"Mi aiuta la presenza di persone sensibili
che comprendano e condividano il mio dolore...
standomi vicino senza commentare o consigliare...!"
Con queste parole si è espressa su Facebook una lettrice a proposito del nostro sondaggio online su ciò che desideriamo e ciò che non desideriamo da chi ci circonda, nei momenti di dolore, difficoltà, stress.
Il suo commento è una perfetta sintesi dei risultati del nostro sondaggio.
La maggioranza dei partecipanti infatti dichiara di sentirsi confortata da un abbraccio affettuoso, da un ascolto attento, dalla vicinanza fisica ed emotiva di chi le sta accanto. I risultati lasciano intendere che il conforto viene dal sentire che non siamo soli, che c'è qualcuno che riconosce, comprende e accetta la nostra sofferenza. Qualcuno che ci accoglie senza giudicarci, che ci fa sentire a nostro agio e ci permette di condividere le nostre emozioni autentiche senza doverle mascherare. Qualcuno insomma su cui possiamo contare, che ci dedica tempo, ci vuole bene, si mette a disposizione e ci tratta con dolcezza.
E non c'è bisogno di grandi poesie o tante parole (anzi...), ma piuttosto di presenza, umanità, empatia.
Ciò che invece davvero non vogliamo, dicono i nostri risultati, sono le reazioni apertamente offensive (perché denotano svalutazione, biasimo, insofferenza, atteggiamenti di superiorità ecc.), oppure quelle fatte di indifferenza, distanza o vuota forma. Ma non solo. Non vogliamo nemmeno la commiserazione, l'invadenza, o il fatto che le persone mettano il loro sentire in primo piano rispetto al nostro (la loro preoccupazione, la loro impazienza, le loro esperienze). E poi non vogliamo neanche consigli non richiesti, soluzioni preconfezionate o l'invito a guardare le cose da una prospettiva migliore.
Riguardo a questi ultimi atteggiamenti, peraltro, qualcuno potrebbe stupirsi che non risultino graditi. A volte infatti potrebbero essere utili.
Il problema magari in questi casi è che certe risposte ci risultano gradite solo se arrivano al momento giusto e se sono precedute comunque da dimostrazioni di sincero interesse e di empatia.
Ma ecco in dettaglio i risultati del sondaggio.
La maggioranza dei partecipanti infatti dichiara di sentirsi confortata da un abbraccio affettuoso, da un ascolto attento, dalla vicinanza fisica ed emotiva di chi le sta accanto. I risultati lasciano intendere che il conforto viene dal sentire che non siamo soli, che c'è qualcuno che riconosce, comprende e accetta la nostra sofferenza. Qualcuno che ci accoglie senza giudicarci, che ci fa sentire a nostro agio e ci permette di condividere le nostre emozioni autentiche senza doverle mascherare. Qualcuno insomma su cui possiamo contare, che ci dedica tempo, ci vuole bene, si mette a disposizione e ci tratta con dolcezza.
E non c'è bisogno di grandi poesie o tante parole (anzi...), ma piuttosto di presenza, umanità, empatia.
Ciò che invece davvero non vogliamo, dicono i nostri risultati, sono le reazioni apertamente offensive (perché denotano svalutazione, biasimo, insofferenza, atteggiamenti di superiorità ecc.), oppure quelle fatte di indifferenza, distanza o vuota forma. Ma non solo. Non vogliamo nemmeno la commiserazione, l'invadenza, o il fatto che le persone mettano il loro sentire in primo piano rispetto al nostro (la loro preoccupazione, la loro impazienza, le loro esperienze). E poi non vogliamo neanche consigli non richiesti, soluzioni preconfezionate o l'invito a guardare le cose da una prospettiva migliore.
Riguardo a questi ultimi atteggiamenti, peraltro, qualcuno potrebbe stupirsi che non risultino graditi. A volte infatti potrebbero essere utili.
Il problema magari in questi casi è che certe risposte ci risultano gradite solo se arrivano al momento giusto e se sono precedute comunque da dimostrazioni di sincero interesse e di empatia.
Ma ecco in dettaglio i risultati del sondaggio.
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E noi, che atteggiamento riserviamo a noi stessi nei momenti di dolore, difficoltà, stress?
Abbiamo nei confronti di noi stessi lo stesso atteggiamento affettuoso, comprensivo e incoraggiante che vorremmo dagli altri?
Ci riserviamo trattamenti del tipo domanda 1 o del tipo domanda 2?
Ricordiamoci che, se impariamo a trattare noi stessi come vorremmo che ci trattassero gli altri, avremo sempre un amico prezioso a portata di mano nei momenti difficili, cioè noi stessi.
Ma se ci riserviamo dei trattamenti del tipo domanda 2 (e ci diciamo per esempio: "Te la sei cercata"; "Te l'avevo detto che sarebbe finita così"; "Non ti sopporto quando stai male...", eccetera - basta controllare l'elenco), in ogni momento difficile della nostra vita dovremo fare i conti con una doppia sofferenza: non solo quella del momento in sé ma anche quella aggiuntiva provocata dai nostri stessi atteggiamenti e pensieri.
Se così fosse, accorgersene è già un primo passo. Il passo successivo può essere decidere di cambiare qualcosa nel rapporto che intratteniamo con noi stessi. E, se occorre, prendere in considerazione la possibilità di un po' di aiuto psicologico.
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