martedì 16 febbraio 2016

Dire le verità difficili ai bambini

Nell'immagine dipinto di Zayasaikhan Sambuu tratto dal blog "Il mondo di Mary Antony"
Un'illusione abbastanza diffusa tra noi adulti è quella di poter proteggere i nostri bambini dalle difficoltà della vita  nascondendo loro le realtà spiacevoli. Alcuni argomenti particolarmente difficili da trattare, come un lutto in famiglia o altri fatti dolorosi dell'esistenza, possono venire taciuti per timore dell'impatto che potrebbero avere sui piccoli, e si cede così alla tentazione di fingere con loro che "non sia successo niente".
Il problema è che se anche riusciamo a nascondere ai bambini la realtà dei fatti,  non è così facile nascondere  loro le nostre emozioni.  Queste ultime infatti i bambini le percepiscono comunque ma, non conoscendo i fatti a cui si accompagnano, non riescono a dare loro un senso. La conseguenza è che possono sentirsi disorientati e confusi.
Probabilmente ognuno di noi sa per esperienza come sia spiacevole cogliere un'incongruenza tra ciò che ci viene detto a parole ed il clima emotivo che accompagna le parole. Quando percepiamo a pelle che qualcosa non va e chiediamo:"Che succede?",  può essere fastidioso sentirsi rispondere "Niente",  e a volte anche allarmante, se respiriamo nell'aria una certa gravità che viene invece negata verbalmente.
In un bambino una situazione del genere, se ripetuta e protratta nel tempo, rischia di minare la sua fiducia in se stesso e nel mondo.
Se il bambino sente che qualcosa non va, ma il suo sentire spontaneo viene disconfermato dagli adulti di riferimento (che sostengono che non è vero che qualcosa non va), questo non lo aiuta a imparare a fidarsi di se stesso e di quello che sente, ma piuttosto lo invita a interpretare la sua risonanza interna come un campanello d'allarme che grida senza motivo.
Al tempo stesso come può fidarsi un bambino del mondo, se questo mondo gli fa paura per via di qualcosa che non sa cos'è? Paradossalmente insomma, la nostra intenzione di proteggere un bambino presentandogli un  mondo migliore di quanto non sia il mondo reale, può produrre un effetto opposto a quello sperato.
"Un bambino è in grado di accettare una verità anche dolorosa -  dice Alba Marcoli nel suo libro Il bambino lasciato solo - se gli viene rivelata in modo rispettoso delle sue emozioni e tenendo conto della sua età, purché non venga lasciato solo di fronte a cose più grandi di lui che non capisce e che lo disorientano. È essere lasciato da solo, abbandonato emotivamente, quello che gli fa più male e lo fa sentire impotente, confuso, disorientato, senza più punti di riferimento."
Noi adulti, anche con le migliori intenzioni, possiamo comportarci in modo inadeguato proprio con i bambini che amiamo di più. Molte volte infatti non si tratta di mancanza d'amore, ma di comportamenti che mettiamo in atto  in base a un funzionamento mentale, che forse in passato o in altre circostanze può esserci andato anche bene, ma  che oggi richiede di essere riconosciuto e modificato, per aiutare i nostri bambini a sentirsi capiti e sostenuti dai grandi, ed offrire a noi adulti anche il piacere di sentirci in sintonia con i nostri bambini.
Ed è proprio questa "sintonia adulto-bambino (che diverrà in seguito la sintonia con se stessi) - dice ancora Alba Marcoli - l'area danneggiata dai segreti che pesano come macigni nelle storie familiari e che vengono nascosti ai bambini pensando di proteggerli. Ne conseguono due solitudini infinite: quella dei bambini ma anche quella degli adulti.
I bambini non possono provare l'utilissima esperienza evolutiva di essere accompagnati in modo rispettoso in qualche difficoltà, imparando così implicitamente che anche queste possono essere superate e rinforzando di conseguenza la loro fiducia in se stessi. Noi, a nostra volta, non possiamo provare l'esperienza altrettanto evolutiva di sentirci degli adulti che riescono ad accompagnare un bambino anche nei momenti più difficili, evitando così il rischio che si senta solo e abbandonato davanti a qualcosa di più grande di lui e sia spinto a interiorizzare un'esperienza che col tempo potrà minare alla base la fiducia nelle sue stesse capacità."
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lunedì 8 febbraio 2016

Il monaco addetto alle lanterne. Piccola storia zen

In un monastero c'era un monaco addetto alle lanterne che svolgeva con scrupolosa attenzione il suo lavoro, seguiva con dedizione gli insegnamenti e si dedicava con impegno e disciplina alle pratiche monastiche.
Un giorno il suo maestro gli chiese: «Come mai non mi hai ancora chiesto un consiglio su come raggiungere l'illuminazione?»
Il monaco rispose: «In verità io provengo da un altro monastero e lì, quando chiesi al mio precedente  maestro in che modo potessi raggiungere l'illuminazione, lui mi rispose: "Il monaco che accende le lanterne viene da me a chiedere il fuoco".»
«E allora?», chiese il maestro.
«Allora si tratta di una metafora»,  rispose il monaco. «Significa che possiedo già tutto ciò che occorre per raggiungere l'illuminazione e non devo cercare fuori di me».
«Lo so che si tratta di una metafora», disse il maestro, «ma quanta presunzione da parte tua!»
Il monaco sul momento restò malissimo per questa risposta. Ma poi rifletté, disse a se stesso che il maestro ne sapeva certo più di lui e si pentì per la propria presunzione.
Così andò dal maestro, si scusò con lui per l'accaduto e gli chiese: «Ti prego, dimmi cosa devo fare per raggiungere l'illuminazione.»
E il maestro rispose: «Il monaco che accende le lanterne viene da me a chiedere il fuoco.»
In quel momento il monaco addetto alle lanterne raggiunse l'illuminazione.

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giovedì 4 febbraio 2016

Mindfulness: la pratica del body scan. Una traccia audio per praticarlo con l'aiuto di una voce guida


Dare per scontato il miracolo dell'incarnazione in un corpo è una perdita terribile;
recuperare il contatto con questo miracolo può rappresentare
per la nostra vita una profonda guarigione. 
Non occorre altro che praticare il recupero dei sensi, tutti i sensi.
E... un certo spirito d'avventura.
(Jon Kabat-Zinn)

Oggi vi presento una pratica di mindfulness detta body scan o scansione del corpo, che consiste nel portare intenzionalmente e sistematicamente l'attenzione nelle varie zone del nostro corpo, con l’obiettivo di sentirle autenticamente mentre ci soffermiamo su di esse con consapevolezza. 
Questa pratica può indurre uno stato di grande rilassamento al punto che a volte potremmo addormentarci o sentirci sul punto di addormentarci. Se ciò dovesse avvenire prendiamone semplicemente atto, ricordando comunque a noi stessi che la nostra intenzione non è quella di addormentarci ma piuttosto quella di risvegliarci (risvegliarci al corpo e nel corpo, con tutte le sue sensazioni). Possiamo quindi anche aprire gli occhi ogni tanto se questo ci aiuta a restare svegli e poi proseguire a occhi chiusi quando ci sentiamo pronti.
Più avanti troverete una traccia audio che consente, a chi lo desideri, di praticare la scansione del corpo con l'aiuto di una voce guida.
Ho registrato questa traccia seguendo lo schema che utilizziamo abitualmente nel protocollo MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction), che è un po' diverso dallo schema che adottiamo negli incontri di Mindfulness Psicosomatica del martedì (protocollo PMP) a cui alcuni di voi si sono recentemente avvicinati partecipando al Progetto Benessere Globale - Gaia.
Nella versione che vi propongo oggi la pratica si fa stando sdraiati.
Vi consiglio quindi, prima di procedere, di trovare un posto tranquillo, una superficie comoda su cui possiate stendervi (un tappetino, un divano, un letto) e di munirvi eventualmente di un cuscino. Vi consiglio di procurarvi anche una copertina con cui coprirvi, perché dovrete restare immobili per mezz'ora e siamo pur sempre a febbraio...
Buona pratica, allora, a chiunque vorrà cimentarsi. 
Vi lascio alla traccia audio seguita da un'altra citazione di Jon Kabat-Zinn sull'argomento.

"Praticando la scansione del corpo noi recuperiamo la sua pienezza di vita, così com'è, tirandolo fuori dalla nube di inconsapevolezza in cui l'abbiamo relegato dandolo per scontato, per quanto ci è familiare. Nel body scan noi lo investiamo della nostra attenzione e quindi del nostro apprezzamento e del nostro amore, senza cercare di cambiare niente. Siamo esploratori di questo universo corporeo in costante mutamento, che è noi stessi a un livello profondissimo e insieme non lo è a un livello altrettanto profondo.
Quando si vuole raggiungere una sorta di guarigione, se è possibile (per quanto remota possa sembrare), è essenziale che ci sia la volontà di riportare indietro il corpo da una sorta di oblio o di senso di ovvietà o dall'ossessione narcisistica per se stessi. Applicandoci tutti i giorni a questo compito noi ristabiliamo la connessione con la fonte stessa della nostra umanità, con il nostro nucleo centrale.
La consapevolezza che abbraccia i sensi li riporta in vita: l'abbiamo provato tutti una volta o l'altra, in momenti di vitalità sopra il comune. Nel caso della propriocezione, quando ci dedichiamo ad ascoltare il corpo in un modo disciplinato e amorevole per giorni, settimane, mesi e anni, con perseveranza, anche se all'inizio sentiamo ben poco, non possiamo prevedere quel che succederà. Una cosa però è sicura: il corpo a sua volta si mette in ascolto e risponde nei modi che gli sono propri, al meglio delle sue possibilità."