martedì 25 ottobre 2022

Fiducia, amicizia, silenzio e poche preziose parole. Storia di una camminata nel bosco



In questo periodo ho un braccio ingessato e sono un po' limitata nell'autonomia degli spostamenti. Non posso guidare e mi stanco  facilmente quando mi spingo a piedi oltre un certo raggio da casa. 
Questo mi ha privata del grande piacere di andarmene a camminare ogni tanto da sola in silenzio nel bosco, cosa che mi fa così bene da poter quasi dire che mi fa male non andarci.

Domenica scorsa, una mia cara amica ha deciso di farmi un bel regalo e di accompagnarmi con la sua automobile fino al bosco più vicino.
Lei è un'amante del mare, lo so.  Per cui so anche che mi ha fatto un regalo da vera amica - un'amica attenta ai miei bisogni - optando per il bosco anziché per il mare, per una gita insieme.
Gliene sono stata davvero grata.  
Ma... c'era un "ma". 
Perché il regalo fosse per me un "vero" regalo, doveva essere accompagnato anche da un altro dono: il dono del silenzio. Ma come dire una cosa del genere a una persona senza rischiare di urtare la sua sensibilità?
Insomma... non solo usciamo con la sua macchina, non solo si va dove piace a me, anziché dove piace a lei, ma poi si deve pure stare in silenzio? So di amicizie che hanno cominciato a scricchiolare per molto meno.

Ho fatto un respiro. 
Per qualche motivo mi è tornata alla mente la pratica del luogo sicuro e una domanda che a volte si pone in accompagnamento a questa pratica, e cioè: quali persone sono ammesse nel vostro "luogo sicuro"?
Come a dire, se c'è un luogo (reale o immaginario) il cui solo pensiero vi rasserena, vi rassicura, vi fa sentire liberi e in pace, quali persone potrebbero stare lì con voi senza che il luogo perda queste sue proprietà benefiche?

Mi sono concessa allora di tornare per un momento con la mente in qualche bosco amico, luogo di libertà e di pace. 
Ogni presenza di tipo vegetale che si presentava alla scena era in piena sintonia con l'influsso benefico del bosco (i grandi alberi, le felci, i ciclamini, ogni filo d'erba, ogni foglia secca). 
Anche alcune presenze animali (il canto degli uccelli, la corsa di una lucertola, il volo di una farfalla). 
E presenze umane? Ma sì, nei boschi reali ho incrociato tante volte altre persone, a volte ci sono proprio andata con altre persone. La questione che fa la differenza quando c'è qualcun altro con me è se stiamo realmente nello stesso posto, con la mente, con il corpo, col cuore.

Una volta, camminando da sola, ho incrociato una donna della mia età con lo sguardo pieno di luce che mi ha chiesto:
«Come si sta qua?». 
Io le ho risposto: «Una meraviglia». 
Lei ha fatto cenno di sì con la testa e ha detto: «Quando vengo qua, poi torno a casa con il cuore pieno di pace». 
«È così anche per me», ho ribattuto io. 
Ci siamo scambiate un sorriso. Eravamo davvero nello stesso posto e l'esperienza ci accomunava profondamente. Con poche parole ci eravamo dette tutto e potevamo anche proseguire ognuna per conto suo.

Una volta ci sono andata in compagnia di gente esperta, che ha interrotto in tutto o in parte la magìa del luogo con raffiche di notizie storiche e dati scientifici, utilissimi certamente per catalogare, raccontare, informare il visitatore sul perché e il per come dei fenomeni della natura, ma che non consentivano l'ascolto dell'anima del bosco, che è potente ma parla a bassa voce.

Una volta c'era una pioggia leggera ed era un giorno feriale, e questo sussurrare gentile era amplificato dal suono delle gocce d'acqua che giocavano con ogni singola foglia. Uno dei custodi del luogo, in piena sintonia con questa musica, mi ha detto poche precise parole che mi hanno aiutata a comprendere il luogo più in profondità. Giardino contemplativo, ogni scorcio come un quadro, profumo dell'albero della canfora. Avrei aggiunto: riflesso di Dio in ogni goccia d'acqua. Ma l'ho tenuto per me. Per l'intimità dei miei occhi. Per godermi la pienezza del non detto.

Mi sono ricordata che queste mie passeggiate sono iniziate in un periodo in cui il mio medico di base dell'epoca (che ora è andato in pensione) mi aveva suggerito caldamente di mettermi a camminare per motivi di salute ed io lo avevo preso in parola, con  risultati sorprendenti.
Chi passa in automobile per la strada in cui abito, è facile che mi veda camminare da sola, con l'aria di una che non va da nessuna parte ma cammina per camminare. Anche il dottore mi vedeva e mi diceva: 
«Se tutti i miei pazienti mi ascoltassero e camminassero come fa lei...»
Il dottore era appassionato di varie cose che appassionavano anche me, per cui bastò poco per arrivare a parlare tra noi degli effetti benefici della camminata anche sulla mente e sullo spirito, oltre che sul corpo.
E di lì a parlare del valore del silenzio durante la camminata il passo fu breve. Allora si parlò di camminata consapevole senza che io mi rivelassi per istruttrice di una simile pratica, intesa come pratica di mindfulness, perché mi stavo godendo con lui il piacere di parlarne come esperienza umana preziosa in sé e per sé. 
E il dottore allora mi sorprese, perché mi disse: «Magnifica la camminata consapevole! L'ha mai fatta a marcia indietro?».
Cavoli... era un intenditore, il dottore. Infatti aggiunse: «Eh... è una bella prova di fiducia».
Avrebbe potuto anche dire: «di fiducia e di coraggio», ma alla fine non ce n'era bisogno. Sapevamo entrambi che, superata l'età dell'innocenza, la fiducia stessa molte volte può essere considerata una prova di coraggio.
Non ci addentrammo oltre sulla questione fiducia (fiducia in che, fiducia in chi) perché la nostra attenzione atterrò presto sulla strada di casa mia, che poi era anche la strada del suo ambulatorio.
Farla a marcia indietro avrebbe significato davvero andare in cerca di guai, con tutte le sorprese che riservano i marciapiedi.
Non basta che una via ci sia familiare per chiudere gli occhi alle sue insidie. 
La camminata all'indietro richiedeva luoghi più sicuri.

L'amica che domenica scorsa mi ha portata nel bosco era una delle persone che in passato, sfrecciando in macchina, mi avevano vista  camminare per strada con l'aria di chi cammina per camminare.
Ci conoscevamo, ma ci eravamo perse di vista da molti anni.
Un giorno mi mandò un messaggio che diceva: 
«Ti ho vista camminare da sola. Posso aggregarmi in silenzio?». Risposi di sì. E così cominciammo a camminare insieme ed andammo insieme anche nel bosco ogni tanto, e anche al mare.
Solo che è una persona molto simpatica e interessante, non ci vedevamo da secoli, ne avevamo passate di tutti i colori in tanti anni. Avevamo proprio tanto tantissimo da raccontarci.
Avevo ritrovato un'amica ma forse stavo perdendo la mia compagna di camminate.

Ho deciso allora di puntare su un atto di fiducia: avrei confessato il mio bisogno di natura e di silenzio alla mia amica, confidando nel fatto che mi avrebbe capita.
«Ho bisogno di natura e silenzio», ho scritto.
«Anch'io, uguale uguale», ha risposto.
Ed è stata una magnifica mattinata di ritorno alla terra, agli alberi, ai ciclamini, alle farfalle, ai giochi di luce tra le foglie fruscianti e al respiro di vita della natura, insieme anche ai moscerini, alle vespe e a qualche tronco secco da scavalcare. 

Non abbiamo parlato mai mai?
Sarebbe una bugia dire questo. Ma sicuramente ci sono state solo poche vere preziose parole, in sintonia con l'anima del luogo. 

Tra due grossi lecci correva a un certo punto una lunga zona di prato.
L'abbiamo scelta per una passeggiata consapevole a piedi scalzi da un albero all'altro.
L'erba era umida. Una bellezza. C'era pure qualche buca.
La mia amica dice: 
«Mi piace non guardare a terra e fidarmi di ciò che sento sotto i piedi».
Le sono grata per queste parole.
Questo intendo per poche vere preziose parole, in sintonia con l'anima benefica del luogo.
Il cuore e la mente stanno tornando sulla fiducia. Mi posso fidare di ciò che sentono i miei piedi, mi posso fidare di ciò che sento anche se non vedo bene la strada. 

Quando siamo arrivate al leccio che avevamo di fronte, ho proposto di tornare al leccio che avevamo alle spalle senza voltarci, a marcia indietro, come diceva il dottore.
Non vedere la strada che stai percorrendo, non vedere il punto verso cui stai andando.
Siamo nel luogo sicuro, ma quanto sicuro? Le buche ci sono, io ho un braccio ingessato. Nell'aria vespe e nugoli di moscerini. Magari nell'erba qualcosa. 
Si va? Si va. Fidandoci di ciò che sentiamo, passo dopo passo, sotto i piedi, nelle orecchie, in qualche luogo tra corpo e mente che ci dà direzione e senso, anche se non sappiamo come funziona.

Abbiamo andature diverse.
A me piace assaporare ogni tanto anche la sosta e indugiare con l'attenzione nelle sensazioni del corpo da fermo.
Lo sguardo in una di queste soste si posa sul piccolo sentiero che c'è tra il leccio che ho di fronte, da cui mi sto allontanando,  e i miei piedi. 
Prima non c'era. È il segno del mio passaggio.
Non me ne sarei mai accorta se non avessi camminato all'indietro. 
Mi torna in mente la poesia Camminare di Antonio Machado: «Viandante non esiste il sentiero, il sentiero si fa camminando…». Ancora una volta poche preziose parole, in sintonia con l'anima del luogo.

La voce della mia amica alle mie spalle intanto dice: «Un passo a sinistra».
Mi fido e faccio un passo a sinistra.
«Un altro passo a sinistra».
Faccio un altro passo a sinistra. 
Mi piace questo seguire senza domandare,  mi piace assaporare questo stato interno di fiducia, riconoscerlo, sentire com'è fatto e come agisce sul corpo, sulla mente, sul cuore.
«Ancora un altro passo a sinistra e poi basta».
Eseguo in silenzio. 
C'è gratitudine. C'è la sicurezza di un buon motivo dietro queste istruzioni.
Proseguo la camminata all'indietro.
Alla mia destra compare la grossa buca che ho appena scansato, grazie ai tre passi a sinistra suggeriti dalla mia amica.

Il mio sentiero nell'erba non è più diritto, ora. Si nota la deviazione prima della buca.
Il mio luogo sicuro non era poi così sicuro, evidentemente.
Alla fine ciò che lo ha reso davvero sicuro è stata proprio la presenza di una persona amica, che era realmente con me... e ha visto una buca che io da sola non potevo vedere.

Una persona di cui potersi fidare anche perché capace di riconoscere il punto di equilibrio tra prezioso silenzio e preziose parole.
Che poi, alla fine, è ciò fa la differenza tra il silenzio che isola le persone e il silenzio che le unisce.