La solitudine è come una lente d'ingrandimento: se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo." (Giacomo Leopardi)
Per essere realmente e profondamente sereni dobbiamo avere dentro di noi un senso di completezza che ci consenta di stare bene con noi stessi anche quando siamo soli.
Questo non implica dover condurre una vita da eremiti, ma piuttosto una vita libera, dove si possa liberamente scegliere se e quando stare in compagnia oppure in solitudine.
Per quanto la nostra cultura spinga verso l'idea dell'amore inteso come necessità e bisogno ("non posso vivere senza di te", "la mia vita senza di te non ha scopo"), in realtà la vera ricchezza di una relazione matura è proprio nella sua "non necessità": sono io, nella mia completezza, a scegliere di stare con te, nella tua completezza, perché amarci è un arricchimento reciproco, una gioia, un onore, e non un modo come un altro per tamponare i vuoti che ci portiamo dentro.
Insomma è un po' la differenza tra mangiare per fame e mangiare per gusto.
Chi è capace di stare bene da solo è un po' come se fosse capace di sfamarsi da sé, cosa che lo rende libero di accostarsi ad una pietanza prelibata per il piacere di degustarla ed apprezzarla in tutto il suo valore... e non solo perché ha bisogno di qualcosa da mettere sotto i denti per non svenire!
Il discorso, impostato così, potrebbe portare molto lontano.
Per esempio potrebbe portare ad un riflessione sulla qualità delle nostre relazioni d'amore.
Che tipo di relazioni tendiamo a portare avanti: relazioni produttive, che ci fanno stare bene, ci danno serenità, fiducia e speranza, o relazioni distruttive, che ci fanno stare male, ci impoveriscono, ci esauriscono, non ci danno pace e che tuttavia non riusciamo ad interrompere?
Inutile ricordare che valanghe di poesie, romanzi rosa e canzoni d'amore d'ogni tempo celebrano l'amore doloroso molto più di quello appagante e sereno, per il semplice fatto che il primo fa clamore e "vende" (con ampi benefici peraltro per autori, editori e case discografiche), mentre il secondo è qualcosa che per sua natura non si vende e non si compra, ed è talmente pago di sé da restare volentieri silenzioso.
Per cui, non rassegnamoci all'idea che l'amore debba essere per sua natura estasi e tormento, ma chiediamoci come ce la caviamo noi, personalmente, nelle relazioni e cosa vogliamo.
Stiamo con una persona perché le vogliamo bene, l'apprezziamo, ne riconosciamo il valore, ne tolleriamo i limiti, ed attuiamo con essa uno scambio sano di attenzioni e ricchezza umana, sentendoci a nostra volta riconosciuti nel nostro valore, tollerati nei nostri limiti e ricambiati in attenzioni e ricchezza umana? O ci stiamo insieme perché ci diciamo che l'amiamo, ma in realtà... soffriamo ben bene?
E quando ci accorgiamo che una relazione ci fa male (perché magari calpesta la nostra identità, la nostra dignità, i nostri valori, i nostri bisogni, i nostri sogni, se non addirittura la nostra incolumità fisica), siamo capaci di liberarcene, al momento buono, o ce la teniamo cara cara, perché per qualche strano motivo non riusciamo a farne a meno?
E in che misura su tutto ciò influisce (tra l'altro) la nostra... "incapacità di essere soli"?
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Il discorso, impostato così, potrebbe portare molto lontano.
Per esempio potrebbe portare ad un riflessione sulla qualità delle nostre relazioni d'amore.
Che tipo di relazioni tendiamo a portare avanti: relazioni produttive, che ci fanno stare bene, ci danno serenità, fiducia e speranza, o relazioni distruttive, che ci fanno stare male, ci impoveriscono, ci esauriscono, non ci danno pace e che tuttavia non riusciamo ad interrompere?
Inutile ricordare che valanghe di poesie, romanzi rosa e canzoni d'amore d'ogni tempo celebrano l'amore doloroso molto più di quello appagante e sereno, per il semplice fatto che il primo fa clamore e "vende" (con ampi benefici peraltro per autori, editori e case discografiche), mentre il secondo è qualcosa che per sua natura non si vende e non si compra, ed è talmente pago di sé da restare volentieri silenzioso.
Per cui, non rassegnamoci all'idea che l'amore debba essere per sua natura estasi e tormento, ma chiediamoci come ce la caviamo noi, personalmente, nelle relazioni e cosa vogliamo.
Stiamo con una persona perché le vogliamo bene, l'apprezziamo, ne riconosciamo il valore, ne tolleriamo i limiti, ed attuiamo con essa uno scambio sano di attenzioni e ricchezza umana, sentendoci a nostra volta riconosciuti nel nostro valore, tollerati nei nostri limiti e ricambiati in attenzioni e ricchezza umana? O ci stiamo insieme perché ci diciamo che l'amiamo, ma in realtà... soffriamo ben bene?
E quando ci accorgiamo che una relazione ci fa male (perché magari calpesta la nostra identità, la nostra dignità, i nostri valori, i nostri bisogni, i nostri sogni, se non addirittura la nostra incolumità fisica), siamo capaci di liberarcene, al momento buono, o ce la teniamo cara cara, perché per qualche strano motivo non riusciamo a farne a meno?
E in che misura su tutto ciò influisce (tra l'altro) la nostra... "incapacità di essere soli"?
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A seguire due citazioni sulla capacità di essere soli di due autori abbastanza diversi tra loro: Brenda Shoshanna, psicologa e psicoterapeuta studiosa di Zen, e Donald W. Winnicott, noto psicoanalista inglese del secolo scorso.
Se non sappiamo essere soli con noi stessi, se non sappiamo stare con noi stessi in tutte le situazioni della vita, indipendentemente da quante persone abbiamo accanto, ci sentiremo sempre soli in maniera negativa.
Ciò non significa chiuderci in un eremo o evitare la compagnia.
Tutto l’opposto. Semplicemente, impariamo ad essere totali e completi dentro di noi, liberi di avere o non avere compagnia, liberi di appoggiarci solo a noi stessi, di sapere chi siamo, e di non essere trascinati di qua e di là dagli altri, ma di camminare liberamente con i nostri piedi su questa preziosa Terra.
Se sappiamo fare così, non dobbiamo proiettare una falsa immagine di noi per sentirci amabili.
Tutte le cose della vita diventano preziose, perché viene accettato e apprezzato il nostro vero sé.
Quando siamo noi il nostro compagno, i rapporti diventano avventure meravigliose, e non più qualcosa a cui aggrapparsi per sopravvivere. Possiamo amare chiunque. Vediamo come sono le persone, le apprezziamo e ne godiamo. Condividiamo con loro la nostra pienezza e quando viene il momento della separazione, le lasciamo andare naturalmente." (Brenda Shoshanna)
Se sappiamo fare così, non dobbiamo proiettare una falsa immagine di noi per sentirci amabili.
Tutte le cose della vita diventano preziose, perché viene accettato e apprezzato il nostro vero sé.
Quando siamo noi il nostro compagno, i rapporti diventano avventure meravigliose, e non più qualcosa a cui aggrapparsi per sopravvivere. Possiamo amare chiunque. Vediamo come sono le persone, le apprezziamo e ne godiamo. Condividiamo con loro la nostra pienezza e quando viene il momento della separazione, le lasciamo andare naturalmente." (Brenda Shoshanna)
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"Desidero prendere in esame la capacità dell'individuo di essere solo, in base al presupposto che questa capacità sia uno dei segni più importanti di maturità nello sviluppo affettivo. ...L'essere solo di fatto
Noterete che qui non sto parlando dell'essere solo di fatto.
Una persona può trovarsi relegata in solitudine eppure non essere capace di stare sola e allora non si può immaginare quanto debba soffrire. Molte persone però acquisiscono la capacità di godere della solitudine prima di superare l'infanzia e possono persino giungere ad apprezzare la solitudine come un bene assai prezioso.
La capacità di stare solo è un fenomeno altamente raffinato, che nello sviluppo di una persona può presentarsi dopo l'istituirsi di relazioni triangolari, o anche è un fenomeno del primo periodo di vita che va studiato con particolare attenzione perché la forma raffinata della solitudine si fonda su di esso.
Paradosso
Posso ora formulare il punto principale del mio contributo.
Sebbene molti tipi di esperienza contribuiscano alla formazione della capacità di essere solo, ve n'è uno che è fondamentale e senza il quale tale capacità non si instaura: è l'esperienza di essere solo, da infante e da bambino piccolo, in presenza della madre. In tal modo la capacità di essere solo ha un fondamento paradossale, e cioè l'esperienza di essere solo in presenza di un'altra persona. ...
Dopo il rapporto sessuale
E' forse giusto dire che dopo un rapporto sessuale soddisfacente ciascun partner è solo ed è contento di essere solo. L'essere capace di godere di essere solo assieme ad un'altra persona che è pure sola è in sé un'esperienza sana. La mancanza di tensione istintuale può produrre angoscia, ma l'integrazione della personalità nel tempo permette all'individuo di attendere il naturale ritorno della tensione istintuale, e di godere del condividere la solitudine - una solitudine che è relativamente libera dalla qualità del ritirarsi (withdrawal). ...
L'oggetto interno buono
Tenterò ora di usare un altro linguaggio, che deriva dall'opera di Melanie Klein. La capacità di essere solo dipende dall'esistenza di un oggetto buono nella realtà psichica dell'individuo. ... Il rapporto dell'individuo con i propri oggetti interni, unito alla fiducia verso le relazioni interne, offre di per sé una sufficiente pienezza di vita, così che temporaneamente egli è in grado di riposare contento anche in assenza di oggetti e di stimoli esterni.
La maturità e la capacità di essere solo implica che l'individuo abbia avuto la possibilità, grazie a cure materne abbastanza buone, di costruirsi la fiducia nell'esistenza di un ambiente benigno. Questa fiducia si forma attraverso la ripetizione di gratificazioni istintuali soddisfacenti." (Donald W. Winnicott)
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