ci si libera dalla miseria delle impurità mentali. Dalla verità grossolana, esteriore, apparente, si penetra fino alla verità ultima della mente e della materia. Poi la si trascende e si sperimenta una verità che sta oltre la mente e la materia, oltre il tempo e lo spazio, oltre il campo condizionato della relatività: la verità della totale liberazione da tutte le negatività, tutte le impurità, tutte le sofferenze. Non ha importanza che nome si dia a questa verità ultima: essa è la meta finale per tutti.
Che tutti voi possiate sperimentare questa verità ultima. Possano tutti liberarsi dalle loro impurità, dalla loro miseria. Possano godere della vera pace, della vera armonia, della vera felicità.
CHE TUTTI GLI ESSERI SIANO FELICI
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