martedì 29 novembre 2016

Notizie dal programma Mindfulness per un'ora

Giovedì prossimo alle 19.30 ci sarà il secondo incontro del ciclo Mindfulness per un'ora.
Per scelta, il programma di pratiche di ogni singolo incontro si scopre sul momento, senza che venga annunciato in precedenza. Chi viene sa di doversi munire di tappetino, copertina, cuscino, calzini antiscivolo (alcuni tengono le loro cose stabilmente qui...), ma non sa in anticipo chi parteciperà, quanti saremo, cosa faremo.
Anche questo fa parte dello spirito del training: ci alleniamo infatti a stare con la realtà così com'è, qualunque cosa porti  momento per momento, con interesse, curiosità, equanimità, lasciando che le cose siano così come sono, e prestando attenzione ai vari aspetti della nostra esperienza (fisici, mentali, emotivi) a mano a mano che si presentano.
C'è anche da dire che il programma di questi incontri ha comunque una sua logica, che è quella di coltivare  alcuni aspetti trattati durante i programmi strutturati (MBSR e PMP), sui quali ora possiamo soffermarci  specificamente per approfondirli e comprenderli meglio.
In ogni incontro ci saranno quindi sempre:
- momenti dedicati a pratiche formali sedute o sdraiate;
- momenti di consapevolezza del corpo in movimento (yoga, energetica o camminata consapevole);
- alcune precisazioni di tipo tecnico, ove occorrenti;
- una lettura su argomento attinente alla mindfulness;
- una condivisione di gruppo.
Questi incontri non prevedono che vengano assegnate specifiche pratiche da svolgere a casa. Semplicemente viene offerta la possibilità, a chi vuole, di portare a casa una lettura di approfondimento sulle attitudini mentali che accompagnano e sostengono il fiorire della mente mindful nella nostra vita. Nell'osservare il funzionamento della nostra mente nel relazionarsi alle comuni esperienze della vita, possiamo coltivare intenzionalmente non solo la presenza mentale (cercando di essere presenti all'esperienza momento per momento) ma possiamo scegliere di coltivare anche alcune attitudini della mente che apportano più gentilezza, più amorevolezza e più pace nel nostro cuore e nella nostra mente. E questa cosa è importantissima se vogliamo ritrovare la serenità e portare più armonia ed equilibrio nella nostra vita. Un po' alla volta ci accorgeremo infatti che non c'è mindfulness dove non c'è heartness, perché pienezza di mente e di cuore vanno di pari passo, ed è questo che getta una luce nuova nella nostra vita, una luce che porta chiarezza alla nostra visione delle cose ma al tempo stesso ci scalda il cuore.
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Ci vediamo giovedì prossimo. Ricordiamoci - come e quando ci riesce... - di prenotare (388.8257088).
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domenica 27 novembre 2016

L'origine delle scarpe. Una favola sul funzionamento della mente, raccontata e commentata da Jon Kabat-Zinn


C'è un'antica storia che racconta come furono inventate le scarpe. 
C'era una volta, tanto tanto tempo fa, una principessa che un giorno mentre passeggiava andò a sbattere con l'alluce su una radice che sporgeva dal sentiero. Seccata, andò dal primo ministro e gli chiese con insistenza che formulasse un editto in cui si dichiarava che il regno doveva essere interamente ricoperto di cuoio, così che nessuno più dovesse patire un simile incidente. Ora, il primo ministro sapeva che il re desiderava sempre accontentare la figlia in ogni modo e dunque avrebbe avuto la tentazione di pavimentare davvero tutto il regno di cuoio; la cosa da una parte avrebbe risolto il problema e avrebbe reso felice la principessa e salvato tutti dall'indegno incidente, ma d'altro canto sarebbe stata pesantemente problematica per molti aspetti, per non parlare della spesa.
 Il primo ministro ci pensò su in fretta [non vorrei dire «su due piedi»] e rispose: «Ci sono! Sua altezza, invece di ricoprire di cuoio tutto il regno, perché non mettiamo insieme dei pezzi di cuoio e li adattiamo ai vostri piedi, convenientemente attaccati fra loro? In questo modo, dovunque andiate, i vostri piedini sarebbero protetti nel punto di contatto con il terreno e noi non dovremmo affrontare una spesa così ingente e rinunciare alla dolcezza della terra». Alla principessa piacque molto quel suggerimento, e così nel mondo comparvero le scarpe, e si evitò una grande pazzia.


Trovo incantevole questa storia; nella sua veste di favola per bambini rivela svariate intuizioni profonde sulla nostra mente. Punto primo: ci capitano cose che generano contrarietà e avversione, due termini che i buddhisti di alcune tradizioni amano usare e che penso descrivano molto accuratamente le nostre emozioni quando le cose «non vanno a modo nostro». Sbattiamo l'alluce, non ci piace per niente; in quel preciso momento e luogo ci sentiamo proprio contrariati, ostacolati, e cadiamo nell'avversione. Potremmo perfino dire: «Odio sbattere l'alluce!». In quel momento e in quel luogo ne facciamo una questione, un problema, di solito «un mio problema»; e allora il problema bisogna risolverlo. Se non stiamo attenti la soluzione può essere di gran lunga peggiore del problema.

Punto secondo: la saggezza suggerisce che il luogo in cui applicare il rimedio sia il punto di contatto nel momento stesso del contatto. Dunque evitiamo di sbattere gli alluci indossando una protezione sui piedi, non ricoprendo tutto il mondo mossi dall'ignoranza, dal desiderio, dalla paura o dalla rabbia.

Possiamo difenderci in modo analogo dal seguito elaborato di pensieri e diemozioni a cascata, spesso fastidiosi oppure affascinanti, che ogni singola, nuda impressione sensoriale innesca. Possiamo farlo portando l'attenzione al punto di contatto, nel momento del contatto con l'impressione sensoriale. E così quando c'è una percezione visiva gli occhi sono momentaneamente in contatto con la nuda e cruda realtà di ciò che si vede; nell'attimo successivo irrompe ogni sorta di pensieri e sentimenti...

«Ah sì, lo conosco.» «Non è carino.» «Non mi piace come mi piaceva quell'altro.» «Mi piacerebbe che rimanesse così.» «Mi piacerebbe che se ne andasse.» «Perché è venuto proprio adesso a darmi fastidio, a ostacolarmi, a frustrarmi?» eccetera.

La cosa, la situazione, è quel che è. Riusciamo a vederla con attenzione aperta e nuda, nel momento stesso in cui vediamo, e poi a portare la nostra consapevolezza a cogliere lo scatenarsi della cascata di pensieri e sentimenti, di preferenze e avversioni, di giudizi, desideri, ricordi, speranze e sensazioni di panico che seguono il contatto originale come la notte segue il giorno?

Se siamo capaci, anche solo per un momento, di limitarci a riposare nella visione di ciò che c'è da vedere e ad applicare con cura la consapevolezza al momento del contatto, possiamo lasciare che questa ci avverta della cascata - generata dalla piacevolezza o spiacevolezza o indifferenza dell'esperienza del momento - nell'attimo stesso in cui inizia; e possiamo scegliere di non lasciarcene intrappolare, quali che siano le sue caratteristiche, ma di lasciare invece che si svolga così com'è, senza correrle dietro se piacevole e senza rifiutarla se spiacevole. In quel preciso momento può darsi che vedremo dissolversi le contrarietà, perché le riconosciamo semplicemente come fenomeni mentali che sorgono nella mente.

Applicando la consapevolezza al punto di contatto nell'istante del contatto possiamo restarcene tranquilli nell'apertura del «vedere» puro e semplice, senza lasciarci trascinare così tanto nell'abituale produzione di pensieri condizionata e reattiva (la quale naturalmente non fa che portare ancora più turbolenza e disturbo alla mente togliendoci ogni possibilità di apprezzare la nuda e cruda realtà di ciò che è oppure, per quel che conta, di reagirvi in modo personale ed efficace).

La consapevolezza dunque ci serve da scarpe, proteggendoci dalle conseguenze dell'abitudine a reagire emotivamente, a lasciarci distrarre, a farci del male senza saperlo; è un'abitudine che affonda le radici nel fatto di non riconoscere, non ricordare e non occupare la natura più profonda del nostro stesso essere nel momento stesso in cui si genera una qualunque impressione dei sensi.

Se applichiamo la consapevolezza in quel momento e in quel modo, la natura del nostro vedere - il miracolo della visione - è libera di essere quello che è e la natura essenziale della mente non ne viene disturbata. In quel momento noi siamo liberi da ogni cosa nociva, liberi da ogni concettualizzazione e da ogni traccia di attaccamento: ci limitiamo a dimorare in pace nella conoscenza di ciò che viene visto, udito, annusato, gustato, percepito con il tatto oppure pensato, che sia piacevole, spiacevole o neutro. Concatenare simili momenti di presenza mentale gli uni agli altri ci permette di riposare sempre di più in una consapevolezza non concettuale, non reattiva, più libera dall'obbligo di scegliere, e ci permette di essere realmente quella conoscenza che è la consapevolezza, di essere la sua spaziosità, la sua libertà.
Mica male, per un paio di scarpe a buon mercato!
In realtà non sono poi tanto a buon mercato, anzi: sono senza prezzo, dunque inestimabili. Non possono nemmeno essere comperate, ce le possiamo solo fabbricare con fatica e con saggezza. Alla fine risulteranno, per dirla con le parole di T.S. Eliot, « costare nientemeno che tutto, tutto quanto ».


(da Jon Kabat-Zinn, Riprendere i sensi. Guarire se stessi e il mondo con la consapevolezza, edizione italiana Tea Pratica, 2008, p.46)

Le immagini di questo post sono tratte da opere di  Michel Tcherevkoff

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sabato 19 novembre 2016

Mindfulness per un'ora. Incontri settimanali di pratica aperti a tutti


A partire dal 24 novembre e fino al 22 dicembre,
tutti i giovedì, escluso l'8 dicembre, dalle 19.30 alle 20.30
incontri di pratica di mindfulness aperti a tutti.
Torre del Greco, via G.Marconi n.35
Conduce le pratiche Maria Michela Altiero psicologa 
istruttrice certificata di mindfulness e protocolli mindfulness-based
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Per partecipare, occorre prenotarsi telefonicamente entro le ore 12 del giorno dell'incontro al numero 388.8257088.
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La partecipazione è consigliata:
  • a chi ha già svolto il programma MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) o il programma programma PMP (Mindfulness Psicosomatica/Progetto Benessere Globale Gaia) e desidera continuare a praticare con altre persone, in modo da sostenere  la propria motivazione ed arricchirsi come essere umano;    
  • a chi non si sente pronto per impegnarsi in un  percorso intensivo come il programma MBSR o lungo come il programma PMP, ma vuole comunque iniziare a praticare;
  • a chi desidera iscriversi al prossimo programma MBSR, in partenza a gennaio 2017, e vuole iniziare a praticare sin d'ora per fare una scelta più consapevole più avanti;
  • ai docenti che stanno seguendo il  programma PMP (Progetto Benessere Globale Gaia) e desiderano altre occasioni di pratica di gruppo
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Vuoi iniziare subito?
Prova con una traccia audio di 14 minuti oppure sperimenta la pratica sdraiata del body-scan
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Se sei interessato a partecipare al prossimo programma MBSR o ad uno successivo appena si forma il gruppo, puoi contattarmi per essere inserito nella lista d'attesa

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lunedì 14 novembre 2016

Anche questo passerà. Una fiaba sufi e altre vicende

Nell'immagine un dipinto di Merab Gagiladze
C'era una volta un re che un giorno chiamò a sé tutti i saggi del regno e disse loro: "Sono stanco di sentirmi come un fuscello in balìa della sorte, felice, ansioso o disperato a seconda di come vanno le cose. Vorrei trovare il modo di affrontare più serenamente gli alti e bassi della vita. Potete darmi un suggerimento? Che so, una frase, una formula che io possa ripetere a me stesso in qualunque circostanza, e che mi aiuti a rimanere saldo e stabile nei momenti di difficoltà,  mi risollevi lo spirito nei tempi di sfortuna e mi mantenga  equilibrato nei momenti di successo?"
I saggi si riunirono e, dopo una lunga discussione, si trovarono finalmente d'accordo sulla formula da suggerirgli. La scrissero su un pezzetto di carta e consegnarono il bigliettino al re, raccomandandogli di non leggerlo subito per pura curiosità, ma di aspettare il momento del bisogno. 
Il re mise allora il foglietto in un piccolo scrigno segreto alloggiato sotto il diamante del suo anello e non ci pensò più.
Dopo qualche tempo, il regno fu attaccato a sorpresa dall'esercito di un regno vicino. Il re e i suoi uomini combatterono coraggiosamente ma persero la battaglia. Il re fu costretto a fuggire da solo con i nemici alle calcagna. Si inoltrò nel folto di un bosco e a un certo punto si accorse di essersi infilato in una via senza uscita. Di fronte a lui c'era infatti un burrone e proseguire significava precipitare e morire.
Solo sull'orlo del precipizio, con i nemici che lo stavano inseguendo e che probabilmente tra poco lo avrebbero raggiunto, il re si sentì perso. Ma a quel punto  un raggio di sole si rifletté sul diamante del suo anello e il re si ricordò del messaggio dei saggi. Aprì allora l'anello e lesse il biglietto. Sopra c'era scritto: "Anche questo passerà" .
Il re lesse e rilesse quelle parole più volte finché comprese finalmente il messaggio dei saggi. Disse tra sé: "Sì, anche questo passerà. Fino a ieri godevo del mio bel regno ed ero un re potente e onorato. Ora il regno è sparito e con esso tutti i suoi piaceri. Ora sono qui da solo, sull'orlo di un precipizio e con i nemici che mi  inseguono. Ma anche questo momento passerà, come ogni altro momento. Come passa il momento della sicurezza, così passa il momento del pericolo." 
Un senso di calma scese allora dentro di lui fino a inondargli la mente e il cuore. E mentre continuava a stare in quel luogo senza vie d'uscita, un po' alla volta si rese conto anche di tutta la bellezza della natura che lo circondava,  così ricca di colori e di profumi, e apprezzò il canto degli uccelli, e si accorse dello stormire delle foglie mosse dal vento. Dopo un po' gli giunse alle orecchie anche il rumore dei cavalli dei nemici, prima più lontani, poi sempre più vicini, e voci di uomini che si scambiavano indicazioni gridando. Sentì l'esercito fermarsi e indugiare a poca distanza da lui. Finché un po' alla volta sentì quelle voci e quel rumore di cavalli allontanarsi sempre più, fino a scomparire. I nemici non lo avevano visto e si erano avviati in un'altra direzione. Era in salvo.
Dopo quel giorno, il re coraggiosamente e tenacemente ricompose e riorganizzò  un po' alla volta il suo esercito disperso e riuscì alla fine a liberare il suo regno dall'invasore.
Traversò allora in trionfo le vie della capitale e il suo popolo lo accolse con grandi festeggiamenti. La gente al suo passaggio gli lanciava petali di fiori e gli tributava ogni onore. E per le strade le persone  facevano festa chiassosamente, tra danze, musiche e risate.  
Il re sentiva lievitare dentro di sé la contentezza e l'orgoglio. E a un certo punto si trovò a commentare tra sé: "Questa è la prova del mio valore e del fatto che il mio popolo mi ama e mi onora. Sono un re forte, coraggioso, benvoluto e difficile da sconfiggere."
Il suo anello di diamante mandò allora un riflesso di luce dritto dentro ai  suoi occhi. Il re si risvegliò dai suoi pensieri e si ricordò che  i saggi gli avevano dato un messaggio valevole non solo per i tempi difficili o sfortunati, ma anche per quelli del successo e della fortuna. 
Rilesse il biglietto custodito nell'anello: "Anche questo passerà...". 
La pace e il silenzio scesero allora dentro di lui, in  mezzo al chiasso e alla baraonda generale, e la nebbia dei pensieri si diradò nella sua mente
Da protagonista identificato con le manifestazioni del momento,  si sentì umile e quieto testimone degli eventi. 
Ecco la vittoria,  la gioia e la festa, ed ecco anche la consapevolezza che niente dura per sempre.
Tutto ciò che arriva a un certo punto se ne va.
Una ragione in più per vivere pienamente ogni momento, ricordandosi che è unico, prezioso, irripetibile.
Nell'immagine un dipinto di Merab Gagiladze
Da giovane, quando di una serie di dodici piatti me ne restavano a un certo punto solo quattro, la prendevo piuttosto male. All'epoca avevo le bambine piccole e un discreto andirivieni di gente per la casa. Qualche piatto sfuggiva di mano alle bambine, qualcuno agli ospiti o alla tata, qualcun altro a me. E insomma si faceva presto a spaccarne otto.
Al terzo servizio di piatti si impose una decisione: o trovavo dei piatti infrangibili o dovevo accettare che i piatti di porcellana e di ceramica prima o poi si sarebbero rotti e non c'era niente da fare.
In un negozio di articoli per la casa scoprii una promozione per una deliziosa serie di piatti a fiorellini. Mi piacevano un sacco, anche se davanti agli occhi me li vedevo già tutti in cocci. Visto che costavano poco, decisi di comprarne diciotto anziché dodici, così ne avrei avuti sei di scorta e ci avremmo messo più tempo ad arrivare a quattro.
Quei piatti alla fine sono durati più a lungo del previsto. Li uso tuttora e non saprei dire quanti sono (certamente più di quattro). Continuano a piacermi, per via dei loro fiorellini allegri, ma la vera caratteristica che li ha resi   speciali è di essere entrati in casa mia già con l'idea che si sarebbero rotti. Per cui non me la sono mai presa, quando se ne è rotto qualcuno. E non perché era costato poco, ma perché ne avevo accettato la rottura prima ancora che si verificasse.
Quante cose nella vita  riusciamo a considerare in questa prospettiva e ad accettare che passeranno, si romperanno, finiranno, ma non per questo non meritano di essere vissute fino in fondo, momento per  momento?
A volte la fine delle cose può essere per noi motivo di dolore, che si tratti di una fase della vita che si chiude, della fine di una relazione, della  conclusione di un progetto o della morte di qualcuno.
A volte può essere fonte di gioia e liberazione, come la fine di una malattia, di una guerra,  di una prigionia, o anche il pensionamento se il nostro lavoro era per noi fonte di tormento.
Tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine. Il sole sorge e poi tramonta. Un fiore sboccia e poi appassisce. Noi stessi nasciamo, cresciamo e moriamo. Possiamo gioire o disperarci per questo, ma la fine delle cose è nella natura stessa delle cose. La legge del cambiamento è l'unica realtà che non cambia mai.
Quando riusciamo ad accettare davvero questa realtà, non consideriamo più le nostre perdite come una sfortuna squisitamente nostra, perché l'evento con cui stiamo facendo i conti è solo una delle tante  manifestazioni di quest'unica realtà universale.
Nell'immagine un dipinto di Merab Gagiladze
All'epoca delle stragi di piatti, una sera tornando a casa trovai una statuetta di ceramica decapitata.
"Chi l'ha rotta?", chiesi alla mia bambina di quattro anni.
"Si è rotta da sé", mi rispose lei con naturalezza.
Aveva senso in quel momento stabilire chi fosse il colpevole? Se magari una palla, o piuttosto la bambina che l'aveva lanciata, o la sua amichetta che non l'aveva parata, o la tata che le aveva lasciate giocare in salotto, oppure io che non avevo messo la statuetta in un posto sicuro?
Qualunque cosa possa dire una legge o una polizza di assicurazione circa la responsabilità per la rottura di una cosa fragile, la verità ultima è nella natura delle cose.
La statuetta si era rotta perché era di ceramica.
Per cui alla fine, tutto sommato, aveva ragione la bambina.
Quella statuetta non l'aveva rotta nessuno. Si era rotta da sé, secondo natura.

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