domenica 29 dicembre 2013

Brave ragazze sfortunate in amore. Lezione di sopravvivenza n.2. Se il tuo lui è sposato

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Nel post "Brave ragazze sfortunate in amore. Lezione di sopravvivenza n.1...",  abbiamo considerato alcune caratteristiche che possono rendere una donna un "soggetto particolarmente a rischio" in materia di pene d'amore. Questo avviene per esempio:
  • se è molto "bisognosa" di amore, di attenzioni, di telefonate, di compagnia, di presenza, di cure e anche di una relazione affettiva che idealmente dovrebbe soddisfare buona parte di questi bisogni; 
  • se ha la tendenza a confondere il desiderio sessuale con l'amore;
  • se ha la tendenza a fare di un uomo il centro del suo universo, facendo ruotare intorno a lui l'organizzazione della propria vita, i propri progetti e i propri sogni;
  • se, velatamente o smaccatamente, è ancora alla ricerca del principe azzurro, perché il sogno più grande della sua vita è e resta quello, costi quel che costi.
Quando l'oggetto d'amore è poi addirittura un uomo sposato... addio! Per una donna con certe   caratteristiche le probabilità di soffrire diventano talmente alte, da costituire quasi una certezza. Come lo è anche la probabilità di uscirne a pezzi, quando la storia finisce, visto che un'altra quasi certezza è che queste storie il più delle volte, presto o tardi,  finiscono e in genere fanno tanto più male, quanto più a lungo sono durate.
La miglior cosa che possa fare una donna di questo tipo, quando viene sfiorata dalla tentazione di viversi una storia con un uomo sposato, è di darsela a gambe finché è in tempo. Cioè praticamente subito! Di corsa. E senza mai voltarsi indietro.
Pensieri come: "La vita è già così pesante. Perché negarsi un'occasione di gioia? Pazienza se lui è sposato: è un problema suo, mica mio! Per ora prendiamoci il buono, poi si vedrà" è meglio ricacciarli  indietro subito. Infatti per poterseli permettere (e quindi permettersi di attuarli) bisogna prima saper padroneggiare bene -  ma proprio bene bene - la prima regola di sopravvivenza.
L'unico modo infatti per viversi una storia con un uomo sposato, senza uscirne massacrate,  è:
  •  riuscire a conservare sempre (o il più possibile) la padronanza delle proprie emozioni;
  •  avere sangue sufficientemente freddo e mente sufficientemente lucida da non abbassare mai la guardia rispetto al livello del proprio coinvolgimento nella relazione;
  • tenersi stretta la propria vita di sempre, i propri interessi, il proprio lavoro, i propri amici, i propri possibili altri partner, e  continuare a investire su un proprio autonomo progetto di vita,  indipendentemente da lui:
  • viversi la storia per quello che è: sesso, scambio erotico, somma di momenti piacevoli,  area di gioco tra adulti, e non scivolare mai nell'illusione che sia un amore costruttivo, basato su  una  progettualità di coppia e sull'attenzione paritaria e reciproca ai bisogni di entrambi (perché i bisogni dell'amante saranno sempre all'ultimo posto rispetto a una lunga lista di bisogni di lui...);
  •  non lasciarsi  trasportare da fantasie romantiche di nessun tipo e meno che mai cullarsi nell'illusione che prima o poi lui lascerà la moglie per scegliere l'amante (questa infatti è un'ipotesi  estremamente remota: la maggior parte degli uomini sposati non lascia la famiglia per l'amante - salvo che non siano le mogli a sbatterli fuori di casa! - e spesso proprio avere un'amante consente a un uomo di  sopportare meglio anche una vita matrimoniale insoddisfacente, senza doverla smontare e affrontare le mille conseguenti "scomodità").
Insomma, detta in parole povere, l'importante è non illudersi che una relazione con un uomo sposato possa essere ciò che non è e che probabilmente non sarà mai.
L'importante è essere consapevoli in ogni momento che un'amante è cosa molto diversa da una fidanzata, e che, nello scenario della vita di lui, il ruolo di protagonista appartiene e apparterrà sempre alla moglie (per quante corna lui le faccia), mentre il ruolo dell'amante è e resterà sempre quello di una semplice comparsa (e spesso anche di una comparsa tra le tante).
Per cui alla fine la cosa più importante di tutte, per non lasciarci le penne con un uomo sposato, se proprio proprio si è deciso di averci una storia, è: NON INNAMORARSENE ASSOLUTAMENTE!
Ma le brave ragazze sfortunate in amore è come se da quest'orecchio non ci sentissero tanto bene.
A loro discolpa, c'è anche da dire che il nostro cervello (e figurarsi il nostro cuore!) non va tanto  d'accordo con gli imperativi negativi. Per cui, per ottenere che una cosa non venga fatta, è preferibile  formulare il comando in positivo: dire cosa fare anziché cosa non fare (dire "Scappa!" piuttosto che  "Non innamorarti!").
Per cui, care ragazze sfortunate in amore, il mio consiglio di base per ogni volta che resterete  abbagliate dal luccichio nello sguardo di un uomo al cui anulare sinistro luccica pure una bella fede nuziale, è sempre: "Scappate via, prima di innamorarvi!".
Però, se non vi sentite brave ragazze sfortunate in amore, bensì donne intraprendenti e organizzate, che vogliono viversi tutte le esperienze che la vita ha da offrire loro, allora regolatevi liberamente secondo le vostre forze e i vostri principi, perché sicuramente siete voi le vere esperte della vostra vita e nessuno ha il diritto di intromettersi.
Tuttavia un consiglietto piccolo piccolo mi permetto di  darlo anche a voi (visto che anche le donne dall'apparenza più forte possono rivelarsi inaspettatamente molto vulnerabili nelle faccende di cuore!). Il consiglio è questo: mettete una data di scadenza alla relazione sin dal primo bacio. Come sui formaggini. E rispettatela. Rispettatela anche se vi costa fatica. E non sottovalutate la possibilità che proprio questa fatica significhi qualcosa (se aveste voglia di mangiare dei formaggini scaduti e potenzialmente tossici, vi porreste o no la questione di una dipendenza dai formaggini?).
Monica Morganti e Sara Eba Di Vaio, nel loro interessante libricino "Se il tuo lui è sposato - Istruzioni per l'uso" (che fa un quadro molto lucido di queste situazioni, con un tono piacevole e informale adatto un po' a tutte), dicono a riguardo:
"Se dai una data di scadenza alla non-relazione ["non relazione" è il nome con cui le autrici chiamano la storia che si può avere con un uomo sposato] è più facile per te non costruirci sopra il film del 'per sempre': vanno benissimo 5-6 settimane per cominciare, eventualmente rinnovabili non più di due volte. La scadenza ti ricorda di stare nella presenza, goderti l'attimo, non creare attaccamento".
E altrove dicono anche: "Ciò ti permette di vivere una non relazione con un uomo sposato, sopravvivendone quando finirà.
Del resto se stare con uno sposato 8 settimane può essere entusiasmante, starci 4 anni è davvero un massacro; inoltre i momenti più esaltanti con LUI sono sempre le prime settimane, quindi non cercare di farla durare eternamente... goditi i primi incontri!
Non diventare l'amante per 10 anni!
Se, mentre stai leggendo questo libro, sei l'amante già da 3 anni, comincia a pensare seriamente di mollare perché non ha alcun senso e può solo peggiorare. LUI cercherà prima o poi un'altra amante: l'amante è trasgressione e non può essere 'cuccia', per quello c'è già la moglie."

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A seguire,  per concludere, una citazione e una canzone.
La citazione è una domanda. 
La canzone è dedicata a coloro che, nonostante tutto, a una tale domanda avranno risposto... sì
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«Se potessi essere felice, veramente felice per un breve periodo, ma se sapessi in anticipo che la felicità si tramuterà in tristezza e alla fine causerà sofferenza, l'accetteresti comunque?»
(Gregory David RobertsShantaram)
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Vedi anche su facebook "Sera di Luna"
pagina di spunti su Amore & Co. collegata a questo blog
https://www.facebook.com/seradiluna1


martedì 24 dicembre 2013

Buon Natale! E anche un'ispirazione per stanotte: il vassoio della Natività

Buon Natale a voi tutti, cari amici di Ciò che si muove non congela!
Troverete una cartolina animata con i miei auguri musicati e danzati cliccando qui.
Ma il mio più sentito augurio di Natale per voi e anche per me è che stanotte, dietro gli addobbi, le luci, i canti, i pacchetti e il caos conviviale, ci sia per ciascuno di noi un momento di pace e di quieta riflessione, in cui ricordare che le cose, per quanto belle, sono soltanto cose; e che noi siamo stati creati non soltanto per fare ma anche, ogni tanto,  semplicemente  essere.
Come ha detto efficacemente un anonimo autore, "se, come Erode, riempiamo la nostra vita, e poi la riempiamo d'altre cose ancora; se ci consideriamo tanto insignificanti da dover riempire d'azione ogni momento della nostra vita, quando avremo il tempo di fare quel lungo, lento viaggio attraverso il deserto, come i Re Magi? O di sedere a guardare le stelle come fecero i pastori? O di riflettere sulla venuta del bambino come fece Maria? Per ciascuno di noi c'è un deserto da attraversare. Una stella da scoprire. E una creatura in noi alla quale dare luce".
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A seguire, alcune righe di una simpatica signora americana che ci racconta un suo rituale un po' speciale per la notte di Natale.
Chissà che non ispiri anche qualcuno di noi, stanotte...
Chissà che non ci avvicini a una saggia rivisitazione dell'idea un po' appannata di Babbo Natale, al senso cioè del dono offerto senza preferenze - e appunto, al buio - a destinatari sconosciuti, a prescindere da quanto siano stati buoni o cattivi, o di quanto siano belli o brutti, o anche di quanto ci siano simpatici o antipatici...
In fondo è così che sarebbe programmata a fare anche la natura, se lasciata libera da leggi umane che la piegano alle ragioni del possesso esclusivo e quindi dell'esclusione.
Anche la natura è portata a fare doni a destinatari sconosciuti, ogni volta che produce un frutto sopra un albero "abbandonato", oppure un fiore spontaneo sul bordo di un marciapiede, o acqua sorgiva che sgorga da una fonte spontanea, o un canto d'uccelli liberi nell'aria leggera e luce di stelle di tutti nel cielo di tutti.
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Il vassoio della Natività
di Sarah Ban Breathnach
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"La leggenda vuole che, la notte della Natività, chiunque si avventuri fuori nella neve per portare un osso prelibato a un cane sperduto e gemente, una manciata di fieno a un cavallo tremante, un caldo mantello a un viaggiatore solitario, una ghirlanda di bacche lucenti per chi ha portato le catene, un piatto di briciole per tutti gli uccelli intirizziti che credevano morto il loro canto e caramelle per i bambini che spiano da solitarie finestre, chiunque prepari questo vassoio di Semplice Abbondanza «sarà ricambiato con doni degni di uno stupore che compete con i colori del pavone e le armonie del cielo».
Così, zitta zitta, tiro giù da sopra l'armadietto un enorme vassoio di salice, lo fodero di stoffa e ci metto sopra un osso succulento delle costolette arrosto della cena; una ciotola di cibo per gatti; del fieno dalla balla che ho usato per le decorazioni autunnali; un caldo cappotto diventato troppo piccolo o di cui qualcuno si è stancato; dei mirtilli; un piatto di briciole di pane fresco e semi di girasole; un piatto di caramelle.
Esco quatta quatta e lo poso sul muro di pietra davanti a casa.
A volte c'è la neve, altre no, ma fa sempre freddo.
Guardo in su in cerca di una stella luminosa; è la stella cometa? Ai miei occhi sì.
Sto gelando. E' impossibile in questa notte santa non pensare ai senza tetto, mentre sistemo il vassoio nella neve o per terra. Duemila anni fa un'altra famiglia senza casa si affidò alla carità degli estranei. Non ne trovarono finché una donna come tante, stanca e travagliata, si fermò abbastanza a lungo per provare una stretta al cuore.
Anch'io ora provo una stretta al cuore, ma per il senso di colpa; il fatto che prima, questo pomeriggio, sia stato lasciato  un cesto con dei regali davanti a un ospizio attenua un po' il rimorso, ma provo delusione e tristezza per non aver fatto e non fare di più.
Prometto che l'anno prossimo lo farò. A volte le promesse a fin di bene le mantengo, altre volte la vita reale mi distrae dalla Vita Reale. Non faccio abbastanza, e lo sappiamo tanto io quanto lo Spirito.
Ho cominciato a preparare il vassoio della Natività perché la leggenda sembrava circondata da un misticismo quasi impercettibile.
Mi interessava anche la promessa di doni strabilianti che competono con le armonie del cielo.
Ogni anno, quando la mattina di Natale vado a riprendere il vassoio, molte offerte sono sparite. Una volta perfino il cappotto.
Per quanto ne so, sono il Babbo Natale degli scoiattoli. Ma sono felice di fermarmi a domandarmi chi mai avrà visto realizzarsi i suoi sogni, questo Natale.
E i doni strabilianti che competono col cielo?
Sono ovunque io posi lo sguardo.
Ma il dono migliore è che posso vederli veramente."
(Sarah Ban Breathnach)


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giovedì 12 dicembre 2013

Promozione natalizia riservata ai fan del blog: primo colloquio psicologico gratuito dal 13.12.2013 al 10.01.2014


Buon Natale, amici di "Ciò che si muove non congela"! Questo è il mio regalo per voi.
E ricordatevi che un primo incontro gratuito con una psicologa non è necessariamente il primo passo di un lungo percorso a pagamento; può essere anche semplicemente un primo passo simbolico verso sé stessi, il segno che sancisce un buon proposito per il nuovo anno: prendersi cura di sé.
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lunedì 9 dicembre 2013

She let go

She let go (Lasciò andare) è  una poesia di cui non è chiara la paternità.
Alcuni la attribuiscono ad Ernest Holmes, altri a Jennifer Eckert Bernau, altri al Rev.Safire Rose.
Di chiunque sia, mi sembra molto bella e con una sua delicata tonalità spirituale che la rende un po' speciale. Eccola allora, a seguire, nella traduzione italiana e poi nella versione  inglese.
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***
Lasciò andare.
Senza un pensiero o una parola, lei lasciò andare.
Lasciò andare la paura.
Lasciò andare i giudizi.
Lasciò andare la confusione di opinioni che sciamano intorno alla testa.
Lasciò andare l'indecisione in lei.
Lasciò andare tutte le ragioni "giuste".
Totalmente e completamente,
senza esitazione o preoccupazione, ha appena lasciato andare.
Lei non ha chiesto nessun consiglio.
Lei non ha letto un libro su come lasciare andare ...
Lei non ha pregato le Scritture.
Ha appena lasciato andare.

Lasciò andare tutti i ricordi che la legavano.
Lasciò andare tutta l'ansia che le impediva di andare avanti.
Lasciò andare la progettazione e tutti i calcoli sul giusto.
Non ha promesso di lasciar andare.
Lei non ha scritto la data.
Non ha fatto alcun annuncio pubblico e messo nessun annuncio sul giornale.
Lei non ha controllato le previsioni del tempo o letto il suo oroscopo quotidiano.
Ha appena lasciato andare.

Lei non ha analizzato se lei avrebbe dovuto lasciar andare.
Non ha chiamato i suoi amici per discutere la questione.
Lei non ha fatto un trattamento spirituale.
Lei non proferì una parola. Ha appena lasciato andare.
Nessuno era in giro quando è successo.
Non c'era nessun applauso o un coro di congratulazioni.
Nessuno è stato ringraziato.
Nessuno si è accorto di nulla.
Come una foglia che cade da un albero, lei ha appena lasciato andare.

Senza nessuno sforzo.
Senza nessuna lotta.
Né bene né male.
Era quello che era, ed è proprio questo.
Nello spazio di lasciarsi andare, lei lascia che tutto sia.

Un piccolo sorriso appare sul suo viso.
Una leggera brezza soffia attraverso di lei.
E il sole e la luna splendono sempre.




***

She Let Go
She let go. Without a thought or a word, she let go.
She let go of fear. She let go of the judgments. 
She let go of the confluence of opinions swarming around her head.
She let go of the committee of indecision within her.
She let go of all the ‘right’ reasons. Wholly and completely, 
without hesitation or worry, she just let go.
She didn’t ask anyone for advice. She didn’t read a 
book on how to let go… She didn’t search the scriptures.
She just let go.
She let go of all of the memories that held her back. 
She let go of all of the anxiety that kept her from moving forward. 
She let go of the planning and all of the calculations about how to do it just right.
She didn’t promise to let go. 
She didn’t journal about it. 
She didn’t write the projected date in her day-timer.
She made no public announcement and put no ad in the paper. 
She didn’t check the weather report or read her daily horoscope. 
She just let go.
She didn’t analyse whether she should let go. 
She didn’t call her friends to discuss the matter. 
She didn’t do a five-step Spiritual Mind Treatment. 
She didn’t call the prayer line. 
She didn’t utter one word. She just let go.
No one was around when it happened. 
There was no applause or congratulations. 
No one thanked her or praised her. 
No one noticed a thing. 
Like a leaf falling from a tree, she just let go.
There was no effort. There was no struggle. 
It wasn’t good and it wasn’t bad. 
It was what it was, and it is just that.
In the space of letting go, she let it all be. 
A small smile came over her face. 
A light breeze blew through her.
And the sun and the moon shone forevermore.
***

(The author of this poem is unclear. A few sites list Ernest Holmes as the author, another Jennifer Eckert Bernau and still another Rev.Safire Rose)

sabato 7 dicembre 2013

Il dolore secondo Gibran


E una donna disse:“Parlaci del dolore”.
E lui disse:
Il dolore è lo spezzarsi del guscio
che racchiude la vostra conoscenza.
Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi
affinché il suo cuore possa esporsi al sole,
così voi dovete conoscere il dolore.
E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia
per i prodigi quotidiani della vita,
il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia;
accogliereste le stagioni del vostro cuore
come avreste sempre accolto le stagioni
che passano sui campi.
E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore.
Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi.
È la pozione amara con la quale il medico che è in voi
guarisce il vostro male.
Quindi confidate in lui e bevete il suo
rimedio in serenità e in silenzio.
Poiché la sua mano, benché pesante e rude,
è retta dalla tenera mano dell'Invisibile,
e la coppa che vi porge,
nonostante bruci le vostre labbra,
è stata fatta con la creta che il Vasaio
ha bagnato di lacrime sacre.

(da Il Profeta, di Gibran Kahlil Gibran)

giovedì 5 dicembre 2013

Invictus


Invictus 
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.

Nella feroce morsa delle circostanze
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.

Oltre questo luogo d'ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
(poesia di William Ernest Henley , usata da Nelson Mandela per alleviare gli anni della sua prigionia durante l'apartheid)
***
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

venerdì 22 novembre 2013

"Portami i tuoi sogni (...e decidi che vuoi fare)" - Attività di fine anno per sognatori che agiscono


"Il mondo ha bisogno
di gente che sogna e di gente che agisce.
Ma più di tutto il mondo ha bisogno
di sognatori che agiscono."
(Sarah Ban Breathnach)
***
Come vi avevo preannunciato, è in partenza a dicembre il prossimo corso di life coaching, dedicato questa volta ai nostri progetti per l'anno nuovo. 
E' un corso di 14 ore distribuite in sei giorni.
I primi quattro incontri, della durata di tre ore ciascuno (6-13-20-27 dicembre 2013), consisteranno in sessioni di life coaching di gruppo, dove ogni partecipante verrà guidato a chiarire a se stesso cosa realmente vuole per l'anno prossimo, e come intende procedere per raggiungere i suoi obiettivi, attingendo alle sue risorse e potenzialità, e nel pieno rispetto di tutto ciò che per lui ha valore nella vita.
Il quinto incontro, della durata di un'ora e quindici (31 dicembre 2013), sarà una specie di rito di passaggio dall'anno vecchio all'anno nuovo e un momento in cui i membri del gruppo si scambieranno gli auguri non solo di un generico buon anno nuovo, come si fa sempre, ma proprio dell'anno nuovo che ognuno ha sognato e condiviso con gli altri. Il gruppo quel giorno si scioglierà, e dal giorno dopo ognuno viaggerà da solo verso le sue mete. .
Il sesto incontro (3 gennaio 2014) consisterà in una sessione individuale di life coaching, in cui ogni membro del gruppo potrà confrontarsi con me, singolarmente, per 45 minuti, e  ricevere così  un'attenzione personalizzata per ciò che più specificamente gli sta a cuore.
A seguire, la locandina del corso

Per informazioni e prenotazioni, telefonare al numero 388.8257088.
L'evento è riportato anche sulla pagina delle attività (clicca qui)  e su facebook (clicca qui)

sabato 16 novembre 2013

Anni che fanno domande, anni che danno risposte

Se è vera la bella frase di Zora Neale Hurston, secondo cui "Ci sono anni che fanno domande e anni che rispondono", forse siamo ancora in tempo, prima della fine dell'anno, a tirare fuori tutte le domande necessarie perché questo sia l'anno delle domande ed il prossimo quello delle risposte.
È a questo tema che si ispira il post di oggi, che richiedeva un breve preambolo, visto che parla della fine dell'anno, che in sé e per sé non arriverà prima di quaranta e più giorni (mentre noi, intanto, prepareremo il terreno alle risposte...) 

Chiudere un anno ed aprirne un altro è sempre come varcare una soglia: foss'anche una soglia interiore, simbolica, che ha a che fare più con ciò che accade dentro di noi che con quello che accade sul calendario del mondo.
Immaginate che alla vostra casa venga aggiunta  un bel giorno una stanza in più.
Bene, il passaggio dall'anno vecchio all'anno nuovo è un po’ come varcare la soglia di quella stanza.
Ci sono persone la cui casa è talmente ingombra di cianfrusaglie da considerare la stanza nuova un semplice prolungamento di tutto il resto (e quindi destinata ad essere l’ennesimo deposito di ciarpame).

Come a loro così anche a noi potrebbe sembrare che l’anno nuovo, prima ancora di essere cominciato, sia già ipotecato e oppresso dai problemi che ci trasciniamo dietro dall’anno vecchio.
Per essere in qualche modo godibili, come contenitori di buone novità, sia la nuova stanza sia il nuovo anno richiedono un lavoro preparatorio di selezione, pulizia, sgombero, riordino, riorganizzazione.
Un lavoraccio, insomma.
Quel tipo di lavoracci che non si possono nemmeno delegare, perché, nel fare ordine in una casa, come nel fare ordine nella nostra vita, ci sono scelte che nessuno può fare al posto nostro (tipo - nella casa -: "lo regalo o non lo regalo il costosissimo pullover di cashmere che mi fa sembrare un vecchio tricheco?", o tipo - nella vita-: "lo lascio o non lo lascio il fascinosissimo amante, che mi tiene sulla corda da tre anni ed ora ha messo pure in cantiere - dice per sbaglio - il terzo figlio con la moglie?").
Insomma, a volte decidere di rifondare un'area insoddisfacente o trascurata della nostra vita è proprio  imbarcarsi in un'avventura.
Ci sono quelli che per natura sono più avventurosi e quelli che per natura rifuggono dall'avventura, a costo di schermarsi dai problemi della propria vita con un sistema molto spiccio: la negazione. Invece di fare un faticoso inventario di ciò che funziona e di ciò che non funziona nella mia casa, o nella mia vita, ficco tutto così com’è dentro una stanza e chiudo la porta a chiave. Magari là per là ho anche una parvenza d’ordine intorno a me, e  l’impressione che il problema, per il fatto che non si vede, non ci sia. 
Ma, che ci piaccia o no, la verità è un'altra.
Un problema se c'è, c'è: non vale a nulla negarlo.
Ciò che non si vede, infatti, se c’è, comunque si sente (eccome, se si sente!).
Immaginate che le cianfrusaglie rinchiuse nella stanza (il vostro sopradetto pullover o la vostra calpestata dignità) comincino un bel giorno a battere i pugni sulla porta, perché rivendicano il diritto di essere presi in considerazione da voi.
Lo sentite il rumore dei pugni?
Bene, vi consiglio di farci caso e di non mettervi i tappi nelle orecchie. Perché altrimenti il pullover e la dignità, assieme al resto delle questioni sospese, batteranno ancora più vigorosamente su quella porta, finché le mura di casa vibreranno con tale violenza che non potrete più fare finta di niente, e vi toccherà comunque affrontare la situazione in qualche modo (fosse anche con i pompieri o con uno psichiatra).
Nei percorsi di life coaching aiuto le persone a trovare la forza di mettere ordine nelle aree  insoddisfacenti della loro vita: a fare un bell'inventario di quello che c'è dentro, a decidere cosa buttare e cosa tenere, ma soprattutto a fare spazio al nuovo che verrà e che ora è già presente come pura potenzialità in attesa di essere vista, desiderata e  coltivata.
La parte più bella e stimolante di un percorso di life coaching, infatti, (quasi magica, secondo alcuni) non è tanto quella della "riordinata" preliminare - che pure ci vuole, figuriamoci - ma piuttosto quella della creazione del nuovo, della costruzione del futuro che vogliamo, il cui inizio si fonda sempre su una specie di atto di "pre-veggenza".
Infatti, se vogliamo fare della nostra vita la nostra opera d’arte, dobbiamo fare proprio come un artista vero: vedere l’opera nella nostra mente, prima ancora di dipingerla sulla  tela o scolpirla nel marmo.
E solo dopo averla vista, desiderata, riconosciuta come la vita per cui sentiamo di essere nati, possiamo finalmente  passare alla fase successiva, e chiederci: come si fa ad arrivare fin là?
Le risposte a questa domanda all'inizio possono sembrarci molto difficili da trovare, ma a un certo punto esse cominciano a venirci alla mente con una maggiore facilità.
La nostra mente, infatti, si organizza per trovare le soluzioni che cerchiamo, quando abbiamo chiarito a noi stessi cosa realmente cerchiamo; ci rende più attenti alle occasioni, alle opportunità, alle strade e agli incontri che possono favorire la realizzazione del nostro desiderio.  Questo stesso desiderio, poi, ci caricherà di preziosa energia rendendoci capaci di affrontare le difficoltà e le sfide con maggiore grinta e fiducia in noi stessi.
Valutate perciò seriamente la possibilità di avvicinarvi a un percorso individuale o collettivo di life coaching, in prossimità della fine dell'anno. 
Consideratelo il miglior regalo di Natale che possiate fare a voi stessi. 
Dopo tutto, anche per tradizione, la fine di un anno è un momento simbolicamente propizio per disfarsi del vecchio e gettare i semi del nuovo.
A me è sempre piaciuto avviarmi verso il nuovo anno con un sogno nel cuore.
Portatemi i vostri sogni... e quest'anno brinderemo insieme!
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domenica 10 novembre 2013

Il "capo espiatorio": un mantello per le nostre... cicatrici di guerra

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"Si diventa grandi sulla propria pelle
sulle proprie palle
 e su poche stelle."
(Roberto Vecchioni)

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"E' una buona idea ... calcolare l'età
non in base agli anni
 ma in base
 alle cicatrici di guerra.
«Quanti anni hai?»,
 mi chiedono talvolta.
Ed io rispondo:
 « Ho diciassette
 cicatrici di guerra»." 
(Clarissa Pinkola Estés)

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Nel suo libro Donne che corrono coi lupi, Clarissa Pinkola Estés racconta di un rituale, da lei attuato personalmente e poi suggerito anche ad altre persone (che pare lo abbiano apprezzato), che consiste nella realizzazione di un "capo espiatorio".
Si tratta di un capo, e per l'esattezza di un mantello, su cui una persona attacca, dipinge, ricama, scrive o comunque rappresenta simbolicamente i passaggi più dolorosi e difficili della propria vita: quelli che le hanno lasciato dentro qualche cicatrice, le cosiddette cicatrici di guerra, testimonianza di tutte le battaglie e gli attacchi a cui è sopravvissuta.
Come capo di abbigliamento è probabilmente la cosa peggiore che si possa concepire (e farebbe  probabilmente rimanenza in qualunque boutique, se mai ci arrivasse).
Ma l'intenzione originaria dell'autrice non era certamente di farne il pezzo forte del proprio guardaroba. Piuttosto il contrario:  l'intenzione originaria era di farne qualcosa di transitorio, un capo su cui caricare i segni di tutti i dolori della propria vita per poi distruggerlo (magari bruciandolo), come in una specie di rito  purificatorio.
Quest'ultimo peraltro può richiamare alla nostra mente il rito ebraico del kippūr, dove un'analoga funzione veniva assolta dal capro espiatorio, cioè dal capro che, caricato dal sommo sacerdote di tutti i peccati del popolo, veniva poi mandato via nel deserto.
Fatto sta che, una volta realizzato il suo mantello ("talmente pesante che per sollevare lo strascico ci voleva un coro di Muse"), Clarissa Pinkola Estés si accorse di un fatto strano. Ecco cosa racconta:
"Avevo in mente di mettere tutti i rifiuti psichici in questo unico oggetto psichico, e poi di disperdere alcune delle mie antiche ferite bruciando il «capo espiatorio». Ma poi tenni il mantello appeso al soffitto dell'anticamera, e ogni volta che gli passavo accanto, invece di sentirmi male, mi sentivo bene. Mi ritrovai ad ammirare gli ovarios della donna che poteva indossare un simile mantello e continuare a camminare a quattro zampe, a cantare, a creare, a dimenare la coda.Scoprii che ciò valeva anche per le donne con le quali ho lavorato. Mai hanno voluto distruggere il loro «capo espiatorio». Lo volevano tenere per sempre, e più era brutto e insanguinato, e meglio era".
Come a dire: un mantello del genere rappresenta le nostre cadute e le nostre sconfitte, ma anche le nostre vittorie, la nostra resistenza, e - a ben vedere - anche il nostro coraggio, perché ci vuole molto coraggio a realizzare un mantello così con le proprie mani.
Probabilmente non è una cosa che possiamo fare senza versare lacrime. Ma alla fine anche le lacrime hanno la loro funzione, anche le lacrime lavano e purificano, e forse anche questo può bastarci se non vogliamo ricorrere al fuoco.
"Le lacrime -  dice sempre Clarissa Pinkola Estés - sono un fiume che vi conduce da qualche parte. Il pianto crea attorno alla barca un fiume che porta la vostra vita-anima. Le lacrime sollevano la vostra barca al di sopra degli scogli, delle secche, portandovi in un posto nuovo, migliore."

sabato 9 novembre 2013

Cento cose tutte assieme. Multi-tasking umano e ricerca della serenità

"Conosco una donna - dice Sarah Ban Breathnach  nel suo libro L'incanto della vita semplice - che comincia a spazzolarsi i denti e, ancora col dentifricio in bocca, esce dal bagno e va a rifarsi il letto. E perché? Perché con la coda dell'occhio ha visto le lenzuola stropicciate. Non si è ancora sciacquata la bocca che si è già buttata a capofitto in un altro lavoro. Inutile dire che una giornata iniziata all'insegna della frenesia può soltanto procedere di male in peggio." 
Infatti non è esattamente questo il modo in cui immaginiamo che trascorra le sue giornate una persona serena. E probabilmente non è neanche il modo in cui noi stessi vorremmo trascorrere le nostre giornate.
Eppure, se siamo - o siamo stati - veramente gente che corre, probabilmente momenti del genere li conosciamo anche noi.
Stiamo facendo una cosa e all'improvviso ce ne viene in mente un'altra, o anche un'intera batteria (è in scadenza l'assicurazione sulla macchina, il cane va portato dal veterinario, c'è di nuovo una macchia d'umido sul soffitto, si devono consegnare le carte al commercialista, c'è da contestare la bolletta della luce, sta finendo l'inchiostro nella stampante, c'è da riguardare questo lavoro  prima di consegnarlo domani...).
Oppure ci capita, magari, di organizzare tutto a meraviglia per concentrarci finalmente sul nostro compito e si scatena una specie di congiura del mondo che interferisce inesorabilmente col nostro programma (qualcuno ci chiama in un'altra stanza, la posta elettronica ci recapita un'email urgente, ci telefona nostra madre per una questione condominiale, la nostra collega comincia a lamentarsi dei suoi dolori, dalla segreteria della scuola arriva la notizia del mal di pancia di nostro figlio, poi quattro messaggi sul cellulare, tre messaggi via fax, senza contare i commenti sotto il nostro  post di ieri sera su facebook...).
Tutto questo restando nell'ambito dell'ordinaria amministrazione: un'ordinaria amministrazione in cui ci sembra impossibile poter riuscire a fare tutto senza fare tutto assieme (anche se sappiamo benissimo che non è certo questa la strada per arrivare alla serenità: a un bell'esaurimento nervoso, quello magari sì, ma alla serenità proprio no!).
Il rischio, vivendo così, è di disperdere le nostre energie ai quattro venti, sfiancandoci, sentendoci in perenne affanno, e con la netta sensazione che da un momento all'altro schizzeremo via da questo pianeta.
***
Portare a termine cento cose, facendone una sola per volta, può sembrarci una missione impossibile, eppure riuscirci è un ottimo sistema per ridurre il rischio di "ingorghi" (fisici, mentali, emotivi) e per preservare il nostro equilibrio.
Da dove partire?

Tutte le pratiche di mindfulness sono un continuo esercizio a essere presenti nel qui e ora, anche durante la vita ordinaria, ed è con questo tipo di atteggiamento che possiamo imparare a fare cento cose, una alla volta,  dedicando a ciascuna piena attenzione e senza... esaurirci.
E' chiaro che se non possiamo permetterci di dedicare la nostra intera giornata a fare una sola cosa, dovremo darci dei tempi e delle scadenze, e decidere per esempio di dedicare a una certa cosa la prossima mezz'ora, o i prossimi venti minuti, e non di più (perché poi c'è altro da fare). Ma, di qualunque cosa si tratti, l'importante è adottare un atteggiamento mentale per cui, nella prossima mezz'ora o nei prossimi venti minuti - cascasse il mondo - niente interferirà con quello che stiamo facendo.
Per quanto scontata possa sembrare - e non lo è... - questa cosa dobbiamo tenerla a mente anche quando interagiamo con altre persone, se abbiamo cara la nostra vita relazionale.
Infatti il multi-tasking (espressione mutuata dalla terminologia informatica, per indicare la capacità  di un processore di eseguire più programmi simultaneamente e così, estensivamente, anche la capacità di una persona di fare più cose tutte assieme, quasi dimenticandoci che non è un computer), può danneggiare i rapporti umani quando, nel nostro fare più cose per volta, coinvolgiamo anche un’altra persona. Infatti rischiamo di dedicare a questa persona (sia essa un collega, il partner, un figlio o anche la commessa del supermercato)  un’attenzione frammentaria, cioè spezzoni di attenzione rubati a qualcos'altro, e così un po' badiamo a lei e un po' badiamo a un'altra cosa, trattando questa persona alla stregua di un'incombenza tra le tante da sbrigare. E questo  certo non giova alla qualità dei nostri rapporti interpersonali, perché una persona se ne accorge  che la trattiamo come l'ennesima incombenza della nostra giornata e difficilmente troverà l'interazione con noi ricca, appagante, nutriente.
Già altre volte su questo blog ho accennato ai benefici che possiamo ottenere in termini di serenità attraverso pratiche che favoriscono la consapevolezza del momento presente. Ne ho parlato a proposito del  prestare attenzione durante le attività di routine, del camminare in modo consapevole, dell'utilizzare le sensazioni fisiche come modo per rimanere consapevoli e presenti; senza contare tutti i post contrassegnati specificamente con l'etichetta Mindfulness.
Sono tutte pratiche che, allenando la nostra capacità di stare nel presente, ci portano a restare concentrati su un compito mentre lo svolgiamo. Si tratta allora di adottare un atteggiamento meditativo anche nel portare a compimento (una alla volta) tutte le altre mille incombenze della nostra vita.
In realtà, però, è anche vero che le condizioni ideali per essere continuamente presenti e consapevoli spesso ci mancano, perché un conto è la teoria e un conto è la pratica. Pochi di noi infatti riescono a vivere in uno stato di permanente quiete meditativa, anche se sono convinti della sua utilità e credono fermamente che sia quello il vero stato di grazia. Insomma, voglio dire... siamo gente che corre, non ce lo dimentichiamo!
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Deng Ming-Dao, parlando della quiete nel suo libro di meditazioni Il Tao per un anno, dice:
"Le vicende del mondo vengono spesso eufemisticamente definite 'un gran polverone': un affannarsi continuo che non si può eliminare con un semplice colpo di spugna, ma in cui è altrettanto impossibile trattenersi a lungo. Possiamo cercare il distacco nella meditazione, ma finché gli stimoli esterni continuano a bombardarci la mente, non ci è dato trovare la vera quiete meditativa . [...] Se siamo costretti a restare qui [...], e ciò nonostante desideriamo esercitarci nell'arte della tranquillità, il ritiro, sempre necessario, sarà di portata più modesta. Potremo così raggiungere la quiete, anche se per periodi brevi e transitori."
In quest'ottica, se ci accorgiamo che - con tutta la nostra buona volontà - la quotidianità ci sfugge di mano e stiamo scivolando nel multi-tasking, fermiamoci almeno un momento, facciamo un bel respiro e sospendiamo azione e pensiero per qualche momento. Una breve pausa non può che giovarci (proprio come giova a volte ai congegni elettronici quando si inceppano per il troppo traffico).
Se poi ne abbiamo l'opportunità e la voglia, possiamo anche provare a dedicare qualche minuto a una breve pratica di consapevolezza, di cui abbiamo già  parlato in altro post,  e che è detta appunto "Tre minuti di respiro".
Si tratta di una specie di mini-meditazione tratta dal programma MBCT che possiamo inserire nell'ambito delle nostre abituali giornate di corsa, non solo come semplice pausa per prendere fiato,  ma come vera e propria occasione  per prendere consapevolezza di ciò che ci sta accadendo in un certo preciso momento, di qualunque cosa si tratti. Diventare infatti veramente consapevoli di una routine in cui ci siamo lasciati coinvolgere ci aiuta a relazionarci diversamente anche con le  difficoltà che dobbiamo affrontare e può  consententirci di gestirle  in un modo migliore.



















martedì 5 novembre 2013

Corsi di self coaching e... compiti a casa

"Perché un corso di self-coaching?", potrebbe chiedersi qualcuno. "Se mi devo aiutare da me, allenare da me, motivare da me, allora mi compro un bel manuale di auto-aiuto, e buona notte!".
Sì, proprio buona notte. Perché il principale problema, con i manuali di auto-aiuto, supponendo pure che ne esista qualcuno che faccia proprio al caso nostro, è che spesso e volentieri li compriamo,  se pure li compriamo, ne sfogliamo qualche pagina per mezzo, giusto per farcene un'idea, e poi li mettiamo da qualche parte a riposare - magari proprio sul comodino - aspettando che ci facciano bene, ci motivino, ci portino da qualche parte.
Io non so a che livelli di potenza siano arrivati i manuali di auto-aiuto di ultima generazione, però non credo che siano ancora arrivati a quel livello lì, da garantire la loro funzione di aiuto attraverso il mero fatto del possesso, quasi a poterci passare dei contenuti per osmosi.
Aiutare sé stessi richiede un impegno. C'è chi lo sa fare, chi se lo può permettere, e chi non è proprio portato per queste cose (e allora Amen, non è né reato né peccato, ma solo un modo di essere come un altro, che comunque non si risolve con l'acquisto di un libro e nemmeno di cinquanta).
La prima cosa per cui la gente scalcia, quando va a seguire un corso di self coaching, è che... vengono assegnati dei compiti da fare a casa!
Ma a ben pensarci - potrebbe essere la risposta - se uno si sceglie un corso di self-coaching, è perché forse vuole imparare a lavorare per conto proprio a casa, ad allenarsi da solo, come chi fa ginnastica nel soggiorno, anziché in palestra, ma al tempo stesso è in cerca di una spintarella in più, rispetto all'arida prospettiva di fare gli esercizi scritti sopra a un libro.
Bene, quelli che vengono assegnati come compiti a casa, in un corso di self coaching, sono esercizi di allenamento in autonomia, che all'inizio vengono appunto "assegnati", ma poi entrano a far parte di routine che ognuno si gestisce come crede,  approfondendo la ricerca ulteriore da sé, se lo crede utile,  o  limitandosi a seguire il tracciato di massima suggerito, perché gli sta bene così, ed è comunque qualcosa che gli è stato passato da mano a mano, da essere umano ad essere umano, e non da un arido libro stampato, che in certi momenti non si ha né la voglia, né la forza di leggere...
Vai al programma del corso di self coaching che inizia l'8 novembre


mercoledì 30 ottobre 2013

Programma del corso "Diventa il coach di te stesso": novembre 2013


Diventa il coach di te stesso
Corso breve di self-coaching: 8, 15, 22, 27 novembre 2013
(si comunica che, per alcuni iscritti impossibilitati a partecipare all’incontro del giorno 8, la prima sessione è stata anticipata al giorno 4 novembre; gli altri sono attesi per il giorno 8 salvo che vogliano anch'essi  venire il 4, preavvisandomi telefonicamente)
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Programma del corso
1° giorno:
- presentazione del corso e dei partecipanti
- l’inventario di cosa “funziona” e di cosa “non funziona” nella nostra vita;
- uno sguardo lucido sul passato;
- uno sguardo coraggioso sull’avvenire;
- stringere un patto di coaching con sé stessi (dalla crisi di autogoverno alla  cura di sé)
- suggerimenti per procedere in autonomia a casa
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2° giorno
- definire la propria mission
- accedere alla propria vision
- portare alla luce la propria identità
- mettere ordine nei propri valori
- suggerimenti per procedere in autonomia a casa
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3° giorno
- obiettivi ben formulati, verificabili, contestualizzati, ecologici, coerenti
- risorse, potenzialità personali e alleati
- test delle potenzialità
- ostacoli e convinzioni limitanti
- l’eroe e la sua storia: metafore e archetipi
- suggerimenti per procedere in autonomia a casa
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4° giorno
- piano d’azione e strategie
- start (ogni viaggio comincia dal primo passo)
- sostenere sé stessi mentalmente (riconoscere i pensieri disfunzionali, adottare un lessico potenziante; adottare tecniche per la riduzione dello stress; ricorrere a metafore e archetipi, ecc.)
- riconoscere ed evitare le influenze negative; circondarsi di influenze positive
- concentrarsi su ciò che conta davvero; dare il ritmo
- buone prassi
- esercizi individuali per l’allenamento delle potenzialità
- questionario di gradimento

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per altre informazioni clicca qui oppure vedi la pagina delle attività


Non considererò mai tempo sprecato il tempo dedicato a ciò che mi fa sentire bene - Un patto di alleanza con sé stessi


Un po' per sorridere e un po' per davvero, ho buttato giù una bozza di "patto scritto con sé stessi" per tutti coloro che dicono di voler prendere in mano la propria vita e dirigersi verso dimensioni esistenziali più appaganti.
In realtà tutti a chiacchiere vogliono questo, ma poi riuscire a prendere un serio impegno con sé stessi è un'altra cosa.
E voi, sareste pronti a mettere la vostra firma sotto un patto del genere e ad attaccarlo in un posto bene a vista (sul frigorifero, sullo specchio del bagno, nell'anta dell'armadio che aprite ogni mattina), in maniera da ricordarlo a voi stessi tutti i santi giorni, per non rischiare "inadempienze"?
Leggete un po' qua.


Inutile dire che nessun notaio vi autenticherà mai la firma sotto un patto del genere, perché là sotto - se ve la sentite -  ci va una sola firma, la vostra, ed un unico sigillo, quello del vostro cuore.
Bene. Per oggi è tutto.
Bonne chance, allora, cari coach di voi stessi che avete avuto il coraggio di firmare un simile patto.
Vi farà tanto bene rispettarlo ora e sempre e, caso mai vi servisse una mano per dare inizio all'opera, ricordatevi del mio corso di self-coaching che inizia il prossimo 8 novembre (con un'anticipazione della prima lezione al 4 novembre, per alcuni iscritti che non possono venire l'8).
Il programma di massima del corso è al seguente link:
http://ciochesimuovenoncongela.blogspot.it/2013/10/programma-del-corso-diventa-il-coach-di.html



domenica 27 ottobre 2013

Brave ragazze sfortunate in amore. Lezione di sopravvivenza n.1: restare (fascinosamente) se stesse

"Non permettete mai a nessuno di diventare una vostra priorità, 
mentre voi per lui non siete che un'alternativa." 
(Nina Potts-Jefferies)
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Quando i media suggeriscono alle donne di adottare un certo look, di comprare un certo capo di vestiario o di  scegliere un certo colore di smalto, insinuando che sono tutte cose che faranno impazzire i loro uomini, in realtà mandano alle donne un messaggio non solo molto diseducativo ma alla lunga anche improduttivo proprio sul fronte della seduzione.
Il messaggio infatti è "compra e indossa la tale cosa perché piacerà tanto a lui" e cioè "preoccupati della sua approvazione o disapprovazione, prima ancora di preoccuparti di cosa piace o non piace realmente a te."
Questo genere di consigli rinforza uno degli atteggiamenti tipici di certe donne sfortunate in amore: cioè  quello di far girare tutto il proprio mondo intorno ad un uomo, perdendo di vista se stesse.
Probabilmente un uomo non dirà mai apertamente a una donna: "Non mi piaci quando mi dici sempre di sì, quando mi assecondi sempre nei miei gusti e nei miei capricci, e insomma quando ti trasformi nel mio zerbino", ma intanto le  pene d'amore che la donna in questione rischia di vivere possono dipendere anche da questi suoi atteggiamenti.
Essere sempre disponibili, darsi troppo o essere esageratamente ansiose di compiacere un uomo, sono tutti atteggiamenti che un po' alla volta possono minare il rispetto che l'uomo nutre verso la donna (che a sua volta sembra lei per prima non rispettarsi); e la mancanza di rispetto porta alla decadenza del fascino di lei agli occhi di lui e così all'abbassamento degli standard della relazione.
"E' molto più facile che siano le donne a rinunciare ai propri progetti", dice Sherry Argov, autrice di  indagini e libri sui problemi di cuore delle donne. In particolare le cosiddette "brave ragazze", quando incontrano un uomo, tendono a operare tutta una serie di rinunce e a non trovare più il tempo per le solite cose che facevano quando erano sole. Magari smettono di vedere le amiche, lasciano il corso di yoga, smettono di giocare a tennis nel weekend, a scuola o al lavoro non sono concentrate perché continuano a controllare se c'è un messaggio di lui sul telefonino, e arrivano a rinunciare alla carriera per favorire quella di lui e anche a smettere di fare qualsiasi sogno che sia al di fuori della relazione (perché ormai l'unico sogno... è lui!)
Invece "gli uomini non rinunciano alle serate fuori con gli amici", dice sempre Sherry Argov."Gli uomini non rinunciano al lavoro, o al sonno, o al cibo. (La maggior parte non rinuncia nemmeno alla mamma.) E' più probabile che rispettino una donna che rimane attaccata alle cose che per lei sono importanti."
Infatti, dopo aver intervistato centinaia di uomini sull'argomento, la Argov ha scoperto che la maggioranza di loro, nel relazionarsi con il sesso femminile, dichiarava di sentire il bisogno di "uno stimolo intellettuale".
La seconda scoperta è stata che donne e uomini davano un significato molto diverso alla medesima espressione "stimolo intellettuale".
Le maggior parte delle donne infatti collegava l'espressione all'intelligenza, pensando che essere stimolanti intellettualmente significasse saper fare grandi ragionamenti e discorsi di buon livello (mentre questo - e lo sappiamo tutte! - di per sé non basta a garantire il  successo in amore).
Lo stimolo intellettuale di cui parlavano gli uomini era invece collegato a un certo mordente, gli uomini trovavano più attraenti le donne che non apparivano troppo bisognose (di approvazione, di amore, di una telefonata, di una relazione), che non davano l'impressione di darsi un gran da fare per attirare la loro attenzione, per affascinarli, per trattenerli a sé, che mantenevano il controllo su sé stesse e sulla propria vita, anche durante la relazione, senza mai cederlo completamente a loro.
Per designare questo tipo di donne, in contrapposizione alle brave ragazze, Sherry Argov usa affettuosamente l'espressione "stronze", facendo un'importante distinzione con l'uso spregiativo che in altre circostanze si fa di questa parola. La stronza di cui lei parla non è una donna irritante, non è la "stronza al volante" o la "collega stronza". E' una donna "gentile ma forte. Ha un'energia sotterranea. Non rinuncia alla propria vita, e non darà mai la caccia a un uomo. Non permetterà mai a un uomo di avere il cento per cento del controllo su di lei. E affermerà se stessa quando lui andrà sopra le righe. Sa quello che vuole ma non scenderà a compromessi per ottenerlo. E' femminile come un 'Fiore d'acciaio' delicato all'esterno ma volitivo e determinato all'interno. Usa questa femminilità a proprio vantaggio. Non che approfitti degli uomini, perché è una persona corretta, ma ha qualcosa che manca alla 'brava ragazza': il sangue freddo; non si lascia trasportare dalle fantasie romantiche. Il sangue freddo le permette di esercitare il proprio potere quando è necessario. Per di più ha la capacità di rimanere calma sotto pressione.   Mentre la 'brava ragazza' dà e dà, finché non è del tutto svuotata, la donna concreta sa quando sottrarsi."
Si tratta dunque di un tipo di donna che possiamo pure chiamare "stronza", se vogliamo, ma che in realtà troppo stronza non è, perché non è caustica, rude, corrosiva (ma nemmeno lamentosa o brontolona), come a volte sono invece certe persone del tipo tutto fumo e niente arrosto.
E' una donna davvero forte, perché è gentile. Anche se pretende, giustamente, la medesima gentilezza in cambio.
E' una donna che mette se stessa - e non il suo uomo - davanti a tutto, senza paure e senza rimorsi; che riconosce il proprio ritmo e lo asseconda; che sa chi è e cosa non è; che ricorda a sé stessa in ogni momento cosa è disposta ad accettare e cosa non intende assolutamente accettare; capace di prendere una decisione in autonomia, senza ripensamenti, e senza lasciarsi dissuadere dagli altri; padrona di sé e della propria vita; e che tutto ciò che mette di suo nella relazione e dona a un uomo, lo dà per scelta e non per paura di perderlo, perché non sarà mai disposta a perdere se stessa per la paura di perdere lui.


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