Visualizzazione post con etichetta Emozioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Emozioni. Mostra tutti i post

domenica 24 novembre 2024

Mini-pratica del respiro quadrato. Première su TouTube



Appuntamento domenica 24 novembre alle 10:30 su YouTube per la première della Mini-pratica del respiro quadrato.

Puoi seguire la pratica anche il differita al link https://youtu.be/Md8yIqLVyZE?si=uQccdI_D6oQTXVLS

✴️ Questa pratica ci aiuta a trovare un’ancora nel nostro respiro capace di tenerci saldamente nel presente in una condizione di maggiore calma, maggiore quiete della mente, del corpo, del cuore.

✴️ Essa consiste nel modulare il nostro respiro come se seguissimo il perimetro di un quadrato immaginario, dove si percorre un lato con l’inspirazione, il lato successivo con una pausa, il terzo lato con l’espirazione, il quarto lato con un’altra pausa.

✴️ Per cominciare ci avvicineremo alla pratica come se si trattasse di una pratica formale, scegliendo un luogo tranquillo e riservato e assumendo la posizione seduta sulla sedia oppure sul cuscino o sul panchetto da meditazione.

✴️ In un secondo tempo, quando la pratica ci sarà ormai familiare, potremo farla anche ad occhi aperti e senza voce guida in qualunque situazione della vita ordinaria.




               
   

venerdì 5 agosto 2022

Pratica con le sensazioni di pancia. Dal 7 agosto su YouTube


Appuntamento su 

domenica 7 agosto alle 10:00
 per la première della
Pratica con le sensazioni di pancia
Ecco il link a cui collegarsi per seguire la pratica
sia durante la première sia in seguito:

***

Il linguaggio popolare è pieno di allusioni psicosomatiche allo stomaco e in genere alla pancia: 
"Quella faccenda non l'ho ancora digerita", 
"Ho dovuto ingoiare un boccone amaro", 
"Quella persona mi dà la nausea", 
"Ci vuole un bello stomaco per fare certe cose",
"Se le cose si mettono male saranno dolori di pancia",
"Quel tale se la sta facendo addosso dalla paura".
Il corpo può essere il nostro barometro emotivo, dirci che tempo fa nella nostra vita. 
A volte ce lo può dire con un disagio nello stomaco, nelle viscere o con altre manifestazioni sensoriali in queste o altre regioni del nostro corpo.
Le pratiche di mindfulness psicosomatica sono pratiche di consapevolezza corporea ed emotiva, una strada per avvicinarci alla saggezza del nostro corpo, ascoltarlo, imparare a conoscere il suo linguaggio e fare tesoro dei suoi segnali, anche quando si esprimono sotto forma di disagio. 
A volte nel disagio corporeo si annidano emozioni bloccate, represse, allontanate dalla coscienza.
Aprirci all'ascolto del corpo è aprirci alla nostra realtà e fare tesoro di una conoscenza profonda di noi stessi. 
A volte dal semplice ascolto puntuale e premuroso del nostro corpo e dei suoi messaggi, qualcosa comincia a fluire più liberamente, le nostre emozioni, il nostro respiro, le nostre lacrime. Ci riappropriamo del contatto con la nostra verità, quale che sia. E quando ciò avviene il corpo lo sa e qualcosa comincia a cambiare.


sabato 4 giugno 2022

Meditazione sulla paura di sbagliare. Première su YouTube Domenica 5 giugno alle 10:00




Appuntamento su 

domenica 5 giugno alle 10:00
 per la première della
Meditazione sulla paura di sbagliare
Ecco il link a cui collegarsi per seguire la pratica
 anche in differita:
https://youtu.be/aXOVvDLmBeU

***

Se esistono addirittura i proverbi latini a ricordarci che nessuno è perfetto e che errare è umano, è segno che il rischio di sbagliare c’è sempre e da sempre, e che dobbiamo metterlo in conto, per il semplice fatto che siamo esseri umani e non divinità.

Questo non significa non sforzarci a fare del nostro meglio o non assumerci la responsabilità (oltre che il merito) delle nostre scelte e delle nostre azioni, ma solo provare ad accettare che anche noi, come tutti, abbiamo i nostri limiti oltre alle nostre buone qualità e che possiamo fare del nostro meglio… ma niente di più.

sabato 23 aprile 2022

Pratica con le sensazioni nella gola e nel cuore. Dal 24 aprile su YouTube



Appuntamento su 

domenica 24 aprile alle 12:00
 per la première della
Pratica con le sensazioni nella gola e nel cuore
Ecco il link a cui collegarsi per seguire la pratica
sia durante la première sia in seguito:

 https://youtu.be/2ypyr5Vs9QA

***
Le pratiche di mindfulness psicosomatica sono pratiche di consapevolezza corporea ed emotiva, una strada per avvicinarci alla saggezza del nostro corpo, ascoltarlo, imparare a conoscere il suo linguaggio e fare tesoro dei suoi segnali, anche quando si esprimono sotto forma di disagio. 
Il corpo può essere il nostro barometro emotivo, dirci che tempo fa nella nostra vita. 
A volte ce lo può dire magari con un senso di nodo alla gola, o di peso sul cuore o con altre manifestazioni sensoriali in queste (o altre) regioni del nostro corpo che non trovano una spiegazione in particolari cause organiche.
La questione allora non è tanto quella di sbarazzarci in fretta di questi disagi, ma di considerarli appunto come segnali e tenerne conto per orientarci su come procedere nella vita per ripristinare un equilibrio sano tra le istanze a volte confliggenti di mente, corpo e cuore.
A volte nel disagio corporeo si annidano emozioni bloccate, represse, allontanate dalla coscienza. Aprirci all'ascolto del corpo è aprirci alla nostra realtà e fare tesoro di una conoscenza profonda di noi stessi. A volte dal semplice ascolto puntuale e premuroso del nostro corpo e dei suoi messaggi, qualcosa comincia a fluire più liberamente, le nostre emozioni, il nostro respiro, le nostre lacrime. Ci riappropriamo del contatto con la nostra verità, quale che sia. E quando ciò avviene il corpo lo sa e qualcosa comincia a cambiare.

***






domenica 25 ottobre 2020

Mindfulness: lavorare con l'invidia. Una meditazione per prenderci cura di un sentimento difficile

Oggi propongo una meditazione guidata, utile per lavorare con un sentimento difficile, come l'invidia, affinché possiamo prendercene cura, grazie al potere trasformativo della mindfulness, della compassione e dell'intenzione di mettere semi diversi, i semi benefici della gioia per la gioia altrui, nello stesso campo in cui ora cresce il sentimento opposto, la sofferenza per la gioia altrui
Qui il link alla meditazione guidata su YouTube: 
https://youtu.be/hIvb6eF1pEg
e, a seguire, un breve commento alla pratica.

L'invidia, la sofferenza che ci viene dal bene di un'altra persona, è un sentimento pesante da portare e anche problematico da riconoscere e accettare, quando arriva.
È un sentimento che può attirare biasimo da parte degli altri e anche da parte di noi stessi, della nostra voce critica interiore. È bollata come vizio capitale, sa di Inferno dantesco.
L'invidia può suggerirci pensieri che non vorremmo mai fare, contrari ai nostri valori, ai nostri principi, in contrasto con l'affetto stesso che nutriamo verso una certa persona.
Insomma può metterci in forte imbarazzo.
A volte proprio per questo ci rifiutiamo di vederla, quando arriva, la nascondiamo anche a noi stessi, la neghiamo, facciamo finta che non ci sia. Vorremmo tanto che non ci fosse, infatti. Ma quando c'è c'è e come disse qualcuno - forse Tolkien - non è tanto saggio far finta che non esistano i draghi, quando ne hai uno che ti dorme accanto nel letto.
Riconoscere l'invidia, quando emerge, può essere infatti estremamente utile, perché è solo così che possiamo prendercene cura, trattandola per quello che è: una forma di sofferenza.
Questo non significa compiacersene o minimizzarla, ma piuttosto consentirsi di osservarla con calma, notare come agisce dentro di noi, come si manifesta nel corpo, che tipo di pensieri tende a portare, verso quali comportamenti spinge. Significa in un certo senso dismettere i panni del protagonista della storia (il personaggio dell'invidioso) e assumere quelli dello spettatore, che esplora con interesse com'è fatta l'invidia mentre c'è.
Può darsi che nel fare questo scopriremo magari che sotto l'invidia sono presenti anche altri sentimenti (la rabbia, la tristezza, la paura), e che in realtà sono proprio questi sentimenti che si stanno facendo sentire, che chiedono di essere ascoltati. Forse sarà un'occasione per riconoscere di cosa abbiamo realmente bisogno e che magari non è tanto il fatto che finisca il bene, la gioia di un'altra persona, ma che compaia una fetta di bene, di gioia, anche per noi.
Forse potremmo scoprire dentro di noi anche una strana paura, basata sulla falsa credenza che a disposizione dell'umanità ci sia un quantitativo limitato di gioia e che se ne va troppa a un altro magari non ne resta per noi.
Beninteso la buona notizia è che la realtà non è così: la gioia non è come una coperta corta.
Le occasioni di gioia nelle nostre vite sono tante e varie, ognuno di noi può vivere momenti di gioia anche inaspettati, diversi magari da quelli di un'altra persona, diversi anche da quelli che ora ci sembrano l'unica possibilità che abbiamo per essere felici. E forse potremo anche notare quanta sofferenza genera questo aggrapparsi proprio a quella specifica occasione di gioia, a ciò che ora ci sfugge, e che può essere molto più salutare per noi provare a lasciar andare.
Un antidoto all'invidia può essere anche provare a controbilanciarla coltivando intenzionalmente il sentimento opposto: la gioia per la gioia altrui, in luogo della sofferenza per la gioia altrui.
Forse non è tanto semplice, ma possiamo provarci. Possiamo cominciare a mettere piccoli semi della gioia per la gioia altrui nello stesso campo in cui ora cresce la pianta dell'invidia. Per esempio possiamo accompagnare il cuore e la mente su questa intenzione con parole precise, che ripetute mentalmente ancora e ancora possano diventare una musica di sottofondo, una specie di balsamo che piano piano penetra nel nostro cuore. Parole come: che la tua gioia possa durare a lungo, che la tua fortuna e il tuo successo possano essere duraturi, che la gioia possa tenerti compagnia per tanto tempo.
Comunque vadano le cose che non dipendono da noi, e di cui per ciò stesso non abbiamo colpa, la qualità della nostra musica di sottofondo può colorirsi di questo atteggiamento intenzionale, grazie alle parole che possiamo scegliere, assumendoci una precisa responsabilità verso la nostra sofferenza, un'intenzione curativa.
***

 


***


***



***
Maria Michela Altiero, psicologa, counselor, life coach e istruttrice di pratiche di mindfulness


Contatti: www.mariamichelaaltiero.it psicologa.altiero@gmail.com +39 3888257088

sabato 18 aprile 2020

Mindfulness. Cavalcare l'onda di un'emozione difficile. Appuntamento su YouTube

***
Domenica 19 aprile alle ore 12:00  première su YouTube della pratica
 "Cavalcare l'onda di un'emozione difficile". 
Per partecipare alla première andare al link: 
Vi aspetto. Sarà un onore e una gioia per me praticare insieme.
La traccia audio resterà comunque sul canale YouTube anche successivamente.
***

La pratica "Cavalcare l'onda" può esserci utile in presenza di emozioni forti e difficili da governare (come ad esempio rabbia, paura, ansia, tristezza) ed in genere quando facciamo i conti col bisogno compulsivo di agire in un certo modo pur sapendo che non è salutare.
La pratica non ci insegna a sbarazzarci delle nostre emozioni difficili ma piuttosto a starci insieme, senza consentir loro di travolgerci e di indurci a comportamenti di cui potremmo pentirci, che sono il risultato di qualcosa di "più forte di noi", non di una libera scelta. Accettiamo che, come tutti gli esseri umani, anche noi possiamo trovarci a fare i conti con l'emergere di emozioni e di sensazioni sgradite, che non abbiamo scelto, che arrivano da sé, come arrivano da sé i pensieri indesiderati, che si presentano a noi senza essere stati invitati. Tutto questo a volte si traduce in un vissuto forte, simile a un mare in tempesta che noi ci troviamo a navigare, facendo i conti con tutte le difficoltà del caso. La sfida allora non è tanto quella di riuscire a fermare il mare, fermare le onde; non si tratta qui di cercare di sbarazzarci delle nostre emozioni, ma piuttosto di imparare a fare surf sulle loro onde, conoscerle, esplorarle, insomma diventare capaci di cavalcarle anziché lasciarci sommergere. Andare su una tavola da surf richiede di trovare un equilibrio in condizioni difficili ed è del tutto naturale che ogni tanto vacilliamo. Va bene così. Non è irrigidendoci che governeremo l'onda, ma trovando un equilibrio che ammetta anche qualche oscillazione, qualche aggiustamento, un equilibrio dinamico da conquistare momento per momento, in un processo di continuo sottile adattamento. Diventiamo esperti della nostra onda, impariamo a osservarla, conoscerla, cavalcarla momento dopo momento. Ogni onda, per quanto alta, è solo un'onda del momento, una delle tante cose della vita che a un certo punto arrivano, stanno un po' con noi e poi se ne vanno.
***



giovedì 12 aprile 2018

Pronto soccorso emotivo: 15 minuti di self-compassion. Traccia audio e appuntamento per il 24 maggio

Quando ci troviamo in un momento difficile, al di là delle strategie che possiamo elaborare per affrontarlo sul piano pratico, è utile concederci prima di tutto qualche momento per sostenere noi stessi dal punto di vista emotivo e darci il conforto di cui abbiamo bisogno, offrendo a noi stessi presenza mentale e gentilezza, per poter accogliere consapevolmente la nostra sofferenza e prendercene cura amorevolmente. Questa pratica di 15 minuti può essere usata proprio con questa intenzione e potremmo definirla come una specie di piccolo pronto soccorso emotivo. L'invito è di orientare la nostra attenzione gentile verso la nostra stessa sofferenza, con un atteggiamento compassionevole verso noi stessi, che esprimiamo attraverso il tocco delicato della mano sul corpo e attraverso le parole che potremo dire a noi stessi per confortarci, riconoscendo anche, e lasciando andare, eventuali tendenze della mente a formulare nei nostri confronti critiche e giudizi negativi, che non sono di nessun aiuto ed anzi aggiungono sofferenza a sofferenza. L'intenzione è di non abbandonarci e lasciarci soli nella difficoltà, ma al contrario di sostenerci, stare dalla nostra parte, proprio come farebbe una persona che ci vuole bene e che comprende e rispetta la nostra sofferenza. Al tempo stesso - come suggerisce la psicologa americana Kristin Neff, una delle maggiori esperte mondiali di self-compassion - può essere utile anche aprirci al senso della "comunanza" o "umanità condivisa", cioè alla consapevolezza che il dolore non è un'esperienza solo nostra, ma qualcosa che condividiamo con tutti gli esseri umani, è parte della condizione umana. Questo non significa banalizzare il dolore, ma dargli un senso diverso.
A volte quando commettiamo un errore, quando ci scontriamo con una difficoltà del vivere, possiamo sentirci i soli a sbagliare o a essere in difficoltà, percependo tutti gli altri come più bravi o più fortunati di noi. Ricordarci che non esiste essere umano infallibile o che non conosca qualche forma di dolore o sofferenza emotiva, può rendere la nostra esperienza difficile qualcosa che ci unisce agli altri, che ci apre alla comprensione della sofferenza altrui, arricchendo la nostra vita della grazia, del nutrimento e del conforto che la compassione porta in dono.
Colgo l'occasione per ricordare, a chi sia interessato, che il prossimo incontro di pratica di mindfulness di gruppo è fissato per il 24 maggio alle 18:30, e sarà dedicato proprio al tema mindfulness e self-compassion. Maggiori informazioni alla pagina degli eventi

Buona pratica! 
Per iscriverti al canale YouTube clicca sul tasto rosso

*

*

domenica 2 aprile 2017

Mindfulness per le emozioni difficili. Traccia audio


Oggi vi propongo una traccia audio che ci aiuta ad entrare in contatto con le nostre emozioni difficili, attraverso una gentile attenzione portata intenzionalmente sulle loro manifestazioni fisiche e sensoriali.
Vi avviso che l'esperienza potrebbe risultarci non molto gradevole (soprattutto le prime volte). Un'emozione difficile è un vissuto pesante e aprirci ad essa (anziché chiuderci o sfuggirla) ci espone inevitabilmente a sentirla ben bene. Questo passaggio richiede un po' di coraggio (il coraggio di sentire), ma è anche il primo passo verso il riconoscimento e la cura delle nostre emozioni difficili. 
Ricordiamoci che le pratiche di mindfulness sono pratiche di consapevolezza, e non pratiche di rilassamento o di "benessere in quanto piacevolezza". Questo significa che, mentre le facciamo, a volte ci rilassiamo e a volte no, a volte sperimentiamo stati piacevoli, a volte no.
Dal punto di vista della mindfulness, tutto può essere oggetto della nostra attenzione, del nostro interesse, della nostra consapevolezza. Ci accostiamo al momento presente così com'è, con tutto ciò che porta, astenendoci dal classificare ciò che incontriamo in termini di buono, cattivo, neutro. Lasciamo andare la solita tendenza della mente a giudicare, lasciamo andare ogni sforzo di raggiungere o trattenere la piacevolezza e rifuggire dalla spiacevolezza. Questo un po' alla volta dà i suoi frutti, sia nella pratica, sia nella nostra vita ordinaria. Impariamo a stare con le cose così come sono, adottando un atteggiamento della mente saggio ed improntato ad attitudini salutari, come la pazienza, l'equanimità, l'accettazione, l'interruzione della lotta contro la realtà, l'abbandono dell'avversione.
Detto questo, è anche vero che non siamo qui per torturarci.
Se questa pratica ci risulta troppo faticosa o dolorosa, lasciamola stare almeno per ora. Rispettiamo il nostro limite. Non pretendiamo troppo da noi stessi.
Se sappiamo che da soli non riusciamo a reggere la nostra sofferenza, o se soffriamo di disturbi mentali, o abbiamo vissuto grossi traumi non ancora del tutto elaborati, prima di accostarci a questa pratica, chiediamo consiglio al nostro psicoterapeuta. 
In ogni caso, è sempre consigliabile sperimentarla inizialmente con emozioni di lieve intensità, non particolarmente difficili (le varie forme di insofferenza, delusione, frustrazione che emergono nel quotidiano) e poi passare alle emozioni più intense e più difficili.
Una volta che abbiamo appreso la struttura della pratica (notare l'emozione, darle un nome, respirare nella zona del corpo in cui si manifesta, permettere all'emozione di essere presente, espandere la consapevolezza per connettersi con il resto del mondo che ci circonda), poi potremo farla anche senza traccia audio in qualunque momento della giornata, anche solo per pochi minuti, diventando così sempre più consapevoli delle nostre emozioni e anche delle loro "abitudini"  (quando compaiono di solito, cosa le fa venir fuori, quali parti del nostro corpo tendono ad occupare, dove c'è resistenza, tensione, lotta, ecc.).
Per ascoltare la traccia audio sul canale YouTube clicca qui
Per iscriverti al canale, clicca sul tasto rosso sotto
Dott.ssa Maria Michela Altiero psicologa Torre del Greco
www.mariamichelaaltiero.it
+39 3888257088

*


lunedì 15 agosto 2016

Le strade della serenità: la gioia per la gioia altrui


Oggi è Ferragosto e può darsi che sia per noi una giornata di eventi rilassanti, divertenti, entusiasmanti.  Vi auguro di cuore che sia così (e in tal caso vi invito anche a tornare subito alla vostra vita reale, anziché restare qui su internet...).
Per quelli di noi che hanno invece in programma una giornata libera, sì, ma non esattamente entusiasmante, suggerisco di prendere in considerazione una pratica di benessere ispirata a un antico principio spirituale, che è coltivare la capacità di gioire per la gioia degli altri.
Chi ha avuto figli probabilmente conosce molto bene questo tipo di gioia, anche senza averla coltivata intenzionalmente. Vedi tuo figlio che gioisce e di riflesso gioisci anche tu,  benché nella tua vita in quel momento non stia accadendo niente di speciale (il rovescio della medaglia, come tutti sappiamo,  è che la volta che vedi tuo figlio soffrire, soffri anche tu. Ma questo è un altro paio di maniche).
Questa pratica è particolarmente indicata nei periodi di vacanza, perché le occasioni di incontrare gente che gioisce (anche solo per un momento) possono essere più frequenti.
Mi viene in mente a tal proposito - saltando un po' di palo in frasca - una frase che disse mia sorella tanti anni fa, mentre facevamo zapping alla ricerca di un film rilassante in televisione. Disse: "Vediamo se troviamo una storia di gente ricca che se la spassa...". Beninteso non ne trovammo nemmeno una. Molte storie di gente ricca magari sì. Ma nessuna di gente che davvero se la spassasse e basta. Questo perché la pace, la tranquillità e la gioia non fanno storia, se non quando sono conquistate grazie al superamento di problemi, difficoltà e avventure. Cosa che rende assolutamente non riposante pure lo svago.
Ma torniamo a noi. Supponiamo per un momento che vogliamo avvicinarci per libera scelta a "storie non storie" per coltivare intenzionalmente la gioia come emozione salutare, avvalendoci di quella meravigliosa risorsa umana che è l'empatia, per cui riusciamo a sentire ciò che sente un'altra persona. Eliminiamo - almeno per oggi, che è Ferragosto -  la necessità del pathos, dell'intreccio complicato, dell'enigma, della soluzione del problema come condizione per meritarci il dono di un lieto fine e accostiamoci alla gioia altrui come se andassimo dritti al piacere del lieto fine.  
Difficile comprendere di cosa parlo?
Forse sì.
Se si trattasse di una fiaba (per esempio il Principe Ranocchio, ma anche Biancaneve, Cenerentola, la Bella Addormentata nel bosco, e chissà quante altre) ci avvicineremmo a qualcosa del genere: "C'erano una volta una fanciulla e un principe che si sposarono felici e contenti (dopo varie peripezie, come in tutte le storie). Che bello!". 
Questo è il mondo delle fiabe, mi direte.  Ma nel mondo reale?
Nel mondo reale ognuno di noi ha i suoi momenti sì e i suoi momenti no.
Ma se noi siamo capaci di gioire dei momenti sì degli altri, le nostre occasioni di gioia sono immediatamente moltiplicate.
Più che darvi un manuale di istruzioni per questa pratica, posso farvi qualche esempio. La cosa oggi mi riesce particolarmente facile perché ho appena fatto una passeggiata a piedi di due ore, incontrando molte persone sulla mia strada che mi hanno trasmesso la loro gioia senza saperlo.
Ecco l'elenco di alcuni dei miei fornitori di gioia, oggi.
1) Giovane padre di famiglia pallido, oggi finalmente in ferie, raggiunge in auto la famiglia in località di vacanza. Conosco già la storia perché si ripete ogni anno, ma vederlo partire ora con quell'aria leggera e contenta mi apre il cuore.
2) Signore di mezza età in pantaloncini corti emerge da dietro gli scogli con una busta piena di cozze. Le ha pescate tutte lui! Lo vedo camminare baldanzoso come un ragazzo davanti a me. Lo sento contento. Mi sento contenta.
3) Coppia con passeggino chiacchiera. Bimba con cappellino nel passeggino si lascia condurre tranquilla guardandosi intorno. Mostra interesse per tutto ciò che vede, compresi i miei sandali colorati. Respiro il suo stupore e la gioia della scoperta, mentre mi ricordo anch'io di quanto è interessante il mondo e ne gioisco.
4) Signora con cane passeggia sul lato ombreggiato della strada. Lei e il cane hanno la stessa andatura. Percepisco una buona sintonia tra loro. Mi trasmettono un bel senso di quieta compagnia, lo sento e ne gioisco. 
5) Bambino sulla riva del mare sta costruendo castello di sabbia. Ha inserito un  porticato coperto con canne di bambù. Gli faccio segno di ok con la mano. Mi risponde con un enorme sorriso sdentato. Mi sento orgogliosa per lui e ne gioisco.
6) Giovanotto tatuato e muscoloso sta facendo allenamento con gli attrezzi dei giardini pubblici. Riconosco il suo piacere di far lavorare i muscoli. La mia passeggiata di due ore è quasi finita e il mio corpo è grato per il movimento che ha praticato. La gioia che è nel corpo del giovane è presente  anche nel mio corpo.
***
Coltivare la gioia per la gioia altrui è una buona strada anche per tenere a bada alcuni sentimenti difficili, come per esempio l'invidia, che possono impadronirsi di noi quando le nostre cose non vanno come vorremmo. L'invidia è in un certo senso l'esatto contrario della gioia per la gioia altrui, perché è di fatto una forma di sofferenza per la gioia altrui. 
Qui ci sarebbe molto da dire e lo spazio non lo consente. Ad ogni modo ci sono già altri post sull'invidia in questo blog, basta cercarli (uno per esempio è al seguente link: www.ciochesimuovenoncongela.blogspot.it/2012/11/vizi-capitali-invidia.html).
Ciò che vorrei sottolineare è che, poiché è molto difficile provare simultaneamente due sentimenti di segno opposto riguardo a un medesimo oggetto, alimentare intenzionalmente un sentire di un certo tipo può avere una funzione protettiva per noi dal sentire di segno opposto. 
Beninteso non è così facile sostituire di colpo l'invidia, quando c'è, con la gioia per la gioia altrui.
Questo tipo di lavoro richiede un certo impegno (e quindi anche una certa motivazione), ma soprattutto richiede una buon livello di consapevolezza riguardo al nostro sentire.
La mindfulness in questo senso può esserci di aiuto.
Con le pratiche di mindfulness noi impariamo a prenderci cura del nostro mondo interno (fatto di pensieri, emozioni, sensazioni) innanzitutto osservandolo in modo non giudicante. Nel momento stesso in cui un sentimento come l'invidia diventa oggetto della nostra osservazione (com'è fatta esattamente? in che zona del corpo si manifesta?  come cambia e come non cambia, di momento in momento, mentre ci apriamo ad essa, accogliendola e osservandola con interesse e curiosità?) la sua presa su di noi si allenta. In un certo senso non siamo più invidiosi, ma semplicemente stiamo in compagnia di un evento (l'invidia) che si mostra a noi per essere esplorato e conosciuto, affinché la nostra consapevolezza arrivi a includerlo tra le tante sfaccettature del nostro panorama interno di sensazioni ed emozioni, senza alimentarlo inutilmente di energia (come avviene quando ci aggrappiamo a un certo sentire, tornandoci sopra con pensieri che lo alimentano, oppure lottiamo contro di esso, magari rimproverandocelo e criticandoci, ma senza riuscire a liberarcene).
La mindfulness ci consente di accorgerci di ciò che abbiamo nella mente e nel cuore, in un certo momento, riguardo a un certo oggetto. E di dire: è così. Questa resa allo stato delle cose, questo vederle quietamente in faccia, senza paura o ansia di cambiarle, poi ci consente di scegliere cosa fare, assecondando i nostri valori e le nostre intenzioni.
Ecco allora che la pratica di coltivare la gioia per la gioia altrui trova un ambiente interno adatto ad accoglierla e a farla fiorire. E i suoi frutti possono essere davvero sorprendenti.  





lunedì 18 aprile 2016

Come vogliamo (e come non vogliamo!) essere trattati quando soffriamo. I risultati del nostro sondaggio

"Mi aiuta la presenza di persone sensibili 
che comprendano e condividano il mio dolore...
standomi vicino senza commentare o consigliare...!"
Con queste parole si è espressa su Facebook una lettrice a proposito del nostro sondaggio online su ciò che desideriamo e ciò che non desideriamo da chi ci circonda,  nei momenti di dolore, difficoltà, stress. 
Il suo commento è una perfetta sintesi dei risultati del nostro sondaggio.
La maggioranza dei partecipanti infatti dichiara di sentirsi confortata da un abbraccio affettuoso,  da un ascolto attento, dalla vicinanza fisica ed emotiva di chi le sta accanto. I risultati lasciano intendere che il conforto viene dal sentire che non siamo soli, che c'è qualcuno che riconosce, comprende e accetta la nostra sofferenza. Qualcuno che ci accoglie senza giudicarci, che ci fa sentire a nostro agio e ci permette di condividere le nostre emozioni autentiche senza doverle mascherare. Qualcuno insomma su cui possiamo contare, che ci dedica tempo, ci vuole bene, si mette a disposizione e ci tratta con dolcezza.
E non c'è bisogno di grandi poesie o tante parole (anzi...), ma piuttosto di presenza, umanità, empatia.
Ciò che invece davvero non vogliamo, dicono i nostri risultati, sono le reazioni apertamente offensive (perché denotano svalutazione, biasimo, insofferenza, atteggiamenti di superiorità ecc.), oppure quelle fatte di indifferenza, distanza o vuota forma. Ma non solo. Non vogliamo nemmeno la commiserazione, l'invadenza, o il fatto che le persone mettano il loro sentire in primo piano rispetto al nostro (la loro preoccupazione, la loro impazienza, le loro esperienze). E poi non vogliamo neanche consigli non richiesti, soluzioni preconfezionate o l'invito a guardare le cose da una prospettiva migliore.
Riguardo a questi ultimi atteggiamenti, peraltro, qualcuno potrebbe stupirsi che non risultino graditi. A volte infatti potrebbero essere utili.
Il problema magari in questi casi è che certe risposte ci risultano gradite solo se arrivano al momento giusto e  se sono precedute comunque da dimostrazioni di sincero interesse e di empatia.
Ma ecco in dettaglio i risultati del  sondaggio.


***
***
E noi, che atteggiamento riserviamo a noi stessi nei momenti di dolore, difficoltà, stress?
Abbiamo nei confronti di noi stessi lo stesso atteggiamento affettuoso, comprensivo e incoraggiante che vorremmo dagli altri? 
Ci riserviamo trattamenti  del tipo domanda 1 o del tipo domanda 2?
Ricordiamoci che, se impariamo a trattare noi stessi come vorremmo che ci trattassero gli altri, avremo sempre un amico prezioso a portata di mano nei momenti difficili, cioè noi stessi.
Ma se ci riserviamo dei trattamenti del tipo domanda 2 (e ci diciamo per esempio: "Te la sei cercata"; "Te l'avevo detto che sarebbe finita così"; "Non ti sopporto quando stai male...", eccetera - basta controllare l'elenco), in ogni momento difficile della nostra vita dovremo fare i conti con una doppia sofferenza: non solo quella del momento in sé ma anche quella aggiuntiva provocata dai  nostri stessi atteggiamenti e pensieri.
Se così fosse, accorgersene è già un primo passo. Il passo successivo può essere decidere di cambiare qualcosa nel rapporto che intratteniamo con noi stessi. E, se occorre, prendere in considerazione  la possibilità di un po' di aiuto psicologico.

***

venerdì 18 marzo 2016

Riconoscere le relazioni invischianti per riaffermare i nostri sani confini


Nei nostri rapporti interpersonali,  possiamo sperimentare i nostri confini come una specie di steccato invisibile che definisce e separa ciascuno di noi dalle altre persone, consentendoci di entrare in relazione con loro senza perdere o tradire la nostra individualità.
Immaginiamo che tra il nostro giardino e quello del vicino ci sia una staccionata che separa le due proprietà. 
Cosa avverrebbe se il vicino un bel giorno abbattesse di forza la staccionata e cominciasse a scorrazzare nel nostro terreno, decidendo cosa va fatto e cosa non va fatto nella nostra proprietà?
Probabilmente, se abbiamo un sistema d'allarme funzionante, una sirena suonerebbe a tutta forza per avvertirci dell'invasione. E non avremmo dubbi sul perché suoni: è stato violato un confine e l'allarme ci segnala il problema.
Qualcosa del genere può accadere anche nelle nostre relazioni, dove il malessere che proviamo quando i nostri confini vengono violati assomiglia a un sistema d'allarme che ci avvisa del problema, perché possiamo  porvi rimedio.
Purtroppo nel mondo relazionale le cose non sono sempre così chiare e lineari, perché ci sono molti modi di violare un confine non sempre eclatanti e appariscenti. 
Quando in una relazione sperimentiamo situazioni di invischiamento, viviamo come un'inappropriata fusione di identità, dove non è chiaro dove inizio e finisco io e dove inizia e finisce l'altro.
Il processo in atto può essere sottile e disorientante, oltre che difficile da riconoscere, anche perché spesso si accompagna a una certa dose di manipolazione.
Tua madre ti corregge riguardo al modo in cui ti relazioni con i tuoi figli, e lo fa davanti a loro; il tuo coniuge ti suggerisce cosa pensare; il tuo miglior amico ti dice con chi dovresti uscire; una tua collega ti prega di darle una mano con il lavoro, ma in realtà ti sta chiedendo di farlo tu al posto suo; il tuo capo ti telefona a casa, chiedendoti di occuparti di una cosa di cui si è dimenticato. 
In tutti questi esempi, se non siamo capaci di difendere i nostri confini, potremmo accettare la situazione e dare il nostro consenso riguardo a qualcosa, pur sentendoci mentalmente ed emotivamente in conflitto con questo consenso, ed assumerci delle responsabilità per cose che in realtà non eravamo d'accordo a fare o, a pensarci meglio, non avremmo proprio voluto fare.
Non sempre è facile riuscire a districarsi in situazioni del genere ed i motivi possono essere vari.
Tanto per cominciare, potremmo non riuscire a vedere con chiarezza la situazione e quindi avvertire un  disagio (c'è un allarme che suona) ma non comprenderne la causa. 
In secondo luogo potremmo avere difficoltà ad accettare proprio il nostro disagio ed i sentimenti difficili che questo comporta, come risentimento, rabbia e ostilità verso le persone che amiamo o che comunque sono importanti per noi. Inoltre potremmo vivere il fatto stesso di provare questo disagio come un fallimento personale rispetto alla nostra aspirazione ad essere persone amabili, generose, altruiste, spirituali, insomma "buone".
Se ci troviamo in situazioni del genere, ricordiamoci che non è salutare aspirare ad essere "buoni" e compiacenti con gli altri dimenticandoci di essere  "buoni" innanzitutto con noi stessi.
Per preservare la nostra integrità ed il nostro equilibrio psicofisico, dobbiamo smettere di lottare contro ciò che sentiamo e darci la possibilità di stare con il nostro sentire, accettandolo incondizionatamente così com'è, senza negarlo, rifiutarlo o cercare di sbarazzarcene al più presto con comportamenti reattivi.
Se riusciamo ad ascoltare senza giudizi né censure tutto ciò che il nostro disagio vuole dirci, potremmo trarre da esso utilissime informazioni sulla cui base operare scelte consapevoli che possono migliorare la nostra vita e le nostre relazioni.
Se il nostro problema è un problema di invischiamento, il nostro disagio -  il nostro allarme che suona - deve essere ascoltato e non messo a tacere, perché è proprio da qui che cominceremo a muoverci in un percorso teso a riaffermare i nostri sani confini con sicuri vantaggi sia per noi stessi sia per i nostri rapporti... di buon vicinato.
***
Ed ora un esercizio che può aiutarci a determinare quale può essere un confine sano, che vogliamo ristabilire per noi stessi, partendo dalla consapevolezza delle sensazioni del corpo.
***
Prendiamoci una pausa, un po' di tempo per noi stessi,  in un luogo riservato e tranquillo dove nessuno ci disturbi, ed entriamo in contatto come meglio ci riesce con le nostre percezioni corporee, restando in ascolto delle sensazioni che emergono, mentre ci poniamo le seguenti domande:
1) Quando penso di fare la tale cosa..... (ognuno di noi completa la frase secondo il suo caso) questo mi procura un senso di disagio nel corpo o delle sensazioni sgradevoli?
2) Quando penso di non fare o non permettere la tale cosa ..... (ognuno di noi completa la frase secondo il suo caso), quali sensazioni si generano nel mio corpo?
3) Ho per caso difficoltà a definire i miei confini perché la mia preoccupazione principale è di proteggere, non ferire o non offendere altre persone?
4) Quando onoro il modo in cui mi sento e ipotizzo un cambiamento, che sia rispettoso dei miei confini, come mi sento nel corpo? 
***
Ponete le domande ed apritevi all'ascolto delle sensazioni del corpo, ma non abbiate fretta di trovare subito le risposte. La fretta infatti potrebbe portarvi a liquidare la questione con veloci "risposte di testa", impedendovi di andare più in profondità. Se ciò dovesse avvenire, riconoscete semplicemente che c'è la fretta, osservate come si manifesta nel corpo e cosa vi spingerebbe a fare (es.liquidare la cosa in modo spiccio, per non ascoltare il disagio), siate compassionevoli e gentili con voi stessi per ciò che state provando, e continuare a stare con tutte le sensazioni che emergono dal corpo mentre ponete le domande.
A volte le risposte arrivano forti e chiare... ma non quando decidiamo noi.
***

Vai al Sommario

Potrebbe interessarti anche sul canale YouTube: Pratica con le emozioni difficili