C'è un filo conduttore nelle nostre vite, qualcosa che tiene insieme gli avvenimenti di tutti i giorni, gli incontri, le gioie, i dispiaceri, le scoperte, le illusioni, le delusioni, le parole, i silenzi, i baci, le batoste, le partenze, i ritorni, le 10.000 volte che ci siamo lavati i capelli e l'unica volta che ci siamo sentiti una farfalla?
E questo filo, se c'è, dov'è?
E questo filo, se c'è, dov'è?
E' nella nostra testa? E' nelle orme lasciate dai nostri passi? E' scritto nelle stelle? E' scritto nel nostro patrimonio genetico? E' un destino ereditato dagli antenati? E' parte di una storia molto più grande, a cui contribuiamo tutti insieme, in quanto umanità?
Qualunque sia la risposta che ci diamo, nel momento in cui questo filo si traduce in narrazione, acquista un valore in sé e per sé: diventa storia, e come tale è condivisibile, trasmissibile e in una certa misura anche "riscrivibile" (persino il punto di vista del lettore, dell'ascoltatore o della comare che spettegola su di noi può dare, in tal senso, il suo contributo creativo!).
Ci sono aspetti di grande fascino nella narrazione delle storie, sia nel raccontarle, sia nell'ascoltarle, anche perché - per dirla con Terenzio - nulla di ciò che è umano ci è estraneo. Possiamo trovare parti di noi stessi nelle storie degli altri esseri umani e riconoscerci in certe situazioni che ci sono familiari, ma possiamo anche vivere, attraverso il racconto altrui, le stesse emozioni che ci comunica il narratore, benché la sua esperienza sia qualcosa che non abbiamo mai sperimentato in prima persona.
Molti dei miti e delle storie che gli esseri umani si tramandano attraverso le generazioni sono peraltro ricchi di elementi archetipici, che si ripresentano in varie declinazioni in ogni tempo e regione, e che non tramontano mai, perché appartengono al patrimonio collettivo dell'umanità, all'esperienza stessa di essere al mondo in forma umana, e testimoniano un'unità di fondo tra noi tutti, in quanto membri della stessa specie, pur a fronte della frammentazione delle nostre singole esperienze.
Molti dei miti e delle storie che gli esseri umani si tramandano attraverso le generazioni sono peraltro ricchi di elementi archetipici, che si ripresentano in varie declinazioni in ogni tempo e regione, e che non tramontano mai, perché appartengono al patrimonio collettivo dell'umanità, all'esperienza stessa di essere al mondo in forma umana, e testimoniano un'unità di fondo tra noi tutti, in quanto membri della stessa specie, pur a fronte della frammentazione delle nostre singole esperienze.
Raccontare e ascoltare storie può essere un fatto occasionale o casuale, può essere una cosa che ci andiamo a cercare per passione, e può essere qualcosa di connaturato al nostro stesso lavoro.
Ecco a seguire il pensiero di due persone che hanno a che fare con le storie per lavoro: uno scrittore, David Grossman, e una psicoanalista, Nancy McWilliams.
Ecco a seguire il pensiero di due persone che hanno a che fare con le storie per lavoro: uno scrittore, David Grossman, e una psicoanalista, Nancy McWilliams.
"Dal mio punto di vista, l'impulso a raccontare una storia, a inventare o ad attingere alla realtà, è quasi un istinto a sé, l'istinto narrativo: per determinate persone - alcune delle quali finiscono poi per diventare scrittori - questo istinto è potente e primario come ogni altro. La grande fortuna sta nel fatto che esso trova nel mondo l'istinto parallelo: quello di ascoltare storie. Ha un che di toccante, questo bisogno di sentir narrare.
Ovviamente, fra le cose che trasformano una persona in uno scrittore menzionerei anche il desiderio di comprendere, attraverso la narrazione, il mondo e l'uomo, in tutti i suoi aspetti, contraddizioni e illusioni; e vi si può aggiungere anche l'aspirazione che lo scrittore nutre di conoscere se stesso, di dare voce a tutte le correnti che passano impetuose dentro di lui. Chi non ha in sé questo desiderio, questo impulso primario, è difficile che sia capace - sempre che lo voglia - di sostenere quell'immenso sforzo spirituale che lo scrivere comporta.Un ulteriore movente dello scrivere è l'aspirazione ad abbattere quella parete divisoria, per lo più invisibile, che separa me dal prossimo (chiunque egli sia), verso il quale provo un interesse fondamentale, profondo; l'aspirazione a espormi in tutto e per tutto, senza alcuna difesa, in quanto individuo e non soltanto scrittore, di fronte alla personalità e alla vita di un altro individuo, alla sua interiorità più segreta e autentica, primordiale." (David Grossman)
"Essere una terapeuta psicoanalitica è l'approssimazione più vicina che sono riuscita a trovare per gratificare il mio desiderio di vivere più di una vita nel tempo unico e breve della mia. Non soltanto ho imparato che cosa significhi essere alcolista, depresso o bulimico; ho gettato uno sguardo anche su cosa significhi essere avvocato divorzista, scienziato, rabbino, cardiologo, attivista gay, insegnante di scuola materna, meccanico, agente di polizia, infermiere in un reparto di terapia intensiva, madre adottiva, attore, studente di medicina, politico, artista e molti altri tipi di persone." (Nancy McWilliams)