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giovedì 23 maggio 2013

Evergreen: Solo per oggi


"Solo per oggi crederò fermamente, nonostante le apparenze contrarie, che la Provvidenza di Dio si occupi di me come se nessun altro esistesse al mondo.

Solo per oggi avrò cura del mio aspetto: non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non pretenderò di migliorare nessuno tranne me stesso.

Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo.

Solo per oggi mi adatterò alle circostanze senza pretendere che le circostanze si adattino tutte ai miei desideri.

Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a qualche buona lettura, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così la buona lettura alla vita dell'anima

Solo per oggi compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno.

Solo per oggi mi farò un programma; forse non lo seguirò a puntino ma lo farò e mi guarderò da due malanni: la fretta e l'indecisione.

Solo per oggi non avrò timori. Non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere alla bontà.

Posso ben fare, per dodici ore, ciò che mi sgomenterei se pensassi di doverlo fare per tutta la vita".

Papa Giovanni XXIII

martedì 18 dicembre 2012

Memento hominem: la scatola della nostra vita


Qualcuno sostiene che sia utile, a una certa età, raccontarsi, e di questa cosa - intesa come attività specificamente autobiografica - parlerò diffusamente un altro giorno, in un altro post (infatti sono convinta anch'io che sia molto utile raccontarsi, e non voglio liquidare la cosa così, in due parole).
Stasera invece voglio accennare ad un oggetto che può, non dico sostituire, ma almeno precedere, ispirare o evocare, un'autobiografia vera e propria: il cosiddetto Memento hominem.
Se ne parla, in particolare, in un libro di Allen Kurzweill, dal titolo "La scatola dell'inventore", di cui a seguire potrete leggere un estratto.  Si tratta di un contenitore di oggetti significativi, che evocano i momenti salienti della vita di una persona, e che beninteso sono diversi per ciascuno di noi.  Si va dal braccialetto che avevamo in culla, alla matrice del nostro primo assegno; dal dentino di latte che ci è caduto per primo, alla fattura del nostro vestito da sposa/sposo; e cose così.
Qualcuno potrebbe obiettare che un album di fotografie può avere la stessa funzione ed essere più "esplicito". Nulla vieta di mettere anche delle fotografie nel contenitore; le fotografie fissano gli aspetti visivi delle nostre esperienze in maniera molto nitida: perché negarcele? E' che ci sono altre qualità negli oggetti della nostra vita, che è bello rivivere raccontandoci (sia a noi stessi, mentalmente, sia  agli altri, a voce). Qualità tattili, olfattive, uditive; e direi anche gustative, se le date di scadenza dei prodotti alimentari non remassero contro la nostra impresa!
Personalmente sono una raccoglitrice di sassi. Quando vado in un posto che mi piace, raccogliere un sasso e portarmelo a casa, è un po' come portarmi a casa un pezzo di quel posto. Beninteso sarebbe esagerato riempire un memento hominem di tutti i sassi della nostra vita, così come sarebbe esagerato riempire un'autobiografia di tutti i nostri passi, di tutti i nostri pensieri, di tutte le nostre parole. Qualcosa è bene che venga perso, trascurato, lasciato fuori dal nostro contenitore e dalla nostra memoria. Questo ci può servire a capire meglio cosa ha davvero contato nella nostra vita e cosa non tanto, o anche cosa ci vogliamo tenere della nostra vita e cosa vogliamo abbandonare.
E poi  un'altra cosa, prima di concludere: ricordarsi di lasciare sempre un po' di spazio vuoto!

Se no il futuro dove lo mettiamo?
Non si può mai chiudere definitivamente la scatola dei ricordi della nostra vita.
Almeno finché siamo ancora vivi...
***

Ecco ora un estratto dal libro che vi dicevo e che mi ha fatto scoprire questa cosa.
(In questo stralcio il narratore, in una casa d’aste parigina, ha acquistato una misteriosa scatola , tarmata e impolverata, priva di contrassegni che ne indichino epoca e proprietario, e un uomo vuole convincerlo a vendergliela)
***
"Poi mi domandò, anzi, mi implorò di vendergli la Scatola. Naturalmente rifiutai. Nei minuti che seguirono, mi offrì una somma molto più alta di quanto l’avessi pagata. Gli risposi che non l’avevo comprata per guadagnarci nel rivenderla, ma che mi sarebbe piaciuto sapere perché era così interessato. Se fosse stato un habitué delle aste, si sarebbe rifiutato di rispondermi o avrebbe tentato di combinare qualche affare. Per fortuna, invece, era un professore di storia dell’arte e si mostrò accomodante. “Sa che cos’è un memento hominem?” chiese, col suo accento tipicamente italiano. “Memento hominem?” domandai. Ne avevo una vaga idea. “Teschi e orologi senza lancette.”
Mi corresse. “Lei lo confonde con il più comune memento mori, cioè con quei simboli della morte che si trovano nei dipinti e nell’architettura funeraria europea.” Mi spiegò che un memento hominem non serve a rammentare la morte, ma piuttosto è il documento di una vita. Ogni oggetto nella scatola rappresenta un momento o un rapporto importante nella vita di colui che l’ha preparata. Gli oggetti scelti sono spesso comuni e banali; ma non lo sono mai le ragioni della selezione. Disse che era una cosa comune in Svizzera e in Francia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Esuberante come possono esserlo solo gli italiani, mi rivelò che la Scatola dell’inventore narrava una storia, una storia veramente singolare "(Allen Kurzweil, La scatola dell’inventore, Bompiani, Milano 1992, pp. 9-10.)

martedì 6 novembre 2012

Tenere un buon diario di bordo

"Alla stregua del diario di viaggio, il diario di bordo ha da sempre aiutato esploratori di ogni specie ad appuntare le varie fasi delle proprie imprese." 
(da Wikipedia, voce "Diario di bordo")
***

In un blog dedicato a gente che corre, e che probabilmente anela ad una serenità che non intralci troppo le sue necessarie corse quotidiane, una domanda a cui non si può sfuggire è questa: si può dare alla "ricerca della serenità" lo stesso valore e lo stesso trattamento che si riserverebbe a qualunque altro dei propri impegni seri, con tanto di progettazione, monitoraggio, rendiconti, valutazioni, eccetera eccetera? Ha senso un'idea del genere o è una contraddizione in termini, perché impegnarsi ad essere sereni sarebbe come impegnarsi ad innamorarsi o a credere in Dio, cioè un voler trasformare in impegno anche qualcosa che per sua natura è spontaneo e non coercibile?
Serenità e impegno sembrano due termini inconciliabili e in effetti una certa dose di paradosso, nel discorso di oggi, forse effettivamente c'è, ma fino a un certo punto.
Molti pensano che per essere sereni, dovrebbero cambiare totalmente vita, e fare chissà quali grandi passi, ma ragionando così si rassegnano al fatto che, frattanto, debbano vivere in uno stato di ordinaria tensione, insoddisfazione, inquietudine, grigiore, escludendo a priori qualunque piccola "regolata rasserenante" alla stessa vita di sempre.
In realtà migliorare la qualità della nostra vita quotidiana è il miglior investimento che possiamo fare per la nostra serenità, sia che abbiamo in mente per il futuro qualche grande cambiamento, sia che questa idea non ci sfiori minimamente.
Per cui, tirando le fila del discorso, forse non possiamo tecnicamente "impegnarci ad essere sereni" - non possiamo, cioè, promettere né a noi stessi né a nessun altro che lo saremo - perché la serenità è una qualità spontanea che emerge dal nostro spirito a un certo punto un po' da sé, però possiamo impegnarci a monitorare la qualità delle nostre giornate, il modo in cui le trascorriamo, con chi ci relazioniamo, quanto tempo dedichiamo a cose pesanti e quanto a cose leggere, in che misura abbiamo cura di noi stessi e di ciò che amiamo e così via.
Quindi oggi vi parlerò di un diario di bordo per giorni normali.
Ne ho fatto uso personalmente e mi ha dato buoni risultati.
La sua maggiore utilità non si è rivelata tanto nei momenti importanti o avventurosi della mia vita - talvolta anche in quelli, sì, perché  comunque c'era e faceva comodo - quanto nei normali lunedì, martedì, mercoledì e così via, dove si corre il rischio di arrivare a fine giornata chiedendosi: "ma perché sono così stanco e mi sembra di non aver fatto niente di quello che dovevo o volevo fare oggi?"; oppure "perché oggi ho fatto tutto quello che dovevo o volevo fare e sono così insoddisfatto di questa giornata?".
Queste domande, forse, qualche volta potrebbero ancora emergere alla fine di un bel lunedì di corse (o martedì, o mercoledì...), ma il diario di bordo, se tenuto bene, può aiutarci a trovare una risposta a queste domande ed eventualmente anche un correttivo a ciò che secondo noi non va nella nostra ordinaria amministrazione. Questo perché, a prescindere dai grandi problemi della vita, è nel quotidiano che vanno ricercati i focolai della nostra  ordinaria frustrazione così come le fonti della nostra ordinaria serenità.
***
OCCORRENTE:
1) Un album cartaceo per fotografie (a fogli bianchi scrivibili) o qualcosa che possa somigliargli (c'è chi usa agende, quadernoni, blocchi per appunti: il risultato estetico può essere meno piacevole, ma la funzione può essere assolta ugualmente);
2) Vecchi numeri di riviste illustrate che ci piacciono e che possiamo tagliuzzare in libertà (se vi piacciono, potete ricorrere anche a depliant di agenzie di viaggi o a cataloghi illustrati di varia natura)
3) Forbici
4) Colla
5) Righello
6) Penna
***
All'inizio di ogni giornata -  o alla fine della giornata precedente, se la mattina non abbiamo tempo - utilizziamo una pagina di questo album come se dovessimo stilare un normale elenco delle cose che dobbiamo e/o vogliamo fare quel giorno. 
Procediamo così.
1) Cominciamo a sfogliare le nostre riviste illustrate preferite e ci soffermiamo sull'immagine che istintivamente ci procura un senso di maggior benessere e appagamento. Quindi prendiamo le forbici, la ritagliamo e la incolliamo sul nostro album,  in alto a sinistra sulla pagina bianca dedicata ai programmi della giornata.
Attenzione, non dobbiamo accontentarci di un'immagine appena decente, solo perché magari abbiamo fretta.
Questa cosa è importante e va fatta con calma! Trattare frettolosamente questo passaggio equivale a trattare sbrigativamente ciò che "davvero ci piace" della vita: il che simbolicamente la dice lunga su come intendiamo passare la media delle nostre giornate!
Quindi noi continueremo a cercare finché non troveremo proprio un'immagine che ci "incanti".
Le mie amiche più previdenti usano ritagliare le loro immagini preferite nei momenti di relax (a volte addirittura la sera a letto!), per poi tenerne alcune già pronte in una cartellina o in una scatola, e utilizzarle  nei momenti in cui si dedicano al diario di bordo.
Personalmente, invece, amo ritagliare ogni giorno l'immagine più vicina al mio sentire del momento. Ma ognuno si organizzi come preferisce. L'importante è poter benedire ogni giornata che comincia, con una bella immagine che ci ricordi ciò che ci piace veramente della vita e del mondo, qualunque cosa abbiamo in programma per le prossime ore.
2) Quindi prendiamo il righello e, sul lato destro della pagina, tracciamo una tabella composta da:
  •  una colonna centrale per l'elenco degli impegni della giornata;
  • due colonnine a destra per segnare il punteggio che attribuiamo a ciascun impegno rispettivamente in termini di  U=UTILITA' e   P=PIACEVOLEZZA
da 0 (= assolutamente inutile o assolutamente spiacevole) a 10 (= massimamente utile o massimamente piacevole);
  • una colonnina a sinistra per  l'orario e per spuntare via via con una crocetta le cose portate a termine.
Il risultato sarà uno schema di questo tipo:

h.

6 novembre 2012

U

P

8
Telefonare ad A.
6
8
9
Appuntamento con B. 
8
3
10
Appuntamento con C.
7
7
11
Scrivere relazioni 
8
6
12
Fare spesa verdura 
7
6

Eccetera eccetera
...
...





























Gli spazi bianchi che residuassero, verranno occupati con eventuali attività che non avevamo previsto o programmato, ma che poi comunque abbiamo portato a termine durante la giornata.
È importante segnare anche queste,  perché fanno parte dei motivi per cui a fine giornata potremmo non essere riusciti a portare a termine alcune attività programmate, oppure dei motivi per i quali a fine giornata siamo  esageratamente stanchi e non capiamo perché (...e intanto abbiamo fatto di tutto: il previsto e l'imprevisto!).
Già questa è un'informazione molto interessante circa l'andamento delle nostre giornate e può aiutarci a vedere con più chiarezza qual è il carico effettivo che portiamo sulle spalle, e soprattutto chi decide effettivamente l'andamento delle nostre giornate: noi, con la nostra programmazione, o il resto del mondo con le sue richieste? E allora magari uno può anche chiedersi come mai le cose vadano così e valutare, per esempio, se esista una strategia per migliorare la situazione.
Un'altra cosa importante è valutare se i punteggi globali delle attività della giornata siano o meno equilibrati in termini di utilità e piacevolezza: troppe cose utili e spiacevoli, possono rendere le nostre giornate molto pesanti; troppe cose piacevoli e inutili, per contro, possono darci l'impressione che noi stessi siamo inutili.
La  prima cosa di cui personalmente mi sono accorta, quando ho cominciato a dare un punteggio ai miei programmi della giornata, era che - in mancanza di un preciso punteggio - io tendevo a considerare "piacevoli" le cose utili che non fossero specificamente "spiacevoli", per cui a fine giornata non ritenevo di aver bisogno di una compensazione sul fronte piacevolezza.
Ritirare i vestiti in lavanderia o portare a lavare la macchina, per esempio, sono attività utili e non  specificamente spiacevoli. Io ho anche la tendenza a fare sempre due chiacchiere con chi incontro qua o là, per cui alla fine torno a casa anche contenta. Ma attenzione: il fatto di riuscire a prendersi il buono dalle situazioni è un'ottima cosa, purché non confonda le carte. Il punteggio dato preventivamente serve a questo: oggi vai in lavanderia e all'autolavaggio, sono le uniche attività piacevoli della tua giornata? Bene. Valgono 10 come piacere? No. Valgono 6. Vediamo allora questo 6 cosa va a compensare. Se va a compensare una sfilza di attività con utilità 10 e piacevolezza 4... non basta certo come quota di piacere quotidiano!
Quindi metteteli i punteggi alle cose che fate. Metteteli sempre.
La capacità di trasformare in un'occasione di piacere anche le incombenze utili è una grandissima risorsa, ma ci meritiamo comunque (e direi a maggior ragione, se facciamo tantissime cose utili!) anche qualche attività con punteggi alti in partenza sul fronte del piacere.
****
Una cosa che a volte, col procedere degli anni (e quindi con l'aumentare dei pensieri, delle responsabilità ecc.), riesce difficile fare è trovare attività con punteggio altissimo in termini di  piacevolezza.
Le attività con punteggi alti sono di solito le nostre passioni, e chiunque ne coltivi una con tutto se stesso sa bene in che consista la magia di quei momenti.
In effetti avere una passione e coltivarla è una vera benedizione, la vera cura contro l'invecchiamento, ed una delle fonti più feconde di appagamento e serenità.
Questo solo per dire: se avete una passione, tenetevela cara, e mettetela nella vostra lista degli impegni!
Trovate il tempo per suonare, o fare giardinaggio, o fare composizioni di fiori, o giocare con i vostri bambini, o ricamare, o giocare a calcetto, o fare yoga, o fare tiro con l'arco.
Non è tempo perso: è tempo dedicato ad attività con punteggio P alto.
È sbagliato in assoluto cancellarle di netto dalla propria agenda, per far spazio ad impegni con punteggio U più alto.
Ogni tanto si deve fare e si fa. E va bene.
Ma non può diventare una regola, perché le passioni sono ciò che ci rende amabile la vita.
Ed è da lì che poi traiamo l'energia e la forza anche per affrontare (senza soccombere...) tutte le attività Utilissime con punteggi P scarsetti.
***
Ora avete capito perché è importante attaccare ogni giorno un'immagine che vi piace sul diario di bordo?
E' un modo come un altro per iniziare la lista degli impegni con qualcosa con basso valore U  e alto valore  P.  Un piccolo piacere inutile, che però cambia l'aspetto di tutto l'elenco!


sabato 29 settembre 2012

Imprevisti

Il bello e il brutto dello stare al mondo è dato anche da una certa dose di imprevedibilità che aleggia ineluttabile sulle nostre giornate e che a volte possiamo percepire come minaccia,  a volte come semplice interrogativo ("cosa mi aspetta oggi?"), a volte anche come speranza , come quando attendiamo l'arrivo nella nostra vita di un qualche "deus ex machina", che ci tiri fuori dai guai.
A volte possiamo avere addirittura l'inconfessabile speranza che qualche imprevisto terribile intervenga nella nostra vita per sottrarci alle nostre responsabilità, offrendo a nostra discolpa un'incontestabile causa di forza maggiore. C'era per esempio un bambino del mio quartiere, quando ero piccola, che ogni tanto mi intratteneva con interrogativi del genere: "Per quanti giorni non si va a scuola, secondo te, se erutta il Vesuvio?", oppure: "Quanto tempo ci mettono, secondo te, per trovarci una  maestra nuova, se muore la nostra?", e altre cose così, che già all'epoca mi davano da pensare sullo strano rapporto che ciascuno di noi intrattiene con l'imprevedibilità del vivere.
Gli imprevisti, del resto, se da un lato possono mandare all'aria i nostri piani, far fallire i nostri progetti, metterci di fronte a circostanze rispetto a cui siamo impreparati e che ci impongono d'improvvisare una soluzione su due piedi, dall'altro possono anche smuovere situazioni stagnanti, scuoterci da  routine soporifere, darci una botta di vita in un momento di stanca esistenziale, fino a  indurci una buona volta a tirar fuori da noi stessi risorse inutilizzate, che magari nemmeno immaginavamo di avere.
Come in molte cose della vita, l'equilibrio è una questione di dosi. Ed è nell'equilibrio tra giuste dosi di prevedibilità e imprevedibilità che spesso si gioca buona parte della nostra serenità.
Ogni imprevisto è una sfida (più o meno grande, secondo i casi) alla nostra capacità di adattamento. Ed è una sfida personalissima, per cui valgono a poco le considerazioni di ordine generale e conta piuttosto come ciascuno di noi affronta, in un dato momento della sua vita, quel dato imprevisto, e cosa se ne fa di una simile esperienza.
Si usa dire che l'esperienza è qualcosa che facciamo quando siamo impreparati, e che non siamo mai abbastanza preparati se non abbiamo fatto esperienza.
La capacità di sopravvivere alle proprie esperienze e di farne tesoro, a volte richiede periodi più o meno lunghi di elaborazione. A volte il senso degli eventi, sul momento, ci sfugge. Non c'è tempo, del resto, per fare della filosofia, quando si combatte sulle barricate. 
Eppure è proprio la capacità di trovare un senso agli eventi, più o meno imprevedibili, della nostra vita, che ci consente di raccontarla agli altri, ma soprattutto a noi stessi, come una specie di bel romanzo, con un suo filo conduttore unitario, i suoi colpi di scena, i suoi momenti di suspense, ma soprattutto il suo significato umano. 
Trovare un senso agli eventi della nostra vita, alla fine, non è altro che trovare un senso a noi stessi, una risposta alla domanda latente "Chi sono e che campo a fare?", che non ci poniamo magari quando siamo al culmine della felicità, ma che prima o poi, anche senza tanti drammi, può sfiorare chiunque circoli su questa terra.
A volte non sono i fatti in sé e per sé a rendere interessante la nostra vita (come pure, del resto, un qualsiasi romanzo), ma piuttosto il modo personalissimo con cui noi protagonisti viviamo questi fatti, li affrontiamo e ne facciamo tesoro. Certo, sono prevalentemente gli imprevisti a fare storia, a creare trama, più che il tranquillo susseguirsi  di giorni prevedibili e "normali". E tuttavia non sono tanto gli eventi, prevedibili o imprevedibili che siano, l'elemento importante delle nostre storie, bensì lo sguardo personalissimo di noi  narratori-protagonisti su quegli stessi fatti. E' la lettura che noi ne diamo, attraverso la nostra  personalissima lente, che può conferire loro un senso, un'utilità esistenziale, un valore e anche una bellezza. E non è un azzardo affermare che lo stesso identico evento può essere considerato una fortuna o una disgrazia, secondo il modo in cui viene letto, secondo la cornice di senso in cui viene collocato, secondo il rapporto che secondo noi lega l'evento in questione ad altri momenti della nostra storia, in qualche misura determinati proprio, o comunque anche, da quell'evento.
Non è necessario scrivere un best-seller per dare un senso alla propria vita. Il romanzo della nostra vita è qualcosa che appartiene soprattutto a noi. Lo possiamo mettere per iscritto, se ci fa piacere, e certamente  la pratica autobiografica può essere una cosa molto utile, per noi stessi, per aiutarci a ricostruire i fatti  storici e il senso che questi fatti hanno avuto per noi. Ma non bisogna mai dimenticare che la vita che noi raccontiamo a noi stessi, giorno dopo giorno, per riepilogare mentalmente chi siamo, non è necessariamente un racconto immutabile. Con l'andar del tempo, infatti, potremmo accorgerci che abbiamo cominciato a raccontarci i soliti  fatti in un modo diverso da come ce li raccontavamo in passato. Come mai? Magari perché sono cambiati il nostro sguardo, la nostra concezione dell'esistenza, le nostre scale di valori e quindi la nostra chiave di lettura. Anche una psicoterapia può favorire una rilettura della propria vita in termini diversi da prima, come pure, del resto, altri tipi di esperienze particolarmente significative. 
In effetti è una strana storia la vita, perché è una storia che continuiamo a vivere mentre ce la raccontiamo, ed è difficile dire, a un certo punto: "Ecco, è questo il racconto definitivo della mia vita", perché ad ogni passo potrebbe esserci un'esperienza che rivoluziona tutto, che ci rivela nuovi squarci di senso, o ci rivela aspetti di noi insospettabili fino a quel momento. L'imprevisto, insomma, nel bene o nel male è sempre in agguato.
E c'è di più. Noi stessi cambiamo. E il più delle volte lo facciamo piano piano, magari senza accorgercene, fino a che ce ne avvediamo tutt'assieme, un bel giorno, quando il fatto è ormai eclatante. Anche questo, in fondo, può sembrarci un imprevisto: trovarci ad essere, oggi, una persona ben diversa da quella che eravamo abituati a raccontarci fino a ieri.
Infine, come per i romanzi che leggiamo o i film che vediamo, forse vorremmo noi tutti, anche per le nostre storie di vita, un qualche lieto fine.
Il gran finale, tuttavia, in senso oggettivo non c'è per nessuno. Per quanto gloriosa possa essere, qualuque morte è oggettivamente solo una morte: cioè la parola "Fine" a chiusura di un racconto.
Il massimo a cui possiamo ambire, secondo me, è avere il tempo di riuscire a raccontarci, prima di morire,  una versione di buona qualità della nostra storia. E forse non è un caso che - a quanto si dice - un momento prima di morire ci scorra davanti agli occhi  tutta la nostra vita .
Il vero lieto fine potrebbe essere,  a questo punto, nel livello di senso che il protagonista raggiunge, rileggendo la sua vita in quel momento: mettendone insieme i pezzi, i colori, le facce, le voci, l'incanto, i tormenti, le sconfitte, le vittorie, le gioie, i dolori, le illusioni, le delusioni, e quant'altro.
Il lieto fine è magari poter dire a se stessi in quel momento: "Ecco, io sono stato tutto questo. Mi fa proprio piacere."