sabato 16 novembre 2013

Anni che fanno domande, anni che danno risposte

Se è vera la bella frase di Zora Neale Hurston, secondo cui "Ci sono anni che fanno domande e anni che rispondono", forse siamo ancora in tempo, prima della fine dell'anno, a tirare fuori tutte le domande necessarie perché questo sia l'anno delle domande ed il prossimo quello delle risposte.
È a questo tema che si ispira il post di oggi, che richiedeva un breve preambolo, visto che parla della fine dell'anno, che in sé e per sé non arriverà prima di quaranta e più giorni (mentre noi, intanto, prepareremo il terreno alle risposte...) 

Chiudere un anno ed aprirne un altro è sempre come varcare una soglia: foss'anche una soglia interiore, simbolica, che ha a che fare più con ciò che accade dentro di noi che con quello che accade sul calendario del mondo.
Immaginate che alla vostra casa venga aggiunta  un bel giorno una stanza in più.
Bene, il passaggio dall'anno vecchio all'anno nuovo è un po’ come varcare la soglia di quella stanza.
Ci sono persone la cui casa è talmente ingombra di cianfrusaglie da considerare la stanza nuova un semplice prolungamento di tutto il resto (e quindi destinata ad essere l’ennesimo deposito di ciarpame).

Come a loro così anche a noi potrebbe sembrare che l’anno nuovo, prima ancora di essere cominciato, sia già ipotecato e oppresso dai problemi che ci trasciniamo dietro dall’anno vecchio.
Per essere in qualche modo godibili, come contenitori di buone novità, sia la nuova stanza sia il nuovo anno richiedono un lavoro preparatorio di selezione, pulizia, sgombero, riordino, riorganizzazione.
Un lavoraccio, insomma.
Quel tipo di lavoracci che non si possono nemmeno delegare, perché, nel fare ordine in una casa, come nel fare ordine nella nostra vita, ci sono scelte che nessuno può fare al posto nostro (tipo - nella casa -: "lo regalo o non lo regalo il costosissimo pullover di cashmere che mi fa sembrare un vecchio tricheco?", o tipo - nella vita-: "lo lascio o non lo lascio il fascinosissimo amante, che mi tiene sulla corda da tre anni ed ora ha messo pure in cantiere - dice per sbaglio - il terzo figlio con la moglie?").
Insomma, a volte decidere di rifondare un'area insoddisfacente o trascurata della nostra vita è proprio  imbarcarsi in un'avventura.
Ci sono quelli che per natura sono più avventurosi e quelli che per natura rifuggono dall'avventura, a costo di schermarsi dai problemi della propria vita con un sistema molto spiccio: la negazione. Invece di fare un faticoso inventario di ciò che funziona e di ciò che non funziona nella mia casa, o nella mia vita, ficco tutto così com’è dentro una stanza e chiudo la porta a chiave. Magari là per là ho anche una parvenza d’ordine intorno a me, e  l’impressione che il problema, per il fatto che non si vede, non ci sia. 
Ma, che ci piaccia o no, la verità è un'altra.
Un problema se c'è, c'è: non vale a nulla negarlo.
Ciò che non si vede, infatti, se c’è, comunque si sente (eccome, se si sente!).
Immaginate che le cianfrusaglie rinchiuse nella stanza (il vostro sopradetto pullover o la vostra calpestata dignità) comincino un bel giorno a battere i pugni sulla porta, perché rivendicano il diritto di essere presi in considerazione da voi.
Lo sentite il rumore dei pugni?
Bene, vi consiglio di farci caso e di non mettervi i tappi nelle orecchie. Perché altrimenti il pullover e la dignità, assieme al resto delle questioni sospese, batteranno ancora più vigorosamente su quella porta, finché le mura di casa vibreranno con tale violenza che non potrete più fare finta di niente, e vi toccherà comunque affrontare la situazione in qualche modo (fosse anche con i pompieri o con uno psichiatra).
Nei percorsi di life coaching aiuto le persone a trovare la forza di mettere ordine nelle aree  insoddisfacenti della loro vita: a fare un bell'inventario di quello che c'è dentro, a decidere cosa buttare e cosa tenere, ma soprattutto a fare spazio al nuovo che verrà e che ora è già presente come pura potenzialità in attesa di essere vista, desiderata e  coltivata.
La parte più bella e stimolante di un percorso di life coaching, infatti, (quasi magica, secondo alcuni) non è tanto quella della "riordinata" preliminare - che pure ci vuole, figuriamoci - ma piuttosto quella della creazione del nuovo, della costruzione del futuro che vogliamo, il cui inizio si fonda sempre su una specie di atto di "pre-veggenza".
Infatti, se vogliamo fare della nostra vita la nostra opera d’arte, dobbiamo fare proprio come un artista vero: vedere l’opera nella nostra mente, prima ancora di dipingerla sulla  tela o scolpirla nel marmo.
E solo dopo averla vista, desiderata, riconosciuta come la vita per cui sentiamo di essere nati, possiamo finalmente  passare alla fase successiva, e chiederci: come si fa ad arrivare fin là?
Le risposte a questa domanda all'inizio possono sembrarci molto difficili da trovare, ma a un certo punto esse cominciano a venirci alla mente con una maggiore facilità.
La nostra mente, infatti, si organizza per trovare le soluzioni che cerchiamo, quando abbiamo chiarito a noi stessi cosa realmente cerchiamo; ci rende più attenti alle occasioni, alle opportunità, alle strade e agli incontri che possono favorire la realizzazione del nostro desiderio.  Questo stesso desiderio, poi, ci caricherà di preziosa energia rendendoci capaci di affrontare le difficoltà e le sfide con maggiore grinta e fiducia in noi stessi.
Valutate perciò seriamente la possibilità di avvicinarvi a un percorso individuale o collettivo di life coaching, in prossimità della fine dell'anno. 
Consideratelo il miglior regalo di Natale che possiate fare a voi stessi. 
Dopo tutto, anche per tradizione, la fine di un anno è un momento simbolicamente propizio per disfarsi del vecchio e gettare i semi del nuovo.
A me è sempre piaciuto avviarmi verso il nuovo anno con un sogno nel cuore.
Portatemi i vostri sogni... e quest'anno brinderemo insieme!
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