C'era una volta una brava donna che si trovò a morire sul colpo in un incidente stradale. Non lasciava troppi guai dietro di sé, per cui avrebbe potuto andarsene da questa Terra senza tante storie. Ma lei diceva, non chiedetemi a Chi, che se avesse saputo che quello era il suo ultimo giorno di vita, certo non l'avrebbe sprecato come aveva fatto. Avrebbe guardato il mondo e le persone care in un modo diverso, avrebbe detto ciò che meritava davvero di essere detto, si sarebbe astenuta dal parlare a vanvera, avrebbe espresso gratitudine per i doni, avrebbe perdonato i torti. E poi chissà che altro. Sarebbe stata più attenta, insomma.
Le fu risposto che una vita terrena è fatta così: comincia, dura per un po' e poi finisce. E' inutile guardarsi indietro e dirsi che si poteva fare meglio: nessuno è perfetto, qualche errore è da mettersi in conto. Che si desse pace, era assolta.
Ma la signora non si dava pace e questo suo rimpianto non le consentiva di andarsene per davvero, perché la teneva come attaccata alla vecchia vita, che però intanto era finita.
Certo la situazione era complicata, ma alla fine si trovò una soluzione. Alla signora fu concesso di tornare sulla Terra e rivivere un giorno solo della sua vecchia vita. Ma non l'ultimo giorno, che ormai era andato così e così restava, e nemmeno un altro giorno straordinario, tipo quello del matrimonio, del parto, della laurea. No. Le veniva offerto un giorno normalissimo, di quelli che non fanno storia, di quelli che di solito in una vita si dimenticano perché, per quanto ne sappiamo, non era successo proprio niente, quel giorno. E una raccomandazione importante: doveva restare un giorno normale. Quindi niente scene madri della serie udite, udite, sono tornata dagli Inferi, ma al contrario moderazione, discrezione, disinvoltura.
Fu così che da un momento all'altro la donna si ritrovò catapultata nel suo corpo e nel suo letto, in una mattina di chissà che anno, con il sole che filtrava attraverso le tende, il profumo del caffè nell'aria, il rumore dell'acqua della doccia che proveniva dal bagno del marito, le voci dei figli che stavano discutendo tra loro prima di andare a scuola, e il suo cellulare che stava ripetendo il suono della sveglia per la terza volta. Era viva. Tutto le sembrò perfetto in quel momento: il rumore dell'ascensore che saliva e scendeva, il liscio delle lenzuola sotto le gambe, il profumo della sua crema da notte ancora sul cuscino. Tutti segni di vita preziosa. Certo, non aveva sentito la sveglia (era nell'Aldilà fino a un momento prima...). Certo, sarebbe arrivata tardi in ufficio, quella mattina, e nessuno in famiglia si era preso la briga di vedere come mai non fosse ancora in circolazione. Quando era viva probabilmente si sarebbe arrabbiata per una cosa così, e avrebbe cominciato a dire che lei pensava a tutti e invece gli altri... Ora invece era profondamente commossa. Era viva. E la sua famiglia era viva ed era lì. E stavano tutti bene. Abbastanza bene da preparare il caffè, da farsi la doccia, da discutere prima di andare a scuola. Tutto era perfetto, davvero. Entrò in cucina raggiante, così raggiante che i figli restarono perplessi, smisero di discutere, e chiesero: "Tutto bene, mamma?". Lei disse: "Sì, tutto bene. Tutto perfetto, amori miei" e li strinse forte a sé con gli occhi che cominciavano a inondarsi di lacrime. Loro dovettero accorgersi che era commossa e chissà cosa capirono. Fatto sta che mentre si scioglievano dall'abbraccio il figlio grande disse: "Scusa, ma'. Ci siamo messi a discutere tra noi e manco siamo venuti a vedere se eri viva o morta". Lei disse: "Eh..." e si versò il caffè, apprezzandone il calore e l'aroma. Apprezzando il semplice fatto di aver trovato lì un caffè, già bell'e pronto, ad accogliere la sua resurrezione. Sorrise e cominciò a sorseggiarlo, attenta a ogni dettaglio del gusto familiare e gradevole. Sentire il sapore del caffè. Sentirne l'odore. Sentirne il calore. Che esperienza...
"Per fortuna che sei ancora viva, ma'...", disse il figlio piccolo dandole un bacio con lo zaino già in spalla, pronto a uscire. "Solo che mo' ci tocca correre a scuola, perché se facciamo tardi non abbiamo la scusa del funerale della mamma...". Le lanciò un suo tipico sguardo sfottitore, di quelli che a volte si chiamavano una risata, altre volte un'imprecazione, altre volte le due cose insieme. Questa volta si chiamò un bacio in più e una spettinata di capelli dalla mano della mamma. Quanta vita in quello sguardo sfottitore, nel poterlo cogliere, nel potersi scambiare amore da occhi a occhi, qualunque cosa dicessero le parole. Quanta vita in quel momento ordinario, in cui la donna poteva persino ridere della propria morte che apparentemente non c'era, della vita così com'era e della segreta simultaneità di vita e morte, in cui ora dimorava, dove la realtà della morte dava più gusto alla vita, come uno sfondo scuro che dà risalto a tutti i colori, anche i più tenui.
C'era un'intera giornata davanti, e la donna se la sarebbe goduta pienamente momento per momento. Non era la semplice ripetizione di un giorno già vissuto, ma la degna celebrazione di tutta la sua vita. Un'occasione per guardare le cose in un modo nuovo, accogliendole così com'erano, apprezzandole per come erano, sorridendo alla vita in tutte le sue manifestazioni, accettandone anche le scomodità, le imperfezioni e le sgradevolezze. "Assoluzione generale", disse tra sé e sé la donna. Era così felice di essere viva oggi, in questo giorno dimenticato della sua esistenza, che le veniva semplice perdonare e benedire tutto e tutti, e perdonare una buona volta anche sé stessa - così com'era stata nella sua vita già conclusa - con i suoi umani limiti, errori, difficoltà.
Perdonò tutti. Si perdonò tutto. Provò gioia. Provò gratitudine. Trovò senso.E in serata se ne tornò in pace da dov'era venuta.
***
Ed ora vi propongo due esercizi.
Il primo è una specie di gioco.
Oggi fate conto di essere tornati alla vita per un giorno, proprio come la donna di cui abbiamo parlato, e regolatevi di conseguenza per tutta la giornata.
Per ricordarvene, ogni tanto potete fermarvi un momento, fare un bel respiro e chiedervi: "Se ora sapessi che sono in visita qua per un giorno solo, venendo dall'Aldilà, come la vivrei questa esperienza?"
Provate a vivere varie esperienze, soprattutto le più usuali e banali, da questa nuova prospettiva e osservate se cambia qualcosa nel modo in cui vi relazionate alle persone, alle cose, alle situazioni.
Se non vi piace l'idea dell'Aldilà, immaginatevi come una persona che sia emigrata in America da trent'anni e che ora, tornando per un giorno solo a casa, goda in pieno di tutto ciò che trova, bello o brutto che sia: l'odore delle piante selvatiche ai bordi del marciapiede (quell'odore che, aspetta, com'era? strappiamo una foglia e sentiamolo ancora...); la portinaia che brontola ad alta voce giù al palazzo (proprio quella che brontola da sempre; e lo fa anche oggi! Che mito... ascoltiamola attentamente, guardiamola bene), la parlata locale che si coglie passando in mezzo alla folla (com'è fatta questa musica? quante musiche diverse riusciamo a distinguere?).
Insomma provare, scoprire.
***
Il secondo esercizio è una variante del body scan, quindi si fa da sdraiati, a occhi chiusi, con una traccia audio che dura mezz'ora.
È collegato al racconto che avete appena letto da una domanda, che è questa:
In questo spirito, la pratica di oggi mette un'enfasi esplicita sull'assoluzione generale dei disagi presenti nel corpo, e quindi sull'atteggiamento accogliente, accettante, affettuoso, compassionevole con cui è utile relazionarci al nostro corpo e a noi stessi mentre pratichiamo. Ponendo l'attenzione sulle sensazioni fisiche, lasceremo andare intenzionalmente ogni eventuale giudizio o critica della mente relativamente al corpo (che per alcuni aspetti magari non ci piace, o non funziona bene come vorremmo, o ci reca dolore o altri tipi di disagio) e relativamente a noi stessi (caso mai ci accorgessimo che tendiamo a rimproverarci, per ciò che non funziona nella nostra vita o anche nel nostro corpo, aggiungendo così altra sofferenza al disagio che già incontriamo).
L'invito, durante la pratica, è di lasciar andare le critiche, i giudizi e ogni altra forma di lotta della mente contro le cose così come sono (il corpo così com'è, noi stessi così come siamo) e perdonare, perdonarci, prendendoci cura di noi stessi, gentilmente, pazientemente, compassionevolmente.
"Per fortuna che sei ancora viva, ma'...", disse il figlio piccolo dandole un bacio con lo zaino già in spalla, pronto a uscire. "Solo che mo' ci tocca correre a scuola, perché se facciamo tardi non abbiamo la scusa del funerale della mamma...". Le lanciò un suo tipico sguardo sfottitore, di quelli che a volte si chiamavano una risata, altre volte un'imprecazione, altre volte le due cose insieme. Questa volta si chiamò un bacio in più e una spettinata di capelli dalla mano della mamma. Quanta vita in quello sguardo sfottitore, nel poterlo cogliere, nel potersi scambiare amore da occhi a occhi, qualunque cosa dicessero le parole. Quanta vita in quel momento ordinario, in cui la donna poteva persino ridere della propria morte che apparentemente non c'era, della vita così com'era e della segreta simultaneità di vita e morte, in cui ora dimorava, dove la realtà della morte dava più gusto alla vita, come uno sfondo scuro che dà risalto a tutti i colori, anche i più tenui.
C'era un'intera giornata davanti, e la donna se la sarebbe goduta pienamente momento per momento. Non era la semplice ripetizione di un giorno già vissuto, ma la degna celebrazione di tutta la sua vita. Un'occasione per guardare le cose in un modo nuovo, accogliendole così com'erano, apprezzandole per come erano, sorridendo alla vita in tutte le sue manifestazioni, accettandone anche le scomodità, le imperfezioni e le sgradevolezze. "Assoluzione generale", disse tra sé e sé la donna. Era così felice di essere viva oggi, in questo giorno dimenticato della sua esistenza, che le veniva semplice perdonare e benedire tutto e tutti, e perdonare una buona volta anche sé stessa - così com'era stata nella sua vita già conclusa - con i suoi umani limiti, errori, difficoltà.
Perdonò tutti. Si perdonò tutto. Provò gioia. Provò gratitudine. Trovò senso.E in serata se ne tornò in pace da dov'era venuta.
Ed ora vi propongo due esercizi.
Il primo è una specie di gioco.
Oggi fate conto di essere tornati alla vita per un giorno, proprio come la donna di cui abbiamo parlato, e regolatevi di conseguenza per tutta la giornata.
Per ricordarvene, ogni tanto potete fermarvi un momento, fare un bel respiro e chiedervi: "Se ora sapessi che sono in visita qua per un giorno solo, venendo dall'Aldilà, come la vivrei questa esperienza?"
Provate a vivere varie esperienze, soprattutto le più usuali e banali, da questa nuova prospettiva e osservate se cambia qualcosa nel modo in cui vi relazionate alle persone, alle cose, alle situazioni.
Se non vi piace l'idea dell'Aldilà, immaginatevi come una persona che sia emigrata in America da trent'anni e che ora, tornando per un giorno solo a casa, goda in pieno di tutto ciò che trova, bello o brutto che sia: l'odore delle piante selvatiche ai bordi del marciapiede (quell'odore che, aspetta, com'era? strappiamo una foglia e sentiamolo ancora...); la portinaia che brontola ad alta voce giù al palazzo (proprio quella che brontola da sempre; e lo fa anche oggi! Che mito... ascoltiamola attentamente, guardiamola bene), la parlata locale che si coglie passando in mezzo alla folla (com'è fatta questa musica? quante musiche diverse riusciamo a distinguere?).
Insomma provare, scoprire.
***
Il secondo esercizio è una variante del body scan, quindi si fa da sdraiati, a occhi chiusi, con una traccia audio che dura mezz'ora.
È collegato al racconto che avete appena letto da una domanda, che è questa:
- secondo voi la donna, quando si è resa conto di essere di nuovo nel suo vecchio corpo, che atteggiamento avrà assunto nei confronti della sua cellulite, del suo alluce valgo, dei suoi peli di troppo, del suo dolore alla spalla, della sua pancia gonfia e della sua gastrite? Lo stesso atteggiamento di sempre o un atteggiamento un po' più accogliente e gentile del solito, dettato dalla semplice gioia di avere di nuovo un corpo, piuttosto che non averlo, e quindi di essere viva, piuttosto che non esserlo?
In questo spirito, la pratica di oggi mette un'enfasi esplicita sull'assoluzione generale dei disagi presenti nel corpo, e quindi sull'atteggiamento accogliente, accettante, affettuoso, compassionevole con cui è utile relazionarci al nostro corpo e a noi stessi mentre pratichiamo. Ponendo l'attenzione sulle sensazioni fisiche, lasceremo andare intenzionalmente ogni eventuale giudizio o critica della mente relativamente al corpo (che per alcuni aspetti magari non ci piace, o non funziona bene come vorremmo, o ci reca dolore o altri tipi di disagio) e relativamente a noi stessi (caso mai ci accorgessimo che tendiamo a rimproverarci, per ciò che non funziona nella nostra vita o anche nel nostro corpo, aggiungendo così altra sofferenza al disagio che già incontriamo).
L'invito, durante la pratica, è di lasciar andare le critiche, i giudizi e ogni altra forma di lotta della mente contro le cose così come sono (il corpo così com'è, noi stessi così come siamo) e perdonare, perdonarci, prendendoci cura di noi stessi, gentilmente, pazientemente, compassionevolmente.
Buona pratica!
Maria Michela Altiero psicologa e mindfulness trainer
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