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sabato 8 novembre 2014

Mitologia e psicologia. 9) Eros e Psiche: una Psico-storia d'Amore. PARTE SECONDA

(Vai alla PARTE PRIMA)
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Dopo che Eros l'ebbe lasciata, la povera Psiche era talmente disperata che decise di togliersi la vita gettandosi in un fiume.
Ma il fiume la salvò e la depose dolcemente sulla riva.
Qui si trovava casualmente il dio Pan, che esortò Psiche a smettere di piangere, a non pensare più di uccidersi, e piuttosto a darsi da fare per riconquistare Eros. 
Psiche allora si mise in cammino.
Per prima cosa si recò dalle sue sorelle, disse loro  che il suo sposo l'aveva lasciata per ciò che lei aveva fatto e, mentendo, fece credere a ciascuna di loro che ora Eros voleva in sposa proprio lei.
Così, una alla volta, entrambe le sorelle si recarono sulla rupe e da lì si lanciarono nel vuoto, convinte che Zefiro le avrebbe sollevate e condotte da Eros. Ma Zefiro non venne ed esse si sfracellarono tutt'e due sulle rocce.
Poi Psiche andò a chiedere aiuto alle dee Demetra ed Era, ma nessuna delle due glielo concesse per non inimicarsi Afrodite. Quest'ultima infatti aveva scoperto la relazione tra Psiche ed Eros (visto che lui, ustionato, era andato a rifugiarsi  proprio nel letto materno!) ed era incollerita con entrambi. Il figlio l'aveva già punito mettendolo  in isolamento in una camera ed ora voleva fare i conti anche con lei. 
Allora Psiche si recò spontaneamente da Afrodite per cercare di venire a patti con lei.
Ad accoglierla trovò una delle sue serve più crudeli, Consuetudine, che la ingiuriò e la maltrattò ben bene, prima di trascinarla per i capelli al cospetto della dea.

Afrodite, nel vederla, la coprì a sua volta di ingiurie, la fece torturare dalle sue perfide ancelle Affanno e Tristezza, la percosse, le stacciò le vesti, e alla fine di tutto questo - non sazia - le impose, uno dopo l'altro, quattro difficilissimi compiti, vere e proprie prove ai limiti dell'impossibile.
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Prima prova: Afrodite mescolò tra loro  un grosso quantitativo di semi misti (frumento, orzo, miglio, semi di papavero, ceci, lenticchie, fave) e ne fece un unico grande mucchio
Quindi ordinò a Psiche di dividerli per tipo e di farne tanti mucchi separati, ultimando il lavoro prima di sera.
Il compito sembrava impossibile, e infatti Psiche non tese neanche la mano per provare.
Per fortuna  intervenne in suo aiuto un’armata di formiche che separò ogni seme dagli altri, ad uno ad uno, andando poi a collocarlo nel rispettivo mucchio.
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Seconda prova: Afrodite  ordinò a Psiche di portarle un fiocco di lana del mantello d’oro di certi terribili arieti del sole che vagavano incustoditi in un bosco lungo il fiume: bestie immense, aggressive e con le corna, che lottavano tra loro.
Psiche si avvilì talmente che fu tentata un'altra volta di farla finita gettandosi nel fiume,  ma una canna che cresceva lì nell’acqua le suggerì come fare.
Doveva aspettare, le disse, il calar del sole, quando gli arieti si disperdevano e si addormentavano. Allora sarebbe potuta  uscire allo scoperto e raccogliere i fiocchi di la lana rimasti impigliati nei rovi contro cui le bestie si erano strofinate.  Psiche fece così e superò la seconda prova.
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Terza prova: Afrodite consegnò a Psiche un’ampolla di cristallo e le disse di riempirla con l’acqua di un fiume circolare, sorvegliato da draghi, la cui acqua sgorgava da una fonte in alto sulla montagna, poi andava fin giù negl’inferi per poi ritornare ancora alla fonte da cui sgorgava.  L’impresa paralizzò Psiche, tanto le sembrava  impossibile.
Ma venne  in suo soccorso un’aquila che prese la sua ampolla e gliela riempì, cosicché Psiche poté consegnarla ad Afrodite.
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Quarta prova: Infine Afrodite ordinò a Psiche di scendere negl’Inferi con uno scrigno e di chiedere per suo conto a Persefone di riempirlo con il suo unguento di bellezza.
Psiche credette che questo significasse dover morire, ma la stessa torre da cui stava per  gettarsi,  le dette tutte le istruzioni necessarie per portare a termine incolume il difficile compito.
Tra l'altro l'avvisò che per ben tre volte, durante il viaggio, persone supplichevoli avrebbero chiesto il suo aiuto, ma tutte le volte lei avrebbe dovuto resistere alla compassione e  non cedere alle loro richieste, altrimenti non ce l'avrebbe fatta.
Infine le raccomandò di non aprire per nessuna ragione lo scrigno prima di riconsegnarlo ad Afrodite.
Psiche eseguì alla lettera tutte le istruzioni ricevute dalla torre e così riuscì effettivamente ad andare e tornare dagli Inferi sana e salva, con il suo cofanetto riempito da Persefone.
Quando era ormai uscita alla luce del cielo, tuttavia, desiderò ardentemente possedere un po' della divina bellezza che trasportava, all'unico scopo di essere più bella agli occhi del suo amato. Allora aprì lo scrigno e, così facendo, fu investita da un sonno infernale, che la fece stramazzare al suolo come morta.
Eros frattanto, rinvigorito dal lungo riposo e ormai guarito, era riuscito  a liberarsi dalla camera dov'era rinchiuso.
Raggiunse quindi Psiche in volo e  la liberò dal suo sonno.
Poi corse da Zeus e lo convinse a lasciargliela sposare.
Zeus allora ordinò che fossero celebrate le nozze e, perché fossero davvero eterne, fece bere a Psiche un bicchiere di ambrosia che la rese immortale come gli dei.
Così Psiche ed Eros si sposarono e, quando venne il momento del parto, nacque da essi una figlia a cui fu dato il nome di Voluttà.
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Una cosa che potrebbe lasciarci perplessi, in questa seconda parte della storia di Eros e Psiche, è che per andare incontro all'Amore, Psiche debba superare tutta una serie di prove che apparentemente non hanno niente a che fare con il suo sposo, ma piuttosto hanno a che fare con se stessa, i suoi limiti e la sua difficoltà ad affrontare da sola le scelte e le sfide della vita.
Quasi a voler intendere che, prima ancora di poter costruire un buon rapporto con un'altra persona, ognuno di noi deve essere capace di costruire un buon rapporto principalmente con se stesso.
Questa fiaba può essere infatti interpretata come metafora del cammino dell'Anima umana verso la piena  consapevolezza di se stessa, ed anche, più specificamente,  come metafora del percorso evolutivo che la psiche femminile deve compiere per passare da uno stato di totale indifferenziazione ad un rapporto vero e maturo con il maschile, possibile solo se l'incontro avviene tra due individualità separate e distinte.
La meta di Psiche, insomma, sarebbe di unirsi al suo amato preservando  al tempo stesso la propria individualità, il che implica uscire dallo stato fusionale proprio della fase dell'innamoramento ed andare verso l'amore maturo, fatto di mutuo scambio (di esperienze, emozioni, pensieri, gesti concreti e simbolici) tra due persone separate e distinte (che non sono più un tutt'uno), e dove l'arricchimento reciproco intanto è possibile in quanto ciascuno possieda e alimenti dimensioni di personale ricchezza,  che può portare nella coppia e donare anche all'altro. 
Sembrerebbe questo del resto anche il punto d'arrivo di Psiche, a conclusione del suo tortuoso cammino costellato di prove.
Le supera tutte, per quanto apparentemente impossibili, ma poi alla fine, quando è ormai uscita anche dagli Inferi, viola inspiegabilmente il divieto di aprire il cofanetto della bellezza e cade nel sonno infernale.
Ha rovinato tutto giusto ora?
No, sembra dire la storia, ha fatto bene.
Tant'è vero che arriva anche il lieto fine.
Il gesto di Psiche di aprire il cofanetto non è stato infatti un atto di vanità o di semplice curiosità, ma un vero e proprio gesto d'amore: voleva essere bella agli occhi del suo amato.
Il che equivale a dire: donandoti me stessa, voglio donarti una bella persona, cioè una persona che si è coltivata ed è stata capace di portare alla luce il meglio di se stessa e quindi ha qualcosa di buono da donare anche a chi ama. Al tempo stesso, però, sono un essere umano e non una dea. Quindi, per quanto mi impegni, resto comunque fallibile (dal cofanetto è uscito ciò che non avevo previsto) e anche vulnerabile (posso cadere), ma proprio questo consente anche a te di fare la tua parte nella nostra storia affinché il nostro amore possa compiersi ed essere vitale. 
Come a dire che la conquista dell'Amore con la "A" maiuscola non può essere mai l'avventura solitaria di un solo membro della coppia. 
L'impegno è sempre reciproco (anche Eros ha dovuto fare il suo volo verso Psiche), ognuno dei due partner esiste individualmente con la sua storia (anche Eros ha avuto bisogno di un suo tempo per rinvigorirsi e per sanare le sue ferite), e ognuno dei due partner merita il pieno riconoscimento della propria individualità da parte dell'altro (Eros infatti sveglia Psiche, ed entrambi possono finalmente guardarsi in viso alla luce del sole e riconoscersi). 
E' solo a questo punto che avviene tra Eros e Psiche il matrimonio sacro, che li vedrà uniti al cospetto degli dei in pari dignità (Psiche diviene immortale come Eros), consentendo infine all'Amore Psichico di produrre gioia, piacere, felicità (viene al mondo Voluttà).
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Tutto questo, per noi comuni mortali, equivale un po' a dire che, se vogliamo accedere alle dimensioni più mature e produttive dell'Amore, dobbiamo far sì che la reciproca attrazione tra i partner si fondi sulla loro capacità di coniugare:
- lo stare bene insieme (nella costruzione del futuro, nel portare avanti la stessa visione della vita, nel supportarsi e sostenersi reciprocamente, ed in genere nel condividere aspetti salienti dell'esistenza)
- con una giusta distanza tra loro (che serve a preservare l'autonomia e  l'individualità di ciascuno dei due, consentendogli di essere pienamente se stesso pure insieme all'altro).  
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A volte, quando tutto ciò non avviene, la coppia può diventare il luogo della simbiosi, perché tende a perpetuare la dimensione fusionale dell'innamoramento ben oltre la prima fase del rapporto, rendendola una condizione duratura nella quale il me e il te restano imprigionati nel noi della coppia.
L'altro allora non è "l'altro da me da amare" ma è piuttosto "una parte di me", su cui  rivendico soprattutto  il possesso, anche a costo di togliergli la libertà e farne un mio prigioniero.
Tutto questo può togliere linfa vitale al rapporto e farlo diventare soffocante; può alimentare un clima di  gelosia possessiva e favorire l'esplosione della violenza nella coppia; può portare a un calo del desiderio tra i partner (perché l'attrazione richiede sempre un po' di distanza persino... tra due calamite) e può avere anche ricadute negative sui figli, che possono sentirsi esclusi e "non visti" dai genitori (perché, se tra mamma e papà non c'è spazio per nessuno, probabilmente non ce ne sarà nemmeno per loro).
Insomma, si potrebbe anche dire che se il viaggio di Psiche prende le mosse dall'intenzione di uccidere un mostro, forse il mostro che si nascondeva davvero nel buio dell'alcova incantata era proprio questo: la minaccia del rapporto fusionale-simbiotico che uccide l'individualità e non consente all'amore di crescere ed evolvere nella sua forma più matura e appagante.
Un mostro che dobbiamo riuscire ad uccidere,  prima che sia lui ad uccidere noi.

Detto questo, è pur vero che nei rapporti di coppia non sempre è facilissimo raggiungere un buon equilibrio tra il naturale desiderio di condividere con il partner tempo, emozioni, progetti, impegni, eventi, vita domestica, ed il bisogno di preservare la propria individualità, ritagliandosi spazi e tempi tutti per sé.
La condivisione dopotutto è alla base del legame, e andare verso se stessi a volte può sembrarci un vero e proprio attacco alla coppia o un torto fatto a chi non lo merita.
Così possiamo vivere un conflitto. 
Qualcuno magari lo risolve rinunciando agli spazi personali in nome della relazione, qualcuno a un certo punto esplode e manda all'aria la coppia, qualcun altro si scinde in una specie di doppia vita che lo porta a recitare la parte del bravo partner  nei momenti condivisi e a darsi  alla pazza gioia appena non è in coppia. 
Ora, se la chiave della felicità è un ferro sempre difficile da reperire in qualunque cassetta degli attrezzi, ci sono tuttavia tre strumenti che ogni tanto vengono consigliati dagli esperti a chi vuole stare bene in coppia e preservare nel contempo se stesso. Essi sono:
- la conoscenza di sé, che ci consente di avere chiarezza riguardo ai nostri bisogni e a ciò che è davvero importante per noi;
- la lealtà, che ci fa essere autentici e privi di maschere verso il nostro partner; 
- e la fermezza, che ci consente di non abbandonare per debolezza i nostri buoni propositi riguardo a ciò che ci siamo ripromessi di fare sia per il nostro bene sia per il bene della coppia.
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A chiunque sia interessato ad approfondire l'interpretazione psicologica della storia di Eros e Psiche, consiglio di leggere
il bellissimo libro di Erich Neumann, Amore e Psiche, edito da Astrolabioo anche - qui su internet - il pregevolissimo studio di Giulia Gentile, Con Eros e Psiche per le strade dell'Anima (clicca qui).
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Segnalo inoltre che proprio stasera a Napoli, nel Tunnel Borbonico, verrà messa in scena la fiaba di Eros e Psiche. (per maggiori informazioni clicca qui)
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Ed ora - dulcis in fundo - passiamo a una lettura (ispirata dal libro "Le dee dentro la donna", di Jean S. Bolen) delle quattro prove a  cui  Psiche fu sottoposta da Afrodite, immaginando che si tratti di altrettanti compiti richiesti ad una donna per preservare la propria individualità, quando ha la tendenza ad annullare se stessa come persona nelle relazioni, a causa del ruolo centrale che queste ultime rivestono nella sua vita. 
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Il primo compito, DIVIDERE I SEMI, è un invito alla donna a fare ordine laddove c'è confusione.
Può trattarsi per esempio di cominciare a separare ciò che per lei ha realmente valore nella vita da ciò che non ne ha, per impedire così a ciò che non conta di distogliere energie preziose da ciò che per lei è importante.
Può trattarsi però anche di un compito squisitamente interiore, che la donna deve assolvere: e cioè  guardarsi dentro e cercare di mettere ordine nel suo  groviglio di sentimenti, emozioni, pensieri e tendenze contrastanti.
Quanto alle formiche, esse sembrano contenere un invito a fidarci dei nostri processi intuitivi e a tollerare i momenti di confusione senza agire, fino a che la chiarezza non emergerà spontaneamente da dentro di noi.
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Il secondo compito, PRENDERE UN FIOCCO DI LANA DEL VELLO D'ORO, pone alla donna la questione di come conciliare la sua assertività con la sua femminilità . La conquista del potere e l'affermazione di sé, infatti, se attuati attraverso una lotta aggressiva come su un  campo di battaglia, possono rendere una donna perdente nelle sue lotte, e metterla semplicemente in una luce dura e distruttiva, agli occhi degli altri, senza reali vantaggi.
Affermare i propri bisogni con interminabili confronti aggressivi non le garantisce infatti né che i suoi discorsi vengano ascoltati né che alla fine essa ottenga realmente ciò che vuole.
Meglio allora fare come suggerisce la flessibile canna a Psiche:  attendere il momento giusto,  conquistare il potere gradualmente e per vie traverse, ed affermare se stesse senza scontri diretti.
Riuscire in questa difficilissima impresa, può consentire a una donna di restare una persona tenera e comprensiva (e quindi molto femminile) ma al tempo stesso di preservare se stessa nella relazione con gli altri e non farsi schiacciare.
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Il terzo compito, RIEMPIRE L'AMPOLLA DI CRISTALLO CON L'ACQUA DEL FIUME CIRCOLAREpone alla donna la questione di come immergersi nel flusso della vita senza lasciarsi travolgere, e  riuscire alla fine a dare alla propria vita una forma che per lei sia significativa.
L'aquila che interviene in suo aiuto rappresenta la capacità di guardare le cose da una prospettiva distante (l'unico modo per avere una visione panoramica della propria vita), fino a comprendere su cosa vale davvero la pena di puntare, e a quel punto piombare giù con decisione e andare diritta all'obiettivo. 
Questo modo di fare può risultare difficilissimo quando una donna è molto coinvolta emotivamente nelle situazioni e nelle relazioni, e si trova a nuotare annaspando tra le emozioni, i cambiamenti e le perturbazioni dell'esistenza.
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Il quarto compito, IMPARARE A DIRE DI NO (come Psiche che deve chiudere il cuore alla compassione per tre volte, ignorando le richieste dei bisognosi che incontra per via), è uno dei compiti più difficili per le donne che vivono le relazioni (in genere) come aspetti centrali della loro vita. 
Molto spesso infatti esse si lasciano distogliere dai comportamenti necessari per raggiungere le loro mete, perché danno la precedenza alle mille esigenze e richieste altrui (non solo del partner, ma anche dei figli, dei genitori, degli amici, dei colleghi...).
Il non cedere alla compassione diventa quindi per loro una prova di fermezza del carattere.
Qui non si tratta di affrontare una belva o di resistere a una qualche tortura, ma semplicemente di trovare la forza di dire no, per non essere sempre in balia degli altri, delle loro esigenze, delle loro scelte, fino al punto da non avere più energie né tempo per coltivare le cose importanti per sé e per il raggiungimento dei propri obiettivi. 
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10) La "sacra casalinghitudine": un incontro con Estia
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lunedì 20 ottobre 2014

Mitologia e psicologia. 8) Eros e Psiche: una Psico-storia d'Amore - PARTE PRIMA

Un re e una regina avevano tre figlie: due molto belle e una terza bellissima.
Quest’ultima si chiamava Psiche. Di lei si diceva che fosse una seconda Afrodite e  alcuni presero ad onorarla proprio come una dea.
La cosa suscitò la collera della vera Afrodite, che decise di punire la ragazza ordinando a suo figlio Eros (Amore, Cupido) di farla innamorare dell'uomo più orribile del mondo.
Frattanto Psiche stentava  a trovare marito.
Le sue sorelle infatti si erano accasate facilmente, mentre lei no, perché nessun uomo desiderava prendere in moglie una specie di dea.
Allora suo padre consultò l'oracolo di Apollo per conoscere la sorte di sua figlia e il  responso fu che Psiche, per trovare il suo sposo, doveva recarsi in cima a una rupe. Il re però non doveva aspettarsi un genero di stirpe mortale:  Psiche infatti era destinata in moglie ad un crudele essere alato, che tormentava e feriva tutti con ferro e fiamma e faceva tremare persino i numi e lo stesso Zeus.
Mentre tutti si disperavano per lei,  pensandola destinata a nozze di morte con un terribile mostro, Psiche accettò docilmente la sua sorte e si recò sulla rupe.
Quando Eros la vide, ne restò talmente affascinato che, disobbedendo a sua madre, decise di tenere la fanciulla per sé. Incaricò allora Zefiro di sollevarla con dolci soffi di vento e di condurla così al suo palazzo.

Quando Psiche giunse nella splendida reggia di Eros, fu accolta da ancelle  invisibili che si manifestarono a lei sotto forma di voci e che la misero a suo agio,  servendola e riverendola.
Giunta la notte, arrivò a palazzo Eros che giacque con lei nell’oscurità e andò via prima dello spuntar del sole.
Le cose andarono così per vari giorni.
Tutti gli incontri tra Psiche e il suo sposo avvenivano nell’oscurità e lui, per quanto amorevole con lei, le aveva proibito qualunque tentativo di conoscere il suo volto.
In questa situazione così fuori dell’ordinario, Psiche era  stranamente felice: amava infatti il suo sposo sconosciuto e viveva la magica unione con lui in condizioni di perfetta beatitudine. 
Tutto sarebbe proseguito per il meglio, se un giorno Psiche non avesse desiderato di rivedere le sue sorelle.
Eros cercò di dissuaderla dal suo intento, ma senza successo. L’ammonì dicendole di non lasciarsi indurre dalle sorelle a violare i patti del loro amore, perché ciò ne  avrebbe determinato la fine. Le annunciò inoltre che portava in grembo un figlio: egli sarebbe stato un essere divino, se lei avesse custodito i loro segreti, ma mortale, se li avesse violati.
Quando le sorelle giunsero a palazzo e constatarono la felicità di Psiche, furono  colte da un’invidia tremenda, giacché, sposatesi entrambe solo  per ragioni d’interesse, non avevano tratto nessuna gioia dai loro matrimoni e nemmeno avevano ottenuto tutti gli agi della sorella.
Incalzarono quindi Psiche di domande fino a farle ammettere di non sapere chi fosse realmente il suo sposo. Le dissero allora che si trattava probabilmente di un mostro,  come tutti in effetti dicevano, e la convinsero ad ucciderlo prima che lui uccidesse lei, e poi fare ritorno alla casa paterna.
Fu così che una notte Psiche, mentre Eros dormiva, gli andò vicino con una lampada e un rasoio per poterlo guardare in faccia e poi tagliargli la gola.
Ma appena fece luce su di lui e se lo vide di fronte in tutta la sua bellezza, lasciò cadere il rasoio e, nella concitazione,  si punse inavvertitamente con una delle sue frecce.
A quel punto, sentendosi più che mai colma d’amore per lui, si chinò per baciarlo ma, nel fare ciò, una stilla d’olio ardente fuoriuscì dalla lanterna e  cadde sull’omero destro di Eros.
Egli allora scottato si svegliò e subito si allontanò da lei, che inutilmente cercò di trattenerlo, aggrappandosi ad una  sua gamba.
Eros  le ricordò che lui aveva disobbedito a sua madre per amor di lei, mentre lei aveva violato i patti del loro  amore per dare ascolto alle sue sorelle. Quelle due avrebbero pagato amaramente per ciò che avevano fatto. Quanto a Psiche, le sarebbe bastata come punizione perdere il suo sposo.
E detto ciò, levò le ali in alto e volò via.
Fine della prima parte (continua in un prossimo
post)

Una cosa che mi ha sempre divertito, nella versione originale della fiaba di Amore e Psiche - quella narrata da Apuleio nelle Metamorfosi (o L'Asino d'oro) -  è come Cupido, cioè Eros, Amore, di solito rappresentato come una specie di grazioso angioletto con arco e frecce, sia lì descritto come un essere  temutissimo da tutti, persino dagli altri dei e dagli elementi della natura. Zeus ed Afrodite per esempio (che per Apuleio beninteso sono Giove e Venere)  borbottano e imprecano coloritamente contro il giovanissimo dio, per essere stati tante volte bersaglio delle sue frecce, e  lo stesso oracolo d' Apollo parla appunto di lui come di un crudele essere alato che fa tremare tutti, creando così l'equivoco che Psiche sia destinata a un mostro.
La storia di cui parliamo oggi, per una volta, considera Cupido come bersaglio di se stesso: narra infatti della sua personale storia d'amore, con le relative peripezie.
Come a dire che nessuno la passa mai completamente liscia, nelle questioni di cuore, nemmeno se è un grande esperto, come appunto Cupido.  O come a dire: parliamo per una volta dell'amore di Amore, cioè dell'amore con la "A" maiuscola (è solo una favola o  esiste davvero?). 
Chiunque nella sua vita si sia innamorato e sia stato ricambiato, probabilmente riconoscerà qualcosa di familiare nella storia di Eros e Psiche, almeno nella sua prima parte. 
Il loro amore nasce grazie al fatto che Psiche obbedisce al responso dell'oracolo e quindi lascia che il destino operi in lei secondo le sue leggi. E già qui sembriamo proprio noi quando abbiamo la sensazione che un certo incontro della nostra vita non sia stato per niente casuale ("Era scritto da qualche parte che noi due dovevamo incontrarci!").
Come Psiche anche noi, se ci apriamo all'amore, accettiamo di dare inizio ad un viaggio che si preannuncia rischioso e pieno d'incognite:  la partenza di Psiche avviene infatti dalla cima di una rupe, come a dire che, se qualcosa non va per il verso giusto, possiamo anche... sfracellarci. 
Quando arriva Zefiro, sotto forma di vento che spira e la solleva da terra, Psiche si lascia andare e gli si affida, proprio come facciamo noi quando, lasciandoci  trasportare dall'ispirazione del momento, ci lanciamo nell'avventura e... sia quel che sia.
Il contesto familiare magari non sempre è ispirato come noi da faccende del genere. Il pretendente estraneo, che minaccia di portar via la diletta figliola,  potrebbe non essere visto di buon occhio da mamma e papa (e infatti è un mostro per il re e la regina); nell'aria può aleggiare come un cattivo presagio (il responso dell'oracolo), perché ci sarà una separazione, cioè una perdita per la famiglia, oppure una deflorazione, cioè una fanciulla simbolicamente morirà per diventare una donna (metafora delle nozze di morte). D'altra parte anche nella famiglia di là, quella dello sposo, potrebbe non esserci il migliore dei climi; Apuleio ci presenta infatti una mamma-suocera Afrodite che mal tollera l'arrivo di una rivale nel cuore di suo figlio: come a dire che per ogni donna che ambisce all'altare potrebbe esserci una dea che rivendica l'altare per il suo culto. 
Ad ogni modo Psiche viene premiata per il suo comportamento, tant'è vero che non si sfracella cadendo dalla rupe, bensì approda dolcemente  al palazzo di Eros, cioè in un territorio dell'esistenza fuori dall'ordinario.
Ed eccoci arrivati anche noi nella dimensione di sogno dell'innamoramento, dove  tutto ci appare perfetto come in una magnifica reggia incantata, in cui esistiamo solo noi e il nostro partner, mentre tutto il resto del mondo resta chiuso fuori.
L'esperienza è  talmente potente da darci la sensazione che basti semplicemente stare insieme per essere felici, che la semplice unione con l'altro appaghi ogni nostro bisogno (come se servi invisibili pensassero a tutto) e che non occorra nient'altro, nessuna necessità di impegnarsi per far funzionare le cose.
C'è chi dice che, benché non ce ne ricordiamo, potremmo essere stati così beati anche ai tempi in cui eravamo un tutt'uno con nostra madre (embrioni nel suo grembo) o credevamo di essere un tutt'uno con lei (lattanti tra le sue braccia);  forse anche allora abbiamo sperimentato la magia dell'appagamento di ogni nostro bisogno per il solo  fatto di essere uniti a qualcun altro (anche se poi, certo, la vita ci ha separati e ci ha costretti bene o male a crescere, ma intanto chissà che sotto sotto non coviamo sempre un po' di nostalgia per quel paradiso perduto...).
Finché sono alla reggia, Eros e Psiche si amano al buio, non si vedono per come realmente sono, il loro amore (e anche il nostro, in questa fase) è fatto di forti componenti sensuali e istintive e non lascia molto spazio al piano di realtà.
Mai come in questa fase, insomma, l'amore può dirsi veramente cieco: il partner ci sembra un dio (al pari di Eros) o simile a una dea (come Psiche), in lui non troviamo né difetti né limiti e, se pure ne troviamo, ci fanno tenerezza e simpatia (quant'è carino il lato umano degli dei!). 
E' chiaro che si tratta di una meravigliosa dimensione illusoria, che  oltre un certo tempo non può reggere. Prima o poi, infatti, la realtà irrompe sulla scena con tutta la sua pochezza e porta inevitabilmente scompiglio nella reggia. 
Infatti ecco arrivare dal mondo reale le due perfide sorelle di Psiche, che la mettono in guardia contro l'illusione in cui sta vivendo e la incitano a guardare in faccia la realtà (vedere il vero volto dello sposo, conoscere il partner per quello che davvero è). 
Psiche dà loro ascolto e con l'immaginabile sofferenza esce dalla sua illusione. 

Le sue sorelle le hanno detto che troverà nel suo letto un mostro. Le hanno presentato cioè il più probabile degli scenari, quello che tutti prevedono e che forse il più delle volte avviene anche nella realtà. Il nostro magnifico partner sconosciuto si rivela improvvisamente pieno di difetti, diverso da noi in tante cose, addirittura critico verso di noi per i nostri difetti (ma si è guardato bene?) e così scende dal piedistallo e perde la sua aura divina.
La delusione può essere talmente cocente che in certi casi la storia finisce proprio qui. Il nostro partner non è ciò che noi pensavamo, noi non siamo ciò che pensava il nostro partner, meglio togliere tutto di mezzo e amen. 
Del resto le sorelle suggeriscono proprio questo a Psiche: di chiudere la relazione, di ammazzare il mostro. E per la verità aggiungono anche il consiglio di tornare in famiglia, cioè una bella  mossa regressiva che Psiche però non attuerà (a differenza del suo sposo che - come poi vedremo -  dopo la delusione, andrà a curarsi la scottatura proprio nel letto di sua madre...). 
Ma uscire dall'illusione deve segnare necessariamente la fine di un amore? Non si può arrivare a dire (da disillusi, ma non delusi): "Ti amo per quello che sei, anche se non m'illudo più che tu sia qualcosa di diverso da ciò che effettivamente sei"?
La storia sembra dire proprio di sì perché, quando Psiche fa luce nell'alcova e guarda in faccia il suo sposo, lo ama ancora di più (aggiunge altro amore al suo amore, giacché si punge con una freccia di Cupido). 
Come a dire che per amare davvero una persona (cioè quella specifica  persona e non solo l'ebbrezza dell'innamoramento che ci ha fatto vivere) bisogna riuscire a vederla, conoscerla e accettarla con i suoi  pregi, i suoi difetti, e la sua vulnerabilità.
Quando Psiche viola i patti della coppia, Eros a sua volta si sveglia,  esce cioè a sua volta dall'illusione. Il cambiamento di uno dei due  partner rispetto alla relazione ha le sue inevitabili ripercussioni anche sull'altro.
Eros però non accetta l'uscita dall'illusione allo stesso modo di Psiche.
La fiaba ci dice che ne è rimasto talmente scottato, da decidere di chiudere la relazione.
L'olio della lucerna l'ha infatti ustionato (la delusione è stata proprio  cocente); la sua sposa si è rivelata d'un tratto traditrice e assassina (il vero mostro era lei!). 
Troppo da sopportare, persino per il dio Amore... 
Tant'è che alza le ali e prende il volo.
***
Come andrà a finire questa storia? 
Come sono andate a finire (o andranno a finire, o potrebbero andare a finire) le nostre storie?
Ne riparleremo nel prossimo post ("9) Eros e Psiche - Parte seconda").
Ciò di cui invece non parleremo la prossima volta, perché non c'entrerà con i discorsi che faremo lì, ma c'entra abbastanza con quelli fatti qui, è un tipo d'amore che di recente, per così dire, imperversa: l'amore virtuale, on-line, via chat, nato su Facebook e dintorni.
Ne sappiamo qualcosa?
Sia che ne sappiamo qualcosa per via indiretta, sia che ne sappiamo qualcosa per via diretta, forse ci saremo resi conto che la metafora di Eros e Psiche che si amano nel buio in questi casi può essere  quanto mai calzante. La dimensione illusoria trova un terreno particolarmente favorevole nell'amore virtuale, che ne amplifica l'inganno. E' l'amore al buio per eccellenza, dove sul niente si possono costruire i castelli e dove il rischio della delusione può essere davvero grande. 
Apuleio tutto questo beninteso non lo sapeva e non se lo poteva nemmeno immaginare, per cui, come si dice, ogni suo riferimento a fatti e persone realmente esistiti sarà stato... puramente casuale.
Vai alla PARTE SECONDA


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mercoledì 6 agosto 2014

Mitologia e psicologia. 7) Aspetti femminili nel maschile, aspetti maschili nel femminile. Adone: quando è l'uomo a perdere se stesso nelle relazioni


Finora le divinità dell'antica Grecia considerate su questo blog, nella sezione "Mitologia e psicologia", sono state tutte di sesso femminile.
Si è trattato più che altro di una scelta di tipo organizzativo, e conto di estendere un po' alla volta il discorso anche alle divinità maschili. 
Intanto però vorrei fare una precisazione, e cioè che non è detto che gli aspetti caratteristici di una dea, solo perché si tratta di una divinità  femminile, non possano essere presenti in certe dosi anche in un uomo. E così viceversa, nel senso che anche in una donna possiamo trovare alcuni aspetti della personalità considerati di solito tipicamente maschili. 
Lungi dall'essere monoliticamente maschio o femmina, ognuno di noi può riconoscere in se stesso la presenza di attributi tipici di varie divinità, che non sono necessariamente tutte del proprio stesso sesso.
Si pensi, per esempio, ai molti uomini che al giorno d'oggi vivono la propria genitorialità con uno stile più simile a quello di  Demetra che a quello di Zeus, perché sono padri caldi, empatici ed accudenti verso i figli (e un po' materni insomma), senza che ciò implichi una messa in discussione della loro  virilità e delle loro caratteristiche maschili in genere su altri fronti.
Questo giusto per dire che il discorso condotto finora sulle dee può interessare anche gli uomini e non solo per comprendere meglio le donne, ma per comprendere meglio anche se stessi.
L'ultima dea da noi considerata, in ordine di tempo, è stata Persefone, la cui qualità saliente può considerarsi la cosiddetta "ricettività" cioè, in estrema sintesi, la capacità di ricevere ciò che gli altri hanno da dare.
Tradizionalmente la ricettività è considerata una proprietà del "principio femminile" (del principio Yin, per intenderci,  e non delle donne come persone) e in sé e per sé non è una qualità né buona né cattiva. 
Tuttavia, come abbiamo visto nel post dedicato a Persefone, essa può diventare dannosa se degenera fino al punto da rendere una persona  succuba degli altri, in balia di ciò che le danno, le fanno, eccetera; insomma fino a condurla a perdere se stessa nelle relazioni.
A questo rischio non sono esposte solo le donne.
Anche gli uomini lo corrono, benché ciò sembri confliggere con l'idea tradizionale della mascolinità, a cui si attribuiscono abitualmente proprietà quali l'essere attivo (anziché  passivo) e indipendente (anziché dipendente).
Queste ultime tuttavia sono proprietà tipiche del "principio maschile" (nel senso di Yang), ma non necessariamente anche degli uomini, intesi come persone.
Ed è ciò che il mito di Adone, che ora passiamo ad esaminare, sembra appunto confermare.
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Un giorno Afrodite mandò a Persefone, giù negli Inferi,  una cassa di legno perché la custodisse. 
Nella cassa c'era Adone, un giovinetto di sfolgorante bellezza di cui Afrodite s'era innamorata.
Quando Persefone aprì la cassa fu anch'essa colpita dalla bellezza del ragazzo e decise di tenerlo per sé.
Scoppiò allora una lite furibonda tra le due dee, che si contendevano il possesso di Adone, proprio come un tempo Demetra e Ade si erano contesi il possesso di Persefone.
Zeus allora fu chiamato a decidere e stabilì che Adone sarebbe stato un terzo dell'anno con Persefone, un terzo dell'anno con Afrodite e un terzo dell'anno per conto suo.
Ma Afrodite indossò una cintura che la rendeva sessualmente irresistibile e fu così che Adone decise di dedicare a lei anche il tempo in cui poteva disporre liberamente di se stesso.
Quando Persefone venne a saperlo, andò su tutte le furie.
Riferì allora l'accaduto ad Ares che, mosso a sua volta dalla gelosia per Afrodite, si trasformò in cinghiale ed incornò Adone all'inguine, uccidendolo.
Dal sangue del ragazzo sparso al suolo crebbero gli anemoni, a cui il mito di Adone resta associato.

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Le affinità tra la vicenda di Persefone (clicca qui) e quella di Adone sono di tutta evidenza.
Molte cose dette a proposito della dea e del suo modo di vivere le relazioni affettive valgono, con i dovuti adeguamenti, anche qui e non starò a ripeterle.
Nel caso di Adone, è certamente molto significativo l'atteggiamento di Zeus che, con la sua sentenza, ritenne equo (da maschile a maschile) riservare al giovinetto un tempo tutto per sé, e quindi rispettare un suo ambito di autonomia, sottraendolo alle brame delle due dee in contesa. 
Com'è significativo, per contrasto, il fatto che Zeus non sembrò porsi lo stesso problema quando erano  in gioco le sorti di sua figlia Persefone (quasi a voler sottolineare come la mentalità patriarcale tendesse, per tradizione, a favorire più  l'autonomia dei figli maschi  che quella delle figlie femmine).
Il fatto poi che Adone sia stato così  irresistibilmente attratto da Afrodite da rinunciare per lei alla sua autonomia, suggerisce altre tre brevi riflessioni, e cioè:
  • primo, che forse non bastano le sole decisioni di Zeus (e quindi le attese della cultura e del contesto sociale) a donare ad un uomo l'autonomia di pensiero, di sentimento e di azione che gli consentano di vivere se stesso come essere separato e indipendente, dentro e fuori dalle relazioni; è necessario a tal fine che si compia  un processo di maturazione e di crescita (che Adone non attua, perché resta un giovinetto fino alla fine: infatti muore giovane e non fa in tempo a maturare);
  • secondo, che in questa contesa tra Persefone e Afrodite, Afrodite per vincere usa l'inganno (la cintura magica), e Persefone si vendica con una mossa mortifera, il tutto come a voler sottolineare l'aspetto ingannevole e di profondo tradimento che si attua ai danni di un oggetto d'amore quando amarlo significa semplicemente volerlo catturare, possedere e farne un prigioniero che non scappi ("tu sei mio e ti voglio avere", anziché "la relazione con te è mia e la voglio coltivare");
  • terzo, che alla fine un amore siffatto può avere qualità mortifere e castranti. Come conseguenza dell'annullamento di sé per amore di Afrodite, Adone va incontro alla morte. Il cinghiale-Ares gli si avventa contro e lo trafigge, colpendolo peraltro proprio all'inguine, come appunto a castrarlo.
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"In contrasto con l’unione simbiotica, l’amore maturo significa unione a condizione di preservare la propria integrità, la propria individualità." (Erich Fromm)
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domenica 9 febbraio 2014

E della rabbia, che me ne faccio?






Care Signore,
Vi piacerebbe essere così?
Vi siete mai sentite così?
Vi hanno mai fatte sentire così?

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Non sono poche le donne che temono di poter somigliare a Medusa, quando si arrabbiano.
Tra avere un diavolo per capello e avere una capigliatura di serpenti, non corre poi tanta differenza.
E così anche il potere distruttivo della  nostra collera, quando si manifesta in maniera violenta, somiglia tanto alla distruttività dello sguardo di Medusa, capace di pietrificare ogni essere vivente, e così di distruggere le relazioni.
Medusa simboleggia un femminile negativo e distruttivo, che può venir fuori anche da una donna stupenda, sotto l'effetto dell'ira.
E non a caso la leggenda vuole che fu proprio l'ira di una dea, Atena, a trasformare la povera Medusa, da fascinosa a mostruosa. Il che aggiunge un altro elemento alla nostra metafora, suggerendo cioè che una vera dea (come una vera signora), quando si arrabbia, non può tollerare di avere in sé gli aspetti brutti, distruttivi e poco dignitosi che una tale emozione tira fuori ed abbia bisogno di sbarazzarsene al più presto, per non vederli e non sentirli.
Atena  infatti fa proprio così: li colloca fuori di sé e li carica su Medusa; da una parte c'è il mostro e dall'altra la dea; da una parte la  rabbia terribile, vergognosa e inaccettabile, dall'altra la bellezza, la dignità e lo stile.
Nel suo libro The Heart of Religion, Phiroz Mehta, dice:
"La prima reazione di fronte a uno stato spiacevole e negativo è quella di sbarazzarsene.
Posso tentare di dimenticare o ignorare, di sopprimerlo o fuggirlo: per disperazione posso anche tentare di distruggerne la causa. Invece devo essere pienamente osservante e spassionato ed assorbirlo con delicatezza nella mia psiche, così da consentire che il mio male si trasformi in comprensione."
Questo significa che, per fare i conti con la nostra rabbia, dobbiamo innanzitutto riconoscerla, tollerare il disagio che ci provoca, e accettarla così com'è, senza agirla d'impulso e senza cercare di sbarazzarcene quanto prima.
Il che non significa inghiottirla, bensì entrare in uno stato che ci consenta di padroneggiarla, di utilizzare cioè  la sua carica energetica per cambiare la situazione che stiamo vivendo,  per dire ciò che è appropriato dire, e fare ciò che è giusto fare, in quella circostanza.
Questo significa non cadere né nella passività impaurita (inghiottire) né  nella reattività impulsiva (che, sotto sotto, ha molto a che fare, anch'essa, con la paura).
Significa trasformare la nostra istintiva aggressività  in assertività, dove l'aggressività è un atteggiamento che dice "io sono contro di te", mente l'assertività è affermare con decisione (e all'occorrenza a gran voce) semplicemente "io sono" (e quindi ho il diritto di esistere e di essere rispettato con le mie caratteristiche, i miei bisogni, i miei valori, la mia dignità, i miei desideri, la mia ricerca di benessere).
Ed ora una storia indiana, metafora di tutto ciò, e a seguire la soluzione accolta alla fine anche dalla saggia Atena.
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Tanti anni fa - facciamo mille - in una terra lontana, diciamo in India, c'era un villaggio con un grosso problema: un enorme serpente velenoso minacciava e terrorizzava la popolazione ed aveva  già fatto  parecchie vittime.
Un giorno passò per il villaggio un sant'uomo, di quelli capaci di governare le forze della natura e di parlare con gli animali, e la gente chiese il suo aiuto.
Egli allora parlò al serpente, che da quel giorno divenne mansueto e inoffensivo.
Dopo qualche tempo, il sant'uomo tornò al villaggio ed apprese che il serpente se la passava molto male, perché la gente gliene faceva di tutti i colori: gli tirava sassi, lo trascinava per la coda, lo derideva e lo umiliava.
Allora il sant'uomo andò nuovamente dal serpente e gli disse: "Io ti avevo invitato a non fare del male agli altri, ma non ti avevo detto di non sibilare..."
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Se nella leggenda indiana l'assertività è simboleggiata dal serpente che sibila, pur non uccidendo, anche la mitologia greca offre un'immagine simbolica che sembra comporre il conflitto tra i due aspetti della femminilità rappresentati da Medusa e Atena.
Quando Medusa infatti viene decapitata da Perseo, la sua testa - ancora minacciosa - viene donata, dopo varie peripezie, dall'eroe ad Atena.
La dea non solo accetta il dono (e una testa decapitata non è certo un mazzo di rose...), ma pone la testa di Medusa sulla sua egida, che diviene così uno strumento di difesa ancora più potente.
La dea, in tal modo, conserva la sua divina dignità, ma al tempo stesso si riappropria dei suoi aspetti-Medusa, prima rifiutati, accettandoli e mettendoli al servizio delle sue parti elette.
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