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martedì 3 settembre 2019

Nuovo studio, nuovo logo. Considerazioni sui traslochi, sui cambiamenti e sull'apertura di nuovi scenari


Inizio questo mese di settembre con una novità: ho trasferito il mio studio in Corso Avezzana 34, a Torre del Greco. Sarà un piacere per me inaugurarlo con quanti di voi vorranno partecipare ai prossimi eventi in programma (il 20 e il 24 settembre due presentazione gratuite a tema mindfulness, dal 1° ottobre il programma MBSR, a dicembre il nuovo ciclo di incontri dedicati alla compassione).

Prendo spunto dalla recente esperienza del trasloco, per qualche riflessione più generale in tema di cambiamenti.
Tanto per cominciare, va detto che questo trasferimento dello studio non è partito per mia iniziativa. In passato l'idea mi era anche balenata in mente di tanto in tanto ma poi, per amor di quiete, l'avevo sempre accantonata o dimenticata, scegliendo di restare dove stavo anziché complicarmi la vita. Poi un bel giorno il contratto di locazione è giunto a scadenza e, per via di certe necessità della parte locatrice, non è stato rinnovato. Così mi sono trovata sfrattata.
Quando veniamo sloggiati da una postazione che ci è familiare, come per esempio da una casa, da una posizione lavorativa, dal posto che occupiamo al fianco di un partner, è del tutto naturale che sulle prime l'esperienza possa presentarsi a noi come sgradevole. E ciò a prescindere da quanto fosse effettivamente soddisfacente per noi la posizione in questione (il mio vecchio studio per esempio non era più abbastanza capiente per i gruppi e poteva capitare di stare un po' stretti). A volte ci riesce più semplice restare in una situazione scomoda ma nota, che esporci deliberatamente a un cambiamento,  perché questo ci costringe ad uscire dalle nostre abitudini, a ripensare l'organizzazione della nostra vita, a fare i conti con l'incertezza.
Poi viene la volta che la vita ci impone di cambiare. E non ci domanda se siamo d'accordo. Non ascolta le nostre rimostranze. In certi casi non ci dà nemmeno il preavviso (come invece e per fortuna avviene per le finite locazioni).
Allora la questione non è più evitabile né procrastinabile: l'onda del cambiamento ci si para davanti e ci chiede di cavalcarla. Sta a noi scegliere se sprecare le nostre energie rifiutando la realtà e contrastando le richieste dei tempi oppure aprirci all'enorme potenziale di rinnovamento insito nella fine delle cose e nel tramonto dei vecchi scenari, per aprirci a scenari nuovi e a tutto ciò che può nascere proprio perché qualcos'altro muore. Per fiorire,  i semi del cambiamento hanno bisogno di un terreno che li sappia accogliere e i traslochi veri o simbolici della nostra vita sono un buon momento per estirpare le erbacce, dissodare la terra e dare modo ai processi di crescita di seguire i loro tempi. 
Mentre lo studio vecchio era mezzo smontato e lo studio nuovo in fase di allestimento, in una calda giornata passata a dividermi di qua e di là (i clienti nello studio vecchio con quattro mobili, gli operai in quello nuovo con trapani, scatole e scatoloni) mi arriva una telefonata. Mi propongono un'intervista in quanto life coach ed esperta di cambiamento. Mi viene un po' da ridere, dato il momento.  Beninteso loro non sanno che sono nel pieno di un cambiamento (è una coincidenza...) e quando glielo dico (dico cioè: dovrò ricevervi nella baraonda di un trasloco) la risposta è questa: "Non è importante dove ci riceve, signora: il luogo che veniamo a visitare è Lei".

Oggi, reduce soddisfatta di questa calda estate passata a ripensare l'organizzazione dei miei spazi lavorativi, finalmente alleggerita del peso di vecchi arredi, vecchie riviste, vecchie scartoffie, mi accorgo che questo cambiamento di scenario mi ci voleva.
Apro la finestra e il panorama è nuovo. L'esposizione è diversa, i rumori in strada anche. Ho nuovi vicini. Qualche nuovo arredo. Spazi liberi, senza ingombri casuali.
Con l'occasione ho cambiato anche logo.
Il nuovo logo (un albero che contiene una stella) è il punto d'incontro tra le due immagini precedenti:




quella utilizzata per il counseling psicologico e il life coaching, con gli omini in viaggio che fanno una sosta sotto un albero e che si orientano grazie a una stella in cielo;



e quella utilizzata per le pratiche di mindfulness, con una persona che medita sotto un albero, ferma in raccoglimento, connessa al più ampio universo di cui fa parte.


Il nuovo logo vuole mettere insieme l'andare e lo stare, dando al simbolo un valore unificante. Come a dire: che tu stia fermo in un luogo, in raccoglimento, o in viaggio nella vita, spostandoti di qua e di là, ciò che ti guiderà e ti farà sentire a casa è la luce che porti dentro. Prenditene cura. 

In questo spirito, voglio aprire il nuovo anno lavorativo con due auguri. 
Il primo è per tutti noi che ci dedichiamo alle pratiche di mindfulness. Che la luce della consapevolezza, che intendiamo alimentare e tenere accesa con la regolarità della pratica, possa illuminare le nostre menti e la nostra vita, farci sentire a casa nel nostro corpo ovunque siamo, fermi o in viaggio, radicati nella realtà come alberi e in contatto rispettoso e amorevole con l'universo vivente di cui siamo parte.
Il secondo è per quanti di noi, in questo momento, soffrono perché  fermi in una situazione scomoda o che ha fatto il suo tempo ma da cui, per amor di quiete o paura di trambusto, non osano uscire, come una relazione logora che va avanti per forza di inerzia, un luogo in cui si vive che non risponde più alle proprie esigenze, o  un lavoro che opprime il cuore e non lascia decollare il progetto lavorativo dei sogni.
L'augurio in questi casi non è di fare un passo per cui non ci si senta pronti, ma di saper riconoscere quando arriva il momento di farlo.
A volte la sorte ci viene incontro accompagnandoci (e magari anche un po' spingendoci) là dove non oseremmo andare in circostanze abituali. Concediamoci in questi casi un ascolto attento delle reali richieste che la vita ci pone quando ci lancia le sue sfide,  e anche il lusso, se i tempi sono maturi, di lasciar emergere la personalissima risposta del nostro cuore, che forse aspettava solo di essere interrogato per sentirsi libero di parlare e magari di stupirci, con la grande potenza che possono avere le risposte creative quando sono tempestive.



Quando soffia il vento del cambiamento
 alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento.
(Proverbio cinese)

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venerdì 11 gennaio 2019

La mappa personale del tesoro: un'attività di buon augurio per l'anno nuovo tra gioco, arte, programmazione e... psico-magia

Collage realizzato da Elena Fiore per la mostra DADAUMPA - da www.elenafiore.it pagina "Collage"
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"Senza una mappa,
 nessun pirata che si rispetti, neanche il più spaccone,
 si metterebbe alla ricerca di un tesoro sepolto.
 Perché dovresti farlo tu?" 
(Sarah Ban Breathnach)

Se in questo freddo weekend di gennaio decidessimo di restare un po' di più a casa, magari potremmo dedicare qualche momento ad un'attività a metà strada tra il gioco, l'arte, la programmazione e la... psico-magia
Si tratta della costruzione della nostra "mappa personale del tesoro": uno specialissimo collage che può aiutarci a fare chiarezza sui desideri del nostro cuore e a restare fedeli alle nostre buone intenzioni durante tutto l'anno e soprattutto nei momenti in cui saremmo tentati di mollare
Per iniziare armiamoci di forbici e colla, come quando eravamo piccoli, e per prima cosa attacchiamo al centro di un foglio bianco una bella fotografia di noi stessi. Se c'è una fotografia in cui abbiamo l'aria contenta e soddisfatta, prendiamo quella. Altrimenti prendiamo la foto in cui ci piaciamo di più: con il taglio di capelli che ci piace, i vestiti che ci fanno sentire a nostro agio e la nostra espressione migliore.
Poi un po' alla volta cominciamo a sfogliare riviste e depliant vari o anche a passare in rassegna le foto che abbiamo sul computer o nei cassetti, o che scaricheremo da internet andandocele proprio a cercare. Di fatto ciò che cerchiamo sono delle immagini da ritagliare ed incollare attorno alla nostra fotografia in modo da realizzare un quadro che rappresenta noi stessi circondati dai nostri sogni realizzati o, se preferiamo, dalle nostre intenzioni portate a buon fine.
Quest'opera, una volta finita, costituirà un potente strumento visivo per concentrare la nostra energia creativa nella direzione che vogliamo prendere e ci aiuterà, giorno dopo giorno e passo dopo passo, ad orientarci sui sentieri della vita, ricordandoci per tutto l'anno di restare fedeli ai nostri sogni e alle nostre intenzioni e  segnalandoci quando ci stiamo allontanando troppo dalla nostra rotta.
Prima di iniziare il collage, potrebbe esserci utile un momento di raccoglimento a occhi chiusi, per provare a passare in rassegna i vari aspetti della nostra vita e valutare cosa vogliamo conservare così com'è e cosa vogliamo cambiare.
Passiamo in rassegna per esempio  la nostra casa. È sufficientemente accogliente e confortevole?  Come ci piacerebbe vederla per sentirci bene?  Ci sono zone disordinate che ci piacerebbe vedere in ordine? Cose rotte che ci piacerebbe fossero riparate? Cose vecchie che ci piacerebbe sostituire?
E come per la nostra casa possiamo fare lo stesso per ogni altro aspetto della nostra vita, sia che si tratti di cose importanti sia che si tratti di cose futili: il nostro guardaroba,  le nostre amicizie, il nostro lavoro, le  nostre vacanze, il nostro conto in banca e così via.
In compagnia di chi ci piacerebbe stare? Cosa ci piacerebbe fare?  Dove ci piacerebbe andare in vacanza? Come ci piacerebbe lavorare?  Quali cose metteremmo volentieri sullo sfondo? Quali in primo piano? E così via.
Apportiamo alla nostra realtà di oggi tutti i cambiamenti che desideriamo. Permettiamoci di aggiungere persone, animali, luoghi, vestiti, macchinari, cibi, oggetti, colori, simboli. E anche di togliere tutto ciò di cui vorremmo liberarci.E godiamoci mentalmente lo spettacolo d'insieme.
Se la scena ci piace e ci fa sentire bene, allora siamo pronti per il collage. Cerchiamo tutte le immagini dei nostri sogni e attacchiamole intorno alla  nostra foto e se non le troviamo pazienza: vorrà dire che le disegneremo o  le rappresenteremo con delle scritte colorate ed efficaci.
"Creando la tua mappa personale del tesoro," suggerisce Sarah Ban Breathnach, nel suo libro L'incanto della vita semplice , "pensa a cose divertenti, piacevoli. Pensa come se avessi sette anni. Questo non è un esercizio intellettuale di esistenzialismo. È una lista di desideri... Soprattutto, ricorda che nessun altro, oltre a te, dovrà necessariamente sapere della tua mappa del tesoro. I nostri desideri per il futuro, le nostre speranze, i nostri sogni, le nostre aspirazioni sono i nostri tesori più veri. Custodisci i tuoi nel santuario del tuo cuore."
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sabato 21 marzo 2015

Vivere una vita di valore accettando il "mal di mare" che comporta

Quando mi chiedono cosa significhi "Ciò che si muove non congela", di solito rispondo che la cosa migliore è scoprirlo da sé; infatti è una formula che si presta a varie interpretazioni.
Ciò non toglie che questa frase abbia per me anche un senso, per così dire, elettivo.
È il mio motto nei piccoli e grandi terremoti della vita, per esempio, e serve a ricordarmi che il desiderio di mantenere fermo e immutabile il nostro mondo è un desiderio contro natura (più simile a un desiderio di morte che di vita).
Siamo nati e viviamo in un pianeta che gira, e non solo in senso metaforico: gira proprio materialmente, sotto i nostri piedi, portandoci in giro con sé.
Ma a prescindere da ciò, è proprio essere vivi che ha a che fare sempre con qualche forma di movimento.
Il sangue ci scorre nelle vene, il respiro entra ed esce dal nostro corpo, i pensieri vanno e vengono dalla nostra mente, le emozioni emergono e vagano tra mente e corpo.
Ogni alimento che ingeriamo genera nel nostro corpo una serie di movimenti interni per digerirlo.
La conservazione stessa della nostra specie è affidata a faccende movimentate: dall'atto sessuale alle contrazioni del parto.
E ciò senza contare tutti i movimenti che hanno a che fare con il naturale  crescere, maturare e invecchiare di ciascuno di noi, e i tanti cambiamenti che viviamo anche in famiglia, quando i vari membri vanno, vengono, crescono, maturano, invecchiano.
Per cui la questione diventa: è mai possibile che tutto questo movimento non ci provochi nemmeno un po' di... mal di mare?
Stando ai risultati di ricerca su Google, la frase Ciò che si muove non fa venire il mal di mare non l'ha mai detta nessuno. E forse un motivo ci sarà. 
Ma, a parte ciò, è la frase Ciò che si muove non congela, che sembra dirci una cosa precisa: e cioè che il movimento ed il cambiamento sono cose da vivi e non da morti. E che anche il mal di mare lo è.
Uscire dal movimento significa morire, congelare. E una volta morti il problema del mal di mare non ce l'avremo più.
Tutto questo solo per dire che qualche forma di mal di mare, prima o poi, tocca a tutti.
Fa parte della nostra normalità, del semplice fatto di essere umani e di essere vivi.
La questione quindi non è "come scansare il mal di mare", ma come vivere una vita di valore nonostante la dose di mal di mare che ogni viaggio comporta.

Quando lavoro con le persone, si pone spesso la questione di cosa esse desiderano davvero nella vita, cosa è veramente importante per loro, e come fare per costruire, mattone dopo mattone, una vita ricca, piena e significativa.
Per far questo è importante entrare in contatto con i più profondi desideri del nostro cuore, con i nostri valori personali, e fare di essi la bussola della nostra vita, lasciando che ci guidino verso i cambiamenti che intendiamo attuare e le mete che intendiamo raggiungere.
Questo non esclude però che potremmo trovare ostacoli, durante la nostra avventura, e non ci garantisce nemmeno che andrà sempre tutto liscio e che non avremo momenti di crisi.
Nessun essere umano è del tutto immune da eventi, sensazioni ed emozioni spiacevoli, e considerare la felicità come uno stato costante di sole sensazioni ed emozioni piacevoli è illusorio (ed è anche un condannare se stessi all'infelicità, perché quel tipo di felicità, come stato permanente e definitivo, è irraggiungibile).
È invece possibile accedere ad una visione più ampia e più saggia di felicità, che  riesce a comprendere in se stessa sia il piacere sia il dolore del vivere, ma senza consentire a quest'ultimo di ostacolarci, impedendoci di  procedere nella direzione che abbiamo scelto (quella indicata dai nostri valori personali).
Quando riusciamo ad accettare serenamente una ragionevole quota di dolore nella nostra vita, diventiamo molto più forti e molto più capaci di credere in noi stessi e nei nostri sogni. La posta in gioco, per noi, può essere infatti più alta del dolore che dobbiamo attraversare e riguardare il valore stesso della nostra vita. Riuscire a portare alla luce gli aspetti migliori della nostra natura, entrare in contatto profondo con ciò che per noi è davvero importante, vivere seguendo le indicazioni dettate dai nostri  personalissimi valori: è tutto questo che ci fa sentire bene e in pace con noi stessi e ci dà il senso che stiamo vivendo una vita di valore, indipendentemente da cosa pensano gli altri e da come andranno le cose.
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Ma il "mal di mare"?
Quello lo possiamo affrontare con la Mindfulness.
E passa?
Di questo parleremo diffusamente nel prossimo post (clicca qui).
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Intanto vi anticipo che, proprio per riuscire a lavorare meglio nel counseling e nel life coaching, tenendo a bada le interferenze di pensieri ed emozioni spiacevoli, sto insegnando abilità di Mindfulness a molte persone, durante i percorsi individuali. Poiché i risultati sono stati finora molto soddisfacenti, è probabile che presto  verrà costituito un gruppo dedicato proprio all'apprendimento di abilità di Mindfulness, a prescindere dal fatto che si segua anche un persorso di counseling o life coaching con me.










lunedì 20 ottobre 2014

"Il regno d'inverno": un film per smettere di rimuginare e portare al mondo il nostro dono di oggi, quale che sia

Una cosa che può capitare facilmente in età matura è di guardare allo stato dell'arte della propria vita e di avere l'impressione di aver commesso probabilmente un sacco di errori. Come si spiega altrimenti il fatto che le cose oggi stanno proprio così?
A volte crediamo di conoscere i nostri errori, a volte sono gli altri che si prendono la briga di farceli notare  addossandoci cento e una colpa, altre volte restiamo semplicemente sconcertati dal fatto di non riuscire proprio a capire dove abbiamo sbagliato (...vorrà dire che siamo duri e miopi?) . 
Qualcuno si giustifica dicendo (magari più agli altri che a se stesso) che era partito da condizioni svantaggiate e che ha fatto tutto il possibile, ma più di tanto non poteva fare; c'è chi addossa le colpe dei suoi guai agli altri, che non l'hanno saputo sostenere al momento giusto o addirittura l'hanno ostacolato (genitori, fratelli, partner e via dicendo); c'è chi rimpiange di aver creduto in qualcosa che non meritava la sua fede, e chi cerca di rimediare oggi agli errori di ieri, ma più si sforza e più s'impantana, aggiungendo come si dice macchia su macchia.
Quelli tra noi che in età matura non si portano sulla coscienza né grossi peccati né grossi delitti, ma vivono semplicemente il senso di sperdimento e l'amarezza di quando si dice del presente "mi ritrovo con un pugno di mosche",  forse potrebbero trarre qualche buona ispirazione per se stessi e per la propria vita dalla visione del film "Il regno d'inverno", in questi giorni nelle sale.
In verità, per quanto è lungo, lento e impegnativo  potrebbe davvero darci il colpo di grazia se siamo già un po' in crisi. E tuttavia merita lo sforzo di essere visto fino alla fine, se non altro perché, proprio nel finale, propone una bella risposta alla difficile domanda: come possiamo giocarci oggi le carte che ci restano e sperare ancora di uscire vincenti dalla nostra vita, pur consapevoli delle nostre sconfitte, delle cose che non abbiamo capito e continuiamo a non capire, di tutti i nostri problemi relazionali irrisolti, di tutte le idee, le scelte e gli argomenti che non condividiamo con le persone che ci circondano e con cui quotidianamente ci scontriamo (persone che poi, alla fine, chissà se hanno capito davvero la vita meglio di noi)?
Vi auguro di trovare in questo film o altrove le ispirazioni necessarie per sentirvi sempre padroni di un vostro regno personale, dove poter trovare pace e senso anche durante gli inverni più  rigidi della vostra vita, e fare di essi la premessa per le primavere a venire con le vostre personalissime fioriture.
  
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lunedì 23 giugno 2014

Dalle fiabe, dai miti, dai poemi epici, dai grandi romanzi di ogni tempo, ispirazioni e metafore per affrontare le sfide della vita in chiave "eroica"

In molte scuole di scrittura creativa c'è di solito una lezione di narrativa riguardante l'ossatura minima di una storia,  che - pur nelle sue diverse varianti - suona all'incirca così:
"Create un personaggio che vuole andare da A verso B, mosso da una sua motivazione, un suo desiderio, un suo sogno.
Mentre il personaggio va da A verso B, voi lo farete incorrere in tutta una serie di ostacoli e intralci (eventi, persone, pensieri, sentimenti: tutto contro di lui e contro la sua intenzione).
Il vostro scopo è tenere agganciato fino all'ultima riga il lettore con una semplice tacita domanda, che di fatto è: riuscirà il  nostro eroe ad arrivare da A fino a B nonostante tutti gli ostacoli tesi a impedirglielo?"
Che ce ne rendiamo conto o meno, la maggior parte delle storie di personaggi indimenticabili, per quanto straordinarie o originali possano apparirci, si basano in realtà su questa struttura minima : 
  • dalla storia di Cappuccetto Rosso - che pone la semplice domanda: "Riuscirà la cara bambina ad arrivare a casa della nonna e consegnarle il suo cestino, sopravvivendo alla leggerezza di sua madre, alle insidie del lupo cattivo e alla propria stessa ingenuità? 
  • all'Odissea - dove la domanda è sempre la stessa, solo in versione più complicata: "Riuscirà Ulisse a tornare ad Itaca, riappropriandosi del suo posto rimasto vacante in famiglia e in società, nonostante l'ostilità del dio Poseidone, le minacce del ciclope Polifemo e dei Lestrigoni, le catene amorose di Circe e Calipso,  la seduzione delle sirene, i rischi della discesa agli inferi e la prepotenza dei proci nella sua stessa casa?
  • a I Promessi Sposi (che chiede: riusciranno Renzo e Lucia a convolare a giuste nozze, nonostante Don Abbondio, Don Rodrigo, l'Innominato,  la Monaca di Monza, la peste e il voto di castità di Lucia?)
  • e così via, passando per Il Conte di MontecristoVia col Vento, e simili, opere tutte di cui vi risparmio il riassunto (e la sottesa domanda), tanto si sa.
Ciò che invece può interessarci è che spesso anche nelle vicende della nostra vita possiamo intravedere questa struttura base, se andiamo a cercarla ben bene.
Magari la fatica a volte sarà  nel concepire noi stessi in movimento da A verso B,  perché non sempre ci sentiamo in viaggio verso una meta, non sempre ci sentiamo mossi da un desiderio, a volte ci sentiamo semplicemente in difficoltà (e a volte addirittura paralizzati dalle difficoltà), per cui facciamo fatica a immaginarci dentro una cornice di senso che renda la nostra storia "interessante" e in movimento lungo un qualche filo conduttore.
Acquisire dimestichezza con le fiabe, i miti e la grande narrativa di ogni tempo, può avvicinarci in via metaforica a temi che ci appartengono e farci guardare le nostre  stesse esperienze in un'ottica, per così dire, "eroica" da cui possiamo trarre forza, ispirazione e senso, sentendoci i protagonisti attivi della nostra vicenda esistenziale ("che somiglia a quella di...") anziché semplici spettatori (se non vittime) di una vita che non abbiamo scritto noi e nemmeno ci piacerebbe leggere.
A seguire, alcune riflessioni sull'argomento riguardanti l'utilità di simili riferimenti culturali sia per i grandi sia per i bambini. 
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L'importanza di narrare ancora oggi ai bambini le fiabe popolari tradizionali (come Biancaneve, Cenerentola, Hansel e Gretel, Raperonzolo ecc.) per accompagnarli nel loro processo di crescita è stata sostenuta tra gli altri da Bruno Bettelheim, nel suo libro - un classico, ormai -  Il mondo incantato - Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe
L'autore sostiene che queste storie, anche se appaiono anacronistiche, in realtà trasmettono messaggi sempre attuali, perché si occupano di problemi umani universali - specie quelli che preoccupano la mente del bambino - e offrono a quest'ultimo esempi di soluzioni alle difficoltà, incoraggiando così il suo sviluppo e accogliendo nel contempo il tumulto del suo mondo interno.
"Per poter risolvere i problemi psicologici del processo di crescita", sostiene Bettelheim, "- superando delusioni narcisistiche, dilemmi edipici, rivalità fraterne, riuscendo ad abbandonare dipendenze infantili, conseguendo il senso della propria individualità e del proprio valore, e quello di dovere morale - un bambino deve comprendere quanto avviene nella sua individualità cosciente in modo da poter affrontare anche quanto accade nel suo inconscio." E in questo le fiabe gli sono di enorme aiuto, perché si adeguano perfettamente alla mentalità infantile, parlano lo stesso linguaggio irrealistico del bambino, e danno una forma trattabile anche ad argomenti difficili. Le fiabe peraltro non servono a presentare al bambino un mondo senza problemi, ma a infondergli fiducia nella possibilità che i problemi possano essere affrontati e risolti. E' questo infatti il loro insegnamento più importante: "che una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell'esistenza umana," e che "soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso."
Questa bella conclusione peraltro si armonizza perfettamente con l'idea che la stessa psicoanalisi non è un "sistema per rendere facile la vita". "Non era questo l'intendimento del suo fondatore", osserva  infatti Bettelheim. "La psicoanalisi fu creata per consentire all'uomo di accettare la natura problematica della vita senza esserne sconfitti o cercar di evadere dalla realtà. Freud prescrive che soltanto lottando coraggiosamente contro quelle che sembrano difficoltà insuperabili l'uomo può riuscire a trovare un significato alla sua esistenza."


Quest'ultimo pensiero, che fa da ponte tra il mondo dell'infanzia  e quello degli adulti, introduce bene le riflessioni di Joseph Campbell, che seguono, a proposito della valenza universale della storia  dell'eroe mitico.
L'eroe descritto da Campbell - di origine divina o umana -  è colui che lascia la sua casa e il suo paese di origine perché ha una missione da compiere. 
Ciò lo porta a dover superare innumerevoli prove, in seguito alle quali la sua identità risulta modificata, rinnovata e consolidata. 
Il viaggio dell'eroe di Campbell, come poi vedremo, può offrire a noi tutti uno schema con precise tappe, una sorta di utile mappa  che potrebbe aiutarci ad  orientarci quando siamo alle prese con un nostro personale "viaggio eroico".
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"L'eroe mitologico," dice Joseph Campbell, nel suo libro L'eroe dai mille volti, "partendo dalla capanna o dal castello in cui vive, è attratto, trascinato, o procede di sua volontà verso la soglia dell'avventura.
Qui incontra un'ombra che sta a guardia del passaggio.
L'eroe può sbaragliare o placare questa potenza ed entrare vivo nel regno delle tenebre (lotta fratricida, lotta col drago; offerta, incantesimo), o essere ucciso dall’avversario e discendere morto (smembrato, crocifisso).
Oltre la soglia, quindi l'eroe si avventura in un mondo di forze sconosciute, seppur stranamente familiari, alcune delle quali lo minacciano (prove), mentre altre gli danno un aiuto magico (soccorritori).
Quando giunge al nadir del cerchio mitologico, affronta una prova suprema e si guadagna il premio.
Il trionfo può essere rappresentato dall'unione sessuale dell'eroe con la dea-madre del mondo (matrimonio sacro), dal riconoscimento da parte del padre-creatore (riconciliazione col padre), dalla sua stessa divinizzazione (apoteosi), o anche – se le potenze gli sono state avverse – dal furto del premio che era venuto a guadagnarsi (il ratto della sposa, il furto del fuoco); intrinsecamente è una espansione della conoscenza e quindi dell'essere (illuminazione, trasfigurazione, libertà).
L'ultimo compito dell'eroe è il ritorno.
Se le potenze hanno benedetto l'eroe, questi si avvia sotto la loro protezione (emissario); in caso contrario, fugge ed è inseguito (fuga con trasformazioni, fuga con ostacoli). Sulla soglia del ritorno, le potenze trascendentali debbono fermarsi; l'eroe riemerge dal regno del terrore (ritorno, resurrezione).
Il premio che reca ristora il mondo (elisir)"
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L'itinerario dell'eroe descritto da Campbell  risulta fedelmente seguito dai protagonisti di molte celebri avventure, che a conti fatti  sono poi anche molto diversi tra loro. 
 Per esempio, sia Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, sia Siddharta di Hermann Hesse lo hanno seguito ognuno a modo  suo, dando poi vita a due vicende diversissime, come del resto sono diversi tra loro i personaggi stessi.
Detto questo - e dando per scontato che ognuno di noi si sentirà sempre più affine ad uno specifico personaggio  piuttosto che ad un altro, e si riconoscerà sempre più in una metafora anziché in un'altra - uno schema lineare del viaggio dell'eroe può esserci comunque utile in assoluto, per rappresentare a noi stessi in che fase della vita siamo, quali sono le richieste dei tempi, e come  possiamo evolvere e progredire. Eccolo quindi a seguire, con qualche commento.

Riepilogando le fasi fondamentali del viaggio dell'eroe secondo Campbell, lo schema alla fine risulta essere questo:
1. Sentire una chiamata. Essa può riguardare la nostra identità, lo scopo della nostra esistenza o la nostra 'missione personale'. A noi la scelta se prendere sul serio la chiamata o tentare di ignorarla. Nella vita reale capita spesso che il viaggio inizi con una crisi, e che sia la crisi a presentare la chiamata, spingendo l'eroe ad affrontare i suoi demoni per fronteggiarla.
2. Accogliere la chiamata ci conduce a confrontarci con un limite,  o una soglia, nelle nostre abilità o nella nostra rappresentazione del mondo. Spesso ignorare la chiamata può rivelarsi controproducente e a volte  portare alla formazione o all'intensificazione di problemi e sintomi.
3. Oltrepassare la soglia ci porta nel 'territorio' di un'esistenza nuova, lontano dalla zona familiare in cui ci trovavamo prima; un territorio che ci impone di crescere ed evolverci, e nel quale abbiamo bisogno di trovare supporto e guida.
4. Trovare un custode (una guida, un maestro, un alleato) può essere quasi una conseguenza naturale dall'aver avuto  il coraggio di varcare la soglia (come si suol dire: quando l'allievo è pronto, il maestro arriva). Trattandosi comunque di un territorio per noi  nuovo, potremmo anche non sapere in anticipo di che tipo di assistenza avremo bisogno più avanti, né chi di fatto ce la fornirà.
5. Affrontare una sfida (o 'demone') è un effetto dell'aver oltrepassato la soglia. I 'demoni', gli ostacoli, possono essere minacciosi ma non necessariamente distruttivi. Alcuni demoni peraltro non sono nemmeno nelle circostanze esterne, ma solo dentro di noi: come le nostre paure, le nostre ombre più nascoste, alcune anche alimentate dall'eco di messaggi negativi che ci risuonano dentro (con la nostra stessa voce o con quella di persone  per noi significative).
6. Trasformare il demone in una risorsa o in un consigliere, significa approfittare della sfida per 
tirar fuori il meglio da noi stessi e sviluppare così anche le nostre potenzialità latenti, che in mancanza di una sfida sarebbero rimaste a sonnecchiare.
7. Completare il compito a cui siamo stati chiamati, e trovare il modo di rispondere adeguatamente alla chiamata, è possibile cambiando il nostro modo di rappresentarci il mondo e la vita, e quindi in un certo senso ridisegnando la nostra mappa del mondo, per incorporarvi la crescita e le scoperte che abbiamo fatto durante il viaggio.
8. Trovare la strada verso casa da persona trasformata è infine il punto di arrivo finale del viaggio. Perché la nostra esperienza di crescita non si risolva in un fatto esclusivamente personale, è importante condividere con gli altri la conoscenza e l'esperienza ottenute, per fare dono al mondo dei veri tesori accumulati viaggiando.
***







lunedì 1 aprile 2013

Un mio nuovo video e due citazioni sull'attesa

Oggi mi avventurerò su un terreno minato: parlerò dell'attesa ai lettori di un blog dedicato a persone che corrono e che, come tali, si presume che abbiano fretta quasi per definizione. Come mai ho deciso di farlo? Questa è la prima cosa che vi spiegherò, quasi ridendo, all'inizio del video, per cui è inutile anticiparlo qui. 
A seguire due citazioni ed una foto, per ringraziare i cacciatori di aforismi che, con la loro insistenza, hanno contribuito... ad ispirare il mio video. 
***
"E stanno tutti aspettando che succeda qualcosa 
Che tolga il velo di polvere dalla realtà 
E stanno tutti aspettando che arrivi la sposa 
Coi fiori in mano e una promessa di felicità." 
(Jovanotti, Temporale)
***
 Se tu vieni ... tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice...Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. "
(Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe)


Nella foto: L'attesa, di Emanuela Bartolotti, Premio Celeste 2009




domenica 17 febbraio 2013

Life coaching: cos'è DAVVERO per ciascuno di noi la felicità

"Il significato di un uomo non è in ciò che egli raggiunge, ma in ciò che egli anela a raggiungere." (Gibran Kahlil Gibran)  
Decidere di intraprendere un percorso di life coaching è un passo importante verso la cura di sé, significa decidere di prendere in mano la propria vita ed assumersi la responsabilità di un progetto di cambiamento positivo.
Questo non significa che chi si rivolge ad un life coach abbia sempre le idee chiare su ciò che vuole dalla vita per sentirsi bene, sentirsi autorealizzato, sentirsi in sintonia con se stesso e con gli altri.
Il più delle volte le persone hanno una visione abbastanza chiara di ciò che non vogliono, di ciò che non va nella loro vita, ma una visione molto più sfocata di ciò che potrebbe renderle felici.
Quindi, se è vero che il life coaching è teso a favorire e sostenere i cambiamenti esistenziali che una persona intende attuare nella propria vita, è anche vero che la prima cosa che un cliente porta ad un life coach è la sua insoddisfazione per il presente, assieme ad una crisi di autogoverno: voglio uscire da questa situazione, perché non ne posso più.
In effetti, una richiesta formulata in questi termini, porta subito in primo piano una situazione che non va (con il perché ed il per come non va, da quanto tempo non va, e così via). Ma questo è solo l'inizio del percorso: è il presente assieme ai cocci del passato. Se c'è da costruire un cambiamento bisogna proiettarsi nel futuro, e quindi bisogna essere capaci di prefigurarlo, un futuro: cioè un futuro come piacerebbe a noi.
Allora viene il momento di chiedersi: come lo immaginiamo un futuro felice? Quali sono le cose che per noi contano davvero nella vita e che sono costitutive del nostro "stare bene"? Cosa vogliamo dalla vita per sentirci appagati, autorealizzati, pieni di senso, di significato, di gioia, di soddisfazione, di gratitudine?
Molte volte tutto questo non ci è del tutto chiaro. Vogliamo essere felici ma non abbiamo idea di cosa sia per noi la felicità, non abbiamo idea di cosa ci possa rendere felici.
Possiamo anche darci un obiettivo, impegnarci per raggiungerlo e provare molta soddisfazione nel momento in cui lo raggiungiamo. Cioè in quel preciso momento. 
Ma poi, se questo obiettivo non rientra in un piano complessivo di "buona vita", di per sé, isolatamente, non potrà illuminarci l'esistenza come farebbe la luce del sole: potrà al massimo apportare il breve (per quanto affascinante) sbriluccichio di una lucciola nella notte. Con la conseguenza che non saremo mai appagati, per quanti obiettivi raggiungiamo, per quanti i successi conseguiamo e per quante medaglie riceviamo. Si può addirittura arrivare al punto da non riconoscere alcun valore alle proprie medaglie d'oro (sì, me le sono guadagnate, e allora?).
Quindi, qualunque siano i nostri obiettivi di oggi, chiediamoci sempre:
"Ma io di cosa ho DAVVERO bisogno per stare bene? Cosa voglio REALMENTE dalla vita? Cos'è la felicità secondo me, secondo il mio personalissimo e intimo sentire, al di là dei modelli che il mondo mi passa, e al di là di ciò che sto affrontando in questo preciso momento?".
Darsi una risposta a queste domande è quanto mai importante nel momento in cui ci troviamo in una situazione difficile ed il nostro unico obiettivo esistenziale sembra essere "uscirne". 
La questione non è che non ci faccia bene "uscirne" (un problema in meno è sempre un problema in meno, che discorsi!), ma dobbiamo fare attenzione a che l'urgenza dei nostri problemi di oggi non inghiotta in un solo boccone la nostra capacità di prefigurare un futuro felice, di desiderarlo così come  ci piacerebbe, e di  lavorare attivamente per costruirlo un mattone alla volta.
Per cui un intervento di life coaching può aiutare, a volte, a mettere in luce proprio questa duplice dimensione: migliorare il presente, intervenendo sulle pressanti richieste del momento, ma al tempo stesso prefigurare il futuro in termini costruttivi, rilanciando la sfida della buona vita, la vita che sogniamo di vivere e verso cui vorremmo indirizzare tutti i nostri passi, le nostre scelte, le nostre azioni.
Come a dire: oggi sono lucciole, e va bene, sono lucciole; ma in fondo alla strada c'è il sole, io lo so e sono diretto là. 
Questo significa però avere chiarito bene a noi stessi (anche sulla base delle esperienze del passato che ci hanno fatto sentire appagati, felici, motivati nei diversi ambiti della nostra vita: lavorativa, privata, relazionale) quale sia la nostra "mission", cioè il nostro scopo nella vita, la nostra ragion d'essere.
Trovare risposte a domande tipo: "cos'è che più di tutto dà senso alla mia vita?", "cosa mi fa sentire  pienamente realizzato?", "quali sono le cose che mi danno più felicità e soddisfazione?", "per cosa vorrei essere ricordato?", ci consente di creare una specie di mappa interiore, molto utile per verificare, in ogni momento, se quello che stiamo facendo è o meno coerente con la nostra natura e con ciò che per noi davvero conta, è importante e ci fa stare bene. 
La nostra fedeltà a questa mappa interiore, la coerenza ad essa degli obiettivi che ci diamo e dei risultati che otteniamo, ci fa sperimentare un profondo senso di gratificazione ed equilibrio, che deriva dal sentirci in armonia con noi stessi e con ciò che per noi è importante. Il che cambia anche il valore dei singoli risultati che via via raggiungiamo, perché la momentanea soddisfazione del singolo successo non si esaurisce in se stessa, ma si innesta sulla nostra più ampia sensazione di essere sulla 
strada giusta, quella dove possiamo essere ciò che davvero siamo e dove possiamo fare ciò che ci riesce meglio, ci piace e per cui siamo grati di essere nati. 

lunedì 7 gennaio 2013

Tre aforismi sull'attesa

"Se non ci metterà troppo, 
l’aspetterò tutta la vita."
(Oscar Wilde, L’importanza di chiamarsi Ernesto)



"Tutto ciò che vale 
merita di essere atteso."
 (Anonimo)
***
"Non sono orfana di qualcosa che è andato via,
ma di qualcosa che deve ancora arrivare." 
(Roberto Vecchioni) 
***
E per chi non fosse sazio,
 ecco a seguire un mio video interamente dedicato all'attesa, al suo peso e al suo valore.




lunedì 31 dicembre 2012

E ora accogliamo l'Anno Nuovo, colmo di cose mai state (Rainer Maria Rilke)


Ed eccoci a celebrare un momento a cavallo tra anno vecchio e anno nuovo.
In effetti ogni momento della nostra vita è teoricamente così, uno spartiacque tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra un passato che non c'è più (se non per i suoi effetti tangibili ed i ricordi che portiamo dentro di noi) ed un futuro che non c'è ancora (se non per le sue attese, le sue promesse, le sue minacce, le sue incognite).
E' difficile che celebriamo, nell'ordinaria amministrazione, un singolo momento presente, in sé e per sé, per ciò che effettivamente è. Al massimo ci ricordiamo di farlo quando la nostra cultura di appartenenza ci impone rituali preconfezionati: celebrare una nascita con il battesimo, un'unione col rito del matrimonio, la fine degli studi con una cerimonia di laurea, una morte col funerale, e infine anche l'arrivo dell'anno nuovo con una notte di brindisi e fuochi d'artificio.
Di solito vivere un momento di ordinaria amministrazione, per noi "gente che corre", significa passarci dentro, già protesi verso il momento successivo, e quello dopo ancora. Celebrare un momento ordinario non ci viene tanto naturale, perché per noi vivere è sinonimo di procedere.
Bene. Procederemo. Abbiamo tutto l'anno nuovo, davanti a noi, per procedere.
Ma stanotte, almeno per un momento, stiamo fermi dentro al momento presente, e celebriamo consapevolmente il preciso momento a cavallo tra vecchio e nuovo anno. Viviamolo per quello che è: nella sua pienezza e nella sua vacuità, con tutte le domande in sospeso, tutti i lavori in corso, tutto il suo peso e tutta la sua leggerezza, tutto ciò di cui ci grava e tutto ciò di cui ci arricchisce, tutta la confusione e tutta la calma, tutta la gioia, tutto il dolore, tutto il senso di appagamento, tutto il senso di spaesamento, tutta la sua apparente inutilità e pochezza, tutta la sua potenzialità e forza, espressa o inespressa che sia.
E' un momento: solo un momento.  Ma è la nostra "verità" di oggi. E, se siamo vivi, è segno che sappiamo reggerla.
Facciamoci  una bella foto e fermiamo il momento. Il suo valore, magari, ci si chiarirà meglio in futuro, quando andremo a rileggerlo, anziché ora che siamo a "lavori in corso".
Persino i momenti vuoti, di noia, di stallo possono rivelarsi di grande valore, se riletti a distanza di tempo. Tante volte sono proprio quelli i momenti cruciali che precedono le grandi avventure, che ci inducono a cogliere nuove sfide.
Il percorso di una vita raramente è un percorso lineare: il terreno di solito è accidentato, ci sono salite, discese, curve, buche, e anche lunghi tragitti pianeggianti dove la calma può presentarsi come pace  ma anche come noia.
"Ci sono anni che fanno domande e anni che rispondono", dice Zora Neale Hurston.
Con questo spirito accogliamo l'anno nuovo.
Che ci porti risposte, se in questo momento siamo carichi di domande.
Che faccia emergere in noi nuove domande, se siamo in stallo con le vecchie risposte.
***
A voi tutti  i miei migliori auguri di un prospero, produttivo, significativo, importante, gratificante, appagante

2013!

***
In particolare, per chi oggi si trovasse  in una situazione di  stallo, formulo i miei auguri più sinceri perché quest'anno gli porti soluzioni .
A tal proposito, lo rimando ad un mio post di ottobre (clicca qui), dove l'augurio è:

"...Che riceva in dono dall'universo un sogno; 
che cominci a coltivare questo sogno
e a valutare la sua realizzabilità;
che cominci a fare progetti,
a creare i presupposti per viaggiare verso il suo sogno;
che si metta a studiare,
a cercare informazioni, alleati e mezzi;
che insomma alimenti in sé
la fiamma della passione
che lo spinge verso ciò che lo fa sentire vivo,
affinché prima o poi,
quando si sentirà pronto,
possa mettersi in viaggio,
affrontarne le incognite e gli ostacoli 
con forza e coraggio, 
ed uscire dalla situazione di stallo,
non spinto dalla voglia di fuggire, 
bensì attratto dalla voglia di viaggiare..."

***
Per chi invece, nell'anno vecchio,  abbia gettato i semi dei suoi sogni, o sia in procinto di gettarli con l'inizio del nuovo anno,  allora i miei auguri più sentiti sono al seguente  link: clicca qui!
***
Arrivederci  a tutti ad anno nuovo!




mercoledì 26 dicembre 2012

Evergreen: Itaca, di Konstantinos Petrou Kavafis (1911)

Oggi un canto dedicato a chi si accinge a partire per un lungo viaggio, ricco di avventure e di sfide, sospinto e sorretto dal pensiero della sua ambita meta.
***
Itaca
di Konstantinos Petrou Kavafis (1911)

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle, coralli, ebano e ambre,
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta,

più profumi inebrianti che puoi;
va' in molte città egizie,
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa' che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada,
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

***

lunedì 24 dicembre 2012

Per Natale regalatevi... scenari da sogno (e l'idea di un appuntamento con il vostro life coach!)

Domani è Natale ed escludo che tra i lettori di questo blog ci sia qualcuno che abbia scritto una lettera a Babbo Natale (più facile, magari, trovare qualcuno che l'abbia ricevuta!).
Uno dei motivi per cui a una certa età non scriviamo più lettere a Babbo Natale è sicuramente il fatto che non crediamo più alla sua esistenza.
Niente da ridire sul fatto in sé (sarebbe più preoccupante il contrario), ma riflettere su cosa abbiamo perso, dismettendo una tale pratica, può essere già di per sé un buon regalo di Natale che facciamo a noi stessi.
Per esempio si può cominciare col dire che era una gran comodità affidare i propri desideri, una volta l'anno, ad un essere magico, potente e (soprattutto) puntuale, deputato a realizzarli, come Babbo Natale.
Con lui, però -  non dimentichiamocelo - alcuni di noi hanno avuto anche qualche problema. A qualcuno di noi, da piccolo, è stato magari passato il messaggio che doveva fare il bravo tutto l'anno, per ottenere che Babbo Natale realizzasse i suoi desideri. Come a dire che i regali dovevamo meritarceli, che la realizzazione dei nostri desideri era un fatto di merito personale, che persino un essere magico come Babbo Natale non poteva realizzare un nostro desiderio, se noi non lo meritavamo.
Cosa può esserci rimasto appiccicato addosso, anche ora che siamo grandi, di questa immagine dell'infanzia?
Ci è mai capitato di considerare "impossibile" un desiderio, che in sé oggettivamente non era impossibile da realizzare (tutt'al più difficile), perché sotto sotto ci sembrava di non esserne all'altezza, di non meritare tanto?
E cosa ne abbiamo fatto di quel desiderio? Abbiamo lavorato su noi stessi per "meritare" che si realizzasse, per creare le condizioni che ne favorissero la realizzazione, o ci abbiamo rinunciato e amen?
Ora, secondo me, rinunciare tout-court ai nostri desideri, a volte può essere un modo per darsi pace (la tale cosa per me è impossibile e me faccio una ragione: campo per qualcos'altro), ma a volte può essere un'azione dall'impatto devastante sul nostro piacere di vivere, sulla nostra autostima, sulla nostra serenità, e sulla nostra tensione verso il futuro.
Auto-legittimarci a desiderare ciò che realmente desideriamo (per esempio un'affermazione in campo lavorativo, sentimentale, economico, sociale, abitativo, eccetera eccetera), è il primo passo che dobbiamo compiere da noi, dentro di noi, per prendere in mano le redini della nostra vita e cercare di condurla dove vogliamo. Altrimenti altre forze, esterne e indipendenti dalla nostra volontà, decideranno per noi, e noi ci sentiremo sempre più impotenti e in balia degli eventi.
Per cui troviamo il modo di rispolverare l'abitudine infantile di scrivere una volta l'anno un elenco dei nostri desideri, senza inibizioni, per chiarirli a noi stessi, per guardarli in faccia senza vergogna.
Mettiamo a tacere, se ci appartiene, la segreta vocina che dentro di noi continua a boicottarci con affermazioni del tipo: "Ma chi credi di essere?", "Non ti accorgi che sei ridicolo a fare progetti del genere?", "Sei il solito sognatore!", "Dove ti avvii, alla tua età?". 
Finché daremo ascolto a vocine del genere, non ci sarà nessun Babbo Natale, né Befana, né altro Deus ex machina capace di aiutarci, né a Natale né mai.
Persino quella sfigatissima Cenerentola, vestita di stracci e coperta di cenere, dovette trovare il coraggio di desiderare un ballo a palazzo (ed autolegittimarsi a desiderarlo!), perché apparisse una fata a darle una  mano (pur con i suoi limiti anch'essa, certo, perché la storia di un incantesimo che scade a mezzanotte pure è un limite, non si può negare, ma è tuttavia pur sempre un bel passo avanti, qualcosa di "concreto" su cui lavorare).
***
Bene, ora un po' di... autopubblicità natalizia.
Da che dico ad amici e conoscenti che, come psicologa, mi occupo specificamente di life coaching a livello professionale, molte persone mi dicono di avere difficoltà a capire cosa sia esattamente un life coach   .
Il life coach è un allenatore per persone che vogliono prendere in mano un aspetto della propria vita di cui sono insoddisfatte (aspetto magari difficile da cambiare, ma non oggettivamente impossibile da cambiare) e vogliono impegnarsi per cambiarlo.
Insieme al life coach, allora, possono fare il punto sulla situazione di partenza, formulare una visione della situazione desiderata, valutare le risorse personali e ambientali in campo, considerare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento della situazione desiderata, formulare strategie di avvicinamento allo stato desiderato, definire obiettivi graduali, e così via.
Tornando alle metafore di Babbo Natale e della fata di Cenerentola, potremmo dire che il life coach non è sicuramente Babbo Natale, perché non ti regala magicamente la realizzazione dei tuoi sogni (sia che te la meriti, sia che non te la meriti); in compenso ti legittima e ti sostiene, mentre guardi in faccia i tuoi desideri, e poi ti aiuta a valutare cosa puoi fare tu stesso per realizzarli.
Il life coach ha qualcosa in comune allora con la fata di Cenerentola? 
Un po' sì e un po' no.
No, perché è un normale essere umano e quindi non ha il potere di trasformare le zucche in carrozze, né i topini in cavalli e valletti.
Sì, perché può aiutarti a sviluppare una maggiore consapevolezza delle tue risorse e dei tuoi limiti, e dirti: "Guarda bene, c'è qualche carrozza nel tuo orto? Vuoi vedere che stai trattando come una zucca quella che in realtà è una carrozza?", oppure: "Sei sicuro di non poterti procurare cavalli e valletti? Guarda più attentamente i tuoi... topini!". E infine ti dice pure qualcosa tipo: "Hai considerato il fattore tempo? C'è qualcosa che scade a mezzanotte? Sarà il caso di lasciare una scarpina di cristallo distrattamente da qualche parte...?".
Tant'è. E beninteso non è tutto.
Ma più di tanto non può durare una pubblicità natalizia!
A gennaio 2013, a Portici, organizzerò un piccolo evento gratuito per presentare in un clima amichevole e informale le caratteristiche salienti del mio lavoro di life coach. 
Con l'occasione faremo insieme qualche piccolo assaggio del metodo.
Siete tutti invitati, ma dovete prenotare.  
Potete farlo con un commento sotto questo post, oppure potete telefonare al numero 
 o anche potete spedire una email all'indirizzo: psicologa.altiero@gmail.
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Auguro di cuore a voi tutti un Natale pieno di serenità e di gioia.
Spero vi concediate  tempo e riposo a sufficienza, per lasciare emergere in superficie  i vostri  desideri  più autentici e profondi che fossero ancora in attesa del  permesso di... esistere.
***