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giovedì 23 dicembre 2021

Appuntamento di Natale: Meditazione di gratitudine per i benefattori e i maestri




Appuntamento su YouTube il 24 dicembre alle 18:00 per la première della Meditazione di Natale, dedicata alla gratitudine per i benefattori e i maestri. 
Ecco il link per seguire la pratica guidata su YouTube, sia in occasione della première, sia successivamente: https://youtu.be/luQeML8MiHw
Si tratta di un piccolo viaggio guidato attraverso le memorie della nostra vita, per prendere atto di tutto il bene che ci è venuto dall'incontro con determinate persone: i nostri benefattori (chi è stato gentile con noi, chi ci ha aiutato nei momenti difficili) ed i nostri maestri (chi ci ha insegnato qualcosa, chi ci ha aiutato a sviluppare delle capacità, delle competenze). 
Tenere a mente i loro doni preziosi, aprire il cuore alla gratitudine, ricordare i loro gesti, le loro parole, sentirci "ri-conoscenti" perché ri-conosciamo quelle esperienze ed il loro valore, ci apre ad un preciso modo di stare al mondo: starci come si sta in un posto più sicuro, un posto che ci espone sì a tante sfide ma dove c'è anche la possibilità di ricevere qualcosa di buono dalle altre persone, che siano sorrisi, abbracci, aiuti materiali, servizi, parole, insegnamenti.
La pratica rientra nel più ampio discorso sui tre flussi della Mindful Compassion, sviluppato negli ultimi quattro video pubblicati sul mio canale YouTube durante questo mese di dicembre e riguardanti rispettivamente:
Per gennaio è in calendario un percorso psicologico di gruppo on line, della durata 9 nove incontri, teso a sviluppare effettivamente questi tre flussi della Mindful Compassion nelle nostre vite, per godere dei loro benefici, attraverso pratiche formali e informali, che apprenderemo in gruppo e praticheremo individualmente a casa, sostenuti da indicazioni, file audio e schede.  
Sarà un modo per iniziare il nuovo anno all'insegna della cura di noi stessi, per sviluppare  qualità preziose come calma, gentilezza, saggezza, benevolenza, forza d'animo: strumenti potenti per sostenere noi stessi e gli altri attraverso le sfide della vita. 
Buon Natale a tutti voi!













domenica 25 ottobre 2020

Mindfulness: lavorare con l'invidia. Una meditazione per prenderci cura di un sentimento difficile

Oggi propongo una meditazione guidata, utile per lavorare con un sentimento difficile, come l'invidia, affinché possiamo prendercene cura, grazie al potere trasformativo della mindfulness, della compassione e dell'intenzione di mettere semi diversi, i semi benefici della gioia per la gioia altrui, nello stesso campo in cui ora cresce il sentimento opposto, la sofferenza per la gioia altrui
Qui il link alla meditazione guidata su YouTube: 
https://youtu.be/hIvb6eF1pEg
e, a seguire, un breve commento alla pratica.

L'invidia, la sofferenza che ci viene dal bene di un'altra persona, è un sentimento pesante da portare e anche problematico da riconoscere e accettare, quando arriva.
È un sentimento che può attirare biasimo da parte degli altri e anche da parte di noi stessi, della nostra voce critica interiore. È bollata come vizio capitale, sa di Inferno dantesco.
L'invidia può suggerirci pensieri che non vorremmo mai fare, contrari ai nostri valori, ai nostri principi, in contrasto con l'affetto stesso che nutriamo verso una certa persona.
Insomma può metterci in forte imbarazzo.
A volte proprio per questo ci rifiutiamo di vederla, quando arriva, la nascondiamo anche a noi stessi, la neghiamo, facciamo finta che non ci sia. Vorremmo tanto che non ci fosse, infatti. Ma quando c'è c'è e come disse qualcuno - forse Tolkien - non è tanto saggio far finta che non esistano i draghi, quando ne hai uno che ti dorme accanto nel letto.
Riconoscere l'invidia, quando emerge, può essere infatti estremamente utile, perché è solo così che possiamo prendercene cura, trattandola per quello che è: una forma di sofferenza.
Questo non significa compiacersene o minimizzarla, ma piuttosto consentirsi di osservarla con calma, notare come agisce dentro di noi, come si manifesta nel corpo, che tipo di pensieri tende a portare, verso quali comportamenti spinge. Significa in un certo senso dismettere i panni del protagonista della storia (il personaggio dell'invidioso) e assumere quelli dello spettatore, che esplora con interesse com'è fatta l'invidia mentre c'è.
Può darsi che nel fare questo scopriremo magari che sotto l'invidia sono presenti anche altri sentimenti (la rabbia, la tristezza, la paura), e che in realtà sono proprio questi sentimenti che si stanno facendo sentire, che chiedono di essere ascoltati. Forse sarà un'occasione per riconoscere di cosa abbiamo realmente bisogno e che magari non è tanto il fatto che finisca il bene, la gioia di un'altra persona, ma che compaia una fetta di bene, di gioia, anche per noi.
Forse potremmo scoprire dentro di noi anche una strana paura, basata sulla falsa credenza che a disposizione dell'umanità ci sia un quantitativo limitato di gioia e che se ne va troppa a un altro magari non ne resta per noi.
Beninteso la buona notizia è che la realtà non è così: la gioia non è come una coperta corta.
Le occasioni di gioia nelle nostre vite sono tante e varie, ognuno di noi può vivere momenti di gioia anche inaspettati, diversi magari da quelli di un'altra persona, diversi anche da quelli che ora ci sembrano l'unica possibilità che abbiamo per essere felici. E forse potremo anche notare quanta sofferenza genera questo aggrapparsi proprio a quella specifica occasione di gioia, a ciò che ora ci sfugge, e che può essere molto più salutare per noi provare a lasciar andare.
Un antidoto all'invidia può essere anche provare a controbilanciarla coltivando intenzionalmente il sentimento opposto: la gioia per la gioia altrui, in luogo della sofferenza per la gioia altrui.
Forse non è tanto semplice, ma possiamo provarci. Possiamo cominciare a mettere piccoli semi della gioia per la gioia altrui nello stesso campo in cui ora cresce la pianta dell'invidia. Per esempio possiamo accompagnare il cuore e la mente su questa intenzione con parole precise, che ripetute mentalmente ancora e ancora possano diventare una musica di sottofondo, una specie di balsamo che piano piano penetra nel nostro cuore. Parole come: che la tua gioia possa durare a lungo, che la tua fortuna e il tuo successo possano essere duraturi, che la gioia possa tenerti compagnia per tanto tempo.
Comunque vadano le cose che non dipendono da noi, e di cui per ciò stesso non abbiamo colpa, la qualità della nostra musica di sottofondo può colorirsi di questo atteggiamento intenzionale, grazie alle parole che possiamo scegliere, assumendoci una precisa responsabilità verso la nostra sofferenza, un'intenzione curativa.
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Maria Michela Altiero, psicologa, counselor, life coach e istruttrice di pratiche di mindfulness


Contatti: www.mariamichelaaltiero.it psicologa.altiero@gmail.com +39 3888257088

martedì 3 marzo 2020

Una pratica di gentilezza amorevole per i tempi di paura del contagio


In questo periodo di allarme da Coronavirus voglio riproporre una pratica già presentata su questo blog nel 2017, sotto il nome di "Body scan e gentilezza amorevole".
Liberamente ispirata ad un'antica pratica spirituale detta Metta, questa pratica ci consente di coltivare un atteggiamento della mente che,  partendo dalla consapevolezza corporea (body scan),  ci  porta ad aprirci a dimensioni di gentilezza amorevole.  La mente viene così accompagnata ad augurare ogni possibile bene (salute, sicurezza, felicità) a noi stessi e agli altri, fino a comprendere tutta l'umanità e, volendo,  anche ogni altro essere vivente.    
Ritengo che oggi una pratica del genere possa esserci di grande aiuto e suggerisco di provarla,  di farla e rifarla,  e non dar peso al fatto che all'inizio possa sembrarci un po' macchinosa, un po' lontana dalla nostra cultura,  o anche lunga, visto che dura cinquanta minuti a farla tutta (e il mio invito, oggi, è proprio di farla tutta...). 
In realtà non è tanto importante quanto ci piace la pratica, ma piuttosto quali semi mettiamo e coltiviamo, nel praticarla.
Una volta appresa la struttura della pratica, ognuno di noi può utilizzare anche parole diverse, personali, per adeguarla ai propri valori, alle proprie intenzioni, a ciò che per lui davvero conta. 
Visto il momento, per molti di noi sarà probabilmente in primo piano il valore prezioso della buona salute propria, altrui, di tutti. Assieme all'evidenza che siamo tutti connessi, che la buona salute non è un fatto personale, individuale, ma globale, che ci porta ad augurarci la guarigione e il benessere di tutti, di persone vicine e lontane, persone che neanche conosciamo, e persino di persone con cui non andiamo d'accordo, che ci sono ostili.Che noi tutti possiamo stare bene, in buona salute.
Che noi tutti possiamo stare al sicuro e al riparo dai pericoli. 
Che noi tutti, incontrando eventualmente la malattia nostra o altrui, possiamo prendercene cura con forza d'animo, saggezza e compassione.
Che noi tutti, dall'esperienza di questo momento, possiamo trarre insegnamento e stimolo per condotte più salutari e scelte più consapevoli, per il bene nostro, di tutta l'umanità,  di tutto il pianeta.
Buona pratica!



mercoledì 1 gennaio 2020

La mente della spiaggia e due tracce audio per i momenti difficili



Il mio augurio per l'anno nuovo è che noi possiamo coltivare lo stato mentale di una spiaggia continuamente lavata dalle onde, lasciando fluire le cose della vita con naturalezza, senza che la mente generi sofferenza inutile con dimensioni di pensiero disfunzionali.
A seguire alcune parole di Deng Ming-Dao sulla mente della spiaggia, tratte da  Il Tao per un anno (meditazione n.41) e in conclusione le due tracce audio delle pratiche di fine anno pubblicate sul canale YouTube e già anticipate e commentate nel video di Natale.
Si tratta di due esercizi che possono esserci d'aiuto quando le circostanze da affrontare sono particolarmente difficili e sentiamo il bisogno di darci conforto o di essere aiutati a trovare un valore anche in un momento che apparentemente un valore non ce l'ha, in quanto si presenta solo come indesiderabile, difficile, problematico.
L'intenzione che coltiviamo in questi casi sarà di prenderci cura compassionevolmente di ogni nostro disagio (come nella pratica del body scan compassionevole) e quindi di affrontare la realtà così com'è (accettare la sfida)  provando ad osservare l'esperienza da una prospettiva che lasci  spazio alla complessità, alla natura cangiante dell'esperienza, alla coscienza che i processi evolutivi sono fatti di momenti sì e di momenti no - tutti importanti ma non tutti piacevoli -  e che ciò che può aiutarci è diventare sempre più bravi a mantenere un equilibrio dinamico mentre cavalchiamo l'onda del momento, che ora è così ma non è sempre così, che ora è così ma non dura per sempre.
Buon anno a tutti! Buona pratica.
Che un'onda di serenità arrivi nei nostri cuori e nelle nostre menti e che noi ce ne lasciamo inondare!

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Orme sulla sabbia
subito dilavate:
la mente della spiaggia.

Andare in spiaggia significa passeggiare all’aria fresca,
ascoltare il suono delle onde,
sentire la sabbia sotto i nostri piedi.
Il sottile nastro che separa la terra dal mare
è un luogo perfetto per comprendere lo spirito della saggezza.
Così come esiste un equilibrio dinamico
fra la sabbia e l’acqua,
esiste un equilibrio dinamico
fra la parte inattiva e la parte attiva della nostra mente.
Così come la sabbia viene costantemente dilavata,
dovremmo liberare la nostra mente
dalle impressioni che vi indugiano. [...]

Deng Ming-Dao

Foto di Zack Minor on Unsplash
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Ed ecco le due nuove pratiche.
Non sono esattamente pratiche per principianti. Intraprenderle avendo già un certo allenamento con pratiche di concentrazione, di monitoraggio aperto, di gentilezza amorevole, di compassione, può consentirci di cogliere aspetti che altrimenti possono sfuggire. Ma comunque vada, lasciamo che nel nostro bagaglio ci sia qualcosa che prima o poi potrà tornarci utile. Il viaggio è lungo, la vita ci sorprende.







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venerdì 21 dicembre 2018

Una meditazione sul cuore per curare le difficoltà relazionali ed accogliere più serenamente il Natale

Dr.Maria Michela Altiero
psicologa
***  +39 3888257088  ***

Se in questo momento siamo innamorati,  siamo corrisposti e stiamo vivendo una relazione felice (...beati noi!), c'è da aspettarsi un buon Natale per il nostro cuore.
Come c'è da aspettarsi un buon Natale, se stiamo facendo i preparativi per il pranzo, per i doni, o per un'altra forma di accoglienza affettuosa diretta a qualcuno a cui teniamo, e di cui pregustiamo, come se fosse nostra, la gioia di ricevere da noi quell'attenzione: i bambini di famiglia, le persone sofferenti di cui ci prendiamo cura profondamente, tutti coloro a cui ci sentiamo sinceramente vicini.
Ma può darsi che il nostro cuore in questo momento non stia vivendo una condizione del genere.
Se portiamo nel cuore una ferita recente, il Natale può risultare per noi un amplificatore della nostra sofferenza.
Se abbiamo litigato con una persona cara, o per qualche altro motivo siamo in freddo con lei, con tutti o alcuni dei nostri parenti o dei nostri amici, il Natale non ci porta il conforto della vicinanza, il calore della connessione, ma anzi amplifica il senso di separatezza, di lontananza dalle persone della nostra vita, di solitudine interiore.
Di fatto non sempre possiamo scegliere ciò che la vita, e in questo caso il Natale, ci porta.
Come i doni sotto l'albero, ciò che arriva non è sempre di nostro gradimento o sotto il nostro controllo.
Possiamo scappare? A volte sì, a volte no. C'è chi a Natale parte, chi prende l'influenza, chi si considera salvato da un turno di lavoro.
Ma supponiamo che vogliamo (o dobbiamo) restare qui, in un Natale tradizionale e scomodo, con le difficoltà relazionali che sappiamo benissimo di avere, magari proprio con le persone più care (il figlio ribelle, il genitore che non ci capisce, il partner che brontola o tace, un altro parente o amico con cui non c'è più comunicazione autentica, ma solo i soliti vuoti salamelecchi natalizi), che abbiamo intenzione di fare?
Possiamo metterci (o tenerci) una bella corazza sul cuore, che protegga e nasconda la nostra vulnerabilità, ma che al tempo stesso ci isola, ci preclude la gioia della vicinanza umana,  o possiamo provare a cambiare l'atteggiamento con cui accogliamo gli altri, per consentire al nostro cuore di vivere la pienezza e il calore che viene dal contatto umano autentico, nonostante l'evidenza che nessuna persona è perfetta e nessuna relazione è immune da qualche forma di turbolenza.
In questo spirito, vi presento la nuova meditazione di Natale.
E' una meditazione sul cuore che può aiutarci ad avere cura delle nostre relazioni, specie se stiamo affrontando delle difficoltà su questo fronte proprio con le persone più care.
E'  ispirata ad alcuni suggerimenti di Saki Santorelli su come coltivare la compassione nel nostro cuore.
Alcune persone, a cui l'ho già proposta, hanno avvertito che qualcosa, durante la pratica, andava sciogliendosi in pianto. Non è detto che ciò capiti a tutti, ma se dovesse capitare non facciamone un dramma.
A volte quando qualcosa riprende a scorrere (nei tubi dell'acqua, nel nostro cuore, nel nostre relazioni), il primo getto può essere dirompente. Accettiamolo.
Vi lascio alla traccia audio con l'augurio sincero di un Natale di luce, calore e amore.
Buona pratica!



lunedì 15 agosto 2016

Le strade della serenità: la gioia per la gioia altrui


Oggi è Ferragosto e può darsi che sia per noi una giornata di eventi rilassanti, divertenti, entusiasmanti.  Vi auguro di cuore che sia così (e in tal caso vi invito anche a tornare subito alla vostra vita reale, anziché restare qui su internet...).
Per quelli di noi che hanno invece in programma una giornata libera, sì, ma non esattamente entusiasmante, suggerisco di prendere in considerazione una pratica di benessere ispirata a un antico principio spirituale, che è coltivare la capacità di gioire per la gioia degli altri.
Chi ha avuto figli probabilmente conosce molto bene questo tipo di gioia, anche senza averla coltivata intenzionalmente. Vedi tuo figlio che gioisce e di riflesso gioisci anche tu,  benché nella tua vita in quel momento non stia accadendo niente di speciale (il rovescio della medaglia, come tutti sappiamo,  è che la volta che vedi tuo figlio soffrire, soffri anche tu. Ma questo è un altro paio di maniche).
Questa pratica è particolarmente indicata nei periodi di vacanza, perché le occasioni di incontrare gente che gioisce (anche solo per un momento) possono essere più frequenti.
Mi viene in mente a tal proposito - saltando un po' di palo in frasca - una frase che disse mia sorella tanti anni fa, mentre facevamo zapping alla ricerca di un film rilassante in televisione. Disse: "Vediamo se troviamo una storia di gente ricca che se la spassa...". Beninteso non ne trovammo nemmeno una. Molte storie di gente ricca magari sì. Ma nessuna di gente che davvero se la spassasse e basta. Questo perché la pace, la tranquillità e la gioia non fanno storia, se non quando sono conquistate grazie al superamento di problemi, difficoltà e avventure. Cosa che rende assolutamente non riposante pure lo svago.
Ma torniamo a noi. Supponiamo per un momento che vogliamo avvicinarci per libera scelta a "storie non storie" per coltivare intenzionalmente la gioia come emozione salutare, avvalendoci di quella meravigliosa risorsa umana che è l'empatia, per cui riusciamo a sentire ciò che sente un'altra persona. Eliminiamo - almeno per oggi, che è Ferragosto -  la necessità del pathos, dell'intreccio complicato, dell'enigma, della soluzione del problema come condizione per meritarci il dono di un lieto fine e accostiamoci alla gioia altrui come se andassimo dritti al piacere del lieto fine.  
Difficile comprendere di cosa parlo?
Forse sì.
Se si trattasse di una fiaba (per esempio il Principe Ranocchio, ma anche Biancaneve, Cenerentola, la Bella Addormentata nel bosco, e chissà quante altre) ci avvicineremmo a qualcosa del genere: "C'erano una volta una fanciulla e un principe che si sposarono felici e contenti (dopo varie peripezie, come in tutte le storie). Che bello!". 
Questo è il mondo delle fiabe, mi direte.  Ma nel mondo reale?
Nel mondo reale ognuno di noi ha i suoi momenti sì e i suoi momenti no.
Ma se noi siamo capaci di gioire dei momenti sì degli altri, le nostre occasioni di gioia sono immediatamente moltiplicate.
Più che darvi un manuale di istruzioni per questa pratica, posso farvi qualche esempio. La cosa oggi mi riesce particolarmente facile perché ho appena fatto una passeggiata a piedi di due ore, incontrando molte persone sulla mia strada che mi hanno trasmesso la loro gioia senza saperlo.
Ecco l'elenco di alcuni dei miei fornitori di gioia, oggi.
1) Giovane padre di famiglia pallido, oggi finalmente in ferie, raggiunge in auto la famiglia in località di vacanza. Conosco già la storia perché si ripete ogni anno, ma vederlo partire ora con quell'aria leggera e contenta mi apre il cuore.
2) Signore di mezza età in pantaloncini corti emerge da dietro gli scogli con una busta piena di cozze. Le ha pescate tutte lui! Lo vedo camminare baldanzoso come un ragazzo davanti a me. Lo sento contento. Mi sento contenta.
3) Coppia con passeggino chiacchiera. Bimba con cappellino nel passeggino si lascia condurre tranquilla guardandosi intorno. Mostra interesse per tutto ciò che vede, compresi i miei sandali colorati. Respiro il suo stupore e la gioia della scoperta, mentre mi ricordo anch'io di quanto è interessante il mondo e ne gioisco.
4) Signora con cane passeggia sul lato ombreggiato della strada. Lei e il cane hanno la stessa andatura. Percepisco una buona sintonia tra loro. Mi trasmettono un bel senso di quieta compagnia, lo sento e ne gioisco. 
5) Bambino sulla riva del mare sta costruendo castello di sabbia. Ha inserito un  porticato coperto con canne di bambù. Gli faccio segno di ok con la mano. Mi risponde con un enorme sorriso sdentato. Mi sento orgogliosa per lui e ne gioisco.
6) Giovanotto tatuato e muscoloso sta facendo allenamento con gli attrezzi dei giardini pubblici. Riconosco il suo piacere di far lavorare i muscoli. La mia passeggiata di due ore è quasi finita e il mio corpo è grato per il movimento che ha praticato. La gioia che è nel corpo del giovane è presente  anche nel mio corpo.
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Coltivare la gioia per la gioia altrui è una buona strada anche per tenere a bada alcuni sentimenti difficili, come per esempio l'invidia, che possono impadronirsi di noi quando le nostre cose non vanno come vorremmo. L'invidia è in un certo senso l'esatto contrario della gioia per la gioia altrui, perché è di fatto una forma di sofferenza per la gioia altrui. 
Qui ci sarebbe molto da dire e lo spazio non lo consente. Ad ogni modo ci sono già altri post sull'invidia in questo blog, basta cercarli (uno per esempio è al seguente link: www.ciochesimuovenoncongela.blogspot.it/2012/11/vizi-capitali-invidia.html).
Ciò che vorrei sottolineare è che, poiché è molto difficile provare simultaneamente due sentimenti di segno opposto riguardo a un medesimo oggetto, alimentare intenzionalmente un sentire di un certo tipo può avere una funzione protettiva per noi dal sentire di segno opposto. 
Beninteso non è così facile sostituire di colpo l'invidia, quando c'è, con la gioia per la gioia altrui.
Questo tipo di lavoro richiede un certo impegno (e quindi anche una certa motivazione), ma soprattutto richiede una buon livello di consapevolezza riguardo al nostro sentire.
La mindfulness in questo senso può esserci di aiuto.
Con le pratiche di mindfulness noi impariamo a prenderci cura del nostro mondo interno (fatto di pensieri, emozioni, sensazioni) innanzitutto osservandolo in modo non giudicante. Nel momento stesso in cui un sentimento come l'invidia diventa oggetto della nostra osservazione (com'è fatta esattamente? in che zona del corpo si manifesta?  come cambia e come non cambia, di momento in momento, mentre ci apriamo ad essa, accogliendola e osservandola con interesse e curiosità?) la sua presa su di noi si allenta. In un certo senso non siamo più invidiosi, ma semplicemente stiamo in compagnia di un evento (l'invidia) che si mostra a noi per essere esplorato e conosciuto, affinché la nostra consapevolezza arrivi a includerlo tra le tante sfaccettature del nostro panorama interno di sensazioni ed emozioni, senza alimentarlo inutilmente di energia (come avviene quando ci aggrappiamo a un certo sentire, tornandoci sopra con pensieri che lo alimentano, oppure lottiamo contro di esso, magari rimproverandocelo e criticandoci, ma senza riuscire a liberarcene).
La mindfulness ci consente di accorgerci di ciò che abbiamo nella mente e nel cuore, in un certo momento, riguardo a un certo oggetto. E di dire: è così. Questa resa allo stato delle cose, questo vederle quietamente in faccia, senza paura o ansia di cambiarle, poi ci consente di scegliere cosa fare, assecondando i nostri valori e le nostre intenzioni.
Ecco allora che la pratica di coltivare la gioia per la gioia altrui trova un ambiente interno adatto ad accoglierla e a farla fiorire. E i suoi frutti possono essere davvero sorprendenti.  





sabato 21 novembre 2015

La compassione - discorso di Christina Feldman tenuto a Roma il 28 gennaio 2000

Ho letto, di recente, la trascrizione di un incontro tra il Dalai Lama e un suo amico, un anziano monaco che aveva appena potuto raggiungere il Dalai Lama in India, dopo vent’anni passati in prigione e nei campi di lavoro in Tibet. Vent’anni di profonda solitudine, di brutalità e di torture. Il Dalai Lama chiedeva al suo anziano amico: "Raccontami di quando sei stato veramente in pericolo di perdere la vita". Il monaco ci pensò un attimo e poi rispose: "Ci sono state occasioni, situazioni in cui mi sono trovato di fronte a un vero pericolo; sono stati i momenti in cui ho rischiato di perdere la compassione per i mei carcerieri".
Alla prima lettura, il pensiero immediato è stato che questo monaco doveva per forza essere un grande santo o che era il suo diverso condizionamento culturale a permettergli un simile modo di pensare.
In verità, credo che questo monaco sia una persona che ha capito il potere dell’autentica compassione e di come la compassione ci assicuri un rifugio.
Possiamo cogliere queste parole e trasferirle nella nostra vita e nel nostro cuore. Ci sono momenti di grandissimo pericolo, sono le occasioni in cui perdiamo la compassione per noi stessi, quei dolorosissimi momenti in cui voltiamo le spalle o non siamo toccati dal nostro dolore o dalla nostra sofferenza e i momenti ugualmente dolorosi in cui perdiamo la compassione per quelli che ci hanno fatto del male o ferito.
Cosa accade quando perdiamo il contatto con la compassione?
La nostra vita e le nostre relazioni possono insegnarci qualcosa. Quando perdiamo la compassione, sorge un forte senso di separazione. Quando la compassione è andata perduta, appare spesso un’ incolmabile distanza, un’incolmabile divisione tra sé e l’altro. In questa separazione, ci sentiamo separati, distanti e isolati.  Ovviamente, quell’abisso di separazione non è un buco vuoto, contiene un oceano di emozioni e di sentimenti. Quel buco è colmo di sentimenti di rabbia, di paura, di biasimo. Talvolta di risentimento o di indifferenza. Ed è proprio la dolorosità di questi sentimenti che rende ancora più profonda la distanza tra sé e l’altro.
Quando nella vita perdiamo il contatto con il senso di compassione, al cuore viene a mancare la capacità di aprirsi, di lasciarsi toccare dal dolore e dalla sofferenza. Quello che va perduto è uno dei doni più preziosi e liberanti che si possano concepire.
Nell’assenza della compassione perdiamo la comprensione profonda dell’interconnessione ed essere esiliati dal senso di interconnessione coincide realmente coll’essere deprivati del senso di essere a casa in noi stessi o nella vita. Diventiamo invece prigionieri di tutte le sensazioni e le ansie della separazione, prigionieri della paura, della rabbia, del biasimo, ed è la più intensa delle sofferenze.
Non è difficile scorgere tutto questo nella nostra vita, se riflettete per un momento su qualcuno che, nel passato o nel presente, vi abbia fatto del male o vi abbia offeso. Quali sentimenti sorgono e quale presa hanno su di voi?
Talvolta possiamo avvertire un sottile indurimento del cuore, altre volte percepiamo sensazioni di risentimento o di tensione. Quando ci colleghiamo o pensiamo a quella persona anche a distanza, si possono aprire le porte a intense sensazioni di agitazione ed è un’esperienza dolorosa. Non c’è solo il dolore per come siamo stati feriti, ma anche il dolore che deriva dalla perdita, dalla separazione, dalla mancata connessione.
Quando nella nostra vita perdiamo il contatto con il senso di compassione, perdiamo anche, e in modo molto reale, noi stessi. Quando diventiamo prigionieri della separazione, tutti i sentimenti di paura, di rabbia e di biasimo sembrano improvvisamente assumere tantissimo potere, ma siamo noi a dare così tanta autorità a questi sentimenti, da lasciar loro decidere del nostro benessere e della nostra felicità.

Nella separazione sembriamo quasi dare l’autorità a un altro di determinare il nostro benessere e la nostra felicità. C’è tristezza nel nostro cuore nel rinunciare a questa libertà. Nella nostra vita, possiamo essere strenuamente chiusi alle persone difficili, le persone con cui litighiamo o da cui ci sentiamo feriti o risentiti. Così come possiamo essere chiusi ai punti di difficoltà dentro di noi, alle nostre personali difficoltà come la tendenza al giudizio, l’avidità, la rabbia, a cui ci sembra difficile aprirci, e difficile accettarli. Queste relazioni e questi punti difficili occupano spesso un posto centrale nella nostra vita. Ci pensiamo molto. Pensiamo di più alle persone difficili della nostra vita che a quelle che amiamo. Pensiamo molto di più ai nostri lati difficili che a quelli che apprezziamo. E le persone e i lati difficili sembrano richiedere tanta energia e attenzione perché cerchiamo di trovare un modo per evitarli o per non stare con loro. Sembrano avere così tanto potere, ma è un potere che gli abbiamo dato noi.
Nutrire la compassione è un modo di riconquistare l’autorità e di riconquistare un senso di libertà, perché è anche un modo per recuperare la comprensione dell’interconnessione. Recuperare l’autorità di verità molto semplici: la verità che nella comprensione dell’interconnessione c’è pace e compassione, che nella separazione c’è alienazione, dolore e rammarico.
Sempre di più arriviamo a comprendere nella nostra vita che la persona che ci sta davanti è veramente noi in un’altra forma, è la nostra mente in un corpo diverso, è il nostro stesso cuore che differisce solo nell’espressione. Al di sotto di queste differenze superficiali, quello che ferisce noi ferisce anche l’altro. Quello che ci dà gioia dà gioia anche all’altro. Nella tradizione cinese la compassione è spesso rappresentata come una divinità o come un Buddha chiamato Kuanin, il cui nome tradotto significa: "Colui che ascolta il suono dell’universo". In pali, la compassione è karuna che viene definita come "il cuore che trema in risposta alla sofferenza". La compassione è la capacità di ‘sentire con’, di ‘prestare ascolto alla vita’ ed è il cuore della pratica di meditazione. Il Buddha dice: "Insegno una cosa sola: c’è la sofferenza e c’è la fine della sofferenza". Attraverso la compassione noi coltiviamo il sentiero che porta alla fine della sofferenza. Il Buddha disse che per conoscere cosa sia la compassione, basta guardare negli occhi di una madre o di un padre mentre cullano il loro bambino malato e febbricitante.
Coltivando nella nostra vita la compassione impariamo come ammorbidire e sciogliere le nostre paure e le nostre contrazioni e come mitigare il nostro imprigionamento in un sé separato.
La compassione non è una qualità da idealizzare o da proiettare nel futuro, ognuno di noi incontra il dispiacere e il dolore probabilmente ogni giorno della sua vita. Facciamo i conti con la nostra mortalità e vediamo la mortalità degli altri, la nostra vita è fragile, come fragili sono tutte le vite. Ci sono molti momenti della vita in cui incontriamo il dolore della solitudine o la rabbia o l’odio. Tutti questi momenti ci invitano a coltivare un cuore in ascolto, a lasciar cadere la separazione e a essere presenti con tutti noi stessi. La compassione significa trovare la fine della sofferenza nel momento. Non significa che se ne vada tutto il dolore, non c’è una soluzione o una risposta a ogni conflitto o sofferenza di questo mondo, ma il dolore della separazione può finire e finisce in ogni momento in cui ci impegniamo a rivolgerci verso la difficoltà anziché distogliercene. Non ci è possibile fermare o controllare tutto in questo mondo, ma possiamo imparare a essere presenti, imparare a contenere questo momento, questa persona, noi stessi, in un ascolto a cuore aperto.
Quando incontriamo qualcuno che soffre o siamo noi a soffrire, la guarigione più importante che possa avvenire in quel momento per quella persona o per noi stessi è essere ascoltati, essere accolti, essere abbracciati con cuore aperto. Nel turbine del dolore non sono sempre necessarie le parole. Quello che è sempre necessario è un bisogno profondo di essere connessi. La sofferenza e il dolore vengono sorretti meglio con un quieto e comprensivo silenzio. Le parole e le risposte del coraggio e della saggezza, che sono quelle necessarie, nasceranno da quel silenzio molto più facilmente che non dall’agitazione o dalla disperazione. Riflettendo sulla nostra pratica e sulla nostra vita possiamo tutti imparare a esplorare questo spazio di silenzioso ascolto e di benvenuto. Dunque per noi la compassione non è solo accidentale, ma è una possibilità sempre disponibile. Non c’è una risposta e nemmeno una spiegazione soddisfacente per tutta la sofferenza e il dolore che esistono nella vita e non riusciremo mai a fermarli. Ma imparando a essere silenziosi e ad ascoltare in noi stessi, possiamo imparare i sentieri dell’azione saggia e della capacità di rispondere. Avere un cuore sconfinato non implica una resa della saggezza. La compassione ha bisogno della saggezza che sa cosa contribuisce alla sofferenza e cosa le mette fine. Ci sono molti momenti nella nostra vita in cui la compassione ha bisogno di prendere la forma di parole, di azioni, di scelte, la forma del coraggio e della saggezza. La maggior parte di noi sa che l’azione saggia nella vita nasce molto raramente dalla paura, dal biasimo o dall’odio. La compassione non è solo un’emozione o un sentimento. Contiene in sé sia la capacità di ascoltare che una profonda saggezza. La compassione libera la saggezza dal rimanere solo una buona intenzione e la saggezza salva la compassione dall’essere solo un’emozione. Un mistico cristiano disse: "A che serve aprire gli occhi se il cuore è chiuso?". Potremmo aggiungere: "A che serve aprire il cuore se gli occhi sono ciechi?".
Nutrire la saggezza e la compassione è un sentiero che ha inizio in qualsiasi momento ci rivolgiamo a ciò che è difficile anziché distogliercene. Con la meditazione si è dediti soprattutto ad avvicinarsi al momento presente, a questo momento. Nella pratica meditativa impariamo a stabilire la connessione con ‘ciò che è’, anziché seguire i sentieri del negare e dell’evitare, sentieri che imbocchiamo spesso per volare via da ciò che ci fa male o che ci sfida. Portare l’attenzione a ‘ciò che è’, in ogni momento, è il primo passo per imparare ad ascoltare e a essere silenziosi.
Tradizionalmente, la compassione viene coltivata in modo intenzionale, prima di tutto investendo di attenzione quei momenti e quelle circostanze di dolore o di sofferenza che sembrano essere inspiegabili e sconvolgenti e che per noi sono difficili da accettare o da comprendere. Ci interessiamo al bambino cha ha il cancro o che ha subito un abuso, ci interessiamo alla famiglia terrorizzata dalla guerra in un altro Paese. Prestiamo attenzione alla persona la cui vita è improvvisamente andata a pezzi. Prestiamo attenzione a quegli spazi di sofferenza in cui spesso ci sentiamo più indifesi e per cui non possiamo biasimare nessuno. Nel coltivare la compassione portiamo l’attenzione alla natura fragile di ogni esperienza della vita, alla sofferenza che proviene dall’invecchiamento, dalla malattia, dalla morte, dalla nascita. Tutti gli eventi della vita che comportano perdita, dolore, lutto e da cui nessuno è esente. Nel coltivare la compassione investiamo di attenzione anche quelle relazioni e quei punti di sofferenza e dolore in cui spesso ci abbandoniamo al biasimo. E portiamo anche attenzione a chi commette l’abuso, allo stupratore o all’oppressore e anche in questo caso è necessario porre fine alla separazione, lasciar andare la rabbia e il senso di separazione nel nostro cuore ed essere presenti con una semplicissima intenzione: "Che tu possa comprendere e guarire", "Che io possa comprendere e guarire". Questa investigazione e connessione intenzionale col dolore presente nel mondo è, in verità, un’investigazione del dolore e della sofferenza che incontriamo nella nostra vita e nel nostro cuore. Anche noi facciamo esperienza della sventura quando gli eventi e le circostanze si svolgono in modo imprevedibile, anche noi sperimentiamo la perdita, sofferenze e disperazioni inaspettate, anche noi ci sentiamo indifesi e impotenti in questa vita e, in verità, l’unico autentico rifugio per noi in questa fragile esistenza è nella nostra capacità di essere presenti e saldi. Certamente la compassione degli altri ci rincuora e ci sostiene; la compassione, il profondo impegno interiore a restare saldi al centro del dolore, è ciò che ci libera dal biasimo e dalla paura. Ci sono in noi anche zone difficili per le quali facilmente ci biasimiamo. Pronunciamo parole di cui ci pentiamo o agiamo in modi che offendono gli altri. Certe volte feriamo noi stessi con giudizi, severità e biasimo e ogni sorta di idee su come dovremmo comportarci nella vita. Qualsiasi strategia, libro, prescrizione non può essere un valido sostituto della compassione, del concedersi un momento per prestare ascolto ed essere silenziosi. Essere capaci di reggere le ondate di rabbia, di rimorso o di colpa senza giudizio. In questi momenti di silenzio interiore, impariamo una delle più profonde lezioni della vita: cosa conduce alla sofferenza e cosa conduce alla fine della sofferenza. Un cuore compassionevole non è un cuore idealizzato che non ha mai un pensiero rabbioso o una sensazione di avidità, che possono sorgere e di fatto sorgono, ma la compassione mantiene l’apertura per ascoltare quei sentimenti senza necessariamente concedergli di pilotarci. La compassione è una delle più grandi qualità trasformanti del cuore. I suoi peggiori nemici sono il dubbio e la paura. Abbiamo paura di essere vulnerabili e di venire sommersi, non ci fidiamo della nostra capacità di saper ricevere il dolore. Talvolta vediamo la separazione come un modo di proteggere noi stessi dalla vulnerabilità o dall’essere troppo aperti o feribili dagli altri. Ma possiamo capire dalla nostra vita che la separazione non ci protegge, ci toglie piuttosto la libertà. Coltivando la compassione impariamo a interessarci dei paesaggi del cuore. Impariamo ad apprezzare la forza delle nostre sensazioni, non per etichettarle come buone o cattive, ma per apprezzare il modo in cui caratterizzano la nostra esperienza del mondo. Qualcuno ci dice qualcosa di offensivo, ci sentiamo irritati, insultati. In un attimo quella persona diventa il nostro nemico, investito del potere di distruggere la nostra vita in quel momento. Un’altra persona dice qualcosa che ci fa piacere o che ci lusinga, ci sentiamo a meraviglia. Quella persona sembra avere il potere di renderci felici. Ma nella nostra vita c’è molto di più di questi effimeri momenti di ‘bene’ e ‘male’: fugaci sensazioni piacevoli e spiacevoli. È saggio dar loro il potere di determinare il nostro mondo? Non dovremmo mai sottovalutare il potere di questi sentimenti. Abbiamo bisogno di imparare a interessarci alla vita di questi sentimenti, a vedere come il nostro mondo si crei momento per momento attraverso quello che sentiamo verso un’altra persona, a sapere dove siamo noi, grazie all’interesse per la vita del cuore. Cominciamo anche ad imparare come sciogliere qualcuna delle nostre zone congelate e bloccate dalla paura e dalla resistenza. Possiamo imparare ad ammorbidire e a intenerire le immagini che abbiamo degli altri e di noi stessi. Possiamo cominciare a dissolvere la separazione e cominciare a comprendere che nel coltivare la compassione stiamo sempre scegliendo la libertà, anziché la sofferenza, che nell’imparare a coltivare la compassione onoriamo la semplice verità della nostra vita, che nella separazione c’è sofferenza e nell’interconnessione c’è pace.
***


D: Puoi dirci qualcosa di più sulla relazione tra la compassione e la paura, in particolare la paura del futuro?
R: Con questo tipo di paura non specifica, come è invece la paura di una persona o di un evento, è molto facile perdersi, pensando a cosa potrà succedere. E spesso in questi momenti di paura e di ansia, la mente non è nostra amica. Oscar Wilde disse che le cose più tremende della vita non accadono in effetti mai. Ma con la paura enumeriamo a noi stessi tutto il peggio che ci potrebbe accadere. Nei momenti di paura, la mente è una specie di vandalo psichico. Spesso la cosa più saggia, in quei momenti, è di creare, quanto più possibile, un senso di rifugio. La compassione per sé stessi consiste nell’imparare come non cadere nell’agitazione della paura. La compassione, come la gentilezza amorevole e l’equanimità, è una pratica oltre che una comprensione. È una pratica che utilizza frasi semplicissime o singole parole come modo per riconnettersi con l’intenzione della compassione. Utilizzare frasi semplici come: "Che io possa riposare nella paura", "Che io possa trovare la quiete dentro la paura", è un modo per imparare a trovare quel rifugio che ci libera dall’agitazione e dall’ansia. [...]
***
(traduzione a cura di Samira Coccone e Chandra Candiani)

venerdì 24 aprile 2015

L'insegnamento e la conoscenza secondo Gibran


E UN MAESTRO DOMANDÒ: PARLACI DELL’INSEGNAMENTO

Ed egli disse: "Nessuno può insegnarvi nulla, se non ciò che sonnecchia nell’albeggiare della vostra conoscenza.
Il maestro che cammina all’ombra del tempio, tra i discepoli, non dà la sua sapienza, ma il suo amore e la sua fede.
E se egli è davvero saggio non vi invita a entrare nella dimora del Suo sapere, ma vi conduce alla soglia della vostra mente.
L’astronomo può dirvi ciò che sa degli spazi, ma non può darvi la sua conoscenza.
Il musico può cantarvi la melodia che è nell’aria, ma non può darvi l’orecchio che fissa il ritmo, né l’eco della voce.
E il matematico potrà descrivervi il mondo del peso e della misura, ma oltre non vi potrà guidare.
Giacché la visione di un uomo non impresta le sue ali a un altro uomo.
E come Dio vi conosce da soli, così tra voi ognuno deve essere solo a conoscere Dio, e da solo comprenderà la terra."


UN UOMO DOMANDÒ: PARLACI DELLA CONOSCENZA

Ed egli rispose, dicendo: "Il vostro cuore conosce nel silenzio i segreti dei giorni e delle notti.
Ma l’orecchio è assetato dell’eco di ciò che il cuore conosce.
Vorreste esprimere ciò che avete sempre pensato.
Vorreste toccare con mano il corpo nudo dei vostri sogni.
Ed è bene che sappiate: la sorgente nascosta dell’anima vostra dovrà scaturire un giorno, e fluire mormorando verso il mare; e ai vostri occhi si svelerà il tesoro della vostra immensa profondità.
Ma non con la bilancia peserete questo tesoro ignoto; e non sonderete con l’asta o lo scandaglio le profondità della vostra conoscenza.
Poiché l’essere è un infinito e sconfinato mare.
Non dite “Ho trovato la verità” ma piuttosto “Ho trovato una verità”.
Non dite “Ho trovato il sentiero dell’anima” ma piuttosto “Ho incontrato l’anima in cammino sul mio sentiero”.
Poi che l’anima cammina su tutti i sentieri.
L’anima non procede in linea retta, e neppure cresce come una canna.
L’anima si schiude in mille petali come un fiore di loto."


(da Gibran Kahlil Gibran, Il Profeta)

                                  (le immagini riproducono dipinti di Merab Gagiladze)                                    

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mercoledì 31 dicembre 2014

Ispirazioni di fine anno e pratiche informali di consapevolezza per la vita quotidiana



1.Quando è possibile, fare una cosa alla volta.
2.Prestare completa attenzione a quello che si sta facendo.
3.Quando la mente si distrae da ciò che si sta facendo, riportarla indietro.
4. Ripetere il punto tre diversi miliardi di volte.
5. Indagare sulle proprie distrazioni.
 (Larry Rosenberg) 
***
Che ce ne rendiamo conto o no, quando siamo assorti nei nostri pensieri è come se avessimo il pilota automatico inserito, che decide i nostri passi, guida i nostri gesti, manovra la nostra automobile e a volte ci mette pure le parole in bocca. 
Quando i nostri pensieri sono i nostri padroni, hanno il potere di portarci lontanissimo da dove realmente siamo ora, in questo preciso momento. 
Voliamo allora nel passato, nel futuro, nel condizionale più improbabile, sbiadendo l'esperienza presente come se avessimo la nebbia davanti agli occhi, i tappi nelle orecchie, una molletta per i panni stretta sul naso, una mezza anestesia che ci toglie il tatto, e una specie di  maleficio che ci porta via i sapori, rendendo meno gustoso non solo il cibo che mangiamo ma la stessa vita che viviamo.
Dove stai con la testa in questo momento? Chi c'è al tuo posto, mentre fai finta di stare qui?
C'è qualcosa che ti distrae dalla vita vera, dalle sorprese che ha in serbo per te, dalle mille qualità di ogni singolo momento, dal sapore vero delle cose, dalle tue interazioni con chi ti circonda?
Se appena appena ci rendessimo conto della continua tendenza della nostra mente a distrarci dalle mille qualità del momento presente (bombardandoci di storie, commenti, minacce, previsioni e a volte addirittura rimproveri!), cominceremmo a trattarla un po' diversamente, magari come un amico affezionato ma un tantino asfissiante, che di tanto in tanto - con molta gentilezza, ma anche con fermezza - va arginato e messo a tacere. 
Non per cattiveria. Solo per non scoppiare. 
La questione  non è di impedire in assoluto alla nostra mente di vagare (noi abbiamo bisogno certamente anche di ricordare, per mettere a frutto le esperienze passate, come di sognare, per progettare il nostro futuro). La questione è piuttosto impedire ai viaggi della mente di rubarci il presente sottraendoci i suoi reali doni.
Per non essere schiavi della mente che vaga, dobbiamo poter essere liberi di scegliere dove  stare con la testa, momento per momento, e quindi sviluppare una capacità di andare  e venire dai viaggi mentali, riuscendo a tornare presenti a noi stessi, nel qui e ora, intenzionalmente, consapevolmente e gentilmente, ogni volta che vogliamo.
***

La scorsa notte, mentre stavo scrivendo il mio post di fine anno, ha nevicato.
Me ne sono accorta perché me l'ha comunicato mia figlia Alessia rientrando a casa.
Quando scrivo, sto seduta accanto a una finestra che dà sul golfo di Napoli.
Mi è bastato portare lo sguardo alla mia destra, per accorgermi che migliaia di fiocchi di neve danzavano nel buio della notte tra le mille lucine del golfo. C'era anche la luna.
Avevo uno spettacolo più unico che raro, ora, qui, giusto al mio fianco.
E certo non l'avrei notato, se Alessia non mi avesse indotta a farci caso, a prestargli attenzione.
Ero altrove, deliberatamente altrove. Al cento per cento concentrata sul mio post.
Sono stata grata a mia figlia di avermi interrotta. La vita vera era qui, con tutta la sua magia. Non me la sarei persa per nessuna ragione al mondo! 
Stamattina ad ogni modo il mio post era da completare. 
Mi sono svegliata con l'intenzione di rimettermi a scrivere, ma al tempo stesso dovevo preparare le lenticchie per la cena, visto che è l'ultimo dell'anno.
Non avevo nessuna voglia di mettermi a preparare le lenticchie. 
In realtà sono molto facili da cucinare. Basta mettere l'acqua nella pentola, versarci dentro le lenticchie, aggiungere sedano e aglio, accendere il fuoco e ricordarsi di spegnerlo dopo una mezz'ora circa. E poi, certo, a fine cottura bisogna  ricordarsi di aggiungere il sale e magari un po' d'olio.
Ma come si fa a provare gusto in un'attività così minima? E' talmente facile che mi risulta noiosa.
Così ho deciso che il mio esercizio spirituale di fine anno sarebbe stato proprio...  fare pace con la preparazione delle lenticchie.
Anziché aprire velocemente la busta con uno strappo o con le forbici, ho rimosso delicatamente il sigillo metallico con la punta di un coltello, portando la mia attenzione ai riflessi di luce sulla lama, al cedere graduale del sigillo sotto la crescente pressione che stavo esercitando, allo scricchiolio della busta mentre si apriva, al graduale ammorbidirsi del contenuto a mano a mano che lo spazio tra una lenticchia e l'altra aumentava.
Ho scelto la pentola più adatta, che però era sporca. Così mi sono messa a lavarla, percependo sotto le mani il calore dell'acqua, ascoltandone lo sciacquettio, annusando il profumo del detersivo. Ho tastato la superficie interna della pentola con i polpastrelli fino a distinguere chiaramente le zone lisce, da quelle unte e da quelle incrostate. Ho percepito il ruvido della spugnetta in contrasto con il liscio dell'acciaio e il ronzio dello sfregamento dell'una sull'altro.
Ho risciacquato la pentola e poi l'ho riempita d'acqua fredda.
L'acqua era limpida,  trasparente e inodore, e la pentola lucente.
Mi sono stupita nel percepire dentro di me un senso di grande soddisfazione  di fronte a quella vista. 
Era incredibile che fossi così contenta per una cosa così minima. Mi sembrava quasi di aver dato un contributo al mondo, con quella mia pentola bella pulita e colma d'acqua fresca di rubinetto!
Ci ho versato dentro le lenticchie, osservandole cadere ad una ad una nell'acqua in mille schizzi fragorosi.
Poi ho aperto il frigorifero e ho cercato il sedano.
Ho tastato i vari gambi ad uno ad uno, riconoscendo sia al tatto sia all'aspetto quelli più sodi, quelli più  morbidi, quelli più verdi, quelli  più bianchi. Ne ho recisi alcuni con la punta del coltello e poi li ho lavati  delicatamente percependo con attenzione le qualità visive, tattili e uditive anche di questo lavaggio.
Quando ho affettato il sedano sul tagliere, mi sono accorta che era profumatissimo. Per la prima volta nella vita il suo odore mi ha letteralmente inebriata, tanto era intenso. Poi ho sbucciato l'aglio ed ho prestato attenzione alle qualità tanto più forti del suo profumo e ho vissuto pienamente anche quelle.   
Poi ho messo tutto in pentola, ho acceso il fuoco e ho guardato l'ora.
Quindi ho messo il timer per ricordarmi di tornare qui tra mezz'ora.
Nei prossimi trenta minuti sarò infatti certamente altrove, sia fisicamente sia mentalmente.
Ho deciso di finire il mio post di fine anno e non intendo restare in contemplazione della pentola meditando mezz'ora sulle lenticchie che cuociono. 
Sarebbe anche un'idea, non dico di no, ma  non oggi! Per oggi il mio gioco mi è bastato.
Il breve tempo impiegato a preparare le lenticchie è stato tempo di qualità.
Non solo non mi sono annoiata ma ci sono stata proprio bene.  Ho vissuto qualcosa di speciale: un'attività che consideravo noiosa per la prima volta mi ha gratificata.
Nulla era realmente diverso dal solito: stessa cucina, stessa pentola, stessa marca di lenticchie.
L'unica cosa diversa era la qualità della mia attenzione, intenzionalmente portata per un breve lasso di tempo ad ogni dettaglio dell'esperienza che vivevo nel presente, momento per momento. Senza cercare di scappare, senza affrettarmi, senza pensare a qualcos'altro.
Insomma, come per la nevicata di stanotte anche per le lenticchie di stamattina: ciò che ho vissuto realmente è ciò di cui realmente mi sono accorta. Niente più di questo.
Ogni momento della nostra vita ha un suo valore, se solo glielo riconosciamo  e lo onoriamo  con gentile attenzione.
La qualità percepita della nostra vita può dipendere in larga misura proprio da questo atteggiamento.
Per cui il mio augurio a tutti voi per questo nuovo anno è semplicemente di sviluppare una capacità di gentile attenzione momento per momento, portando curiosità e interesse verso ciò che accade mentre accade, fino a scoprire le qualità straordinarie dei vostri giorni ordinari. 
Grande è il potere della consapevolezza nella vita quotidiana.
Che possano giungervi nel nuovo anno rivelazioni e meraviglie, non solo da finestre e lenticchie, ma da tutto ciò che nella vostra vita aspetta solo di essere riconosciuto.


A seguire, piccoli suggerimenti per portare più consapevolezza nelle nostra quotidianità, tratti dal libro Ritrovare la serenità, di M.Williams, J.Teasdale, Z.Segal, J.Kabat-Zin.

"• Quando vi svegliate la mattina, prima di scendere dal letto, por­tate l'attenzione al respiro per almeno cinque respiri completi, la­sciando che il respiro "avvenga da sé".

• Prendete nota della vostra postura. Siate consapevoli delle sen­sazioni fisiche e di ciò che avviene nella vostra mente quando dal­la posizione distesa vi mettete a sedere oppure vi alzate e vi met­tete a camminare. Notate ogni volta che passate da una posizio­ne all'altra.

• Quando sentite il telefono suonare, un uccellino cantare, un tre­no passare, una risata, il clacson di un'auto, il vento o il suono di una porta che si chiude, utilizzate ognuno di questi suoni o altri che sentite per ricordarvi di entrare pienamente nel qui e ora. Ascolta­te davvero,rimanendo presenti e vigili.

• Nell'arco dell'intera giornata, prendetevi qualche momento per portare l'attenzione al vostro respiro per almeno cinque respiri completi.


• Quando mangiate o bevete qualcosa, datevi il tempo di respira­re. Mettete consapevolezza nel vedere il cibo, sentirne i profumi, nell'assaporarlo, nel masticarlo e nell'inghiottirlo.


• Notate il vostro corpo mentre camminate o state in piedi. Con­cedetevi un istante per prendere nota della vostra postura. Presta­te attenzione al contatto con il terreno sotto i piedi. Sentite l'aria sul viso, sulle braccia e sulle gambe mentre camminate. Vi state af­frettando per arrivare al momento successivo? Anche quando sie­te di fretta, state con la fretta; guardatevi dentro per verificare se state creandovi pressioni aggiuntive, dicendo a voi stessi tutte le cose che possono andare storte.


• Ascoltate e parlate con consapevolezza. Sapete ascoltare senza dover essere d'accordo o meno, senza pensare se vi piace o non vi piace quello che sentite, senza pianificare quello che direte quan­do è il vostro turno? Sapete dire semplicemente quello che dove­te dire senza esagerare o minimizzare? Riuscite a notare le vostre sensazioni fisiche e ciò che vi passa per la mente? Riuscite a nota­re ciò che il vostro tono di voce trasmette? Le vostre parole sono un miglioramento rispetto al silenzio?

• Quando vi trovate ad aspettare in fila, utilizzate quel tempo per notare come state in piedi e respirate. Sentite il contatto dei piedi con il terreno e le sensazioni fisiche che provate. Portate attenzio­ne all'addome che si dilata e si distende. Provate impazienza?

• Siate consapevoli di eventuali punti di tensione nel corpo, nel­l'arco dell'intera giornata. Provate a respirarci dentro e, quando espirate, a lasciare andare eventuali eccessi di tensione. Siate con­sapevoli dell'eventuale tensione immagazzinata nel corpo. C'è tensione nel collo, nelle spalle, nell'addome, nelle mascelle o nella zo­na lombare? Imparate a conoscere i vostri schemi di avversione. Se possibile, praticate yoga o esercizi di allunga­mento una volta al giorno.

• Concentrate l'attenzione sulle vostre attività quotidiane, come la­vare i denti, pettinarsi, lavarsi o mettere le scarpe. Portate la con­sapevolezza in ogni attività.

• Prima di andare a dormire la sera, concedetevi qualche minuto per portare la vostra attenzione al respiro per almeno cinque respiri completi."



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Maria Michela Altiero psicologa e mindfulness trainer
www.mariamichelaaltiero.it