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sabato 9 novembre 2024

Mindfulness. Riprendere i sensi uno alla volta: IL GUSTO

Concludiamo oggi la serie di riflessioni sul tema “Riprendere i sensi uno alla volta”, con un video dedicato al senso del gusto che puoi seguire su YouTube al link: https://youtu.be/2MPryO4FycQ

Oggi l'invito è di onorare il senso del GUSTO mettendolo intenzionalmente in primo piano durante la giornata. 

Ripromettiamoci di non “ingurgitare” distrattamente gli alimenti che metteremo in bocca e di apprezzarne attentamente il sapore in ogni sfumatura.

Sviluppare intenzionalmente un’attenzione curiosa verso il sapore delle cose è una strada che può condurci lontano.

Può aprirci alla possibilità di assaporare più attentamente ogni dono della vita e di coltivare intenzionalmente il gusto di vivere.


***

A seguire gli altri video sul tema

RIPRENDERE I SENSI (UNO ALLA VOLTA)














Domani 10 novembre alle 10:30 su YouTube première della pratica del pasto consapevole: un incontro con il cibo che coinvolgerà tutti e 5 i nostri sensi, uno alla volta, al link:

https://youtu.be/d-WXi4iYm1s?si=hoGNnTt9zKwt8UG8





               
   

        WhatsApp:  + 39 388 825 70 88

domenica 25 agosto 2024

Mindfulness. Ciclo di video sul tema "Riprendere i sensi (uno alla volta)". Primo appuntamento oggi alle 16:00 su YouTube



Appuntamento oggi alle 16:00 su YouTube per la première
del primo video del ciclo sul tema 
"Riprendere i sensi (uno alla volta)". 
Il video si può seguire su YouTube al link: https://youtu.be/6xeQxTAtdKQ


A seguire qualche parola di commento sull'iniziativa.
Buona domenica!

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I sensi ci forniscono informazioni preziose sull'ambiente in cui viviamo, ci dicono che forma/colore/dimensione hanno le cose, che rumore fanno, quanto sono morbide/dure/ruvide/lisce/calde/fredde, di cosa odorano, di cosa sanno. Il fatto che ciò che i nostri sensi percepiscono ci risulti gradevole o sgradevole, non è ininfluente rispetto al nostro "star bene". A volte può influire meno, a volte di più. A volte, come si dice, noi non siamo "connessi", non facciamo caso a ciò che abbiamo davanti agli occhi, sotto il naso o nelle orecchie: non ne siamo pienamente consapevoli. Siamo talmente altrove con l'attenzione da non accorgerci della differenza tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace in ciascun momento della nostra vita, e quindi neanche della differenza tra ciò che contribuisce a farci sentire bene e ciò che contribuisce a farci sentire male. Questo può capitare con tutti i sensi.
Nei prossimi giorni vi proporrò una serie di video per accompagnarvi nel risveglio intenzionale dei sensi, uno alla volta. Un giorno sarà in primo piano l'olfatto, un giorno il tatto, un altro l'udito, e ancora il gusto e la vista.
Onoreremo così un senso al giorno (come se fosse "il santo del giorno"...) con piena attenzione ai messaggi che ci porterà, affinché - come dice il titolo di un noto libro di Jon Kabat Zinn - noi si possa "riprendere i sensi" e vivere la nostra vita con maggiore consapevolezza e pienezza, giorno per giorno, momento per momento.







               
   

        WhatsApp:  + 39 388 825 70 88

sabato 2 ottobre 2021

Coltivare la serenità e la presenza mentale attraverso i sensi. Una poesia sulla vista


Tempo libero, poesia di William Henry Davies

Cos’è la vita se, pieni di preoccupazioni, Non abbiamo il tempo per stare a guardare. Niente tempo per stare sotto ai rami E guardare a lungo come pecore o mucche. Niente tempo per vedere, quando attraversiamo un bosco, Dove gli scoiattoli nascondono le loro noci nell’erba. Niente tempo per vedere, nella piena luce del giorno, Ruscelli pieni di stelle, come cieli di notte. Niente tempo per volgerci allo sguardo della Bellezza E osservare i suoi piedi, come ballano. Niente tempo per aspettare che la sua bocca possa arricchire quel sorriso iniziato dai suoi occhi. Una vita misera questa se, pieni di preoccupazioni, Non abbiamo il tempo per stare a guardare." (William Henry Davies - Tempo libero -) *** Questa poesia ci ricorda come sia facile lasciarci travolgere dai mille impegni della nostra vita, dai pensieri, dalle preoccupazioni fino a diventare come ciechi rispetto ai meravigliosi scenari che l'esistenza comunque continua ad offrirci giorno dopo giorno. Non c'è vita priva di una qualche quota di difficoltà e di sofferenza: questo fa parte della condizione umana. Ma scegliere di essere presenti nel qui ed ora, con i cinque sensi aperti, con la disponibilità a lasciarsi coinvolgere da tutto ciò che il momento offre nella sua complessità, ci fa scoprire doni di infinita bellezza: il luccichio della luce che si riflette nel ruscello di giorno, il luccichio delle stelle nel cielo di notte.

Scopri di più su "MBSR - Mindfulness Based Stress Reduction" programma di gruppo per la riduzione dello stress basato sulla mindfulness: online su Zoom dal 5 ottobre con la conduzione di Maria Michela Altiero psicologa mindfulness trainer. 

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sabato 22 ottobre 2016

Mindfulness. Accogliere il dolore fisico lasciando andare la paura di sentirlo. Traccia audio sulle sensazioni fisiche

"Ogni giorno ci sono centinaia di situazioni indesiderate che sorgono come le onde dell'uniforme mare delle nostre vite. [...] Proviamo a lavorare intenzionalmente con questa schiumeggiante umidità che ci viene incontro mascherata da ciò che non desideriamo. Che cosa potrebbe succedere, se riuscissimo anche solo per pochi istanti, a interrompere questa frenetica attività di negazione, recriminazione o rifiuto che generalmente accompagna simili situazioni? Proviamo a vedere se riusciamo a vivere per alcuni attimi o minuti lasciando le cose esattamente come sono..."  (Saki Santorelli, Guarisci te stesso

Personalmente considero miracoloso ogni evento che percepisco nel corpo. A volte mi dico che se stessi davvero attenta a tutto ciò che avviene nel mio corpo in ogni singolo momento della mia vita, vivrei in uno stato di permanente ammirato stupore. Vedo. Miracolo! Sento gli odori. Miracolo! Sento i suoni, i sapori, il caldo, il freddo, il liscio, il piacere, il dolore. Miracolo miracolo miracolo! Per non parlare di tutte le funzioni corporee e degli incredibili processi che avvengono nel nostro corpo spontaneamente, mentre noi siamo indaffarati e presi dalle nostre mille faccende importanti (che non avranno più tanta importanza il giorno che il nostro corpo deciderà di spegnersi, o che potranno diventare comunque secondarie se il nostro corpo si incepperà costringendoci una buona volta a prestargli attenzione).  
Quando uno assiste a un miracolo di solito non sta tanto a sottilizzare circa il fatto se è gradevole o sgradevole. Sgrana gli occhi, resta a bocca aperta, e presta la massima attenzione a ciò che avviene, per non perdersi il minimo dettaglio dell'esperienza.
Oggi riproponiamoci di assumere questo tipo di atteggiamento nei confronti del nostro corpo e di tutto ciò che sentiamo standoci dentro. Proviamo a prestare intenzionalmente attenzione alle nostre esperienze sensoriali momento per momento, così come si presentano, senza preferenze, senza giudizi, prescindendo  dal fatto che siano gradevoli, sgradevoli o neutre. Proprio come si farebbe se si fosse testimoni di un evento eccezionale, degno del massimo interesse a prescindere dal suo livello di gradevolezza.



La verità è che noi tutti abbiamo la tendenza ad aprirci alle esperienze piacevoli e a sottrarci a quelle spiacevoli, cosa che in sé e per sé va bene e ci consente per esempio di non bruciarci vicino al fuoco, perché ci teniamo a distanza di sicurezza, e di non morire assiderati perché corriamo a metterci un cappotto quando ci accorgiamo di avere freddo. 
Ci sono tuttavia delle volte in cui questo atteggiamento non è funzionale, perché il rifiuto rispetto all'esperienza dolorosa e il tentativo di proteggerci dal dolore non ci libera da esso, ma magari aggrava anche la situazione, aggiungendo qualche tensione nel corpo, intorno all'area dove la sensazione dolorosa si presenta (discorso che vale peraltro sia per il dolore fisico sia per quello emotivo, e avremo modo di riparlarne).
Oggi vi presento una traccia audio che guida una pratica formale di mindfulness tesa proprio a portare l'attenzione alle sensazioni del corpo senza rifiutarne nessuna, ma anzi con l'invito a sentire e prestare attenzione anche a quelle sgradevoli che dovessero emergere mentre pratichiamo.
Il suggerimento è di non accostarsi a questa pratica con l'intenzione di sbarazzarsi del dolore fisico ma piuttosto con l'intenzione di incontrarlo, conoscerlo meglio e venirci a patti. Quali sono i patti? Molto semplici. Anche senza dirli a parole, hanno a che fare con un atteggiamento accogliente verso il dolore, come se gli dicessimo: "Benvenuto.  Piacere di fare la tua conoscenza. Lascia che io ti conosca meglio. Lascia che io ti abbracci. Lascia che io ti consideri parte del miracolo, come ogni altro aspetto del corpo che abito". 
E anziché fuggire dal sentire, anziché chiudere le porte al sentire doloroso per paura di soffrire, ci apriamo ad esso coraggiosamente e osserviamo la nostra esperienza con attenzione, con interesse, con una curiosità calda e amorevole, proprio come farebbe una mamma che sta vicino al suo bambino con la febbre o il mal di pancia, e lo cura anche con la sua semplice presenza, la sua disponibilità a stare lì con lui, prestandogli attenzione e osservando come evolve la situazione momento dopo momento.
Ad un certo punto può darsi anche che la mamma metta un cuscino dietro la testa del bambino o gli rimbocchi le coperte,  restando ad osservare cosa cambia e cosa non cambia nello stato del figlioletto grazie a quel piccolo intervento. E questo è  un po' l'atteggiamento che assumeremo anche noi quando seguiremo le indicazioni della voce guida e "faremo qualcosa"  (per esempio respirare nelle zone dove avvertiamo il disagio o la tensione). L'importante è che ci sia chiaro che l'esercizio non consiste tanto nel fare queste cose (ne potremmo fare altre centomila, volendo, e continuare così a perpetrare l'abitudine a reagire allo stimolo doloroso, senza ascoltarlo, ma solo cercando di non sentirlo) quanto nell'imparare ad accostarci quietamente ai disagi che provengono dal corpo, lasciando andare la paura di sentirli e imparando così a stare con essi in un modo completamente nuovo, che trasforma il dolore e il disagio perché cambia il nostro modo di relazionarci con essi.
Chiudo qui questo post, anche perché mi rendo conto che non ha molto senso continuare a scrivere parole su parole su una questione che non va tanto "capita" quanto "sperimentata". Certo, per noi che siamo esseri pensanti può risultare difficile accostarci a delle pratiche che non capiamo. E' come richiedere un atto di fede. Ma fede in che? Suggerirei di provare ad aver fede, fiducia, nella nostra capacità di poter fare qualcosa per noi stessi e di accudirci, curarci, semplicemente stando davvero in contatto con il nostro corpo così com'è, senza fuggire dal sentire fisico. Fede che un corpo abitato dalla consapevolezza è diverso da un corpo abbandonato dalla mente, proprio come una casa abitata e con il camino acceso è diversa da una casa  abbandonata, fredda e con le luci spente. 
Vi lascio finalmente alla traccia audio, ricordandovi ancora una volta che tutte le tracce audio finora pubblicate servono a sostenere la pratica individuale a casa di chi sta seguendo o ha già seguito uno dei programmi mindfulness-based che propongo dal vivo (per chi fosse interessato, alla pagina degli eventi c'è il calendario dei prossimi corsi in programma e delle relative presentazioni gratuite).
Le tracce audio sono solo semplici esercizi, ma non possono in alcun modo considerarsi sostitutive dei percorsi dal vivo, dove entrano in gioco molte altre componenti, assolutamente determinanti ai fini degli effetti trasformativi che la mindfulness può portare nelle nostre vite.

domenica 12 aprile 2015

Mindfulness. Un pasto consapevole in un giorno di raffreddore


Da che la mindfulness è entrata nella mia vita, mi piace molto la mattina alzarmi dal letto e dirigermi verso un pasto consapevole.
Se ho deciso di portare più consapevolezza nella mia vita, niente di strano se ne porto un po' anche a tavola, ogni tanto. E la mattina per me è un buon momento.

Una delle cose che amo mangiare a colazione è una mela tagliata a pezzetti dentro allo yogurt bianco.
Mi piaceva già da prima che mi mettessi a giocherellare con le mele durante i pasti consapevoli. Giocherellare ho detto. Ma sì. Alla fine un pasto consapevole è anche questo: essere talmente presenti all'esperienza da prenderci gusto, come se fosse un gioco.
Se dovessi dire a che gioco assomiglia, propenderei per la caccia al tesoro. La rotondità della mela, la non totale rotondità della mela, il picciolo, la cavità peduncolare, la calicina. Tutta roba sensibilmente reale a cui faccio caso diversamente, da quando il mio rapporto con le mele è diventato più consapevole. 

Il rosso della buccia. Il rosso non uniforme della buccia: i puntini, le righe, quel po' di giallo che pure c'è e che non è dappertutto lo stesso giallo (e anzi a volte non è nemmeno più giallo...). L'opacità che diventa gradualmente  lucidità, a mano a mano che strofino i polpastrelli sulla buccia. E poi certo il freddo della mela, se l'ho presa dal frigorifero, il suo profumo, il suo peso, ed anche il rumore che fa, quando la passo da una mano all'altra. 

Chi crede che la superficie di una mela sia uniformemente liscia come quella di una palla da biliardo, provi a farsela rotolare piano piano sulle guance o sulle labbra, o anche a farsela girare dentro i palmi delle mani tenendo gli occhi chiusi. Forse avrà una sorpresa.
È sorprendersi ancora e ancora per ciò che c'è, mentre c'è, che rende i nostri momenti interessanti,  significativi, importanti, e la nostra vita un viaggio di continue scoperte, meritevole di tutta la nostra attenzione, presenza, interesse.

A volte sono più che altro gli stimoli forti, i fatti eccezionali, i viaggi in territori lontani (che si tratti di viaggi veri e propri o di viaggi in senso metaforico) che ci ricordano cosa significhi fare scoperte e vivere con un senso di sorpresa. Praticare la consapevolezza nel quotidiano ci consente di sperimentare scoperte e sorprese, anche in momenti in cui apparentemente non sta accadendo nulla

***

Ieri mattina la mela non aveva sapore.
Rigiravo in suoi pezzetti in bocca, facendoli andare sotto al palato, a destra e a sinistra della lingua, un po' più avanti e un po' più indietro. Ne ho letto ad occhi chiusi dentro la bocca ogni aspetto concernente la forma, gli spigoli, la consistenza, la temperatura. Ho sentito il rumore che facevano sotto i miei denti, mentre li masticavo attentamente, e li ho sentiti secernere liquido sotto l'effetto del pestaggio. 

Ma niente sapore. Se un po' di dolce c'era, era talmente poco, da essere sopraffatto dalla diluizione nello yogurt, che a sua volta non sapeva di niente (era pura consistenza, scioglimento, mobilità, inseguimento) e non era nemmeno acido. 

Gusto e olfatto avevano conosciuto il silenzio come un udito condotto a un concerto senza musica.
O come il silenzio di un sordo a un concerto (esperienza  rappresentata peraltro magistralmente nel film La famiglia Bélier).

Ma, a parte ciò, cos'era successo alla mia mela di ieri?
Vivere attentamente il suo non sapore è stato anche vivere la mia delusione e un vago senso di tradimento.

Sorprendersi infatti non significa necessariamente vivere belle sorprese. Si vive quello che c'è.
Ieri c'era il raffreddore. Ed è stato con me tutto il giorno, offrendomi un'esperienza del mondo attraverso il suo filtro: una specie di carta assorbente che tratteneva gli odori e i sapori, e mi passava un mondo di cose ripulite, che non sapevano più di niente.

A pranzo non avevo in programma un pasto consapevole. E tuttavia sapevo che mi sarebbe toccato un pasto col raffreddore, cioè un pasto insapore e inodore.
Per cui è stata la fame a spedirmi in cucina e non certo la voglia.

Avvertire la fame è accostarsi ad un sentire del corpo che nelle società dell'abbondanza tendenzialmente non si tiene per molto tempo. Appena abbiamo fame mangiamo qualcosa, e poi magari dopo ci trastulliamo con mille domande sul fatto se era vera fame o fame nervosa, e insomma quelle cose lì.

Per cui alla fine starci un po' insieme, con questa fame, e sentirla - non tanto con il pensiero quanto con l'esperienza sensoriale diretta - e quindi cercarla nel punto del corpo in cui si manifesta con più evidenza, osservare come si presenta, cosa provoca qua o là, e portare attenzione anche alla pressione delle  forze che dentro di noi ci spingono a risolverla, ad eliminarla, può insegnarci molto riguardo a noi stessi e a ciò che c'è dietro (o anche dentro) ai nostri comportamenti alimentari più scontati.

Fatto sta che ho aperto il frigorifero ed ho tirato fuori un mazzetto di carote, tre finocchi e due fascetti di ravanelli.
L'abbinamento dei colori era molto piacevole: bianco, arancione, rosso, verde. E pensare che sono tutte cose che crescono sotto terra. Tanto colore ad un livello dell'esistenza a cui l'occhio normalmente non accede. Bisogna mettersi a scavare per accorgersene, non basta restare in superficie.

Ecco un tipico pensiero da psicologa, avrebbero detto le mie figlie, riportandomi al fatto che ora stavo con la testa dentro al frigorifero, luogo davvero sconsigliabile per filosofeggiare quando si ha il raffreddore.

È che ne avrei inventate mille, pur di sottrarmi alla noiosa preparazione di quel pasto.
Una cosa molto interessante che ho scoperto nel mio panorama interiore, da che pratico la mindfulness, sono le tante sfumature fisiche e mentali che possono racchiudersi nella sbrigativa definizione di noia. Cos'è la noia veramente? Dove sta nel corpo, che sensazioni dà, che succede a tenersela un po'? Quello che succede a me, di solito, è questo. Appena mi metto ad osservare con curiosità la mia noia, e la rendo oggetto della mia attenzione, non mi dà più tanto fastidio. Diventa in un certo senso interessante pure lei, nonostante sia noia.



Ma le carote
Ho cominciato a pulirle con attenzione e quasi con rispetto, notandone le zone barbose e quelle glabre, le piccole grinze orizzontali che ne decoravano la superficie, e poi la sezione circolare che diventava visibile, una volta tagliato il ciuffo verde e la parte superiore della carota stessa.
C'è un mandala nella sezione di ogni carota. Lo sapevate? Come anche di ogni ravanello e di ogni finocchio, se è per questo. Sono i tipici disegni della natura, regolari e unici, presenti molto spesso in radici, ortaggi, fiori, frutti, e che tuttavia tante volte non vediamo, perché addentiamo frettolosamente le cose con l'unico intento di mandarle giù. 

Cadendo nell'acqua in cui li lavo fanno rumori diversi le carote, rispetto ai ravanelli e ai finocchi, e lo stesso quando li tolgo dall'acqua e li riverso nel colapasta per sgocciolarli. 

Servirebbe a qualcosa dare un nome ad ogni rumore, e descriverlo per come è fatto? Servirebbe solo forse per scriverlo qui. Non mi sono sforzata di cercare le parole, mi sono semplicemente messa in ascolto. Ho chiuso gli occhi e fatto spazio ai suoni, che fosse acqua corrente di rubinetto, o zampillo dovuto al tuffo di una carota, o vibrazione del colapasta nel lavello mentre ci buttavo dentro un finocchio.

"Ora vi mangio, altro che concerto. Ho fame!". Questo pensiero l'ho riconosciuto chiaramente. Forse  gridava più forte di tutti i suoni. Ma c'era una sfida in corso: scoprire le qualità di carote, finocchi e ravanelli nella mia bocca, prima ancora che nel mio stomaco, in assenza di ogni informazione proveniente da gusto e olfatto. Insomma, niente corse. 

Ho guardato una carota che più arancione non si poteva.
Era questo? Era solo colore? Non che non fosse abbastanza, intendiamoci. Ma non era solo questo. Infatti era anche croc croc sotto i denti, e vago intreccio di fibre che secernevano un succo. Ma certo: succo di carota! Poi una piccola sorpresa, giusto un attimo prima di deglutire. Un lieve pizzicorino quasi in gola, come un sapore nuovo. Che fosse questo il vero sapore di una carota? Che fosse stato necessario proprio un giorno di raffreddore per scoprirlo? Non saprei.

Ciò che invece so quasi con certezza, arrivati a questo punto, è che difficilmente sopportereste ancora a lungo la descrizione di questo pasto. Per cui direi di finirla qui. 
Che un ravanello pizzichi, non è difficile da immaginare. E che possa pizzicare un po' persino un finocchio, magari ormai ce lo aspettiamo. Tutto questo c'è stato e anche altro (persino un secondo piatto...). Ma vi risparmio la cronaca.

E il finale?
In verità non sarebbe molto mindfulness né pretenderlo, né aspettarselo, né chiamarselo. 
E meno che mai prometterlo! 
Mindfulness è portare l'attenzione intenzionalmente nel momento presente, stare completamente nel qui e ora.
Se ora stiamo con la testa nel finale che verrà, allora non siamo veramente qui, su questo rigo, in questo momento!

Però devo anche dire che, nella realtà, un buon finale c'è stato. 
Perché tacerlo, allora, visto che fa parte della storia?
Lo trovate più sotto, dopo la foto del mio pinzimonio.
Forse è una chiusura. Forse è un capitolo a  sé.


Dai e dai, a fine giornata il raffreddore si è arreso.
L'ho capito chiaramente la sera, rientrando a casa.
Ho annusato l'aria e mi sono accorta che non era più filtrata.
Potevo distinguere nitidamente il profumo dei finocchi.

Ecco il piccolo trionfo della guarigione.
Eccomi pronta per una cena normale. Finalmente.




Avvicinati anche tu
al pasto consapevole 
a partire dal 10 novembre 2024
 con l'audio-guida su YouTube 
al link: 



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domenica 23 dicembre 2012

Coltivare la serenità attraverso i sensi: il tatto


Abbiamo già parlato in  precedenti occasioni di come sia possibile coltivare la serenità attraverso un uso più attento dei nostri sensi, e finora ci siamo soffermati in particolare sulla vista (clicca qui) e sull'olfatto (clicca qui)
Oggi invece parleremo del tatto. 
Siamo fatti ognuno a modo suo, per quanto riguarda amore/avversione per il liscio, il ruvido, il caldo, il freddo, l'umido, il bagnato, il secco, le carezze, i pizzichi, i massaggi, i baci, le docce, i bagni e via dicendo.
C'è una pelle, tra noi e il mondo: a volte c'è una scorza dura, a volte una morbida pellicina di seta. 
Comunque sia, noi ce ne stiamo tutto il giorno  lì, per i fatti nostri, dentro alla nostra pelle,  e intanto non smettiamo nemmeno per un minuto di toccare il mondo e di esserne toccati.
A  ciò non si sfugge, che ci piaccia o no. 
Non è come la vista, che ogni tanto puoi chiudere gli occhi. E nemmeno come l'olfatto, che puoi turarti il naso. 
Per cui, stiamo attenti a ciò che sente la nostra pelle!
C'è una bella differenza tra graffi e carezze. Noi le sentiamo tutte, le carezze?
Ce lo prendiamo tutto, il bene che deriva dal contatto fisico col mondo?
O ci accorgiamo solo dei suoi graffi (perché quelli fanno male e allora, sì, che si sentono)?
O non ci accorgiamo magari nemmeno di quelli?
***
Divenite pienamente consapevoli del vostro corpo in questo preciso momento, del suo contatto con la poltrona su cui siete seduti, con i pantaloni o le calze che vi fasciano le gambe, con la camicia o la maglia che vi toccano le spalle, con il tepore che proviene da un termosifone nelle vicinanze o dal vostro stesso computer. 
Riuscite a trovare qualcosa di piacevole o spiacevole in tutto ciò, o niente di niente?
Se non riuscite a trovarci niente, poco male. Ma ricordate sempre che l'uso consapevole  dei nostri cinque sensi è anche questione di allenamento, di esercizio.
Vittorio Cei (psichiatra e psicoterapeuta), nel suo libro "Libera la tua creatività", suggerisce tra l'altro di cominciare la mattina, sin dal risveglio, ad esercitare l'uso creativo e consapevole dei  sensi tutti.
Visto che oggi noi vogliamo dare un po' di spazio al tatto, vediamo insieme come potrebbe essere un inizio di giornata dove il tatto viene valorizzato, aggiungendo qualcosa al nostro piacere di vivere.
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Ancor prima di aprire gli occhi, diveniamo consapevoli (e anzi compiaciamoci proprio) del piacevole tepore del nostro letto, di come sono lisce le nostre lenzuola, di come è piacevole tenere il viso affondato nel cuscino. Carezziamo e baciamo il  nostro partner, se ci dorme accanto (e se non sembra intenzionato a dormire in pace ancora un po'...) e quindi alziamoci,  mossi non  dall'idea degli impegni della giornata, ma dalla prospettiva immediata di una gran bella doccia. Facciamo in modo che l'aria della stanza da bagno sia abbastanza calda, come piace  a noi,  e che l'acqua pure, mentre ci scorre tra le dita (e le accarezza!),  raggiunga la temperatura giusta, quella che ci piace proprio tanto.
Andiamo quindi con tutto il corpo sotto l'acqua e sentiamo il piacere del contatto della nostra pelle con quella temperatura amata. Massaggiamoci allora con la spugna che più ci piace, morbida se ci piace morbida, ruvida se ci piace ruvida. Sentiamo il sapone diventare una crema soffice e schiumosa sulla nostra pelle.  Concentriamoci  intensamente su ciascuna di queste azioni, senza pensarle, ma solo vivendo in pienezza le sensazioni che ci danno. E facciamo in modo di godere il piacere presente senza mai  portare il pensiero oltre il qui e ora (a cosa ci aspetta dopo, cosa dobbiamo fare, dove dobbiamo andare). 
Può essere un timer, se necessario, a ricordarci che è ora di asciugarci (magari con un morbido asciugamano di spugna fresco di bucato e caldo di scalda-salviette),  ma finché il timer non suona, mi raccomando,  noi siamo solo... doccia!
***
Ed ora qualche citazione in materia, per ulteriori ispirazioni.
illustrazione  di Simona De Leo
***
"Radersi la barba, soprattutto per chi lo fa ogni giorno, è una noiosa azione ripetitiva. Quasi sempre un'occasione per tormentarsi, pensando alla pesante giornata che ci aspetta o ad uno dei tanti problemi che ci angosciano. Anche questa è una perdita quotidiana, un peccato mortale. Pensateci: è l'unico momento della giornata in cui potete tranquillamente massaggiarvi le guance, carezzarle con una crema profumata, provare il piacere di toccarle e sentirle toccate con un morbidissimo pennello o una soffice schiuma.Sentite tutto questo, concentratevi su queste meravigliose sensazioni. Non ve le perdete! Non concedete a nulla e a nessuno di distrarvi!" (Vittorio Cei)
"Il tatto è il primo senso fisico di cui abbiamo esperienza quando delle mani estranee ci tirano fuori dal regno oscuro dell'anima e ci portano nella luce fredda e dura della terra. ... Per molti il tatto è anche l'ultimo senso di cui hanno esperienza , prima di abbandonare questo mondo: la stretta di una mano cara. La vista, l'odorato, l'udito e il gusto se ne vanno prima di noi. ... Noi definiamo 'sentimenti' le nostre oscillazioni d'umore e, quando qualcosa fa vibrare in noi una corda sentimentale profonda, diciamo che siamo stati 'toccati'. Quando ci sentiamo alienati, frammentati e alla deriva, spesso per descrivere questo estraniamento, diciamo che 'abbiamo perso il contatto con la realtà'. Gli adesivi sulle automobili ci domandano: 'Oggi hai abbracciato tuo figlio?' E tu l'hai fatto? Perché tutti abbiamo bisogno di essere abbracciati e toccati, non per prosperare, ma per sopravvivere." (Sarah Ban Breathnach)
"Non sempre il silenzio significa tatto: 
è il tatto ch'è d'oro, non il silenzio." 

(Samuel Butler)

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(...e in caso di difficoltà, clicca qui per istruzioni)

sabato 17 novembre 2012

Coltivare la serenità attraverso i sensi. L'olfatto

"Gli odori stimolano i ricordi, ma risvegliano anche i nostri sensi appannati, ci vezzeggiano, ci coccolano, ci aiutano a definire l'immagine che abbiamo di noi, rimestano il calderone del nostro fascino, ci avvertono dei pericoli, ci inducono in tentazione, soffiano sul nostro fervore religioso, ci accompagnano in cielo, ci sposano alla moda, ci immergono nel lusso."
(Diane Ackerman)


Tra i consigli di bellezza citati nel post del 13 novembre scorso, se ricordate bene, c'era anche   "sapere di buono"; questo per l'elementare ragione che chi sa di buono ci piace di più, e quindi ci sembra anche più bello!
Cosa s'intenda per sapere di buono può essere oggetto di interpretazioni varie, ma l'accezione può benissimo introdurre un discorso sulla celebrazione dell'olfatto, perché "sapere di buono" può significare anche "emanare un buon profumo".
Ognuno di noi ha un proprio odore personale: un bouquet fatto di dieta, salute, ormoni, igiene, oltre ad essenze varie di cui eventualmente si cosparga.
Una persona ci passa accanto e noi stiamo lì che respiriamo. Può lasciarci il dono di una scia profumata o l'offesa di un cattivo odore. L'una e l'altra cosa non sono senza peso. L'odore che gratifica o offende il nostro olfatto ha a che fare direttamente col nostro respiro: entra dalla stessa via attraverso cui aspiriamo l'aria che ci serve per vivere. Ecco perché ci viene voglia di scappare, quando il nostro interlocutore - che magari dice tante cose belle - ha un alito pestilenziale; non è per maleducazione, o per incapacità di sostenere una conversazione... è per legittima difesa! Qualcosa ci dice che quell'aria ci fa male, e probabilmente è vero.
Allo stesso modo gli odori buoni, quelli che amiamo, hanno il potere di dare conforto e gioia al nostro spirito. Una spruzzatina di un profumo che amiamo ci tira subito su.
Se venissimo colpiti da anosmia (se cioè perdessimo il nostro senso dell'odorato), ci ritroveremmo senza una preziosa bussola interna. Infatti sono moltissime le informazioni che ci vengono dall'olfatto. Tant'è vero che usiamo dire "sento puzza di bruciato", per indicare il sospetto intuitivo che qualcosa non vada per il verso giusto; come parliamo di giudizi dati "a naso", riferendoci metaforicamente proprio al nostro olfatto come strumento primitivo per  orientarci nel mondo. Quest'ultimo è pieno di odori d'ogni tipo che possono risvegliare i nostri ricordi, colorare le  nostre emozioni, influenzare i nostri sentimenti ed il nostro umore.
Simbolicamente, poi, i profumi hanno anche un legame con il divino, con il sacro. Dio ordinò a Mosè di costruire un altare di aromi e di bruciare dolce incenso durante le preghiere; profumi ed essenze aromatiche venivano usati nell'antico Egitto durante il processo di mummificazione, ed anche nelle antiche cerimonie religiose romane e greche, e in molte altre cerimonie liturgiche anche dei tempi attuali, come se gli aromi, diffondendosi  liberi nell'aria, potessero creare un ponte simbolico tra terra e cielo.
***
Oggi pensiamo a quali doni possiamo fare al nostro olfatto per gratificarlo.
Andiamo alla ricerca di  semplici piaceri olfattivi capaci di darci gioia.
Ognuno può scovare le esperienze che più gli sono congeniali: coltivare sul balcone di casa piante aromatiche, andare a passeggio nel bosco dopo la pioggia, farsi un bel bagno profumato, bruciare nel camino scorze d'arancia e chiodi di garofano, farsi un giro al reparto profumi di un grande magazzino, andare a comprare il pane  caldo al forno,  accendere candele  profumate,  e così via.
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Ed ora una citazione sul tema dell'olfatto da un libro interamente dedicato al... profumo.

"Gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non potevano sottrarsi ai profumi. Poiché il profumo è fratello del respiro. Con esso penetrava gli uomini, a esso non potevano resistere, se volevano vivere. E il profumo scendeva in loro, direttamente al cuore e là distingueva categoricamente la simpatia dal disprezzo, il disgusto dal piacere, l’amore dall’odio.
 Colui che dominava gli odori, 
dominava il cuore degli uomini.”
 (Patrick Suskind, Il profumo)

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