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lunedì 2 febbraio 2015

Mitologia e Psicologia. 10) La "sacra casalinghitudine": un incontro con Estia

"Riordinare la casa è la mia preghiera, e quando ho finito, la mia preghiera viene esaudita.
 E piegarmi, abbassarmi, strofinare mi purifica il corpo come la preghiera non può fare." 
(Jessamyn West)
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Estia (per i romani Vesta) era la figlia primogenita di Rea e Crono nonché sorella maggiore di Zeus. Prima tra i fratelli ad essere divorata dal padre alla nascita ed ultima ad esserne rigurgitata, fu l'unica a conoscere la solitudine nel buio delle viscere paterne.
Di lei la mitologia non dice molto, perché non fu mai coinvolta in guerre o in storie d'amore.
Fu desiderata da Poseidone, dio del mare, e da Apollo, dio del sole, ma li rifiutò entrambi giurando di restare vergine per sempre. Zeus allora, in luogo del dono di nozze, le concesse il privilegio di stare al centro della casa e nei templi degli altri dei, come custode del fuoco.
Il suo simbolo era il cerchio e rotondi erano infatti i primi focolari nelle case ed i bracieri al centro dei templi.
Non le si attribuiva un aspetto esteriore caratteristico; la sua presenza in un luogo si avvertiva nella fiamma posta al centro di una casa, di un tempio o di una città, come fonte di luce, tepore e calore per la cottura dei cibi.
La sua importanza veniva celebrata con vari rituali simbolizzati dal fuoco.
Per esempio, se una coppia si sposava, la madre della sposa accendeva una torcia sul focolare della propria casa e la portava nella nuova dimora, per accendere il nuovo focolare. Allo stesso modo, se si fondava una nuova comunità, vi si portava il fuoco proveniente dalla città d'origine.
In tal modo Estia seguiva come fuoco sacro le nuove coppie e le nuove comunità, simbolizzando continuità, interdipendenza, coscienza condivisa e identità comune, che restavano sempre in vita come il fuoco, nonostante i cambiamenti.
Spesso Estia compariva nelle case in compagnia di Ermes (Mercurio), messaggero degli dei, dio della parola, loquace e astuto, protettore di viaggiatori, mercanti e ladri.
Il focolare di Estia stava all'interno della casa, e la rendeva il luogo sacro dove la famiglia si riuniva, il luogo dove fare ritorno a casa.
Il simbolo di Ermes, invece, un pilastro fallico, stava sulla soglia di casa, a portare fertilità e tenere lontano il male, ma anche a proteggere sulla soglia chi partiva e andava nel mondo, dove la capacità di comunicare e orientarsi sono importanti. 
 ***
Ci sono donne per le quali le occupazioni domestiche rappresentano qualcosa di più significativo del semplice sbrigare le faccende, quasi che riordinando la propria casa mettessero ordine anche  dentro di sé.
Quando una donna prova un senso di armonia interiore nello svolgere i lavori domestici, è in contatto con un aspetto di sé ben rappresentato dall'archetipo di Estia, dea del focolare domestico.
La cura della casa, allora, non è più per lei un'incombenza da assolvere sbrigativamente giusto perché le tocca, ma assume i toni di una pratica meditativa, da cui viene totalmente assorbita, in quieta solitudine e senza frenesia.
"Quando Estia è presente", dice Jean Shinoda Bolen nel suo libro Le dee dentro la donna, "la donna si dedica ai lavori della casa con la sensazione di avere davanti a sé tutto il tempo possibile. Non tiene d'occhio l'orologio, perché non si muove sulla base di un orario e non 'inganna il tempo'. Si trova quindi in quello che i greci chiamavano kairos, tempo propizio: 'sta partecipando al tempo', e ciò la nutre psicologicamente (come succede in quasi tutte le esperienze dove perdiamo il senso del tempo). Mentre smista e ripiega la biancheria, rigoverna i piatti e mette in ordine, non ha fretta, ed è pacificamente concentrata in ogni cosa che fa."
Anche se non siamo delle vere 'casalinghe estiane', può capitare a tutte noi di entrare occasionalmente in contatto con le dimensioni rappresentate da questa dea. Quando passiamo una giornata a riordinare un armadio, per esempio, l'attività può assorbirci completamente: dividiamo lentamente i vestiti, riflettiamo su quali conservare, quali mettere via, quali regalare, ricordiamo e prevediamo eventi,  facciamo una cernita non solo delle nostre cose ma anche di ciò che riguarda noi stesse. Alla fine abbiamo un armadio ordinato, che è un po' l'immagine di noi stesse in quel momento, e anche la sensazione di una giornata spesa bene, 'in compagnia della dea', vale a dire di quella nostra parte interiore, silenziosa e concentrata. 
"Cercando deliberatamente di incontrare Hestia nella vita di tutti i giorni, facendoci influenzare nel comportamento dalla sua presenza quieta, calma e ordinata, possiamo arrivare alla consapevolezza che c'è un sacro Mistero nella quotidianità", dice Sarah Ban Breathnach, nel suo libro L'incanto della vita semplice. Ed aggiunge: "Ma come possiamo incontrare Hestia? Qualche volta, girando per casa, invoco il suo aiuto. Oppure mi domando: 'E' così che Hestia affronterebbe questo compito?'. Inutile dire che, se me lo chiedo, significa che non lo affronterebbe così; ma la domanda riporta la mia consapevolezza alla natura contemplativa della cura domestica."
Se Estia non è una presenza stabile dentro di noi ma desideriamo portare un po' della sua grazia nel nostro rapporto con la nostra casa, il primo passo è costituito dall'intenzione di assumere un atteggiamento estiano. "Dopo aver deciso una faccenda," suggerisce la dottoressa Bolen, "occorre darle tutto il tempo necessario. Stirare la biancheria, ad esempio, è un compito ripetitivo e molte donne lo fanno in tutta fretta e di malavoglia. Ma quando adotta la modalità Estia, la donna può accogliere di buon grado l'occasione di riporre gli abiti, come un momento per riposare la mente.
Perché Estia sia presente, occorre che la donna si dedichi a un compito alla volta, a una parte della casa o a una stanza alla volta, a una qualsiasi faccenda che pensi di poter svolgere tranquillamente nel tempo che ha a disposizione. E nell'esecuzione di quell'incombenza deve lasciarsi assorbire, come se stesse eseguendo la cerimonia del tè giapponese, con un senso di serenità in ogni movimento. Solo allora una pace interiore onnipervasiva sostituirà il consueto chiacchiericcio della sua mente. I livelli da raggiungere devono essere quelli che le corrispondono, il modo deve essere in accordo con quanto ha senso per lei."
Curare una casa con questo atteggiamento ne fa quasi un'attività spirituale; del resto il sacro fuoco di Estia ardeva sia sul focolare domestico sia nei templi e riflettere su Estia è anche focalizzare l'attenzione sull'interiorità, sul centro spirituale di una donna.
La percezione di un punto di riferimento interno (di un 'punto fermo' dentro di sé), può consentire a una donna di rimanere salda anche in mezzo al disordine, al caos del mondo esterno, e all'agitazione della vita di tutti i giorni. 
Il focolare di Estia, di forma circolare e con il fuoco al centro, è come un mandala, immagine usata nella meditazione come simbolo di completezza e totalità.
Nel suo scritto Simbolismo dei mandala,  Carl Gustav Jung dice a riguardo che il loro motivo di base "è l'idea di un centro della personalità, di una sorta di punto centrale all'interno dell'anima al quale tutto sia correlato, dal quale tutto sia ordinato e il quale sia al tempo stesso fonte di energia. L'energia del punto centrale si manifesta in una coazione quasi irresistibile, in un impulso a divenire ciò che si è; così come ogni organismo è costretto, quali che siano le circostanze, ad assumere la forma caratteristica della propria natura. Questo centro non è sentito né pensato come Io, ma, se così si può dire, come Sé."
"Il Sé", commenta a sua volta Jean Shinoda Bolen, "è ciò che sperimentiamo internamente quando sentiamo un rapporto di unità che ci collega all'essenza di tutto ciò che è fuori di noi. [...] Quando ci sentiamo in contatto con una fonte interna di calore e di luce (metaforicamente scaldate e illuminate da un fuoco spirituale), questo 'fuoco' scalda coloro che amiamo e con cui condividiamo il focolare e ci tiene in contatto con chi è lontano.
Il sacro fuoco di Estia ardeva nel focolare domestico e nei templi. La dea e il fuoco erano una sola cosa e univano le famiglie l'una all'altra, le città-stato alle colonie. Estia era l'anello di congiunzione spirituale fra tutti loro. Quando questo archetipo  permette la concentrazione sulla spiritualità, l'unione con gli altri è un'espressione del Sé.
[...] La meditazione attiva e rinforza questo archetipo introverso e polarizzato sul mondo interno e, una volta iniziata, spesso diventa una pratica quotidiana, perché dà un senso di completezza e concentrazione, una sorgente interna di pace e di illuminazione, che apre la strada alla dimensione Estia.
Alcune donne, quando avvertono la presenza della dea, sentono emergere la vena poetica. May Sarton, scrittrice e poetessa, dice che le è possibile scrivere soltanto quando si trova in uno stato di grazia, 'quando i canali profondi sono aperti e quando sono profondamente stimolati e in equilibrio - e anch'io lo sono - allora la poesia viene come un dono al di là della mia volontà'. Sta parlando di un'esperienza dell'archetipo del Sé, i cui sentimenti sono  sempre al di là dell'Io e dello sforzo, un dono di grazia."




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sabato 2 agosto 2014

Mitologia e psicologia. 6) Perdere se stessi nelle relazioni. Persefone: figlia diletta della sua mamma e sposa del dio degl'Inferi


Persefone all'inizio del suo mito era una fanciulletta spensierata, figlia diletta di sua madre Demetra e di Zeus.
Poi tutt'a un tratto, senza nemmeno avere il tempo di crescere, Persefone diventò regina del regno delle Ombre. 
Questo perché Ade, dio degl'Inferi, aveva deciso di sposarla e, senza tante cerimonie, l'aveva rapita e portata con sé nell'Oltretomba.
E lì sarebbe rimasta Persefone, per quanto disperata, se non fosse intervenuto qualcuno a liberarla.
Arrivò allora Ermes, mandato da Zeus.
Demetra infatti, per ottenere il rilascio della figlia, aveva sospeso per protesta le sue funzioni di dea delle messi ed aveva  fatto  inaridire la terra, costringendo Zeus a intervenire.
Così Persefone (grazie a Demetra, Zeus ed Ermes) venne reintegrata nel suo ruolo di fanciulletta della mamma, con grande soddisfazione di quest'ultima.
Soddisfazione che però durò poco.
Persefone infatti aveva mangiato dei semi di melograno che le aveva dato Ade, per cui fu costretta a tornare da lui ogni anno per una parte dell'anno.
Da allora in poi, quando Persefone sta con Demetra (primavera ed estate) la terra è prospera e feconda; quando invece sta con Ade (autunno e inverno) tutto rinsecchisce.
***

E' difficile dire chi sia Persefone, terza delle dee vulnerabili dopo Era e Demetra, perché è molto meno definita rispetto alle altre due.
Di Era  si può dire facilmente che è la personificazione dell'archetipo della moglie.
E di Demetra che è la personificazione dell'archetipo della madre.
In esse possiamo riconoscere infatti alcuni aspetti molto caratteristici della femminilità, che possono emergere in una donna sotto la spinta di forze che premono verso la coniugalità o la maternità.
Per capire invece chi sia Persefone, per coglierne la vera essenza, non si può fare riferimento alle forze che la muovono, perché spesso queste forze... non sono le sue.
Persefone infatti, tra le dee vulnerabili, è la più passiva.
E' una che  più che agire, viene agìta; più che muoversi, viene mossa; più che scegliere, viene scelta
Per cui è più facile rispondere alla domanda "dove sta Persefone?", anziché alla domanda "chi è Persefone?".
Tanto più che questa dea cambia enormemente a seconda di dove sta, come la sua storia sembra mostrare chiaramente.
La risposta alla domanda "dove sta Persefone?" è facile: perché o sta dalla madre o sta dal marito, secondo le stagioni.
E non ci si può sbagliare, perché non esiste una stagione in cui Persefone possa stare sola con se stessa e decidere di andare dove le pare.
Quando sta dalla madre, aiuta la madre; quando sta dal marito, aiuta il marito. E in questo modo non attua mai un mito tutto suo, ma è al servizio dei miti altrui. 
Nel mondo reale, somigliano a Persefone:
  • le donne che nelle relazioni affettive si trovano amate di un amore che non lascia spazio alla loro individualità e alla loro autonoma volontà (anche a Persefone nessuno chiedeva dove volesse andare: la madre dava per scontato che volesse stare con lei, e la tirava a sé; Ade aveva deciso che la voleva in sposa e la rapì);
  • le donne che nelle relazioni affettive si consegnano all'altro, e sono disposte a fare tutto quello che l'altro decide (dobbiamo fare la primavera, perché mamma è la dea delle messi? E va bene: facciamo la primavera. Dobbiamo governare le anime dell'oltretomba, perché Ade è il dio degl'Inferi? E va bene: facciamo anche quello);
  • le donne che concedono agli altri il potere di fare il bello e il cattivo tempo nella loro vita (come Persefone che non aveva nessun potere sull'alternarsi delle stagioni che accompagnavano il suo andirivieni tra i due mondi);
  • le donne che tendono a vivere le loro relazioni in modo  fusionale, sentendosi un tutt'uno con l'altro (ti amo e quindi io e te siamo la stessa cosa) anziché dando e ottenendo il rispetto dell'alterità di ciascuno (amo te che sei altro da me, come tu ami me che sono altro da te);
  • le donne che cercano di affermare se stesse sostenendo l'esatto contrario di ciò che afferma la madre, il padre, il partner, e che quindi, anche quando la spuntano, non sono comunque fedeli a se stesse, perché non sviluppano prospettive veramente proprie, ma semplicemente prospettive opposte a quelle altrui, e come tali dipendenti dal volere altrui, anche se in negativo (Persefone, per esempio, pare che abbia mangiato volontariamente i semi di melograno che Ade le aveva dato, scegliendosi così proprio il destino che sua madre aveva cercato in tutti i modi di risparmiarle).     
Nella sua relazione con Demetra, Persefone rappresenta la difficoltà che una donna può avere a recidere il cordone ombelicale con sua madre, a separarsi emotivamente da lei per vivere se stessa come una persona differenziata, con una propria autonomia di pensiero e di sentimento, capace di scelte proprie basate sulle proprie priorità, i propri bisogni, i propri valori.
Una madre Demetra, a sua volta, potrebbe non essere incline a favorire il processo di crescita e di progressiva autonomia dei figli. Se ha investito tutta se stessa nelle funzioni materne, potrebbe sentirsi a sua volta persa se i figli crescendo si separano da lei. 
Ma volerli tenere legati a sé, per  non soffrirne il distacco, non favorisce la crescita dei figli; e non è espressione d'amore ma sopraffazione ("l'altro mi serve per soddisfare i miei bisogni", mentre il vero amore è rispettoso dei bisogni dell'altro).
Persefone, che passa da una madre dominatrice a un marito dominatore, non ha la possibilità di completare un processo di maturazione personale, che possa consentirle  di sperimentarsi come essere a un tempo "separato" eppure "in relazione", e quindi di viversi come persona adulta, capace di autodeterminarsi e di decidere per sé, e di  assumersi le proprie responsabilità, insieme al rischio di sbagliare con la propria testa.
Crescerà mai una Persefone?
Diventerà mai padrona di se stessa?
Come al solito, dipende dai casi.
Alcune donne, dopo aver scelto un partner- Ade, che facilita la loro separazione dalla madre, riescono a non restare soggiogate da lui, e a portare comunque avanti il loro processo di crescita individuale.
Altre conoscono momenti bui (il mondo delle Ombre) e arrivate a un certo punto possono decidere di fare i conti con gli aspetti irrisolti della loro vita. 
Altre invece restano talmente incastrate in modelli relazionali fusionali, da non riuscire a concepire un'alternativa, con il rischio di continuare a perpetrare il modello stesso anche nelle nuove relazioni e presso le nuove generazioni. 



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domenica 11 maggio 2014

Mitologia e psicologia - 5) Sono una donna, non sono una dea. Confronto tra la donna Atalanta e la dea Artemide sulla questione: matrimonio e figli o carriera e successo?

Dr.Maria Michela Altiero
psicologa
***  +39 3888257088  ***

Atalanta era una donna che eccelleva nella gara e nella corsa.
Una profezia diceva che quando si fosse sposata si sarebbe trasformata in un animale.
Un po' per questo e un po' per la sua devozione ad Artemide, dea vergine e cacciatrice,  Atalanta non aveva mai messo il matrimonio tra i suoi progetti per il futuro.
Abbandonata alla nascita in cima a una montagna (perché nata femmina, contrariamente al desiderio paterno di un figlio maschio), era stata trovata e nutrita da un'orsa ed  era  poi diventata un'abile cacciatrice.
Ebbe per amante e compagno Meleagro, un cacciatore come lei, ed entrambi erano diventati famosi  per le loro imprese (non ultimo il ruolo di rilievo che ebbero nella cattura del cinghiale calidonio).
Quando Meleagro morì, Atalanta fece ritorno alla casa paterna ed il padre - resosi conto finalmente del valore della figlia - l'accolse volentieri presso di sé. Nell'assumere le funzioni paterne, però, cercò in tutti i modi di convincere la figlia a sposarsi.
Atalanta per un po' tergiversò ma poi, messa alle strette, cedette alle pressioni paterne, dettando però le sue condizioni. Avrebbe sposato, disse, soltanto l'uomo capace di batterla nella corsa, ma al tempo stesso avrebbe anche ucciso qualunque uomo l'avesse sfidata senza riuscire poi a batterla.
Poiché era velocissima, tutti i suoi pretendenti che la sfidavano nella corsa, pur ottenendo sempre  un leggero vantaggio iniziale, venivano puntualmente da lei raggiunti e uccisi.
Quando il giovane Ippomene - innamoratissimo di lei - decise che avrebbe tentato anche lui la prova,  Afrodite, dea dell'amore, venne in suo aiuto. La dea diede ad Ippomene tre mele d’oro, si dice provenienti dal Giardino delle Esperidi, e gli suggerì una strategia: ogni volta che Atalanta fosse stata sul punto di raggiungerlo, lui avrebbe dovuto lasciar cadere una mela d’oro.
Fu così che per  ben tre volte Atalanta, durante la gara con Ippomene, interruppe la sua corsa per chinarsi a raccogliere una mela d'oro, e così facendo perse:
- prima di tutto il suo ritmo,
- poi la sua gara per il successo,
- e alla fine anche lo stato nubile.
Atalanta e Ippomene si sposarono e conobbero insieme le gioie dell'amore coniugale.
Vissero per sempre felici e contenti?
Difficile dirlo. E' una questione di interpretazioni e punti di vista.
Le cose infatti andarono così.
Un giorno Atalanta e Ippomene, durante una battuta di caccia, entrarono in un certo santuario e non seppero resistere alla tentazione di amarsi proprio in quel luogo.
La divinità a cui era dedicato il santuario se ne sentì offesa e  allora  punì entrambi, trasformandoli in leoni.
***
Il mito di Atalanta  è dunque la storia di una donna che nella prima parte della sua vita è molto fedele al modello della dea Artemide. Poi accade qualcosa e la sua storia cambia piega. 
Artemide, per i romani Diana, era la dea della caccia e della luna e, in quanto tale, personificazione dello spirito femminile indipendente. 
Essa rappresenta un archetipo di  dea vergine (una dea cioè completa in sé stessa,  la cui identità e il cui valore non dipendono dall'essere moglie, madre o figlia di qualcuno, ma da ciò che essa stessa è e fa).
Artemide in particolare, in quanto dea della caccia, era un'abile arciera,  che poteva scegliere e inseguire tutte le prede che voleva, e mirare con sicurezza a qualunque bersaglio avesse voluto, sicura di colpirlo.
Le donne in cui  è attivo il modello di questa dea (le donne come Atalanta), hanno a loro volta la capacità di scegliere e perseguire con determinazione le proprie mete, di concentrarsi intensamente su ciò che a loro interessa, di puntare ad obiettivi e riuscire a raggiungerli (il che equivale a centrare bersagli, come faceva Artemide con le sue frecce).
Si tratta di donne che non temono la competizione, nemmeno con gli uomini, e se mai la considerano anche uno stimolo eccitante come per la caccia.
Le richieste e i bisogni delle altre persone non le distolgono da ciò che per loro è importante, non le rallentano e non interferiscono con le  loro attività.
Insomma non sono donne che ci si immagina a raccogliere mele durante una corsa, perché questo genere di cose porta a perdere le gare, e loro lo sanno! 
Anche da Atalanta non ci si sarebbe mai aspettati un comportamento del genere, perché anche lei era una donna forgiata sul modello di Artemide e sapeva molto bene quali interferenze evitare per realizzare i suoi progetti. C'era addirittura una profezia che l'ammoniva contro i rischi del matrimonio, e che rendeva più prudente per lei legarsi, se mai, a un Meleagro (amante/socio/compagno in avventure), piuttosto che sposarsi e diventare una  moglie tradizionale. 
Cosa ci fu allora di tanto irresistibile per Atalanta nelle tre mele d'oro lanciate da Ippomene, da indurla a mandare all'aria tutti i suoi piani e farle accettare l'idea del matrimonio con tutti gli intralci che avrebbe portato alla sua carriera?
Tra tutte le possibili interpretazioni, quella di Jean Shinoda Bolen mi sembra particolarmente interessante, ed è la seguente.


Raccogliendo la prima mela, Atalanta si rende conto del tempo che passa.
La superficie aurea del frutto, infatti, le rimanda distorta l'immagine riflessa del suo volto, e lei 
allora pensa: "Sarò così da vecchia". 
Questo è ciò che può accadere a quelle donne dal temperamento attivo che, tutte prese da ciò che fanno, perdono la nozione del tempo che passa e, giunte a una certa età, si rendono conto improvvisamente di non essere le depositarie dell'eterna giovinezza e cominciano a riflettere sul corso della propria vita e su dove le stia portando.


Raccogliendo la seconda mela, Atalanta diventa consapevole dell'importanza dell'amore.
Le viene infatti alla mente il ricordo del suo antico amante Meleagro, che suscita in lei un  desiderio di intimità fisica ed emotiva. Questo desiderio, combinato con la consapevolezza del tempo che passa, distrae la donna dalla concentrazione sulle sue mete, rendendola più ricettiva all'amore e all'intimità, e quindi meno simile ad Artemide e più vicina ad Afrodite.

Raccogliendo la terza mela, Atalanta cede all'istinto di procreazione e alla creatività.
E questa è la donna sempre impegnata a realizzare i suoi scopi, che verso la trentina viene colta da un desiderio prepotente di avere un figlio (quasi che anche Demetra, dea archetipica della maternità, si fosse coalizzata con Afrodite mettendo a tacere nella donna i suoi aspetti Artemide).   La terza mela d'oro, peraltro, può simboleggiare anche una creatività di tipo non biologico, risvegliata in un'epoca della vita in cui la tensione verso i vecchi obiettivi lascia il posto a qualche forma di espressione personale.

Le mele d'oro insomma simboleggiano le spinte che conducono molte donne come Atalanta a rivedere a un certo punto del loro cammino le loro priorità, a riflettere su cosa sia davvero importante per loro nella vita, e a dare spazio alla propria interiorità e al loro bisogno d'intimità, anche a scapito dei risultati esteriori e delle  conquiste dell'indipendenza.
Che da tutto ciò una donna possa uscire profondamente trasformata non deve allora stupire. 
Anche Atalanta alla fine si ritrovò  trasformata.
Certo fu trasformata in un animale e non in una specie di dea, e questa può sembrare agli occhi di molti una brutta fine (tant'è che si trattò di una punizione e non di un premio).
Forse la stessa idea di poter diventare una bestia dopo sposata, come diceva la profezia, corrisponde al timore di una donna di potersi abbrutire dopo il matrimonio (magari diventando  grassa, stupida e incompetente come tante che conosce). 
Ma se il timore rappresentato  è davvero questo, non mi sembra  proprio che trovi una conferma nella metamorfosi di Atalanta in   leone.
Avrei capito una gallina (che significherebbe: ora faccio la chioccia e sono diventata come una stupida gallina); 
 
e avrei capito pure una mucca
(il mio destino è ormai solo nutrire gli altri, che sia dare il latte al bambino o la bistecca al marito).

Ma un leone!
Il leone è un animale forte e regale. Ed è anche un cacciatore di alto livello, un predatore. 
Allora ipotizzerei un'altra interpretazione.
Secondo me nel leone (e anche nella leonessa) si possono considerare intatte tutte le qualità di base della natura di Atalanta: forza, coraggio, valore, nobiltà, velocità, e anche l'anima cacciatrice dei grandi predatori.
La metamorfosi in animale sottolinea più che altro la diversità della  donna dalla dea, e sembra fatta apposta per far svanire un'illusione di onnipotenza e  ricordare prepotentemente ad Atalanta che lei non è una dea, come Artemide, ma è un mammifero, come i leoni. 
Donne e leonesse, infatti, per quanto forti e magnifiche, non sono né invincibili, né invulnerabili, né immortali.
Sono state programmate dalla natura anche per innamorarsi, procreare e allattare, e questi istinti sono forti perché servono alla conservazione della specie anche se a volte scombussolano i piani  individuali.
La buona notizia è magari che, come una gallina resta  sempre una gallina sia che faccia la chioccia sia che si metta in pista, così una leonessa resta sempre una  leonessa, anche se gioca con i cuccioli anziché andare a caccia.
Il valore è salvo, sono solo le circostanze ad essere diverse.
E allora la questione potrà essere decidere cosa farne, di questo grande valore; se, come e quando rimetterlo in pista, o se, come e per quanto tempo tenerlo più o meno  lontano da corse e battute di caccia, custodendolo e coltivandolo  nella riservatezza della propria tana, come tesoro personale e anche di famiglia.
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venerdì 14 marzo 2014

Mitologia e psicologia. 4) Demetra e l'archetipo della madre

Demetra (per i Romani Cerere) era la dea delle messi, colei che presiedeva all'abbondanza dei raccolti.
Figlia di Crono e Rea e sorella di Zeus, nella prima parte della sua vita ebbe un destino simile a quello di Era:  fu cioè divorata dal padre e successivamente si unì a Zeus, di cui fu la quarta consorte regale (precedendo Era che fu la settima ed ultima).
Dalla sua unione con Zeus nacque un’unica figlia, Persefone (per i Romani Proserpina), che un giorno fu rapita dal dio degli Inferi, Ade, che la portò con sé nel Regno dei Morti per farne la sua sposa.
Persefone urlò disperata durante il rapimento, ma nessuno intervenne in suo aiuto, nemmeno suo padre Zeus.
Solo Demetra, udendo le invocazioni della propria amatissima figlia, si allarmò e corse a cercarla.
Le sue ricerche si protrassero per nove giorni e nove notti finché al decimo giorno la dea apprese la terribile notizia dal dio del Sole, Elio (che condivideva tale titolo con Apollo), che dal cielo vedeva tutto ciò che accadeva in  terra. Elio consigliò alla dea di rassegnarsi e di accettare l'accaduto, sia perché ratificato da Zeus, sia perché Ade era comunque un genero di tutto rispetto.
Distrutta dal dolore per la perdita della figlia e profondamente amareggiata per l'oltraggio ed il tradimento di Zeus, Demetra lasciò allora l'Olimpo per ritirarsi ad Eleusi e si vendicò sulla terra rendendola sterile ed infeconda.
A nulla valsero i tentativi degli altri dei di convincerla a tornare all'Olimpo e riprendere le sue funzioni di dea delle messi. Demetra era insensibile a suppliche, doni e onorificenze, e rese noto a tutti che non sarebbe tornata finché non le fosse stata restituita la figlia.
Zeus allora fu costretto a cedere alle sue richieste ed impose ad Ade di lasciar tornare Persefone, mandando Hermes a riprenderla.
Ade però, prima che Persefone se ne andasse, le dette dei semi di melograno, che lei mangiò. Ma, poiché si trattava di cibo proveniente dagli Inferi, Persefone fu costretta per questo a tornare nel mondo sotterraneo per sei mesi all'anno.
Da allora, quando Demetra e Persefone sono di nuovo insieme, la terra rifiorisce e le piante crescono  rigogliose ma, durante i sei mesi in cui Persefone è costretta a tornare nel mondo delle ombre, la terra ridiventa spoglia e infeconda. Questi sei mesi sono chiaramente quelli invernali, durante i quali in Grecia la maggior parte della vegetazione diventa secca e muore.
***
La leggenda narra inoltre che, durante il suo soggiorno ad Eleusi, Demetra aveva assunto inizialmente le false sembianze di una vecchia nutrice  e si era presa cura di un bambino, Demofonte, figlio del reggente della città, Celeo, e di una donna di nome Metanira.
Demetra allevò Demofonte come se fosse un dio, nutrendolo d'ambrosia ed esponendolo di nascosto a un fuoco che lo avrebbe reso immortale. Ma Demofonte non poté ottenere l’immortalità perché il rituale fu  bruscamente interrotto dall'arrivo di  Metanira che, vedendo il proprio bambino nel fuoco, si mise a urlare di paura.
La dea allora si rivelò e, lamentandosi di come gli sciocchi mortali non capiscano i rituali degli dei, pretese che le venisse edificato un tempio, dove si insediò durante il resto della sua permanenza ad Eleusi.
Prima di lasciare la città, Demetra insegnò all'altro figlio di Celeo, Trittolemo, l'arte dell'agricoltura (che egli diffuse anche nel resto della Grecia) ed istituitì i Misteri Eleusini, che per più di duemila anni furono i più sacri e i più importanti rituali religiosi dell'antica Grecia e grazie a cui i mortali ebbero una ragione per vivere nella gioia e per morire senza temere la morte.
***
Gea - nonna di Demetra e Madre Terra primigenia
Sull'Olimpo Demetra incarna l'archetipo della madre.
E’infatti la dea preposta alla fertilità, com'erano state prima di lei anche:
·        sua nonna Gea  (Madre Terra primigenia da cui viene ogni forma di vita) e
·        sua madre  Rea (dea della terra e madre della prima generazione di dei dell'Olimpo).
Per tre generazioni peraltro queste dee madri condivisero anche un triste destino comune: la sofferenza per la mancanza d'istinto paterno nei padri biologici. Infatti:
·        il marito di Gea, Urano,  seppelliva i figli appena nati nel corpo della moglie;
·        il consorte di Rea, Crono, li inghiottiva;
·        e quello di Demetra, Zeus, lasciò che la figlia venisse rapita dal dio degli Inferi.
Per ben tre generazioni, insomma, queste dee madri si scontrarono con i rispettivi consorti per salvare i figli, anteponendo tutte l'amore materno a quello coniugale.
Questa circostanza (oltre ad essere una  buona metafora di certi specifici rischi che le famiglie possono correre durante il loro ciclo di vita, come:
  •  la possibile crisi della coppia innescata dall’arrivo dei figli,
  •  le dolorose alleanze che a volte si instaurano tra uno dei genitori e i figli, contro l’altro genitore,
  • la possibile trasmissione di generazione in generazione di uno stesso destino, fondato su modelli di pensiero, di sentimento, comportamentali e relazionali tipici di una certa famiglia)
evidenzia ciò che caratterizza Demetra rispetto ad altre dee dell’Olimpo (come Era e Afrodite) che pure ebbero figli e quindi furono anch’esse madri. Per Demetra, a differenza delle altre dee dell’Olimpo,  il  rapporto con la figlia era il legame più significativo della sua esistenza e l’istinto alla cura degli altri era molto più forte che nelle altre dee.
Del resto parte del nome di Demetra, meter, sembra significare proprio madre ed i ruoli principali della dea  nella mitologia furono proprio quelli di:
-  madre biologica (di Persefone),
-  madre nutrice (dea delle messi dispensatrice di cibo e anche nutrice di Demofonte)
-  madre che dà sostegno psicologico-spirituale (dea dei Misteri Eleusini).
Demetra dunque, come dea madre, rappresenta l'istinto materno che si realizza nel dare alla luce un figlio e  nel dare ad altri nutrimento fisico, psicologico o spirituale.
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COME SI PRESENTA DEMETRA NELLE DONNE D'OGGI
In una donna d'oggi l'archetipo di Demetra si manifesta come istinto materno, come desiderio di rimanere incinta, di avere un bambino, di nutrirlo e di  allevarlo
Quando questo archetipo è dominante, la maternità è il ruolo e la funzione più importante della vita di una donna.
La presenza di Demetra in una donna in certi casi è molto evidente; e lo è in particolare:

  • quando, da bambina, culla e accudisce un bambolotto o tiene volentieri in braccio un bambino vero, e poi verso i nove-dieci anni  fa volentieri da babysitter a bambini più piccoli;
  • quando, crescendo, viene spinta in direzione della gravidanza da una forza prepotente, che può manifestarsi sia a livello cosciente, come forza che conduce alla consapevole decisione di fare un figlio, sia come forza inconscia che la predispone a trovarsi incinta 'per caso';
  • quando, di fronte a una gravidanza imprevista che potrebbe sconvolgere l'intero corso della sua esistenza, non se la sente di abortire, perché ciò contrasta con un imperativo profondo di fare un figlio e, se costretta ad abortire, ne soffre poi moltissimo, sentendosi in preda a conflitti interiori, angoscia e dolore;
  • quando prova il desiderio di adottare un bambino o di fare la babysitter (come del resto  fece anche Demetra con Demofonte);
  • quando prova soddisfazione ed appagamento nel nutrire gli altri (figli, famiglia, ospiti) e  si mette a preparare per loro pranzi e pranzetti;
  • quando in ufficio serve volentieri il caffè a tutti, senza sentirsi assolutamente sminuita per questo rispetto ai colleghi;
  • quando lotta strenuamente per il benessere dei suoi figli come fece Demetra per liberare Persefone, e come fanno tante madri coraggiose e perseveranti di figli disabili, malati, rapiti, scomparsi,  ingiustamente imprigionati, vittimizzati che combattono battaglie interminabili per garantire loro cure, assistenza, libertà, giustizia, senza mai darsi per vinte, nonostante gli ostacoli e le intimidazioni del potere;  
  • quando è generosa ed elargisce volentieri al suo prossimo cure materiali, sostegno psicologico e nutrimento spirituale (una Madre Teresa);
  • quando si trasferisce in campagna e si mette a coltivare personalmente gli ortaggi da servire in tavola, a fare il pane e le conserve di frutta, e a dividere il suo raccolto con gli altri, come una Demetra, dea delle messi;  
  • quando si sente attratta da professioni assistenziali in cui può esprimere il suo istinto alla cura degli altri (insegnante, pediatra, assistente sociale, psicologa, terapista della riabilitazione, eccetera);
  • quando fonda o dirige un'organizzazione e vi riversa tutta la sua energia materna, per farla crescere e prosperare (e, se qualcuno prende il suo posto nell'organizzazione, si sente ferita come una Demetra a cui hanno portato via la figlia) ;
  • quando assume un ruolo di guida e protezione verso chi dipende da lei, al punto da avere difficoltà a licenziare un impiegato incompetente, perché il dispiacere che gli arreca la fa sentire in colpa;
  • quando non entra in competizione con altre donne per via degli uomini o della carriera, ma per i figli (se non ne ha avuti, invidia quelle che ce li hanno; se i suoi si sono allontanati, soffre vedendo quelle che ce li hanno vicini);
  •  quando nel rapporto con un uomo è calda ed affettuosa, ma è più coccolona che sexy;
  •  quando fa sesso o per procreare o perché lo considera incluso nel pacchetto di cure che una  brava madre di famiglia offre al marito (sesso da nutrice).

DIFFICOLTA'  PSICOLOGICHE
Tipici problemi della donna in cui è molto attivo l'archetipo  Demetra sono:
  • Difficoltà a dire di no - Poiché la donna Demetra tende a dire di  sì a chiunque abbia bisogno del suo aiuto, essa corre il rischio di sobbarcarsi troppi impegni, sacrificando così i propri bisogni e riducendosi esausta e svuotata (clicca qui per andare al post "Imparare a dire (anche) di no")
  • Difficoltà ad esprimere la rabbia - La donna Demetra può avere difficoltà ad esprimere la rabbia in maniera appropriata ed essere più incline a comportamenti di tipo aggressivo-passivo (si dimentica di un impegno, arriva tardi a un appuntamento, eccetera). Imparare ad affermare in maniera chiara e assertiva i suoi sacrosanti bisogni può sia evitarle di somatizzare la sua rabbia inespressa, sia migliorare la sua comunicazione con gli altri: è importante che impari ad esprimersi con messaggi forti e chiari, piuttosto che con messaggi deboli e confusi (ricordando che anche Demetra dovette scioperare per ottenere da Zeus ciò che voleva) (clicca qui per andare al post "E della rabbia, che me ne faccio?")
  • Tendenza ad alimentare la dipendenza negli altri - Un sovrabbondante istinto materno può portare una donna Demetra ad infantilizzare gli altri (figli, allievi, dipendenti) anziché aiutarli a crescere; dire "Lascia stare che lo faccio io", essere esageratamente vigile e iperprotettiva, sovraintendere e controllare eccessivamente l'operato altrui non sostiene il processo di crescita e di progressiva autonomia dei figli e di chiunque altro la circondi, ma piuttosto ne alimenta la dipendenza. Alcune donne si sentono un po' minacciate dalla crescente autonomia dei figli, quasi a temere che una forza malefica (Ade l'infernale) glieli porti via per sempre. Anche Demetra dovette fare i conti con questa dimensione e alla fine dovette accettare che sua figlia stesse un po' con lei e un po' con Ade, perché non poteva restare per sempre attaccata alle sue sottane; al tempo stesso proprio la disponibilità a lasciar andare e lasciar crescere gli altri (figli, allievi, dipendenti, clienti) non li  costringe  a rompere di netto il rapporto se hanno bisogno di respirare, ma consente loro di andare e tornare  senza drammi
  • Sindrome del nido vuoto - Quando una donna investe troppe energie nel ruolo materno fino a farne quasi la sua unica ragione di vita, corre il rischio di sentirsi triste e inutile quando i figli si allontanano da lei (fisicamente o affettivamente) e di avere così l'impressione che sua vita non abbia  più senso. Una tappa naturale del ciclo di vita familiare, com'è a un certo punto l'uscita di casa dei figli, può essere vissuta come un vero e proprio lutto. La donna può provare allora malinconia, senso di solitudine, ansia, senso di vuoto, crisi d'identità, fino ad arrivare alla depressione.
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Infine il mito di Demetra sembra contenere tre importanti insegnamenti sotto forma di metafora, e in particolare:
1) L'ansia e l'intrusività di una madre possono nuocere al figlio
Quando Metanira credette di salvare suo figlio dal fuoco a cui lo esponeva Demetra, in realtà interruppe il rituale che lo avrebbe reso immortale; una buona madre deve imparare a riconoscere e arginare la propria ansia e i propri comportamenti intrusivi, quando possono ostacolare la crescita dei figli.
Riconoscere queste zone d'ombra è la cosa più difficile di tutte per una mamma, perché di solito è in buona fede e non se ne rende conto ("Io mi preoccupo per il suo bene!", direbbe). Se per amore materno sarà  disposta a prendere in considerazione ed esplorare anche questi aspetti di sé, non solo aiuterà i figli a crescere meglio, ma alla fine si troverà cresciuta essa stessa.
2) E' utile riuscire a convogliare l'energia materna esuberante
Dopo il ratto di Persefone, Demetra dolente si rifugiò ad Eleusi e in quel luogo trovò conforto prendendosi cura del bambino Demofonte, insegnando a Trittolemo  l'arte dell'agricoltura, disponendo la costruzione di un tempio.
Tutto questo sembra suggerire alle donne con un grosso istinto materno di incanalarlo anche in altri rapporti ed attività quando la relazione con i figli non lo consente più; la loro propensione alla cura degli altri può esprimersi infatti in molti utili modi che giovano contemporaneamente a se stesse e al mondo, senza che i figli debbano sentirsi in difetto per essere cresciuti e aver preso la loro strada.
3) E' importante saper accettare tutte le stagioni della vita
Il mito di Demetra e Persefone parla dell'alternarsi delle stagioni durante l'anno e anche della capacità di crescere attraverso la sofferenza. Il mito sembra invitarci ad accettare tutte le stagioni della vita, con il loro alternarsi di gelo e calore, di luce e di buio.
Ognuno di noi può fare tesoro anche dei momenti di dolore e così degli inverni della propria vita,  traformandoli  in un'occasione di crescita, acquistando una maggiore consapevolezza e saggezza.
Persefone che ritorna dopo l'inverno portando la primavera suggerisce proprio questo: la possibilità di una stagione di ricchezza e rinascita dopo il pianto e il dolore.
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