lunedì 31 dicembre 2012

E ora accogliamo l'Anno Nuovo, colmo di cose mai state (Rainer Maria Rilke)


Ed eccoci a celebrare un momento a cavallo tra anno vecchio e anno nuovo.
In effetti ogni momento della nostra vita è teoricamente così, uno spartiacque tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra un passato che non c'è più (se non per i suoi effetti tangibili ed i ricordi che portiamo dentro di noi) ed un futuro che non c'è ancora (se non per le sue attese, le sue promesse, le sue minacce, le sue incognite).
E' difficile che celebriamo, nell'ordinaria amministrazione, un singolo momento presente, in sé e per sé, per ciò che effettivamente è. Al massimo ci ricordiamo di farlo quando la nostra cultura di appartenenza ci impone rituali preconfezionati: celebrare una nascita con il battesimo, un'unione col rito del matrimonio, la fine degli studi con una cerimonia di laurea, una morte col funerale, e infine anche l'arrivo dell'anno nuovo con una notte di brindisi e fuochi d'artificio.
Di solito vivere un momento di ordinaria amministrazione, per noi "gente che corre", significa passarci dentro, già protesi verso il momento successivo, e quello dopo ancora. Celebrare un momento ordinario non ci viene tanto naturale, perché per noi vivere è sinonimo di procedere.
Bene. Procederemo. Abbiamo tutto l'anno nuovo, davanti a noi, per procedere.
Ma stanotte, almeno per un momento, stiamo fermi dentro al momento presente, e celebriamo consapevolmente il preciso momento a cavallo tra vecchio e nuovo anno. Viviamolo per quello che è: nella sua pienezza e nella sua vacuità, con tutte le domande in sospeso, tutti i lavori in corso, tutto il suo peso e tutta la sua leggerezza, tutto ciò di cui ci grava e tutto ciò di cui ci arricchisce, tutta la confusione e tutta la calma, tutta la gioia, tutto il dolore, tutto il senso di appagamento, tutto il senso di spaesamento, tutta la sua apparente inutilità e pochezza, tutta la sua potenzialità e forza, espressa o inespressa che sia.
E' un momento: solo un momento.  Ma è la nostra "verità" di oggi. E, se siamo vivi, è segno che sappiamo reggerla.
Facciamoci  una bella foto e fermiamo il momento. Il suo valore, magari, ci si chiarirà meglio in futuro, quando andremo a rileggerlo, anziché ora che siamo a "lavori in corso".
Persino i momenti vuoti, di noia, di stallo possono rivelarsi di grande valore, se riletti a distanza di tempo. Tante volte sono proprio quelli i momenti cruciali che precedono le grandi avventure, che ci inducono a cogliere nuove sfide.
Il percorso di una vita raramente è un percorso lineare: il terreno di solito è accidentato, ci sono salite, discese, curve, buche, e anche lunghi tragitti pianeggianti dove la calma può presentarsi come pace  ma anche come noia.
"Ci sono anni che fanno domande e anni che rispondono", dice Zora Neale Hurston.
Con questo spirito accogliamo l'anno nuovo.
Che ci porti risposte, se in questo momento siamo carichi di domande.
Che faccia emergere in noi nuove domande, se siamo in stallo con le vecchie risposte.
***
A voi tutti  i miei migliori auguri di un prospero, produttivo, significativo, importante, gratificante, appagante

2013!

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In particolare, per chi oggi si trovasse  in una situazione di  stallo, formulo i miei auguri più sinceri perché quest'anno gli porti soluzioni .
A tal proposito, lo rimando ad un mio post di ottobre (clicca qui), dove l'augurio è:

"...Che riceva in dono dall'universo un sogno; 
che cominci a coltivare questo sogno
e a valutare la sua realizzabilità;
che cominci a fare progetti,
a creare i presupposti per viaggiare verso il suo sogno;
che si metta a studiare,
a cercare informazioni, alleati e mezzi;
che insomma alimenti in sé
la fiamma della passione
che lo spinge verso ciò che lo fa sentire vivo,
affinché prima o poi,
quando si sentirà pronto,
possa mettersi in viaggio,
affrontarne le incognite e gli ostacoli 
con forza e coraggio, 
ed uscire dalla situazione di stallo,
non spinto dalla voglia di fuggire, 
bensì attratto dalla voglia di viaggiare..."

***
Per chi invece, nell'anno vecchio,  abbia gettato i semi dei suoi sogni, o sia in procinto di gettarli con l'inizio del nuovo anno,  allora i miei auguri più sentiti sono al seguente  link: clicca qui!
***
Arrivederci  a tutti ad anno nuovo!




domenica 30 dicembre 2012

Evergreen: Questa strada ha un cuore? (Carlos Castaneda, Gli insegnamenti di don Juan)

DON JUAN: «Per me c'è solo il viaggio su strade che hanno un cuore, qualsiasi strada abbia un cuore. Là io viaggio, e l'unica sfida che valga è attraversarla in tutta la sua lunghezza. Là io viaggio guardando, guardando, senza fiato.»



***
DON JUAN: «Tutto è solo una strada tra tantissime possibili. Devi sempre tenere a mente che una strada è solo una strada; se senti che non dovresti seguirla, non devi restare con essa a nessuna condizione. Per raggiungere una chiarezza del genere devi condurre una vita disciplinata. Solo allora saprai che qualsiasi strada è solo una strada e che non c'è nessun affronto, a se stessi o agli altri, nel lasciarla andare se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare. Ma il tuo desiderio di insistere sulla strada o di abbandonarla deve essere libero dalla paura o dall'ambizione.»

«Ti avverto. Guarda ogni strada attentamente e deliberatamente. Mettila alla prova tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda. ..."Questa strada ha un cuore?"
... Se lo ha la strada è buona. Se non lo ha non serve a niente. Entrambe le strade non portano da alcuna parte, ma una ha un cuore e l'altra no. Una porta un viaggio lieto; finché la segui sei una sola cosa con essa. L'altra ti farà maledire la tua vita. Una ti rende forte; l'altra ti indebolisce.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come si fa a sapere quando un sentiero non ha un cuore, don Juan?»

DON JUAN: «Prima di inoltrarti in esso poniti la seguente domanda: "Questa strada ha un cuore?" Se la risposta è no, lo saprai, e allora dovrai scegliere un altro sentiero.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come faccio a capirlo?»

DON JUAN: «E' una cosa che si sente. Il problema è che nessuno si pone questa domanda, e quando un uomo si accorge di aver intrapreso una strada senza cuore, essa è pronta per ucciderlo. Arrivati a quel punto, sono pochi quelli che si fermano a riflettere e abbandonano la strada.»

CARLOS CASTANEDA: «Cosa devo fare per formulare la domanda nel modo giusto, don Juan?»

DON JUAN: «Fallo e basta.»

CARLOS CASTANEDA: «Quello che vorrei sapere è se esiste un metodo per non mentire a se stessi credendo che la risposta sia positiva quando in realtà non lo è.»

DON JUAN: «Perché dovresti mentire?»

CARLOS CASTANEDA: «Forse perché in quel momento la strada sembra piacevole e divertente.»

DON JUAN: «Sciocchezze. Una strada senza cuore non è mai piacevole. Devi lavorare duramente anche per intraprenderla. D'altra parte è facile seguire una strada che ha un cuore, perché amarla non ti costa fatica.»
 (Carlos Castaneda, Gli Insegnamenti di don Juan)

mercoledì 26 dicembre 2012

Evergreen: Itaca, di Konstantinos Petrou Kavafis (1911)

Oggi un canto dedicato a chi si accinge a partire per un lungo viaggio, ricco di avventure e di sfide, sospinto e sorretto dal pensiero della sua ambita meta.
***
Itaca
di Konstantinos Petrou Kavafis (1911)

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle, coralli, ebano e ambre,
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta,

più profumi inebrianti che puoi;
va' in molte città egizie,
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa' che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada,
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

***

lunedì 24 dicembre 2012

Per Natale regalatevi... scenari da sogno (e l'idea di un appuntamento con il vostro life coach!)

Domani è Natale ed escludo che tra i lettori di questo blog ci sia qualcuno che abbia scritto una lettera a Babbo Natale (più facile, magari, trovare qualcuno che l'abbia ricevuta!).
Uno dei motivi per cui a una certa età non scriviamo più lettere a Babbo Natale è sicuramente il fatto che non crediamo più alla sua esistenza.
Niente da ridire sul fatto in sé (sarebbe più preoccupante il contrario), ma riflettere su cosa abbiamo perso, dismettendo una tale pratica, può essere già di per sé un buon regalo di Natale che facciamo a noi stessi.
Per esempio si può cominciare col dire che era una gran comodità affidare i propri desideri, una volta l'anno, ad un essere magico, potente e (soprattutto) puntuale, deputato a realizzarli, come Babbo Natale.
Con lui, però -  non dimentichiamocelo - alcuni di noi hanno avuto anche qualche problema. A qualcuno di noi, da piccolo, è stato magari passato il messaggio che doveva fare il bravo tutto l'anno, per ottenere che Babbo Natale realizzasse i suoi desideri. Come a dire che i regali dovevamo meritarceli, che la realizzazione dei nostri desideri era un fatto di merito personale, che persino un essere magico come Babbo Natale non poteva realizzare un nostro desiderio, se noi non lo meritavamo.
Cosa può esserci rimasto appiccicato addosso, anche ora che siamo grandi, di questa immagine dell'infanzia?
Ci è mai capitato di considerare "impossibile" un desiderio, che in sé oggettivamente non era impossibile da realizzare (tutt'al più difficile), perché sotto sotto ci sembrava di non esserne all'altezza, di non meritare tanto?
E cosa ne abbiamo fatto di quel desiderio? Abbiamo lavorato su noi stessi per "meritare" che si realizzasse, per creare le condizioni che ne favorissero la realizzazione, o ci abbiamo rinunciato e amen?
Ora, secondo me, rinunciare tout-court ai nostri desideri, a volte può essere un modo per darsi pace (la tale cosa per me è impossibile e me faccio una ragione: campo per qualcos'altro), ma a volte può essere un'azione dall'impatto devastante sul nostro piacere di vivere, sulla nostra autostima, sulla nostra serenità, e sulla nostra tensione verso il futuro.
Auto-legittimarci a desiderare ciò che realmente desideriamo (per esempio un'affermazione in campo lavorativo, sentimentale, economico, sociale, abitativo, eccetera eccetera), è il primo passo che dobbiamo compiere da noi, dentro di noi, per prendere in mano le redini della nostra vita e cercare di condurla dove vogliamo. Altrimenti altre forze, esterne e indipendenti dalla nostra volontà, decideranno per noi, e noi ci sentiremo sempre più impotenti e in balia degli eventi.
Per cui troviamo il modo di rispolverare l'abitudine infantile di scrivere una volta l'anno un elenco dei nostri desideri, senza inibizioni, per chiarirli a noi stessi, per guardarli in faccia senza vergogna.
Mettiamo a tacere, se ci appartiene, la segreta vocina che dentro di noi continua a boicottarci con affermazioni del tipo: "Ma chi credi di essere?", "Non ti accorgi che sei ridicolo a fare progetti del genere?", "Sei il solito sognatore!", "Dove ti avvii, alla tua età?". 
Finché daremo ascolto a vocine del genere, non ci sarà nessun Babbo Natale, né Befana, né altro Deus ex machina capace di aiutarci, né a Natale né mai.
Persino quella sfigatissima Cenerentola, vestita di stracci e coperta di cenere, dovette trovare il coraggio di desiderare un ballo a palazzo (ed autolegittimarsi a desiderarlo!), perché apparisse una fata a darle una  mano (pur con i suoi limiti anch'essa, certo, perché la storia di un incantesimo che scade a mezzanotte pure è un limite, non si può negare, ma è tuttavia pur sempre un bel passo avanti, qualcosa di "concreto" su cui lavorare).
***
Bene, ora un po' di... autopubblicità natalizia.
Da che dico ad amici e conoscenti che, come psicologa, mi occupo specificamente di life coaching a livello professionale, molte persone mi dicono di avere difficoltà a capire cosa sia esattamente un life coach   .
Il life coach è un allenatore per persone che vogliono prendere in mano un aspetto della propria vita di cui sono insoddisfatte (aspetto magari difficile da cambiare, ma non oggettivamente impossibile da cambiare) e vogliono impegnarsi per cambiarlo.
Insieme al life coach, allora, possono fare il punto sulla situazione di partenza, formulare una visione della situazione desiderata, valutare le risorse personali e ambientali in campo, considerare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento della situazione desiderata, formulare strategie di avvicinamento allo stato desiderato, definire obiettivi graduali, e così via.
Tornando alle metafore di Babbo Natale e della fata di Cenerentola, potremmo dire che il life coach non è sicuramente Babbo Natale, perché non ti regala magicamente la realizzazione dei tuoi sogni (sia che te la meriti, sia che non te la meriti); in compenso ti legittima e ti sostiene, mentre guardi in faccia i tuoi desideri, e poi ti aiuta a valutare cosa puoi fare tu stesso per realizzarli.
Il life coach ha qualcosa in comune allora con la fata di Cenerentola? 
Un po' sì e un po' no.
No, perché è un normale essere umano e quindi non ha il potere di trasformare le zucche in carrozze, né i topini in cavalli e valletti.
Sì, perché può aiutarti a sviluppare una maggiore consapevolezza delle tue risorse e dei tuoi limiti, e dirti: "Guarda bene, c'è qualche carrozza nel tuo orto? Vuoi vedere che stai trattando come una zucca quella che in realtà è una carrozza?", oppure: "Sei sicuro di non poterti procurare cavalli e valletti? Guarda più attentamente i tuoi... topini!". E infine ti dice pure qualcosa tipo: "Hai considerato il fattore tempo? C'è qualcosa che scade a mezzanotte? Sarà il caso di lasciare una scarpina di cristallo distrattamente da qualche parte...?".
Tant'è. E beninteso non è tutto.
Ma più di tanto non può durare una pubblicità natalizia!
A gennaio 2013, a Portici, organizzerò un piccolo evento gratuito per presentare in un clima amichevole e informale le caratteristiche salienti del mio lavoro di life coach. 
Con l'occasione faremo insieme qualche piccolo assaggio del metodo.
Siete tutti invitati, ma dovete prenotare.  
Potete farlo con un commento sotto questo post, oppure potete telefonare al numero 
 o anche potete spedire una email all'indirizzo: psicologa.altiero@gmail.
***
Auguro di cuore a voi tutti un Natale pieno di serenità e di gioia.
Spero vi concediate  tempo e riposo a sufficienza, per lasciare emergere in superficie  i vostri  desideri  più autentici e profondi che fossero ancora in attesa del  permesso di... esistere.
***

domenica 23 dicembre 2012

Coltivare la serenità attraverso i sensi: il tatto


Abbiamo già parlato in  precedenti occasioni di come sia possibile coltivare la serenità attraverso un uso più attento dei nostri sensi, e finora ci siamo soffermati in particolare sulla vista (clicca qui) e sull'olfatto (clicca qui)
Oggi invece parleremo del tatto. 
Siamo fatti ognuno a modo suo, per quanto riguarda amore/avversione per il liscio, il ruvido, il caldo, il freddo, l'umido, il bagnato, il secco, le carezze, i pizzichi, i massaggi, i baci, le docce, i bagni e via dicendo.
C'è una pelle, tra noi e il mondo: a volte c'è una scorza dura, a volte una morbida pellicina di seta. 
Comunque sia, noi ce ne stiamo tutto il giorno  lì, per i fatti nostri, dentro alla nostra pelle,  e intanto non smettiamo nemmeno per un minuto di toccare il mondo e di esserne toccati.
A  ciò non si sfugge, che ci piaccia o no. 
Non è come la vista, che ogni tanto puoi chiudere gli occhi. E nemmeno come l'olfatto, che puoi turarti il naso. 
Per cui, stiamo attenti a ciò che sente la nostra pelle!
C'è una bella differenza tra graffi e carezze. Noi le sentiamo tutte, le carezze?
Ce lo prendiamo tutto, il bene che deriva dal contatto fisico col mondo?
O ci accorgiamo solo dei suoi graffi (perché quelli fanno male e allora, sì, che si sentono)?
O non ci accorgiamo magari nemmeno di quelli?
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Divenite pienamente consapevoli del vostro corpo in questo preciso momento, del suo contatto con la poltrona su cui siete seduti, con i pantaloni o le calze che vi fasciano le gambe, con la camicia o la maglia che vi toccano le spalle, con il tepore che proviene da un termosifone nelle vicinanze o dal vostro stesso computer. 
Riuscite a trovare qualcosa di piacevole o spiacevole in tutto ciò, o niente di niente?
Se non riuscite a trovarci niente, poco male. Ma ricordate sempre che l'uso consapevole  dei nostri cinque sensi è anche questione di allenamento, di esercizio.
Vittorio Cei (psichiatra e psicoterapeuta), nel suo libro "Libera la tua creatività", suggerisce tra l'altro di cominciare la mattina, sin dal risveglio, ad esercitare l'uso creativo e consapevole dei  sensi tutti.
Visto che oggi noi vogliamo dare un po' di spazio al tatto, vediamo insieme come potrebbe essere un inizio di giornata dove il tatto viene valorizzato, aggiungendo qualcosa al nostro piacere di vivere.
***
Ancor prima di aprire gli occhi, diveniamo consapevoli (e anzi compiaciamoci proprio) del piacevole tepore del nostro letto, di come sono lisce le nostre lenzuola, di come è piacevole tenere il viso affondato nel cuscino. Carezziamo e baciamo il  nostro partner, se ci dorme accanto (e se non sembra intenzionato a dormire in pace ancora un po'...) e quindi alziamoci,  mossi non  dall'idea degli impegni della giornata, ma dalla prospettiva immediata di una gran bella doccia. Facciamo in modo che l'aria della stanza da bagno sia abbastanza calda, come piace  a noi,  e che l'acqua pure, mentre ci scorre tra le dita (e le accarezza!),  raggiunga la temperatura giusta, quella che ci piace proprio tanto.
Andiamo quindi con tutto il corpo sotto l'acqua e sentiamo il piacere del contatto della nostra pelle con quella temperatura amata. Massaggiamoci allora con la spugna che più ci piace, morbida se ci piace morbida, ruvida se ci piace ruvida. Sentiamo il sapone diventare una crema soffice e schiumosa sulla nostra pelle.  Concentriamoci  intensamente su ciascuna di queste azioni, senza pensarle, ma solo vivendo in pienezza le sensazioni che ci danno. E facciamo in modo di godere il piacere presente senza mai  portare il pensiero oltre il qui e ora (a cosa ci aspetta dopo, cosa dobbiamo fare, dove dobbiamo andare). 
Può essere un timer, se necessario, a ricordarci che è ora di asciugarci (magari con un morbido asciugamano di spugna fresco di bucato e caldo di scalda-salviette),  ma finché il timer non suona, mi raccomando,  noi siamo solo... doccia!
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Ed ora qualche citazione in materia, per ulteriori ispirazioni.
illustrazione  di Simona De Leo
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"Radersi la barba, soprattutto per chi lo fa ogni giorno, è una noiosa azione ripetitiva. Quasi sempre un'occasione per tormentarsi, pensando alla pesante giornata che ci aspetta o ad uno dei tanti problemi che ci angosciano. Anche questa è una perdita quotidiana, un peccato mortale. Pensateci: è l'unico momento della giornata in cui potete tranquillamente massaggiarvi le guance, carezzarle con una crema profumata, provare il piacere di toccarle e sentirle toccate con un morbidissimo pennello o una soffice schiuma.Sentite tutto questo, concentratevi su queste meravigliose sensazioni. Non ve le perdete! Non concedete a nulla e a nessuno di distrarvi!" (Vittorio Cei)
"Il tatto è il primo senso fisico di cui abbiamo esperienza quando delle mani estranee ci tirano fuori dal regno oscuro dell'anima e ci portano nella luce fredda e dura della terra. ... Per molti il tatto è anche l'ultimo senso di cui hanno esperienza , prima di abbandonare questo mondo: la stretta di una mano cara. La vista, l'odorato, l'udito e il gusto se ne vanno prima di noi. ... Noi definiamo 'sentimenti' le nostre oscillazioni d'umore e, quando qualcosa fa vibrare in noi una corda sentimentale profonda, diciamo che siamo stati 'toccati'. Quando ci sentiamo alienati, frammentati e alla deriva, spesso per descrivere questo estraniamento, diciamo che 'abbiamo perso il contatto con la realtà'. Gli adesivi sulle automobili ci domandano: 'Oggi hai abbracciato tuo figlio?' E tu l'hai fatto? Perché tutti abbiamo bisogno di essere abbracciati e toccati, non per prosperare, ma per sopravvivere." (Sarah Ban Breathnach)
"Non sempre il silenzio significa tatto: 
è il tatto ch'è d'oro, non il silenzio." 

(Samuel Butler)

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(...e in caso di difficoltà, clicca qui per istruzioni)

venerdì 21 dicembre 2012

Leggenda indù

Un'antica leggenda indù narra che un tempo tutti gli uomini erano dei.
Essi però abusarono talmente della loro divinità, che Brahma - signore degli dei - decise di togliere loro il potere divino e di nasconderlo in un luogo dove non fosse possibile trovarlo.
Il problema però era trovare un buon nascondiglio. Gli dei minori, riuniti a consiglio per risolvere questo dilemma, dissero: "Seppelliamo la divinità dell'uomo nella Terra". 
Brahma rispose: "No, non basta. Perché l'uomo scaverà e la ritroverà".
Gli dei, allora, proposero: "In tal caso, gettiamo la divinità dell'uomo nel più profondo degli Oceani".
E Brahma rispose: "No, perché prima o poi l'uomo esplorerà le cavità di tutti gli Oceani, e sicuramente un giorno la ritroverà e la riporterà in superficie".
Gli dei minori allora si arresero. "Non sappiamo dove nasconderla", dissero, "perché non sembra esistere,  sulla terra o in mare, alcun posto che l'uomo non possa una volta o l'altra raggiungere". 
Allora Brahma decise: "Ecco ciò che faremo della divinità dell'uomo: la nasconderemo nel suo io più profondo e segreto, perché quello è il solo posto dove non gli verrà mai in mente di cercarla".
A partire da quel tempo, conclude la leggenda, l'uomo ha compiuto il periplo della terra, ha esplorato, scalato montagne, scavato la terra e si è immerso nei mari alla ricerca di qualcosa che in realtà si trova dentro di lui.
"Anche se sapessi che la fine del mondo è per domani, 
io andrei ancora oggi a piantare un albero di mele." (Martin Lutero)


Buon giorno. E' successa una cosa strana: si è improvvisamente azzerato il contatore dei "Mi piace" di Facebook. Non è la... fine del mondo, ma se per caso voleste cliccate sul bottone "Mi piace",  la cosa mi farebbe  piacere.

martedì 18 dicembre 2012

Memento hominem: la scatola della nostra vita


Qualcuno sostiene che sia utile, a una certa età, raccontarsi, e di questa cosa - intesa come attività specificamente autobiografica - parlerò diffusamente un altro giorno, in un altro post (infatti sono convinta anch'io che sia molto utile raccontarsi, e non voglio liquidare la cosa così, in due parole).
Stasera invece voglio accennare ad un oggetto che può, non dico sostituire, ma almeno precedere, ispirare o evocare, un'autobiografia vera e propria: il cosiddetto Memento hominem.
Se ne parla, in particolare, in un libro di Allen Kurzweill, dal titolo "La scatola dell'inventore", di cui a seguire potrete leggere un estratto.  Si tratta di un contenitore di oggetti significativi, che evocano i momenti salienti della vita di una persona, e che beninteso sono diversi per ciascuno di noi.  Si va dal braccialetto che avevamo in culla, alla matrice del nostro primo assegno; dal dentino di latte che ci è caduto per primo, alla fattura del nostro vestito da sposa/sposo; e cose così.
Qualcuno potrebbe obiettare che un album di fotografie può avere la stessa funzione ed essere più "esplicito". Nulla vieta di mettere anche delle fotografie nel contenitore; le fotografie fissano gli aspetti visivi delle nostre esperienze in maniera molto nitida: perché negarcele? E' che ci sono altre qualità negli oggetti della nostra vita, che è bello rivivere raccontandoci (sia a noi stessi, mentalmente, sia  agli altri, a voce). Qualità tattili, olfattive, uditive; e direi anche gustative, se le date di scadenza dei prodotti alimentari non remassero contro la nostra impresa!
Personalmente sono una raccoglitrice di sassi. Quando vado in un posto che mi piace, raccogliere un sasso e portarmelo a casa, è un po' come portarmi a casa un pezzo di quel posto. Beninteso sarebbe esagerato riempire un memento hominem di tutti i sassi della nostra vita, così come sarebbe esagerato riempire un'autobiografia di tutti i nostri passi, di tutti i nostri pensieri, di tutte le nostre parole. Qualcosa è bene che venga perso, trascurato, lasciato fuori dal nostro contenitore e dalla nostra memoria. Questo ci può servire a capire meglio cosa ha davvero contato nella nostra vita e cosa non tanto, o anche cosa ci vogliamo tenere della nostra vita e cosa vogliamo abbandonare.
E poi  un'altra cosa, prima di concludere: ricordarsi di lasciare sempre un po' di spazio vuoto!

Se no il futuro dove lo mettiamo?
Non si può mai chiudere definitivamente la scatola dei ricordi della nostra vita.
Almeno finché siamo ancora vivi...
***

Ecco ora un estratto dal libro che vi dicevo e che mi ha fatto scoprire questa cosa.
(In questo stralcio il narratore, in una casa d’aste parigina, ha acquistato una misteriosa scatola , tarmata e impolverata, priva di contrassegni che ne indichino epoca e proprietario, e un uomo vuole convincerlo a vendergliela)
***
"Poi mi domandò, anzi, mi implorò di vendergli la Scatola. Naturalmente rifiutai. Nei minuti che seguirono, mi offrì una somma molto più alta di quanto l’avessi pagata. Gli risposi che non l’avevo comprata per guadagnarci nel rivenderla, ma che mi sarebbe piaciuto sapere perché era così interessato. Se fosse stato un habitué delle aste, si sarebbe rifiutato di rispondermi o avrebbe tentato di combinare qualche affare. Per fortuna, invece, era un professore di storia dell’arte e si mostrò accomodante. “Sa che cos’è un memento hominem?” chiese, col suo accento tipicamente italiano. “Memento hominem?” domandai. Ne avevo una vaga idea. “Teschi e orologi senza lancette.”
Mi corresse. “Lei lo confonde con il più comune memento mori, cioè con quei simboli della morte che si trovano nei dipinti e nell’architettura funeraria europea.” Mi spiegò che un memento hominem non serve a rammentare la morte, ma piuttosto è il documento di una vita. Ogni oggetto nella scatola rappresenta un momento o un rapporto importante nella vita di colui che l’ha preparata. Gli oggetti scelti sono spesso comuni e banali; ma non lo sono mai le ragioni della selezione. Disse che era una cosa comune in Svizzera e in Francia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Esuberante come possono esserlo solo gli italiani, mi rivelò che la Scatola dell’inventore narrava una storia, una storia veramente singolare "(Allen Kurzweil, La scatola dell’inventore, Bompiani, Milano 1992, pp. 9-10.)

lunedì 17 dicembre 2012

VIVERE LA VITA (testo e musica di Alessandro Mannarino - canta Ruben Aprea)


Vivere la vita è una cosa veramente grossa 
C'è tutto il mondo tra la culla e la fossa 
Sei partito da un piccolo porto 
Dove la sete era tanta e il fiasco era corto 
E adesso vivi.... 
Perché non avrai niente di meglio da fare 
Finchè non sarai morto 
La vita è la più grande ubriacatura 
Mentre stai bevendo intorno a te tutto gira 
E incontri un sacco di gente 
Ma quando passerà non ti ricorderai più niente 
Ma non avere paura, qualcun altro si ricorderà di te 
Ma la questione è...Perché??? 
Perché ha qualcosa che gli hai regalato 
Oppure avevi un debito...e non l'hai pagato??? 
Non c'è cosa peggiore del talento sprecato 
Non c'è cosa più triste di una padre che non ha amato... 

Vivere la vita è come fare un grosso girotondo 
C'è il momento di stare su e quello di cadere giù nel fondo 
E allora avrai paura 
Perché a quella notte non eri pronto 
Al mattino ti rialzerai sulle tue gambe 
E sarai l'uomo più forte del mondo 
Lei si truccava forte per nascondere un dolore 
Lui si infilava le dita in gola....per vedere se veramente aveva un cuore 
Poi quello che non aveva fatto la società l'ha fatto l'amore... 
Guardali adesso come camminano leggeri senza un cognome.... 

Puoi cambiare camicia se ne hai voglia 
E se hai fiducia puoi cambiare scarpe... 
Se hai scarpe nuove puoi cambiare strada 
E cambiando strada puoi cambiare idee 
E con le idee puoi cambiare il mondo... 
Ma il mondo non cambia spesso 
Allora la tua vera Rivoluzione sarà cambiare te stesso 
Eccoti sulla tua barchetta di giornale che sfidi le onde della radiotelevisione 
Eccoti lungo la statale...che dai un bel pugno a uno sfruttatore 
Eccoti nel tuo monolocale... che scrivi una canzone 
Eccoti in guerra nel deserto che stai per disertare 
E ora...eccoti sul letto che non ti vuoi più alzare... 
E ti lamenti dei governi e della crisi generale... 

Posso dirti una cosa da bambino??? 
Esci di casa! Sorridi!! Respira forte!!! 
Sei vivo!!!
...cretino....

domenica 16 dicembre 2012

Avere cura del proprio spirito: pregare, creare uno spazio sacro


La nostra quarta regola della serenità è "Avere cura del proprio spirito".
L'argomento su questo blog è comparso con una certa  frequenza (basta cliccare sulla corrispondente etichetta, oppure qui, per verificare cosa intendo), e tuttavia non ho mai parlato in maniera esplicita della pratica della preghiera, ma al massimo di pratiche meditative, perché la preghiera, come via di accesso alla serenità interiore, tira in ballo tutta una serie di questioni relative alla fede, alle scelte religiose,alla  personale simpatia o avversione per certe chiese, culti, tradizioni e così via.
Tutte materie che travalicano i confini di questo blog, dove al massimo posso dire: se avete una fede (una qualunque fede), che considerate per voi una risorsa e non un crogiuolo di sensi di colpa e rimorsi di coscienza, datele spazio e trovate il modo di pregare bene, in pace e regolarmente.
Alcuni ricercatori hanno condotto studi sull'argomento affermando i benefici  della preghiera sulla salute ed in generale sullo stato di benessere psico-fisico di una persona, ma al momento la questione ha contorni ancora da definire.
Sul tema, ecco un video tratto da un servizio di Voyager sull'argomento: "La forza della preghiera":

Citazioni sulla preghiera
"La preghiera è una delle pratiche comuni a tutte le religioni. Essa consiste nel rivolgersi alla dimensione del sacro con la parola o con il pensiero; gli scopi della preghiera possono essere molteplici: invocare, chiedere un aiuto, lodare, ringraziare, santificare, o esprimere devozione o abbandono. La preghiera è solitamente considerata come il momento in cui l'uomo 'parla' al sacro..." (Wikipedia)
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"Due monaci pregano senza sosta, uno è corrucciato, l’altro sorride. Il primo domanda:
- Com’è possibile che io viva nell’angoscia e tu nella gioia se entrambi preghiamo per lo stesso numero di ore?
L’altro risponde:
- Perché tu preghi sempre per chiedere, e io prego solo per ringraziare." (Piccola storia zen)
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"Se avete una fede, prendete parte regolarmente ai servizi religiosi e pregate spesso; sviluppare la vostra spiritualità può significare aver fiducia che quello che vi sta accadendo ha una ragione ed un suo fine."
 (Robin Norwood, Donne che amano troppo)
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"Forse preghiera e guarigione convergono, la preghiera è guarigione: non dal male, ma dalla disperazione. Persino nel momento in cui si è soli, la preghiera spezza la solitudine del morente. Ancora oggi mi mette in contatto con una voce che risponde. Non so quale sia. Ma è più durevole e fonda della voce di chi la nega. Tante volte l'ho negata anch'io, per riscoprirla nei momenti più difficili. E non era un'eco... Lo so che prega chi sopravvive e chi muore, chi vince e chi va incontro alla sconfitta. Ma ho rinunciato da tempo alla contabilità celeste, al bilancio del dare e dell’avere, alle aspettative fiscali del divino. Mi accontenterò (mai verbo più malinconico e più lucido) di un ultimo appuntamento con la voce. Quando tutto mi mancherà, lei non mi mancherà(Giuseppe Pontiggia, Nati due volte) 
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"Oh, Dio, dammi la grazia per oggi.
Non per la vita, non per la settimana ventura,
né per domani, soltanto per oggi. 
Dirigi i miei pensieri e benedicili,
dirigi il mio lavoro e benedicilo.
Dirigi le parole che dico
 e benedici anche quelle.
Dirigi e benedici tutto ciò
che penso e dico e faccio.
Così che oggi, oggi soltanto, io riceva
 il dono della grazia che deriva
dalla tua presenza..."
(Marjorie Holmes)
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"... mai ho chiesto una porzione quotidiana di grazia che non mi sia stata concessa. 
La grazia è disponibile ogni giorno per ciascuna di noi (è il nostro pane quotidiano spirituale), ma dobbiamo ricordare di chiederla con cuore grato e cercare di non temere che non basti per l'indomani. Basterà."
 (Sarah  Ban Breathnach)
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Creare uno spazio sacro nella propria casa
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"Sulle prime forse ti sembrerà che non accada nulla di nuovo ... Ma se hai uno spazio sacro e lo usi, e ne trai vantaggio, qualcosa accadrà" (Joseph Campbell)
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"Mi sono astenuta a lungo dal creare uno spazio sacro tutto per me. I pretesti erano :
1) non sono una monaca e gli altari devono stare solo nelle chiese o nei conventi;
2) abito in una casa piccola e un angolo tutto per me non ce l'ho proprio;
3) non volevo che mio marito o mia figlia, che rispettano e onorano la mia ricerca spirituale ma non la perseguono in prima persona, mi credessero un'eccentrica. 
Tuttavia continuavo a scoprire che altre scrittrici che ammiro (e che non considero affatto delle eccentriche)... si erano create degli spazi sacri, e l'idea mi incuriosiva."
 (Sarah Ban Breathnach) 
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L'idea di creare uno spazio sacro in casa, si è affacciata in me una decina d'anni fa,  quando mi sono imbattuta per la prima volta nelle riflessioni sull'argomento di alcune autrici a me care, che in un modo o nell'altro sottolineavano tutte l'importanza di avere un angolo della propria casa che fungesse da luogo deputato allo spirito.
Le declinazioni dell'angolo sacro domestico possono essere le più varie, ed un po' alla volta ho cominciato a notare e a  riconoscere quegli spazi sacri anche nelle case altrui.
In alcune ho trovato un leggìo con una bella edizione di un testo sacro aperto in una pagina a caso, in altre una mensola con le fotografie di persone care defunte, in altre una statuina sacra o una natività sotto una campana di vetro, in altre un inginocchiatoio, in altre ancora  semplicemente un comodino con sopra un'edizione del Vangelo.
Comunque sia, l'importanza dello spazio sacro viene celebrata con un atteggiamento di rispetto. Non è concesso invaderlo con oggetti impropri, per esempio. E più si fa un uso spirituale di quello spazio (come luogo deputato alla preghiera, alla lettura dei testi sacri, alle pratiche meditative), più quello spazio si carica per noi di una valenza positiva, per cui anche il semplice passarci accanto, o posarci lo sguardo un momento finisce un po' alla volta col rimandarci un senso di pace.
In questo periodo dell'anno, dalle mie parti, quasi tutti allestiscono un presepe in casa.
Anche quello può essere considerato uno spazio sacro, se viene vissuto come tale.
Il fatto che compaia in casa nostra ogni anno a dicembre, e poi scompaia ogni anno a gennaio, gli dà una valenza diversa, certo, rispetto ad un'installazione stabile.
E' il sacro che si rende visibile nella nostra vita a tratti (una volta l'anno), e tuttavia c'è sempre anche quando non si vede. Dura nel tempo, è eterno, e rispetta i cicli. Anzi, il fatto di essere visibile solo a dicembre, ci rende più sensibili alla sua presenza, che se ci abituassimo ad esso fino a non percepirlo più. Come capita con molte dimensioni stabili dell'esistenza, compreso appunto il Divino.   

venerdì 14 dicembre 2012

Evergreen: IF (Lettera al figlio) di Rudyard Kipling

Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te
la stan perdendo e te ne attribuiscono la colpa,
se sai aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te
ed essere indulgente verso chi dubita;
se sai aspettare e non stancartene,
e mantenerti retto se la calunnia ti circonda
e non odiare se sei odiato,
senza tuttavia apparire troppo buono né parlare troppo da saggio;

se sai sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni;
se riesci a pensare senza fare dei tuoi pensieri il tuo fine;
se sai affrontare il Successo e la Sconfitta
e trattare questi due impostori nello stesso modo;
se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto
distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui;
se sai guardare le cose, per le quali hai dato la vita,
distrutte e riesci a resistere ed a ricostruirle con strumenti logori;
se sai fare un fascio di tutte le tue fortune
e giocarlo in un colpo solo a testa e croce
e sai perdere e ricominciare da capo
senza mai lasciarti sfuggire una parola su quello che hai perso;
se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi muscoli
a sorreggerti anche quando sono esausti,
e così resistere finché non vi sia altro in te
oltreché la volontà che dice loro: "Resistete!";
se riesci a parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà,
o ad avvicinare i potenti senza perdere il tuo normale atteggiamento,
se né i nemici né gli amici troppo premurosi possono ferirti,
se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo;
se riesci a riempire l'inesorabile minuto
dando valore ad ogni istante che passa:
il mondo e tutto ciò che è in esso sarà tuo,
e, quel che conta di più, tu sarai un Uomo, figlio mio!
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IF 
(Letter to the son)
by
Rudyard Kipling

If you can keep your head when all about you
Are losing theirs and blaming it on you,
If you can trust yourself when all men doubt you,
But make allowance for their doubting too;
If you can wait and not be tired from waiting,
Or being lied about, don't deal in lies,
Or being hated, don't give way to hating,
And yet don't look too good, nor talk too wise:
If you can dream - and not make dreams your master;
If you can think - and not make thoughts your aim;
If you can meet with Triumph and Disaster
And treat those two impostors just the same;
If you can bear to hear the truth you've spoken
Twisted by knaves to make a trap for fools,
Or watch the things you gave your life to, broken,
And stoop and build 'em up with worn-out tools;
If you can make one heap of all your winnings
And risk it on one turn of pitch-and-toss,
And lose, and start again at your beginnings
And never breathe a word about your loss;
If you can force your heart and nerve and sinew
To serve your turn long after they are gone,
And so hold on when there is nothing in you
Except the Will which says to them: "Hold on!"
If you can talk with crowds and keep your virtue,
Or walk with Kings - nor loose the common touch,
If neither foes nor loving friends can hurt you,
If all men count with you, but none too much;
If you can fill the unforgiving minute
With sixty seconds' worth of distance run:
Yours is the Earth and everything that's in it,
And - which is more - you'll be a Man, my son!


mercoledì 12 dicembre 2012

Insegna qualcosa. Impara qualcosa.


Alcuni anni fa, in un libricino  di consigli che un padre dava a un figlio,  lessi un consiglio  del tipo: "Insegna agli altri ciò che sai, apprendi dagli altri ciò che sanno". Forse non era questa la frase precisa,  ma il senso era questo, e mi sembrò un buon consiglio. 
Mi ricordava un certo tipo di esperienza che avevo sperimentato da ragazzina, quando frequentavo gli  scout, dove un po' tutti insegnavano qualcosa agli altri e imparavano qualcosa dagli altri: chi sapeva fare bene i nodi insegnava a fare i nodi, chi sapeva suonare la chitarra insegnava a suonare la chitarra (e a loro volta questi  imparavano da altri ad arrampicarsi sugli alberi,  ad accendere un fuoco, e così via).
Questo è un tipo di atteggiamento che inserirei così com'è nel nostro ricettario della serenità.
Essere colmi di sapere in un settore e trasmetterlo ad altri, così, per il puro piacere di farlo, può essere molto gratificante a tutte le età. Se poi si aggiunge a ciò anche la capacità di dismettere ogni tanto i panni dell'esperto, del  maestro, per vestire (magari in tutt'altro settore)  quelli dell'allievo, dell'apprendista, questa può essere una specie di cura di giovinezza: si torna giovani per definizione come i giovani di bottega, e si perde finalmente  un po' di quell'aria saputa che invecchia tanto chiunque ce l'abbia (e che rischiamo di  avere tutti a una certa età, se non stiamo attenti...).
Bene. Tanto volevo dirvi e tanto vi ho detto.
Vi lascio alle usuali citazioni, questa volta sul tema "allievi e maestri".
E questa volta addirittura... autocitandomi!


"Non esiste un maestro assoluto, si è sempre maestro e allievo insieme. Poiché il maestro insegna agli altri ma lui stesso impara dagli altri." (Tradizione orale Dogon)
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"Non si insegna quello che si vuole; dirò addirittura che non s'insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si è." (Jean Jaurès)
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"Stasera ho assistito a una grande performance del mio maestro. D'istinto mi sarei alzata e gli avrei fatto un applauso. Ma sarebbe stato come applaudire il vento perché soffia o l'acqua perché esce dalla cannella... le grandi cose con l'aria 'normale'. Allora non ho fatto l'applauso. Ho detto solo grazie. Ma è stato un grazie di cuore. E, giacché mi trovavo, ho ringraziato anche il vento e l'acqua della cannella..." ( Maria Michela Altiero, "Il maestro, il vento e l'acqua della cannella", nota del 27.01.2011)

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"Molti anni fa ho chiesto a un bravo artigiano... che mi raccontasse che sistema usava per insegnare il mestiere a un giovane apprendista. Mi ha risposto semplicemente: 'Sa che cosa facevo? Agli inizi gli dicevo di non fare assolutamente niente, ma semplicemente di osservarmi mentre lavoravo e lo lasciavo guardare per giorni. Poi, quando mi rendevo conto che aveva osservato abbastanza per poter cominciare anche lui, gli dicevo: 'Adesso prova tu da solo e non ti preoccupare se sbagli, perché altrimenti non imparerai mai! E ogni volta che ti rendi conto che sbagli, invece di chiamarmi cerca prima il tuo sistema per risolvere le cose da solo!'. E lo lasciavo provare e riprovare senza intervenire se non quando era proprio necessario, finché trovava il modo che andava bene per lui e così imparava. E' stato un sistema che ha sempre funzionato'." (risposta di Luigi Tinti riportata da Alba Marcoli)