venerdì 22 maggio 2015

Spiegazione necessaria - Una poesia di Ghiannis Ritsos



Ci sono versi – a volte intere poesie -
che neanch’io so cosa vogliono dire. Quello che non so
mi trattiene ancora. E tu hai ragione di chiedere. Ma non chiedermelo.
Ti ho detto che non so.
Due luci parallele
dallo stesso centro. Il rumore dell’acqua
che cade, d’inverno sulla grondaia colma
o il rumore di una goccia che cade
da una rosa nel giardino innaffiato
lentamente, lentamente, una sera primaverile
come il singhiozzo di un uccello. Non so
cosa vuol dire questo rumore; e tuttavia l’accetto.
Le cose che so te le spiego. Non lo dimentico.
Ma anche queste aggiungono qualcosa alla nostra vita. La guardavo
mentre dormiva, il ginocchio piegato sotto il lenzuolo -
Non era solo l’amore. Questo angolo
era il crinale della tenerezza, e il profumo
del lenzuolo, di pulito e di primavera completavano
quell’inspiegabile che ho tentato, ancora inutilmente, di spiegarti.


domenica 10 maggio 2015

Dell'arte di accorgersi


Vivere consapevolmente significa coltivare «l'arte di accorgersi»
Accorgersi di esistere fisicamente, qui e ora.
Accorgersi di cosa sente il nostro corpo. 
Accorgersi delle nostre emozioni, di cosa proviamo quando siamo con altre persone e quando siamo soli.
Accorgersi dei nostri impulsi, dei nostri comportamenti automatici, degli schemi di comportamento che tendiamo a ripetere. 
Accorgersi dei nostri pensieri, del chiacchiericcio quasi costante della nostra mente, delle critiche e dei rimproveri che essa magari ci muove.
Accorgersi se la voce che sentiamo nella testa è davvero la nostra voce o se piuttosto appartiene a qualcun altro (per esempio, a nostra madre).
Accorgersi di cosa pensiamo mentre qualcuno ci parla, se stiamo prestando più attenzione  ai nostri pensieri o a ciò che l'altro cerca di comunicarci.
Accorgersi dei nostri sogni ad occhi aperti, dei ricordi, delle mille immagini mentali che  nascondono la realtà che abbiamo sotto il naso.
In effetti sono tante le cose di cui potremmo accorgerci, esercitandoci a  prestare attenzione allo svolgersi della nostra esperienza momento per momento. 
Può darsi che ciò ci costringerà a prendere atto di alcune realtà difficili o imbarazzanti.
Non è detto che tutto ciò di cui ci accorgeremo ci piacerà, e non siamo costretti a farcelo piacere a tutti i costi.
Vivere consapevolmente implica semplicemente rispetto per i fatti della realtà, quali che siano. 
Significa vivere il nostro rapporto con la realtà con atteggiamento responsabile .
Significa prendere le distanze da una voce tentatrice che a volte suggerisce: «Se fai finta di niente, se scegli di non vederla e di non prenderne atto,  la realtà non esiste».
Coltivare l’arte di accorgersi,  richiede prima di tutto un interesse, una convinzione che ne valga la pena.
Dobbiamo essere convinti che alla lunga avremo più da guadagnare dalla consapevolezza che dalla non-consapevolezza.
Perché diventare più consapevoli delle nostre sensazioni corporee?
Per esempio per evitare un infarto, grazie alla capacità di ascoltare i segnali di stress che il  nostro corpo ci manda e che a volte passano inosservati alle persone che si lasciano travolgere da una vita frenetica. 
Perché accorgerci delle nostre emozioni quando interagiamo con altre persone? 
Magari per  comprendere meglio le nostre azioni e le nostre reazioni, e riuscire a vivere meglio le nostre relazioni.
Perché diventare consapevoli delle varie voci che parlano dentro di noi? 
Per esempio per  riconoscere se siamo davvero guidati nel nostro agire dalla "nostra voce", che rispecchia i nostri personalissimi valori e principi, o se in un certo momento sono all'opera nella nostra mente programmi a noi estranei (presenti magari con la voce di un genitore o di un’autorità religiosa); distinguere gli uni dagli altri è fondamentale se vogliamo essere persone libere e autonome.   
Perché accorgerci dei nostri schemi di comportamento abituali e automatici?
 Per  comprendere quali di questi schemi facciamo bene a mantenere e quali invece dobbiamo rompere e modificare, perché ci allontanano da una vita di valore.
Una caratteristica della non-consapevolezza è proprio quella di portarci verso comportamenti ed atteggiamenti non in linea con i nostri valori, cioè con ciò che ha realmente importanza per noi nella vita, con i principi che vorremmo che guidassero le nostre azioni (tutte le dipendenze, tra l'altro, trovano un terreno molto fertile nella non-consapevolezza).
Di solito ognuno di noi tende ad essere più consapevole in alcuni ambiti della vita e meno consapevole in altri. Ci sono persone brillantemente consapevoli sul lavoro e pochissimo consapevoli nelle relazioni interpersonali, come ci sono atleti con una consapevolezza estrema di ogni sfumatura del proprio corpo e magari non molto consapevoli del significato di certe loro emozioni.
Può darsi che alcuni di noi abbiano bisogno di portare più consapevolezza nell’ambito dei propri bisogni materiali fondamentali, altri nell’ambito spirituale, altri nell’ambito della loro loro crescita personale o professionale, altri nell’ambito delle loro relazioni personali, e così via.
Come fare a capire in quali ambiti della nostra vita sarebbe necessaria una maggiore consapevolezza? Il più delle volte possiamo arrivarci  intuitivamente, perché di solito sono quelli meno soddisfacenti, quelli cioè dove sperimentiamo maggiore frustrazione e dove si annida il maggior dolore.
A seguire, troverete un breve elenco di domande che potrebbero tornare utili a chi voglia cimentarsi in una piccola operazione di auto aiuto, ispirata un po' all'arte di accorgersi e un po' al life coaching.
Consiglio di provare a rispondere per iscritto a tutte le domande, seguendo l'ordine in cui sono poste, e poi lasciare semplicemente che questo piccolo atto di attenzione verso la nostra realtà abbia la sua evoluzione naturale.
Fate conto che sia come mettere un piccolo seme nel terreno. Se son rose... fioriranno.
***
Domande:
- Cosa mi rende riluttante a prestare maggiore attenzione all'ambito della mia vita che oggi considero insoddisfacente?
- Quali esperienze sgradevoli immagino di evitare, non portando la mia consapevolezza in quell’ambito?
- Se presto attenzione alle esperienze sgradevoli che intendo evitare, cosa noto in me (senza rimproverarmi) a livello di sensazioni, pensieri, emozioni?
- Se non esistessero le sensazioni, i pensieri e le emozioni spiacevoli, che tipo di persona potrei e vorrei essere in quell'ambito della mia vita? Che comportamenti in particolare adotterei, assecondando i miei principi e valori personali?
- Se volessi sentirmi più efficace e più coerente con i miei valori, in quell’ambito della mia vita, cosa sarei disposto a cominciare a fare subito, oggi stesso (e a proseguire durante la prossima settimana, i prossimi mesi, ecc.)?

***


***
MBSR - Mindfulness Based Stress Reduction - Programma per la riduzione dello stress basato sulla consapevolezza (per informazioni clicca qui)
***

mercoledì 6 maggio 2015

Su quali valori si basa la nostra autostima e su quali quella altrui


Quanto è sicura la nostra autostima?
Su cosa si basa?
Da cosa è scossa?
Come si ristabilisce quando è ferita?
Quanto sono realistiche le aspirazioni su cui si basa?

Conoscere la risposta a queste domande può aiutarci a capire meglio quali situazioni, scelte e comportamenti, nella vita, ci portano a stare bene con noi stessi e quali a stare male. 

Le condizioni che sostengono il nostro rispetto di noi stessi hanno un ruolo importantissimo nella nostra vita, e la cosa che può stupire è che non sono uguali a quelle degli altri. 

Poiché l'autostima è un fenomeno squisitamente interiore, non sempre riusciamo infatti ad immaginare su cosa possa basarsi quella altrui, e così alcuni comportamenti che hanno a che fare con essa possono risultarci incomprensibili nelle altre persone.
Quando qualcuno scopre di aver agito in contraddizione con i propri valori morali, può provare un tale senso di vergogna e di disperazione che, pur di non provare una simile angoscia, può fare cose inimmaginabili per chi guarda dall'esterno, perfino mettere a rischio se stesso e altre persone.
A volte gli studenti di psicologia, leggendo gli scritti di Freud, restano stupiti dal fatto che il padre della psicoanalisi abbia fatto breccia nelle proprie resistenze per poi rivelare pubblicamente i fatti intimi della propria vita inconscia. Questo comportamento tuttavia non stupisce se letto alla luce di un'attenta valutazione della struttura dell'autostima di Freud. Per il suo sistema di valori, infatti - come osserva Nancy McWilliams, nel suo libro Il caso clinico - era centrale "mantenere un'immagine di sé come impavido ricercatore devoto alla verità, conquistatore in lotta con l'ipocrisia e l'autoinganno. Freud traeva un grande piacere dallo scoprire in se stesso quelli che agli altri sarebbero sembrati aspetti assai sgradevoli della propria psicologia. Per quanta vergogna gli potesse costare quello che andava scoprendo, il prezzo pagato era ampiamente controbilanciato dall'orgoglio che provava nel rafforzare la sua immagine di sé come scienziato impavido alla ricerca della verità".
I valori condivisi culturalmente qualificano spesso come ordinari comportamenti che altrimenti risulterebbero incomprensibili. 
Una persona la cui autostima dipende dall'avere un aspetto giovanile, può darsi che si sottoponga ad un intervento chirurgico per camuffare i segni del tempo, cosa che non appare tanto incomprensibile oggigiorno. Anche se il suo valore magari non ci appartiene e critichiamo il suo comportamento, tuttavia riusciamo a capirlo e a spiegarcelo, meglio di quanto avverrebbe con analoghi valori e comportamenti tipici di altre epoche storiche o diffusi presso altre culture (come la fasciatura dei piedi delle donne cinesi di un tempo, gli anelli per allungare il collo delle donne birmane, i corsetti strettissimi che toglievano il fiato alle nostre dame di qualche secolo fa).
A volte possiamo non comprendere cosa spinga una persona ad andare incontro alla morte, per questioni di autostima; eppure la storia è piena di eroi di guerra, il cui orgoglio si fonda sull'essere coraggiosi, e a cui la morte eroica sembra preferibile alla vergogna di sopravvivere da vigliacchi. 
La difficoltà di comprendere le persone la cui autostima si fonda su basi diverse dalle nostre diventa ancora maggiore quando assistiamo ad atti violenti e distruttivi, anziché ad atti eroici.
"Una persona la cui autostima si basa sull'apparire indipendente e invulnerabile", dice ancora Nancy McWilliams, "può picchiare sua moglie pur di non esprimere il proprio bisogno di lei; una persona il cui orgoglio dipende dal sentire di avere un potere assoluto sugli altri può preferire l'omicidio alla vergogna associata all'impotenza." 
Comportamenti simili possono risultare ovviamente incomprensibili a persone la cui autostima è organizzata diversamente.
Noi possiamo dare un po' per scontato che le cose che alimentano il nostro personale orgoglio sostengano anche l'autostima altrui, perché tendiamo a proiettare. 
Questo può essere fonte di malintesi e anche di inspiegabili difficoltà relazionali. 
Sempre la McWilliams racconta, a tal proposito, di una sua paziente che aveva passato un'intera seduta ad esprimere confusione e dolore perché un uomo che stava frequentando aveva con lei un comportamento sessuale "ristretto". Era giunta così alla conclusione che lui non la trovasse attraente, benché per altri versi il comportamento dell'uomo suggerisse la conclusione esattamente opposta. Poiché la paziente, in altre occasioni, le aveva detto che il suo amato era cattolico ed andava a messa regolarmente, la McWilliams ha commentato: «Forse lui sente, in accordo con la sua educazione religiosa, che il sesso pre-matrimoniale è sbagliato». La paziente ha esclamato: «Di certo nessuno in questi giorni e di questi tempi può pensarla così!» "Ma così era.", dice la Mc Williams, "E l'autostima di quell'uomo dipendeva da un comportamento conforme a questo dettame. Lui era attratto da lei, ma non sarebbe riuscito a stare bene con se stesso se avesse avuto delle relazioni sessuali con lei prima del matrimonio".
Insomma, come dobbiamo fare per capire che cosa sostiene l'autostima di qualcuno?
Cosa dobbiamo chiedergli?
Una domanda utile forse può essere: «Cosa ammiri nelle persone?». La risposta infatti può rivelarci quali sono gli ingredienti principali su cui il nostro interlocutore basa la valutazione di se stesso.
Ciò che ammiriamo negli altri è di solito qualcosa che ha un valore anche per noi. Mentre ammiriamo una persona, vediamo incarnate in lei delle qualità che probabilmente ci appartengono, quanto meno a livello di valore, e che ci piacerebbe poter portare alla luce e vedere sviluppate anche in noi stessi.
Se la confidenza è tale da non rischiare di risultare indiscreti (e sempre sperando di ottenere risposte sincere...), possiamo azzardare anche qualche domanda più specifica, come: «Quali sono le cose che ti fanno sentire soddisfatto - e quali insoddisfatto - di te stesso?»
Conoscere queste risposte può essere utile non solo per interpretare meglio il senso dei comportamenti dell'altro, ma anche per evitare di ferirlo involontariamente con le nostre parole e i nostri atteggiamenti. Infatti, se siamo portatori di valori diversi dai suoi, potremmo inavvertitamente mancare di tatto e mettere il dito in qualche sua piaga che non vediamo.
Questo non significa necessariamente che certe cose non possono essere dette. Quanto più un rapporto diventa importante, infatti, tanto più è auspicabile che sia autentico e sincero. Ma è importante anche avere tatto quando ci si avvicina ad argomenti che per l'altro sono delicati.
Il tatto, anche in senso metaforico, è soprattutto una questione di mano. Significa comprendere quando non è il caso di andare giù duro con mano pesante, ma occorre usare un tocco leggero e gentile. 
Quando i valori che sostengono l'autostima altrui sono molto lontani dai nostri, questo tocco leggero può non venirci d'istinto, e si giova piuttosto di una decisione consapevole.
Proviamo allora a richiamare alla mente gli aspetti di noi stessi e della nostra vita di cui siamo insoddisfatti, perché non sono all'altezza dei nostri valori importanti.
Come ci sentiamo quando qualcuno li tratta senza delicatezza? 
Se ci ricordiamo quanto male fa a noi, forse ci verrà più facile il tocco leggero nello sfioramento della vulnerabile autostima altrui. 

venerdì 1 maggio 2015

La consapevolezza e l'autostima. Un pensiero di Nathaniel Branden


"Se non portiamo un giusto livello di coscienza nelle nostre attività, se non viviamo con attenzione, il prezzo inevitabile è una diminuzione del senso di efficacia e del rispetto di noi stessi. Se viviamo nella nebbia mentale, come possiamo sentirci validi e competenti? La mente è il nostro principale strumento di sopravvivenza. Tradiscila e la tua autostima ne soffrirà. La forma di tradimento più semplice è non voler prendere atto delle cose che non vanno. Per esempio: 
«So di non dare il meglio di me sul lavoro, ma non ci voglio pensare.» [...]
«Lo so che i miei figli soffrono perché non mi vedono mai, mi rendo conto di causare dolore e risentimento, ma un giorno in qualche modo cambierò.»
«Perché dici che bevo troppo? Posso smettere quando voglio. »
«Lo so che il mio modo di mangiare finirà per ammazzarmi, però...»
«So di vivere oltre i miei mezzi, ma...»
«So di essere un bugiardo e di mentire su tutto quello che faccio, tuttavia... »
Ogni volta che scegliamo tra pensare e non pensare, tra considerare responsabilmente la realtà o evaderla, stabiliamo che tipo di persona vogliamo essere. Consciamente non ricordiamo quasi mai queste scelte, ma esse si sommano nel profondo della nostra psiche, e il risultato finale è quell'esperienza che chiamiamo «autostima». L'autostima è la reputazione che acquisiamo presso noi stessi.
Non abbiamo tutti la stessa intelligenza, ma il punto non è l'intelligenza. Vivere consapevolmente vuol dire cercare di essere consci di tutto quello che riguarda le nostre azioni, obiettivi e valori - al meglio delle nostre capacità, grandi o piccole che siano - e di comportarci in accordo con quello che vediamo e sappiamo. 
Questo punto merita di essere sottolineato. La coscienza che non si traduce in azioni appropriate è un tradimento della coscienza, è la mente che invalida se stessa. vivere consapevolmente è più che vedere e sapere: è agire su quanto si vede e sa. [...]
Vivere consapevolmente implica rispetto per i fatti della realtà. Questi fatti possono essere interni (bisogni, desideri, emozioni) ed esterni. [...]
Nel mio lavoro di psicoterapeuta, ho incontrato molte persone orgogliose della loro conoscenza dell'universo, dalla fisica alla filosofia politica, dall'estetica alle ultimissime novità su Saturno, agli insegnamenti del buddhismo zen. Eppure molti erano completamente ignari delle operazioni del loro universo privato interiore. Il naufragio della loro vita personale è un monumento alla grandezza della loro non-consapevolezza riguardo il loro mondo interiore. Rinnegano i loro bisogni, razionalizzano le emozioni, intellettualizzano (o  «spiritualizzano») i comportamenti, e nel frattempo passano da una relazione insoddisfacente all'altra, oppure rimangono per tutta la vita ancorati alla stessa senza fare nulla di pratico per migliorarla. Non vivo consapevolmente se uso la mia consapevolezza per tutto, tranne che per capire me stesso. [...]
Questa intenzione o preoccupazione salta fuori da semplici domande come:
So esattamente cosa provo in un certo momento particolare?
Riconosco gli impulsi da cui partono le mie azioni?
Mi accorgo se i miei sentimenti e le mie azioni sono coerenti o no?
So quali bisogni o desideri sto cercando di soddisfare?
So che cosa voglio veramente dall'incontro con una certa persona in particolare (senza fermarmi a quello che  «dovrei» volere?)
Ho dato un senso alla mia vita?
Il «programma» secondo cui vivo l'ho accettato acriticamente dagli altri, o è una mia libera scelta?
So quello che sto facendo quando mi piaccio e quello che sto facendo quando non mi piaccio?
Ecco le domande fondamentale per un autoesame intelligente."