mercoledì 31 dicembre 2014

Ispirazioni di fine anno e pratiche informali di consapevolezza per la vita quotidiana



1.Quando è possibile, fare una cosa alla volta.
2.Prestare completa attenzione a quello che si sta facendo.
3.Quando la mente si distrae da ciò che si sta facendo, riportarla indietro.
4. Ripetere il punto tre diversi miliardi di volte.
5. Indagare sulle proprie distrazioni.
 (Larry Rosenberg) 
***
Che ce ne rendiamo conto o no, quando siamo assorti nei nostri pensieri è come se avessimo il pilota automatico inserito, che decide i nostri passi, guida i nostri gesti, manovra la nostra automobile e a volte ci mette pure le parole in bocca. 
Quando i nostri pensieri sono i nostri padroni, hanno il potere di portarci lontanissimo da dove realmente siamo ora, in questo preciso momento. 
Voliamo allora nel passato, nel futuro, nel condizionale più improbabile, sbiadendo l'esperienza presente come se avessimo la nebbia davanti agli occhi, i tappi nelle orecchie, una molletta per i panni stretta sul naso, una mezza anestesia che ci toglie il tatto, e una specie di  maleficio che ci porta via i sapori, rendendo meno gustoso non solo il cibo che mangiamo ma la stessa vita che viviamo.
Dove stai con la testa in questo momento? Chi c'è al tuo posto, mentre fai finta di stare qui?
C'è qualcosa che ti distrae dalla vita vera, dalle sorprese che ha in serbo per te, dalle mille qualità di ogni singolo momento, dal sapore vero delle cose, dalle tue interazioni con chi ti circonda?
Se appena appena ci rendessimo conto della continua tendenza della nostra mente a distrarci dalle mille qualità del momento presente (bombardandoci di storie, commenti, minacce, previsioni e a volte addirittura rimproveri!), cominceremmo a trattarla un po' diversamente, magari come un amico affezionato ma un tantino asfissiante, che di tanto in tanto - con molta gentilezza, ma anche con fermezza - va arginato e messo a tacere. 
Non per cattiveria. Solo per non scoppiare. 
La questione  non è di impedire in assoluto alla nostra mente di vagare (noi abbiamo bisogno certamente anche di ricordare, per mettere a frutto le esperienze passate, come di sognare, per progettare il nostro futuro). La questione è piuttosto impedire ai viaggi della mente di rubarci il presente sottraendoci i suoi reali doni.
Per non essere schiavi della mente che vaga, dobbiamo poter essere liberi di scegliere dove  stare con la testa, momento per momento, e quindi sviluppare una capacità di andare  e venire dai viaggi mentali, riuscendo a tornare presenti a noi stessi, nel qui e ora, intenzionalmente, consapevolmente e gentilmente, ogni volta che vogliamo.
***

La scorsa notte, mentre stavo scrivendo il mio post di fine anno, ha nevicato.
Me ne sono accorta perché me l'ha comunicato mia figlia Alessia rientrando a casa.
Quando scrivo, sto seduta accanto a una finestra che dà sul golfo di Napoli.
Mi è bastato portare lo sguardo alla mia destra, per accorgermi che migliaia di fiocchi di neve danzavano nel buio della notte tra le mille lucine del golfo. C'era anche la luna.
Avevo uno spettacolo più unico che raro, ora, qui, giusto al mio fianco.
E certo non l'avrei notato, se Alessia non mi avesse indotta a farci caso, a prestargli attenzione.
Ero altrove, deliberatamente altrove. Al cento per cento concentrata sul mio post.
Sono stata grata a mia figlia di avermi interrotta. La vita vera era qui, con tutta la sua magia. Non me la sarei persa per nessuna ragione al mondo! 
Stamattina ad ogni modo il mio post era da completare. 
Mi sono svegliata con l'intenzione di rimettermi a scrivere, ma al tempo stesso dovevo preparare le lenticchie per la cena, visto che è l'ultimo dell'anno.
Non avevo nessuna voglia di mettermi a preparare le lenticchie. 
In realtà sono molto facili da cucinare. Basta mettere l'acqua nella pentola, versarci dentro le lenticchie, aggiungere sedano e aglio, accendere il fuoco e ricordarsi di spegnerlo dopo una mezz'ora circa. E poi, certo, a fine cottura bisogna  ricordarsi di aggiungere il sale e magari un po' d'olio.
Ma come si fa a provare gusto in un'attività così minima? E' talmente facile che mi risulta noiosa.
Così ho deciso che il mio esercizio spirituale di fine anno sarebbe stato proprio...  fare pace con la preparazione delle lenticchie.
Anziché aprire velocemente la busta con uno strappo o con le forbici, ho rimosso delicatamente il sigillo metallico con la punta di un coltello, portando la mia attenzione ai riflessi di luce sulla lama, al cedere graduale del sigillo sotto la crescente pressione che stavo esercitando, allo scricchiolio della busta mentre si apriva, al graduale ammorbidirsi del contenuto a mano a mano che lo spazio tra una lenticchia e l'altra aumentava.
Ho scelto la pentola più adatta, che però era sporca. Così mi sono messa a lavarla, percependo sotto le mani il calore dell'acqua, ascoltandone lo sciacquettio, annusando il profumo del detersivo. Ho tastato la superficie interna della pentola con i polpastrelli fino a distinguere chiaramente le zone lisce, da quelle unte e da quelle incrostate. Ho percepito il ruvido della spugnetta in contrasto con il liscio dell'acciaio e il ronzio dello sfregamento dell'una sull'altro.
Ho risciacquato la pentola e poi l'ho riempita d'acqua fredda.
L'acqua era limpida,  trasparente e inodore, e la pentola lucente.
Mi sono stupita nel percepire dentro di me un senso di grande soddisfazione  di fronte a quella vista. 
Era incredibile che fossi così contenta per una cosa così minima. Mi sembrava quasi di aver dato un contributo al mondo, con quella mia pentola bella pulita e colma d'acqua fresca di rubinetto!
Ci ho versato dentro le lenticchie, osservandole cadere ad una ad una nell'acqua in mille schizzi fragorosi.
Poi ho aperto il frigorifero e ho cercato il sedano.
Ho tastato i vari gambi ad uno ad uno, riconoscendo sia al tatto sia all'aspetto quelli più sodi, quelli più  morbidi, quelli più verdi, quelli  più bianchi. Ne ho recisi alcuni con la punta del coltello e poi li ho lavati  delicatamente percependo con attenzione le qualità visive, tattili e uditive anche di questo lavaggio.
Quando ho affettato il sedano sul tagliere, mi sono accorta che era profumatissimo. Per la prima volta nella vita il suo odore mi ha letteralmente inebriata, tanto era intenso. Poi ho sbucciato l'aglio ed ho prestato attenzione alle qualità tanto più forti del suo profumo e ho vissuto pienamente anche quelle.   
Poi ho messo tutto in pentola, ho acceso il fuoco e ho guardato l'ora.
Quindi ho messo il timer per ricordarmi di tornare qui tra mezz'ora.
Nei prossimi trenta minuti sarò infatti certamente altrove, sia fisicamente sia mentalmente.
Ho deciso di finire il mio post di fine anno e non intendo restare in contemplazione della pentola meditando mezz'ora sulle lenticchie che cuociono. 
Sarebbe anche un'idea, non dico di no, ma  non oggi! Per oggi il mio gioco mi è bastato.
Il breve tempo impiegato a preparare le lenticchie è stato tempo di qualità.
Non solo non mi sono annoiata ma ci sono stata proprio bene.  Ho vissuto qualcosa di speciale: un'attività che consideravo noiosa per la prima volta mi ha gratificata.
Nulla era realmente diverso dal solito: stessa cucina, stessa pentola, stessa marca di lenticchie.
L'unica cosa diversa era la qualità della mia attenzione, intenzionalmente portata per un breve lasso di tempo ad ogni dettaglio dell'esperienza che vivevo nel presente, momento per momento. Senza cercare di scappare, senza affrettarmi, senza pensare a qualcos'altro.
Insomma, come per la nevicata di stanotte anche per le lenticchie di stamattina: ciò che ho vissuto realmente è ciò di cui realmente mi sono accorta. Niente più di questo.
Ogni momento della nostra vita ha un suo valore, se solo glielo riconosciamo  e lo onoriamo  con gentile attenzione.
La qualità percepita della nostra vita può dipendere in larga misura proprio da questo atteggiamento.
Per cui il mio augurio a tutti voi per questo nuovo anno è semplicemente di sviluppare una capacità di gentile attenzione momento per momento, portando curiosità e interesse verso ciò che accade mentre accade, fino a scoprire le qualità straordinarie dei vostri giorni ordinari. 
Grande è il potere della consapevolezza nella vita quotidiana.
Che possano giungervi nel nuovo anno rivelazioni e meraviglie, non solo da finestre e lenticchie, ma da tutto ciò che nella vostra vita aspetta solo di essere riconosciuto.


A seguire, piccoli suggerimenti per portare più consapevolezza nelle nostra quotidianità, tratti dal libro Ritrovare la serenità, di M.Williams, J.Teasdale, Z.Segal, J.Kabat-Zin.

"• Quando vi svegliate la mattina, prima di scendere dal letto, por­tate l'attenzione al respiro per almeno cinque respiri completi, la­sciando che il respiro "avvenga da sé".

• Prendete nota della vostra postura. Siate consapevoli delle sen­sazioni fisiche e di ciò che avviene nella vostra mente quando dal­la posizione distesa vi mettete a sedere oppure vi alzate e vi met­tete a camminare. Notate ogni volta che passate da una posizio­ne all'altra.

• Quando sentite il telefono suonare, un uccellino cantare, un tre­no passare, una risata, il clacson di un'auto, il vento o il suono di una porta che si chiude, utilizzate ognuno di questi suoni o altri che sentite per ricordarvi di entrare pienamente nel qui e ora. Ascolta­te davvero,rimanendo presenti e vigili.

• Nell'arco dell'intera giornata, prendetevi qualche momento per portare l'attenzione al vostro respiro per almeno cinque respiri completi.


• Quando mangiate o bevete qualcosa, datevi il tempo di respira­re. Mettete consapevolezza nel vedere il cibo, sentirne i profumi, nell'assaporarlo, nel masticarlo e nell'inghiottirlo.


• Notate il vostro corpo mentre camminate o state in piedi. Con­cedetevi un istante per prendere nota della vostra postura. Presta­te attenzione al contatto con il terreno sotto i piedi. Sentite l'aria sul viso, sulle braccia e sulle gambe mentre camminate. Vi state af­frettando per arrivare al momento successivo? Anche quando sie­te di fretta, state con la fretta; guardatevi dentro per verificare se state creandovi pressioni aggiuntive, dicendo a voi stessi tutte le cose che possono andare storte.


• Ascoltate e parlate con consapevolezza. Sapete ascoltare senza dover essere d'accordo o meno, senza pensare se vi piace o non vi piace quello che sentite, senza pianificare quello che direte quan­do è il vostro turno? Sapete dire semplicemente quello che dove­te dire senza esagerare o minimizzare? Riuscite a notare le vostre sensazioni fisiche e ciò che vi passa per la mente? Riuscite a nota­re ciò che il vostro tono di voce trasmette? Le vostre parole sono un miglioramento rispetto al silenzio?

• Quando vi trovate ad aspettare in fila, utilizzate quel tempo per notare come state in piedi e respirate. Sentite il contatto dei piedi con il terreno e le sensazioni fisiche che provate. Portate attenzio­ne all'addome che si dilata e si distende. Provate impazienza?

• Siate consapevoli di eventuali punti di tensione nel corpo, nel­l'arco dell'intera giornata. Provate a respirarci dentro e, quando espirate, a lasciare andare eventuali eccessi di tensione. Siate con­sapevoli dell'eventuale tensione immagazzinata nel corpo. C'è tensione nel collo, nelle spalle, nell'addome, nelle mascelle o nella zo­na lombare? Imparate a conoscere i vostri schemi di avversione. Se possibile, praticate yoga o esercizi di allunga­mento una volta al giorno.

• Concentrate l'attenzione sulle vostre attività quotidiane, come la­vare i denti, pettinarsi, lavarsi o mettere le scarpe. Portate la con­sapevolezza in ogni attività.

• Prima di andare a dormire la sera, concedetevi qualche minuto per portare la vostra attenzione al respiro per almeno cinque respiri completi."



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Maria Michela Altiero psicologa e mindfulness trainer
www.mariamichelaaltiero.it



mercoledì 24 dicembre 2014

I miei più cari auguri di buon Natale

A voi tutti, cari amici, i miei migliori auguri di buon Natale
Vi auguro di stare in compagnia di persone che amate davvero, di dire e ascoltare parole sincere,  di mangiare cose che davvero vi piacciono, di ridere per cose che davvero vi fanno ridere,  di ricevere e dare pochi baci formali e molti baci  graditi, di trascorrere ore serene tra sorrisi sinceri.
Vi auguro di non sentirvi mai stretti, nel girovita, nelle scarpe, nel posto a tavola, nelle conversazioni e in fondo al cuore. 
Vi auguro di aver comprato regali per persone a cui vi dà gioia farli e di ricevere regali che testimonino vero affetto per voi.
Vi auguro di  poter stare vicino a chi per voi è speciale.
E vi auguro forza se è proprio una persona speciale a mancarvi quest'anno a Natale, e anche coraggio nel caso che fosse andata via per sempre.
Vi auguro di vivere questo Natale con la vostra Verità, quale che sia, in compagnia o in solitudine, trovando il vostro modo di venirci a patti e di starci comodi.
Vi auguro anche qualche piccolo miracolo, che a Natale non guasta e aggiunge magia, come una rivelazione che dà senso a un dolore, una sorpresa che vi scaldi il cuore, un dialogo che vi faccia sentire compresi, un abbraccio che vi faccia sentire al sicuro, una riappacificazione insperata, una telefonata da chi non vi aspettavate e anche, perché no, una dichiarazione d'amore...
Vi auguro di riuscire a non stressarvi troppo e a prendere ogni cosa con la dovuta calma, affinché questo Natale possa essere davvero un Natale di pace.
E nel caso che non si tratti di santa pace piovuta dal cielo, ma piuttosto di pace conquistata  sul campo, grazie alla vostra sapiente gestione dello stress, allora oltre agli auguri vi faccio anche i miei più sentiti complimenti.
Buon Natale a tutti!



domenica 21 dicembre 2014

Essere semplicemente presenti (come un portinaio...)

Una cosa che può infastidirci nei rapporti con le persone della nostra vita è l'incapacità di starci accanto, quando abbiamo un problema, senza fare a tutti i costi... qualcosa. 
In certi casi, infatti, ciò che desideriamo da chi ci circonda è la semplice vicinanza emotiva, che non ci faccia sentire soli nelle difficoltà, ma accolti così come siamo e così come ci sentiamo, ascoltati se parliamo e lasciati in pace se stiamo zitti, senza necessità di sembrare diversi da come realmente siamo o fingere di stare bene per forza, pur di  tranquillizzare l'altro.
Il desiderio/bisogno di vederci star bene può spingere  le persone a fare necessariamente qualcosa per noi, pur di sfuggire al proprio senso di inutilità e impotenza, o pur di dimostrarci quanto ci amano e quanto sono preziose per noi.
Può capitare allora che chi ci sta accanto si attivi per noi  ben al di là dei nostri desideri e delle nostre richieste, fino a imporci cose (consigli, chiacchiere, distrazioni, attività d'ogni tipo) che, benché suggerite dall'affetto e dalle migliori intenzioni, possono risultarci sgradite, inopportune e addirittura esasperanti.
Quando vogliamo essere d'aiuto a qualcuno, siamo  consapevoli delle  motivazioni che realmente  ci  spingono ad intervenire nella sua vita in un modo o nell'altro? Mentre ci attiviamo nel proporre o attuare soluzioni per lui, stiamo dando davvero risposta ad una sua richiesta? Stiamo ascoltando davvero un suo bisogno? 
E se invece stessimo solo cercando di placare il nostro disagio di fronte alla sua difficoltà? Se stessimo scansando il senso di colpa che ci tormenterebbe se non facessimo niente? 
A muoverci potrebbe essere il desiderio di dimostrargli a tutti i costi quanto siamo bravi e meritevoli d'amore, se non addirittura indispensabili per lui, e la segreta speranza che così non verremo lasciati. Oppure potremmo aver bisogno di riversare a tutti i costi le nostre attenzioni su qualcuno, pur di  non sentirci inutili e soli al mondo.
Noi stessi a volte non abbiamo ben chiaro perché facciamo ciò che facciamo, specie quando agiamo d'impulso, mossi da forze che non governiamo tanto bene e che proprio per questo possiamo confondere sbrigativamente con l'amore, l'amicizia, la solidarietà umana. 
A volte qualche dritta può venirci magari dall'andamento delle circostanze, come quando, rinfacciando a qualcuno la tale cosa buona che avevamo fatto per lui, ci sentiamo rispondere: "ma chi te l'aveva chiesta!",  oppure avvertiamo, anche se non esplicitato, un generale senso di fastidio e ingratitudine nei nostri confronti da parte del beneficiario delle nostre buone intenzioni.
Insomma, se per noi fosse arrivato il momento di apprendere la rara arte di fornire conforto  senza frenesia, con un atteggiamento di semplice presenza, attenta, viva, benevola, vicina ma al tempo stesso non intrusiva, diciamo che un po' di esercizio non guasterebbe.
Vi sembra sufficientemente  folle l'idea di andare a  fare per qualche tempo il portinaio in uno zendo?
Lo zendo, per chi non lo sapesse,  è un centro di pratica zen ed il lavoro di portinaio in questo luogo non credo che piacerebbe a tutti. Pare tuttavia che sia un ottimo esercizio per imparare a riconoscere le forze che ci spingono ad agire verso gli altri, quando il nostro ruolo è chiaramente un altro, e cioè quello di fornire  il conforto con la semplice presenza. 
A seguire, alcune riflessioni a riguardo, tratte dal libro di  Brenda Shoshanna, Lo Zen e l'arte di innamorarsi.
***

"Uno degli incarichi più importanti in uno zendo, benché molti non lo capiscano, è quello del portinaio. E' un compito svolto a rotazione, e quindi nei diversi giorni lo svolgono persone diverse. Il portinaio sta sulla porta dello zendo, in silenzio e in modo non intrusivo, per la maggior parte del tempo con lo sguardo a terra. Quando qualcuno entra, a volte gli fa un cenno e a volte no. Se la persona ha una domanda, ad esempio dove mettere le scarpe o la borsa, il portinaio si occupa sollecito delle sue necessità. Altrimenti, l'interazione è minima.
Il portinaio non impone la propria personalità. Non interferisce con le persone che entrano, ma mette semplicemente a disposizione la sua presenza sulla porta. Questa presenza comunica a chi entra che non è solo. Sta entrando in un luogo preparato per lui. C'è qualcuno ad accoglierlo. La presenza silenziosa del portinaio gli fa sapere che non deve comportarsi in qualche modo speciale per risultare accetto. Può entrare così com'è. [...]
Stando lì in silenzio, in contatto con il respiro e al servizio degli altri con la sua semplice presenza, il portinaio non chiede niente. Chi entra non deve fare in modo da piacergli, dargli la sua attenzione o restituire il suo sorriso e la sua accoglienza. Chi entra può essere esattamente quello che è. Questo è il dono più grande che il portinaio fa a chi arriva, anche se forse occorre un po' per capirlo. [...]
Le persone reagiscono in modo diverso al ruolo di portinaio. La paura di Bob era la solitudine. Fare il portinaio lo mandò in crisi. "Pensavo che sarei impazzito", disse in seguito. "Non guardare, non sorridere e non accogliere cordialmente, mi dava la sensazione di ignorare gli altri, di obbligarli ad arrangiarsi da soli".
Fece di tutto per evitare di svolgere quel compito, ma il maestro insistette. Anzi, gli toccava fare il portinaio il doppio delle volte degli altri.
"E' come se li abbandonassi invece di accoglierli", si lamentò.
"Benissimo. Allora abbandonali", replicò il maestro.
Molte persone hanno paura di abbandonare e di essere abbandonate. I loro rapporti ruotano intorno a questa paura. Assumendo il ruolo del portinaio, questo problema viene a galla in tutta la sua prepotenza. Qual è il vero significato di essere lì per gli altri e farli sentire bene? [...]
Mentre facciamo i portinai, le nostre illusioni su noi stessi e sugli altri ci appaiono con chiarezza. Ma non mettiamo in atto le nostre emozioni: facciamo soltanto quello che ci richiede il nostro compito. Rimanendo concentrati sul nostro compito, le emozioni dolorose sorgono e se ne vanno. [...]"
***
"In quanti modi siete disposti a fare il portinaio nei vostri rapporti? In quanti modi siete disposti a non imporvi all'altro e a non essere intrusivi, ma semplicemente disponibili all'altro così com'è? Fate una lista e rileggetela attentamente. Poi ogni giorno provate a fare una di queste cose per un'altra persona. Lasciate che la persona sia quello che è, un intero mondo. E siate anche voi il vostro intero mondo. Non dimenticatevi di voi quando l'altro arriva. E non dimenticatevi di lui.
Osservate come vi sentite comportandovi in questo modo, e come l'altro reagisce. All'inizio potrebbe sembrarvi strano, ma provate per un po'. Potranno arrivare grosse sorprese".
***

martedì 9 dicembre 2014

L'ultima verità. Piccola storia zen sul vivere e il morire

Mentre era in punto di morte, il monaco Ninakawa ricevette la visita del grande maestro zen Ikkyu, il quale gli propose di guidarlo in quell'istante cruciale.
Con voce flebile ma ferma, il candidato all'Aldilà rispose:
- Da solo sono venuto su questa terra e da solo me ne devo andare. Non vedo proprio quale aiuto possiate darmi.
- Se davvero siete convinto di andare e venire, significa che vi trovate ancora nell'illusione. Che non avete ancora capito la vera natura della mente.
Con il volto illuminato da un sereno sorriso, Ninakawa rese l'ultimo respiro.
***

Sessantasei volte i miei occhi
hanno contemplato l'effimero spettacolo
dell'autunno.
Ho parlato abbastanza del chiaro di luna.
Non chiedetemi altro.
Ascoltate soltanto la voce
dei pini e dei cedri
quando non c'è più un alito di vento.
La monaca Ryonen

(da Racconti dei saggi del Giappone, a cura di Pascal Fauliot, ed. L'Ippocampo)


mercoledì 3 dicembre 2014

Accettare la realtà così com'è (che ci piaccia o no)

«Preghiera per la serenità. Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di distinguere le une dalle altre.Vivendo un giorno per volta; assaporando un momento per volta; accettando la difficoltà come sentiero per la pace. Accogliendo, come ha fatto Gesù, questo mondo di peccato così com'è, non come io vorrei che fosse. Confidando che Tu volgerai tutto per il meglio se mi arrenderò alla Tua volontà, così che io possa essere ragionevolmente felice in questa vita e sommamente felice con Te per sempre nella prossima.» 
(Reinhold Niebuhr)
***

Accettare le circostanze in cui ci troviamo può essere un' impresa molto difficile, specie se queste circostanze non ci piacciono e noi non possiamo cambiarle. Non a caso è proprio questa la prima grazia che si chiede a Dio nella celebre preghiera della serenità, scritta da Reinhold Niebuhr, e poi adottattata e fatta propria dagli Alcolisti Anonimi nel loro programma a dodici passi.

Chi non si riconosce in una preghiera cristiana e nemmeno in un percorso per alcolisti anonimi, potrebbe giustamente nutrire qualche perplessità circa questa capacità di accettazione. 

Potrebbe vederci una resa alla disperazione (non ci sono speranze), un atteggiamento da santo votato al martirio, o anche un troppo fiducioso abbandono alla provvidenza divina, che in fin dei conti per lui nemmeno c'è. 

L'accettazione è in realtà qualcosa di diverso da tutto ciò. 

Arrendersi alle circostanze che non possiamo cambiare, riconoscere quietamente che in questo momento le cose stanno come stanno e non c'è niente da fare, è semplicemente guardare in faccia la realtà e ammettere che è così, che ci piaccia o no. 

Questo atteggiamento, per quanto strano possa sembrare, è anche il primo e indispensabile passo verso una possibile trasformazione. 

Forse non cambieranno le circostanze in cui ci troviamo in quanto tali, perché se si tratta di cose che davvero non possono cambiare, probabilmente davvero non cambieranno. Ma potrà cambiare la relazione che noi intratteniamo con quelle circostanze. 

Quando smettiamo di opporre resistenza alla realtà (e quindi smettiamo di negarla, maledirla, rifiutarla e in genere combatterla), tutta l'energia mentale che fino a quel momento avevamo impiegato in questa lotta estenuante, viene finalmente liberata e diviene disponibile per qualcos'altro. 

La nostra mente alleggerita potrà allora aprirsi a nuovi punti di vista, riuscire a guardare le cose in una luce nuova, e renderci capaci di accogliere anche i doni che la vita ha ancora da offrirci se appena noi glielo consentiamo. 

Tutto ciò senza contare che è proprio la piena accettazione della realtà, che può poi consentirci anche di prendere le decisioni più appropriate circa il da farsi, rendendo il nostro agire più incisivo ed efficace, rispetto a come sarebbe se la nostra visione delle cose non fosse chiara, bensì vaga e confusa.

***

A seguire, un pensiero sull'argomento di Jon Kabat-Zinn. 


«Accettazione significa vedere le cose così come sono nel momento presente. Se hai mal di testa, accetta che hai mal di testa. Se pesi qualche chilo in più di quanto vorresti, accettalo come una descrizione dello stato attuale del tuo corpo. Prima o poi è inevitabile accettare che le cose sono così come sono, anche quando si tratta di una diagnosi di cancro o della morte di una persona amata.
Spesso arriviamo all'accettazione solo dopo aver attraversato periodi emotivamente difficili di rimozione e di rabbia. Questi passaggi sono fasi naturali del cammino verso l'accettazione e fanno parte del processo di guarigione.
Ma, lasciando da parte per ora le grandi calamità della vita, le ferite la cui guarigione richiede di solito parecchio tempo, nella vita di ogni giorno spesso sprechiamo una gran quantità di energia nel resistere a ciò che già di fatto è così com'è. Cercando di forzare le situazioni a essere come vorremmo che fossero creiamo solo ulteriori tensioni che ostacolano la guarigione, la crescita e il cambiamento positivo.
Per esempio, se ti senti grassa e il tuo corpo non ti piace e sei disposta ad apprezzarlo solo il giorno in cui avrà il peso che vuoi tu, questo atteggiamento non ti aiuta, genera un circolo vizioso. Non amando il tuo corpo, sei meno sensibile alle sue esigenze e meno capace, per esempio, di fornirgli l'alimentazione di cui ha bisogno. Se vuoi uscire da questa situazione frustrante, sarà bene che tu prenda in considerazione la possibilità di amarti così come sei ora, perché ora è il solo momento in cui puoi amarti . Ricorda, ora è il solo momento che hai a disposizione per qualsiasi cosa! Ogni cambiamento passa in primo luogo attraverso l'accettazione di te stessa così come sei.
Quando assumi questo atteggiamento, dimagrire diviene meno importante e diviene anche molto più facile. Coltivando l'accettazione crei le condizioni preliminari per la trasformazione.
Accettazione non significa che deve piacerti tutto di te o che devi assumere un atteggiamento passivo e rinunciare ai tuoi principi e ai tuoi valori. Non significa che devi essere soddisfatta delle cose così come sono o rassegnata. Non significa che non devi cercare di liberarti delle tue abitudini autodistruttive o che devi tollerare l'ingiustizia, per esempio, e rinunciare a ogni impegno per cambiare il mondo. L'accettazione di cui parlo è semplicemente una disponibilità a guardare le cose così come sono. E' l'atteggiamento che pone i presupposti per un'azione appropriata nella tua vita, di qualsiasi cosa si tratti. E' molto più facile agire con convinzione e con efficacia quando abbiamo una chiara immagine di come stanno le cose, che quando la nostra visione è velata da giudizi e desideri.
Nella pratica della meditazione, coltiviamo l'accettazione prendendo ogni momento così come viene e vivendolo nella sua pienezza. Non cerchiamo di sovrapporre all'esperienza le nostre idee su cosa dovremmo sentire, bensì restiamo ricettivi a ciò che sentiamo, pensiamo e vediamo in questo momento. Di una cosa possiamo essere certi: che ciò che è oggetto della nostra attenzione in questo momento cambierà, offrendoci l'occasione di coltivare l'accettazione di ciò che si presenterà nel momento successivo. » 
(Jon Kabat-Zinn, da Vivere momento per momento) 

domenica 23 novembre 2014

Istruzioni su come aggiungere alle vostre cerchie la mia pagina locale Google+


Un caloroso benvenuto a tutti gli amici che in questi giorni stanno cliccando "segui" sulla mia pagina locale di Google+. 
***
Chiunque altro abbia piacere di fare altrettanto, può:,
- o cliccare sul bottone "segui", che compare qui sul blog  nella colonna a destra, sotto la scritta "Psicologa Dr.Maria Michela Altiero" (che è diverso dal bottone "segui" corrispondente al profilo personale, che sta accanto alla mia foto, e che anche si può cliccare, certo, ma è un'altra cosa...);
- oppure, se non riesce a visualizzare il bottone sul suo dispositivo, seguire le seguenti istruzioni.
***
Istruzioni:
1) andare al link https://plus.google.com/113384033826731807116/about?showBlocked=true
2) se a sinistra compare un bottone rosso con la scritta "segui", cliccate lì ed è fatta; 
3) se non dovesse comparire, provate a cliccare (nel riquadro bianco a destra) su "scrivi recensione"; appare una schermata per la recensione. Si può cliccare "Annulla" e procedere: a quel punto appare a sinistra il tasto rosso con la scritta "segui", Fare clic...

Da quel momento la mia pagina è aggiunta alle vostre cerchie e ne riceverete gli aggiornamenti pubblici su Google+.

Se non avete ancora un profilo Google+, la procedura vi chiederà di crearlo in corso d'opera (è una cosa relativamente semplice che offre anche qualche utilità).
Ciao a tutti!

giovedì 20 novembre 2014

Il buddhismo zen e la depressione - Citazioni dal libro di Cheri Huber "Il dono della depressione. Il male oscuro come opportunità di crescita spirituale"

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Questo piccolo libro non vuole spiegare e nemmeno curare la depressione. Perciò non pensiate che vi suggerisca di fare a meno di terapie mediche o psicologiche. La sua proposta fondamentale è di considerare la depressione, come qualsiasi altra cosa della vita, un dono che può contribuire alla vostra crescita spirituale. Se riuscite a provare compassione per voi stessi, quando siete avvolti nel dolore impalpabile della depressione, forse vi accorgerete che è proprio così.
***
Quando siete rattristati, permettetevi di sentire qualsiasi sensazione si affaccia in voi, invece di aggrapparvi al modello di come dovreste essere. Non è vero che certe sensazioni vanno bene ed altre no. "Bene" e "non bene" sono pensieri. Quando vogliamo che le sensazioni stiano sotto il controllo dei pensieri, ci mettiamo in difficoltà.
Il problema non è la sensazione ma il giudizio a cui la sottoponiamo.
Potremmo sentire qualsiasi cosa, ma se non pensassimo che in qualche modo quel che sentiamo è sbagliato, non ci sarebbe alcun problema. Il problema nasce quando rifiutiamo noi stessi per quel che sentiamo.
***
In realtà quel che facciamo delle nostre sensazioni determina la qualità della relazione con noi stessi.
Siamo responsabili verso quel che sentiamo e non a causa di quello che sentiamo.
Se riusciamo a creare un luogo protetto, amorevole, dentro noi stessi, per quel che sentiamo, allora riusciamo a crearlo per tutti gli aspetti di ciò quel che siamo.
***
Va bene essere quel che siete,
va bene sentire tutte le sensazioni che sentite.
E' questo che caratterizza gli esseri senzienti: le sensazioni.
***
La rinuncia alla tua vita ti ha portato a essere accettato e approvato come hai sempre cercato?
Non essere chi sei veramente ti ha portato la gioia e la soddisfazione che desideravi?
***
Sentirvi colpevoli di come siete
non fa altro che derubarvi della vostra vita.
***
Va bene 
sentire qualsiasi cosa sentiate
pensare qualsiasi cosa pensiate
essere comunque siate
***
Potete aprirvi alla possibilità che se foste quel che veramente siete, otterreste l'approvazione e l'accettazione che avete sempre cercato?
Se non altro, da voi stessi?
L'unica approvazione di cui andare in cerca è la nostra.
Se sento di aver fatto un buon lavoro, mi sento bene. Altrimenti no.
In realtà
non importa quel che pensano gli altri.
***
Intraprendete una pratica di consapevolezza che vi aiuti a lasciar andare le credenze e le supposizioni su come voi e il mondo dovreste essere. Questo vi renderà capaci di vivere nel momento presente calmando il corpo, la mente, lo spirito e l'emozione. 
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La meditazione è praticata in tutto il mondo da migliaia di anni.
Nelle culture in cui la meditazione è un aspetto essenziale della vita religiosa, i praticanti hanno imparato che sedersi in una certa postura - la spina dorsale diritta, il corpo rilassato contribuisce a conservare la consapevolezza. Il dolore fisico e la sonnolenza vengono minimizzati.
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UNA POSTURA DI MEDITAZIONE 
Sedete sulla parte anteriore (circa un terzo) di un cuscino. Se usate uno sgabello, state bene avanti.
Aggiustate la posizione delle gambe, fino a trovarne una che possa essere comodamente mantenuta.
Rafforzate la postura, spingendo in su dalla base della spina dorsale. Immaginate di dover toccare il soffitto con la cima della testa.
Mentre lo fate, il mento rientrerà leggermente.
Il bacino si inclina leggermente in avanti.
Spalle e addome rilassati.
Gli occhi sono aperti, lievemente fuori fuoco, e abbassati, guardano il pavimento o il muro con un angolo di 45 gradi.
Le mani sono nel mudra cosmico. La mano destra pochi centimetri sotto l'ombelico, con il palmo in su. La mano sinistra, pure col palmo verso l'alto, sta dentro la mano destra. Le punte dei pollici si toccano, formando un ovale.
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Il respiro 
Per essere presenti e all'erta, in meditazione, può essere utile concentrarsi sulla respirazione. Quando sedete, respirate naturalmente e normalmente. Alla prima espirazione contate 1, alla successiva 2 e continuate fino a 10. A questo punto ripartite da 1.
Concentratevi sul respiro quando entra nel corpo, lo riempie, lo lascia.
Se l'attenzione divaga, dolcemente riportatela al presente e ricominciate a contare.
Fatelo per circa 30 minuti. Non è una gara. Il punto è essere presenti e consapevoli con compassione.
Essere dolcemente presenti a sé stessi per 5 minuti sarà più utile che bacchettarvi per 30. Se la scelta è tra una meditazione gentile e una lunga, scegliete la prima, perché l'atteggiamento della mente/cuore è tutto.
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martedì 18 novembre 2014

Ritrovare se stessi nell'orto o in giardino - Pensieri di Pia Pera e Clarissa Pinkola Estés


"Sarà poi vero che l'orto fa bene?
Vediamo.
Una giornata di irrequietezza, sono nervosa e distratta, non riesco a concentrarmi su nulla. Nemmeno so cosa voglio. Mi sento scontenta. Quasi non so cosa ci faccio al mondo.
Prendo la via dell'orto.
Questo vuol dire: legarsi alla cintola il fodero con le cesoie, attraversare il giardino, strada facendo tagliare un rametto secco, già che ci sono passare dal frutteto a vedere se le more di gelso sono mature. Sì, le prime: belle nere, così sugose che quando le stacco per mettermele in bocca mi tingono le dita.
Già solo a mangiare le more mi sono scordata del mio malumore. Quando arrivo nell'orto non so più nemmeno perché ci sono venuta. Mi guardo intorno. Uh, i pomodori sono cresciuti, vanno legati alla canna sennò col vento si spezzano, e poi diventano tutti un intrico. Le zucchine hanno sete. Il basilico va cimato, magari ci faccio un pesto.
Traffico tra le piante e loro mi dicono perché sono qui: hai noi da accudire. Prenditi cura di noi, ricambieremo con un invito a pranzo. Ti daremo il meglio di noi.
E' già qualcosa. Non sarà ancora del tutto chiaro, cosa ci faccio al mondo, ma da questo suo frammento una risposta incoraggiante mi arriva. Mi sento meno sgomenta.
Bello, il semplice essere qui. Come sarebbe triste, non esserci affatto!
Torno a casa col cestino pieno di cose buone. Il vento ha soffiato via le nubi, vedo l'azzurro del cielo."
(Pia Pera, Giardino & Ortoterapia)
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"Talvolta, per avvicinare una donna alla natura Vita/Morte/Vita, la invito a curare un giardino, sia esso un giardino psichico o uno con fango, sporcizia, verde, e tutto ciò che circonda e aiuta e assale. Diciamo che rappresenta la psiche selvaggia. Il giardino è un collegamento concreto con la vita e con la morte. Si potrebbe dire che esiste addirittura una religione del giardino, poiché insegna profonde lezioni psicologiche e spirituali. Tutto ciò che può accadere a un giardino può accadere all'anima e alla psiche - troppa acqua, troppo poca, cimici, caldo, tempesta, inondazione, invasione, miracoli, morte, rinascita, grazia, guarigione.
Mentre curano il giardino, le donne tengono un diario, su cui registrano i segni di vita e di morte. Nel giardino ci esercitiamo a lasciar vivere e morire pensieri, idee, preferenze, desideri e perfino amori. Piantiamo, strappiamo, seppelliamo. Dissecchiamo i semi, li seminiamo, li sosteniamo.
Il giardino è un esercizio di meditazione, per capire quando è tempo per alcunché di morire. In giardino si vede arrivare il tempo del godimento e quello della morte. In giardino ci si muove con e non contro le inspirazioni e le espirazioni della più grande Natura selvaggia.
Mediante questa meditazione, riconosciamo che il ciclo Vita/Morte/Vita è naturale.  [...] In questo processo diveniamo come il selvaggio ciclico. Abbiamo la capacità di infondere energia e rafforzare la vita, e di non interferire con quel che muore."
(Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi)
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"La solitudine del giardino non è isolamento.Tutt'altro.
Tra le piante, prendendosi cura di loro, si intrecciano fili invisibili che permettono di sentirsi connessi alla rete della vita."
(Pia Pera, Giardino & Ortoterapia)

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(Tutte le immagini di questo post riproducono opere di Jennifer Knauss)
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domenica 16 novembre 2014

Rimpianti o rimorsi? Un pensiero di Aldo Carotenuto

"I rimpianti sono dei veri e propri spettri, sempre in agguato e pronti a devastare la nostra vita costringendoci a immaginare in modo doloroso come sarebbero potute andare le cose se solo si fosse riuscito a trovare il coraggio di osare.
A differenza del rimpianto, che implica una specie di dubbio amletico dovuto al non aver agito affatto, il rimorso consiste in un tarlo, in un cruccio provocato dalla consapevolezza di aver agito male, di aver preso la decisione sbagliata, di aver combinato un guaio. Non vi è dubbio che i rimorsi siano in grado di assillarci fino allo sfinimento eppure, soprattutto in amore, sono preferibili ai rimpianti. Il rimorso implica l'aver agito, l'essere stati in grado, ad esempio, di chiudere un rapporto che non funzionava più, per viverne un altro liberamente, ma implica anche il farsi carico di tutte le responsabilità e conseguenze che una simile azione può comportare. I rimorsi affiorano quando ci apriamo alla vita e ai sentimenti senza esitare, quando accettiamo di correre dei rischi pur di esprimere senza mentire ciò che proviamo. Ma vivere significa anche guardarsi allo specchio e rendersi conto all'improvviso di avere sbagliato tutto, di avere abbandonato nostro marito o nostra moglie per una persona che avevamo immaginato diversa, di avere mandato in frantumi un rapporto che invece era quello giusto per noi, di avere fatto soffrire qualcuno che non meritava tanto dolore. E' questa la normalità degli eventi: rischi, vittorie, sconfitte.
Accettare che le cose stiano in questo modo vuol dire compiere il primo e più importante passo verso la consapevolezza nei confronti della vita, ma significa anche accettare l'eventualità che le esperienze si trasformino in fallimenti, in rovinose cadute che trascinano verso il basso non solo noi stessi, ma anche le persone che ci circondano. Eppure è più utile e salutare accumulare rimorsi piuttosto che vivere di rimpianti. Poiché rimpiangere significa, su un piano metaforico, avere rinunciato a vivere, essersi sottratti alle esperienze e chiedersi, giorno dopo giorno, in modo quasi ossessivo, "come sarebbe stato se". "
(Aldo Carotenuto, Il gioco delle passioni)  
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