"La rabbia è un carburante; non appena la sentiamo proviamo
una gran voglia di reagire: colpire qualcuno, scagliare qualcosa, rompere un
piatto contro il muro o dire a quei bastardi che... Ma siamo persone per bene e
perciò inghiottiamo la nostra rabbia come un rospo, la neghiamo, la
seppelliamo, la blocchiamo, la nascondiamo, mentiamo su di essa, la medichiamo,
la camuffiamo o la ignoriamo.
Insomma facciamo di tutto tranne che ascoltarla.
E invece la rabbia è proprio fatta per essere ascoltata.
È una voce, un campanello d'allarme, un grido, una richiesta che
deve essere rispettata. Perché? Perché è un'utile mappa che ci può far capire
quali sono i nostri confini, quando è il momento di tagliare la corda. Ci fa
vedere dove siamo stati e, quando non ci è piaciuto, ci mostra il cammino.
[...]
Spesso invece di ascoltarla e utilizzare la sua carica energetica
per compiere un'azione, la subiamo sprecando la sua energia per metterla
in azione, sfogandola in modo passivo.
La rabbia ci indica la direzione: è per questo che la dobbiamo
usare come carburante per muoverci nella direzione che ci indica.
Con un piccolo pensiero siamo in grado, di solito, di tradurre il
messaggio che la nostra rabbia ci sta mandando.[...]
Se, in preda all'ira, vi sfogate dicendo: «Non posso crederci! Ha
scritto quello che avevo pensato io tre anni fa!», l'ira che provate vi sta
dicendo: «Smettila di procrastinare. Le idee da sole non bastano, mettiti
al lavoro e scrivi!» Oppure, se vi infuriate: «Ma non è possibile! Sta usando
la mia stessa strategia! Lo sapevo che avrei dovuto mettere quel materiale
insieme e batterlo a macchina!» questo vi dice: «È ora di prendere le tue
idee sul serio per trattarle bene».
Quando siamo arrabbiati proviamo spesso molta rabbia per il solo
fatto di essere arrabbiati. «Maledetta rabbia!» Eppure essa ci dice che
non possiamo continuare con la vecchia vita. Ci rivela che la vecchia vita sta
ormai morendo, che stiamo rinascendo e che rinascere fa male... per questo ci arrabbiamo.
La rabbia è la tempesta di fuoco che segna la morte della nostra vecchia vita,
è il propellente che ci spinge in quella nuova. La rabbia è uno strumento, non
un padrone; è fatta per sbatterci la testa contro e convertirla in progetto.
Usarla propriamente significa andare a pieno regime.
L'indolenza rassegnata, l'apatia e la disperazione sono i veri
nemici, non la rabbia! La rabbia è amica, forse un'amica un po' scomoda, poco
gentile, ma molto molto leale perché ci dirà sempre quando abbiamo ingannato
noi stessi e quando ci hanno ingannato, ricordandoci che è il momento di agire
secondo i nostri interessi.
La rabbia non è un'azione in sé e per sé, bensì un invito
all'azione."
(Julia Cameron, La via dell'artista - Come ascoltare e far
crescere l'artista che è in noi, Longanesi, 1998)
"Ascoltare la rabbia, sentire dentro di sé il fuoco che si
accende, ci permette di capire quali sono i nostri confini interni che sono
stati violati, facendoci perdere l'integrità del nostro senso di identità. Ecco
perché è indispensabile prestarle attenzione.
L'emozione della rabbia si colloca in quella che Jung chiama
l'Ombra, il luogo psichico in cui vengono a porsi tutte quelle forze e tendenze
vitali che vengono vissute dall'Io come pericolose e spiacevoli, non adatte
socialmente e che temiamo ci facciano perdere l'amore degli altri. In realtà
questi contenuti psichici vanno accolti nell'esperienza effettiva della nostra
vita e non repressi, se vogliamo procedere verso la costruzione del nostro
equilibrio psicologico.
La nostra Ombra ci è ostile - facendoci ammalare di depressione o
agire in modo esplosivo - solo quando noi la ignoriamo e la misconosciamo: va
invece integrata nell'Io per permetterci di sviluppare il nostro Sé completo.
Se alcuni aspetti della nostra personalità rimangono in ombra
(isolati, negati, proiettati, rifiutati), diventano voragini oscure che
inglobano la paura che abbiamo di fare esperienza completa di noi stesse.
Creano l'atteggiamento difensivo di un Io isolato e incapace di dare vita a una
relazione soddisfacente con gli altri o con il mondo.
Quando, invece, questi aspetti, inconsciamente rifiutati, vengono
portati alla coscienza, accettati, tollerati e integrati, possiamo
raggiungere il Sé (1) junghiano e
automaticamente si libera la forza della compassione buddhista (2).
[...] È molto interessante vedere come nelle rappresentazioni
buddhiste del regno infernale il bodhisattva (3) della compassione venga raffigurato
con in mano uno specchio e con una fiamma purificatrice, a significare che le
sofferenze possono essere alleviate soltanto quando si riescono a vedere nello
specchio le emozioni rifiutate che, se vengono riconosciute, diventano a loro
volta terapeutiche. Nel buddhismo è infatti un assunto centrale “non attaccarsi
e non condannare”.
Allo stesso modo nella cultura classica occidentale, il dio del
fuoco, Efesto, aveva la sua fucina dentro un vulcano. Simbolicamente egli rappresenta
la possibilità che la rabbia , appunto vulcanica, possa essere contenuta e
trasformata in energia creativa per forgiare armature e opere d’arte.
Ma il punto è che accogliere la nostra rabbia non implica affatto e semplicisticamente
assumere comportamenti aggressivi, se per aggressività si intende di attacco
psico-fisico dell’altro.
La rabbia psicologica di cui parliamo e che dobbiamo imparare a
sentire è, in realtà, l’energia assertiva,
la capacità di affermare che io esisto, nel modo in cui esisto, con l’orgoglio
della m ia specificità irrinunciabile.
Se essere aggressivi vuol dire «io sono contro di te», essere
assertivi vuol dire, semplicemente ma a gran voce, «io sono».”
(Monica Morganti, Il fuoco
della rabbia. Percorsi terapeutici tra Oriente e Occidente, Armando
Editore, 2004)
(1) « ... intellettualmente
il Sé non è altro che un concetto psicologico, una costruzione, che deve
esprimere un ente per noi inconoscibile, che non possiamo afferrare come tale,
perché esso supera la nostra capacità di comprensione. Esso potrebbe parimenti
venir definito come “il Dio in noi”. Gli inizi di tutta la nostra vita psichica
sembrano scaturire, inestricabili, da questo punto, e tutte le mete ultime e
supreme sembrano convergervi ». (C.G.Jung, L’Io e l’inconscio, Torino, Boringhieri,
1967, p.162).
(2) La
compassione nel buddhismo tibetano indica il desiderio che tutti gli esseri
siano privi della sofferenza e delle sue cause.
(3) Bodhisattva è il termine sanscrito che
indica un essere destinato all’illuminazione che è lo stato proprio di un
Buddha, in cui ogni dualismo è trasceso in una totale unità: l’eliminazione di
tutti gli stati negativi della mente e la realizzazione di ogni qualità
positiva.
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